Rivista Giuridica – ISSN 2784-8906
IL REGIONALISMO DIFFERENZIATO: PROSPETTIVE E PROBLEMI Venerdì 31 marzo 2023 ore 15.30 online Saluti introduttivi Prof.ssa Adriana Bisirri e Ing. Gregorio Perillo International Campus Prof.ssa Daniela Di Paola Vice-direttore della rivista […]
Convegni e Master Notizie
IL REGIONALISMO DIFFERENZIATO: PROSPETTIVE E PROBLEMI
Venerdì 31 marzo 2023 ore 15.30
online
Saluti introduttivi
Prof.ssa Adriana Bisirri e Ing. Gregorio Perillo International Campus
Prof.ssa Daniela Di Paola
Vice-direttore della rivista scientifica di fascia A “AmbienteDiritto.it”
Francesco Pingitore
Presidente III Commissione consiliare- Consiglio comunale di Belluno
Relazione introduttiva
Prof. ssa Carmela Capolupo
Università degli Studi “Federico II” di Napoli
Interventi
Dott. Francesco Borgonovo
Vice-direttore de “La Verità”
Dott. Monea Pasquale
Segretario generale della Città metropolitana di Firenze
Prof. Daniele Trabucco
SSML/istituto ad Ordinamento universitario “san Domenico” di Roma/Campus “Unidolomiti” di Belluno
Prof. Diego Fusaro
Filosofo e docente presso Istituto Alti studi stretegici e politici
Prof. Carlo lannello
Università degli Studi “Luigi Vanvitelli” della Campania
Prof. Francesco Carlesi
SSML/istituto ad Ordinamento universitario o “san Domenico” di Roma/Campus “Unidolomiti” di Belluno
Prof. avv. Paolo Menarin
SSML/istituto ad Ordinamento universitario o “san Domenico” di Roma/Campus “Unidolomiti” di Belluno
Avvocato del Foro di Vicenza
Prof. Avv. Michele Borgato
SSMLJ/istituto ad Ordinamento universitario “Unicollege” di Mantova.
Avvocato del Foro di Padova
Prof. Matteo Orlando
Direttore della testata on line “inFormazione cattolica” e “La Fede quotidiana”
Roberto Dal Pan
Rete civica federalista
Modera
Dott. Lamberto Colla
Direttore de “La Gazzetta dell’Emilia e del “Quotidiano del Web”
IL DIFFICILE RAPPORTO TRA ENERGIE RINNOVABILI E PAESAGGIO. VERSO UNA NUOVA CONCEZIONE DELLA PIANIFICAZIONE AMBIENTALE. Avv. Mariangela Crisci Sommario: 1. Il granitico baluardo della tutela del paesaggio e la “recente” sensibilità ecologica. […]
Diritto Ambientale Dottrina Fascicolo n.1/2023IL DIFFICILE RAPPORTO TRA ENERGIE RINNOVABILI E PAESAGGIO.
VERSO UNA NUOVA CONCEZIONE DELLA PIANIFICAZIONE AMBIENTALE.
Avv. Mariangela Crisci
Sommario: 1. Il granitico baluardo della tutela del paesaggio e la “recente” sensibilità ecologica. 2. La modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione. 3. Verso la tutela di un “paesaggio di qualità”. 4. La necessità di una transizione energetica “forte” in Puglia.
La modifica degli artt. 9 e 41 Cost. ha di fatto aperto la strada ad un contrasto tra i valori dell’ambiente e del paesaggio, nella prospettiva delle energie rinnovabili. La transizione energetica, infatti, ha come scopo finale la tutela dell’ambiente, nell’ottica di una crescita sostenibile. Tuttavia il paesaggio potrebbe costituire un ostacolo all’uso di suolo ai fini di sostenibilità energetica. Unico punto di sintesi, pertanto, appare l’anticipazione del bilanciamento tra i due principi costituzionali –parificati dalla novella introdotta con la l. cost. 1 del 2022– al momento della pianificazione territoriale, tanto di tipo paesaggistico, quanto di tipo “energetico”.
The amendment of the articles 9 and 41 of the Constitution has in fact paved the way for a contrast between the values of the environment and the landscape, in the perspective of renewable energy. The energy transition, in fact, has as its final purpose the protection of the environment, with a view to sustainable growth. However, the landscape could constitute an obstacle to the use of land for the purposes of energy sustainability. The only point of synthesis, therefore, appears to be the anticipation of the balance between the two constitutional principles – established by the novel introduced with l cost. 1 of 2022 – at the time of territorial planning, both of a landscape and an “energy” type.
1. Il granitico baluardo della tutela del paesaggio e la “recente” sensibilità ecologica. Il costante aumento della richiesta di energia rinnovabile impone una necessaria rimeditazione del rapporto tra i principi che governano lo sviluppo energetico e la salvaguardia dell’ambiente e del territorio. L’insostenibilità del modello economico basato sulle fonti energetiche fossili è una conquista sociale recente. Per quanto da tempo sostenuta dalla (o almeno da una parte della) comunità scientifica, la necessità di implementare la produzione energetica con sistemi sostenibili e rinnovabili, è percepita come una reale urgenza soltanto da pochi anni. La formazione di una coscienza ecologica da parte della collettività è, difatti, acquisizione delle ultime generazioni, ben più sensibili ai problemi ambientali. Il “ritardo” con cui si è compresa l’urgenza della transizione energetica ha condotto, di fatto, ad un disallineamento della normativa costituzionale, rimasta incentrata sulla tutela del paesaggio quale bene primario anche rispetto all’implementazione delle fonti di energie rinnovabili. Difatti, ancora oggi, la tutela vincolistica del paesaggio (e quella storico-culturale) pare –almeno in termini istituzionali– prevalere sull’esigenza di transizione energetica1. Ciò è appunto dovuto al fatto che, mentre la tutela del paesaggio ha origini ben più “antiche”, il problema energetico è divenuto solo recentemente oggetto di attenzione2.
In tal senso è facile verificare che la disciplina in materia energetica, ancorché piuttosto prolifica in termini di incentivazione all’uso delle nuove tecnologie rinnovabili3, non pare abbia ancora compiuto quello “scatto deciso e forte” verso l’elevazione della sostenibilità a principio primario dell’ordinamento, costituzionalmente protetto e potenzialmente “prevalente” sul regime vincolistico delle aree4. È sì vero che lo sviluppo sostenibile è posto a base degli accordi internazionali sulla direttrice di sviluppo; in particolare i punti 7 e 11 dell’Agenda 2030 stabilita dall’ONU prevedono di aumentare l’utilizzo di energie rinnovabili, rendendole accessibili (punto 7) e prevedono di rendere le città inclusive, sicure, resilienti e sostenibili (punto 11). Tuttavia, a tale previsione in termini di goal internazionali non è corrisposta una pari modifica della normativa interna costituzionale, tale da favorire il raggiungimento dell’obiettivo, rectius tale da individuare lo sviluppo sostenibile (in particolar modo energetico) quale prius giuridico da tutelare. Seppure una certa giurisprudenza5 si sia ormai orientata nel senso di ritenere necessaria una motivazione “aggravata” in ordine alla prevalenza delle esigenze vincolistiche su quelle energetiche, il quadro normativo, ed in particolare quello costituzionale, restituivano –fino ad oggi– un impianto in cui la sostenibilità appariva recessiva rispetto alla tutela vincolistica6. Ciò è dipeso da un’impostazione della Carta Costituzionale che prevedeva tra i suoi principi fondamentali l’espressa tutela del “solo” patrimonio paesaggistico e storico-artistico7. La Corte costituzionale, cogliendo intrinsecamente la “riduttività” di tale previsione8, ha spesso offerto un’interpretazione espansiva del concetto di “paesaggio”, da intendersi come tutela integrata paesaggistico-ambientale9. In tale prospettiva costituzionalmente orientata l’ambiente, pur non espressamente positivizzato come tale, viene a configurarsi come valore primario e sistemico10, talché «la cura del paesaggio riguarda l’intero territorio, anche quando degradato o apparentemente privo di pregio»11. La Consulta, dunque, recupera ed applica direttamente quanto affermato dalla Convenzione europea del paesaggio12, che lega il concetto di tutela dell’ambiente-paesaggio direttamente all’incidenza della popolazione sul territorio, predicando una transizione «da una tutela meramente conservativa alla necessità di valorizzare gli interessi pubblici e delle collettività locali con interventi articolati»13. Tale impostazione, dal sicuro vantaggio di elevare esegeticamente l’ambiente a oggetto di tutela costituzionale seppur integrato con il paesaggio, è stata –a sommesso avviso di chi scrive– sovvertita dalla modifica costituzionale degli artt. 9 e 41 Cost.14
2. La modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione. Con la legge costituzionale n. 1 dell’11 febbraio 2022, il Parlamento ha espressamente positivizzato la tutela dell’ambiente, delle biodiversità e degli ecosistemi «anche nell’interesse delle future generazioni», introducendo il comma 3 all’art. 9 della Carta fondamentale15. Inoltre il novellato art. 41 della Carta fondamentale ha inserito “la salute e l’ambiente” quali limiti espressi per la libertà di iniziativa economica, nonché quali matrici di indirizzo per la programmazione economica16. Ad una prima impressione, tali modifiche sembrano porsi in piena continuità con la richiamata giurisprudenza costituzionale, conferendo forza alla ricostruzione che mira a concepire paesaggio e ambiente come un’endiadi inscindibile, la cui tutela non può essere separata ma, al contrario, viene contemporaneamente garantita attraverso la cointeressenza degli interessi. A ben vedere, però, sempre a sommesso avviso della scrivente, l’elevazione dell’ambiente ad autonomo oggetto di tutela costituzionale17, potrebbe avere –con riferimento alla fonti rinnovabili– una portata ben più dirompente.
Come acutamente già colto da una parte della giurisprudenza18 e della dottrina19, l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili è esplicazione diretta della tutela della salute e dell’ambiente «nell’interesse delle future generazioni». A fortiori laddove la stessa Carta costituzionale oggi individua il limite all’attività imprenditoriale nella tutela della salute e dell’ambiente. Proprio la definizione di “rinnovabili” caratterizza le fonti di energia green sotto il profilo della sostenibilità, intesa quale approvvigionamento senza esaurimento della risorsa. L’eolico, il geotermico, il solare, sono fonti che commutano in energia elettrica le risorse naturali senza esaurirle e senza determinare (quanto meno in modo sensibile) inquinamento. Inoltre l’utilizzo di energie di tal fatta ha un impatto assolutamente ridotto sugli ecosistemi esistenti. Al contrario è fatto notorio che l’utilizzo di fonti di energia fossile sia una delle cause maggiori dell’inquinamento e della degradazione dell’ambiente, con totale compromissione dei sistemi ecologici. In ragione di ciò l’incentivazione all’uso di fonti alternative appare perseguire direttamente quella tutela –che oggi trova copertura nella fonte costituzionale– della salute, dell’ambiente e degli ecosistemi. Viepiù potrebbe anche sostenersi –per le caratteristiche innanzi divisate– che l’utilizzo delle rinnovabili costituisca tutela indiretta degli animali, incidendo in modo meno significativo sui loro habitat. Già sotto tale profilo, pertanto, non apparirebbe una illogica forzatura sussumere l’implementazione delle fonti rinnovabili all’interno della tutela dell’ambiente, per come inteso dalla stessa giurisprudenza costituzionale. Sotto tale profilo, pertanto, parrebbe predicabile che l’utilizzo delle energie rinnovabili trovi oggi copertura costituzionale diretta ed espressa proprio nei novellati artt. 9 e 41 Cost., elevandosi al pari grado degli altri regimi vincolistici. Ove accolte le superiori considerazioni, emergerebbe la possibilità di una “nuova interpretazione” della tutela del paesaggio rispetto alla possibilità di installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, che godrebbero “dell’ombrello costituzionale” della tutela dell’ambiente. Emergerebbe, quindi, sempre con riferimento alle energie rinnovabili, una mutazione dell’endiadi “paesaggio-ambiente” verso un vero e proprio rapporto (potenzialmente) dicotomico tra tutela paesaggistica e tutela ambientale (intesa come favor verso l’implementazione delle rinnovabili). Dunque, nella prospettiva delle energie rinnovabili quali elementi (in)diretti di tutela dell’ambiente, quest’ultimo passerebbe da “mera” estensione del “valore paesaggio” ad autonomo principio costituzionale fondamentale, talché la prevalenza dell’uno o dell’altro dovrebbe essere frutto di un’attenta opera di bilanciamento costituzionale. Bilanciamento che ben potrebbe condurre –nello specifico caso di interesse– ad una prevalenza dell’implementazione delle fonti sostenibili rispetto al bene-paesaggio.
È noto, infatti, come ripetutamente affermato dalla Consulta, che i diritti costituzionali fondamentali godano tutti di pari dignità, non essendo prevista alcuna gerarchia rigida. Ciò in quanto «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo “fondamentale”, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un “carattere preminente” del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona»20. Il bilanciamento, dunque, prende le mosse dall’assioma per cui non esiste un ordine gerarchico rigido tra i principi costituzionali, né lo stesso è dettato dalla formulazione letterale del testo costituzionale21. La gerarchia, pertanto, si forma “caso per caso”, a valle dell’operazione di bilanciamento22 che può valere solo per la singola e specifica fattispecie. Va da sé che tale operazione, non essendo imbrigliata in estrinseche e codificate regole di risoluzione delle antinomie23, sottostia ai canoni generali dell’attività pubblica lato sensu intesa: proporzionalità e ragionevolezza24. Canoni che, volutamente, non hanno una definizione legislativa precisa, ma che riecheggiano concetti di giustizia sostanziale di facile ed intuibile portata25.
Calando le superiori considerazioni nell’odierno ambito di indagine, pare predicabile un “nuovo” quadro degli interessi costituzionali in gioco, in cui la tutela vincolistica potrebbe risultare –all’esito dell’operazione di bilanciamento– recessiva rispetto alla utilità di installazione di un impianto di energia rinnovabile. Estremizzando il ragionamento si potrebbe –provocatoriamente– sostenere che fino al completamento della transizione energetica o al superamento dell’emergenza ecologica globale, vi sarebbe margine per una “deroga” ai regimi vincolistici, in caso di impianti di energia sostenibile. Provocazione che non appare neppure tanto remota, atteso che la legislazione in tema di PNRR ha previsto –con specifico riferimento alla localizzazione degli impianti di energia rinnovabile in zone vincolate– la “declassazione” del parere del Ministero della cultura ad atto “obbligatorio non vincolante”26. La finalità di salvaguarda dell’ecosistema globale, dunque, fungerebbe da parametro per operare un bilanciamento in cui il bene paesaggio possa addirittura essere sacrificato sull’altare della crescita energetica sostenibile.
3. Verso la tutela di un “paesaggio di qualità”. La provocazione innanzi indicata, che chiaramente appare non sostenibile in concreto quale “deroga generale” al sistema vincolistico, offre però l’occasione per indicare quale potrebbe essere il reale ed efficace punto di sintesi tra la tutela del paesaggio e la “nuova” tutela dell’ambiente in materia di energie rinnovabili. Sul punto appare dirimente proprio la novella che ha interessato il comma 3 dell’art. 41 Cost., in cui è indicato il “fine ambientale” quale parametro per la programmazione dell’attività economica tanto pubblica quanto privata. Ciò consentirebbe di “anticipare” il difficile punto di sintesi tra la tutela paesaggistica e quella ambientale, nei termini innanzi intesi, già al momento della programmazione e dell’attività pianificatoria. Sarà dunque il Piano territoriale paesaggistico, all’esito di attente valutazioni sul reale fabbisogno energetico, ad introdurre dei criteri localizzativi per le energie rinnovabili, anche in espressa deroga ai regimi vincolistici più stringenti. Forse sarebbe addirittura preconizzabile l’elaborazione di un vero e proprio Piano Territoriale Energetico27 –tanto nazionale quanto regionale– che si periti di individuare, sempre in un’ottica di sistema nazionale (ed anche, ove possibile, internazionale), il fabbisogno energetico in ragione delle peculiarità dei singoli territori. Una tale pianificazione –tanto integrata in quella paesistica, quanto autonoma– dovrebbe prendere le mosse da una preventiva analisi che individui, con precisione, la reale necessità di territorio da dedicare alle rinnovabili per garantire il raggiungimento degli obiettivi internazionali28. Soltanto all’esito di una tale valutazione, potrebbe evitarsi lo spauracchio di un’indebita “prevaricazione” della tutela dell’ambiente sul paesaggio, nella prospettiva della transizione energetica. All’uopo deve operarsi un’ulteriore considerazione, spesso non considerata dagli strenui difensori del paesaggio. Il concetto di paesaggio, diversamente da quanto comunemente inteso, è un valore in divenire. Non deve, infatti, confondersi la tutela del paesaggio con l’idea –romantica ma ingenua– della difesa del paesaggio naturale, inteso quale habitat totalmente privo di antropizzazione. Ciò che, al contrario, deve essere perseguito è un paesaggio “di qualità”, inteso come punto di equilibrio tra elementi naturali ed elementi antropici. La dottrina, icasticamente ed efficacemente, richiama l’esempio dei paesaggi caratterizzati di mulini a vento29. A ben vedere, infatti, questi sono oggi considerati paesaggi meritevoli di tutela; eppure, al momento della loro costruzione, i mulini e tutte le opere connesse, hanno alterato significativamente il paesaggio. Dunque, non può predicarsi una tutela del paesaggio che –in modo rigido –si opponga ad altre esigenze parimenti, e forse più, importanti.
4. La necessità di una transizione energetica “forte” in Puglia. Declinando le superiori considerazioni –che non hanno alcuna pretesa di esaustività– sul territorio pugliese, emerge con forza la necessità di adattare ulteriormente tali approdi alla realtà locale. Il favor verso la transizione energetica, infatti, assume ancora maggiore rilevanza in un territorio che ospita impianti altamente inquinanti, peraltro quasi tutti confinati nell’area cittadina di Taranto. Tale peculiare situazione dovrebbe spingere per una transizione energetica ancora più marcata che consenta di non aggravare ulteriormente il già compromesso quadro ambientale tarantino. In tale prospettiva, dunque appaiono recessive tutte le contestazioni sollevate rispetto all’impatto (paesaggistico e territoriale) delle energie rinnovabili. Proprio nella città di Taranto sarebbe auspicabile la creazione di una “comunità energetica” finalizzata al raggiungimento –più rapido possibile– dell’obiettivo n. 11 della Agenda 2030, ovverosia «rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili». In tal senso, sarebbe ancora più opportuno prevedere una modifica della normativa paesaggistica regionale che consenta un aumento rapido e su larga scala all’uso delle energie rinnovabili sul territorio. Ciò in modo da evitare l’aggravamento dei livelli critici di inquinamento provocati dai grandi insediamenti industriali. L’utilizzo delle rinnovabili nel territorio pugliese (e in particolare tarantino), fungerebbe quasi da “misura compensativa” che, pur sacrificando una parte del paesaggio, mirerebbe ad evitare l’ulteriore compromissione dell’ambiente, inteso come habitat. La sostenibilità, pertanto, nel territorio pugliese e tarantino in particolare, acquista un connotato ancora differente rispetto a quello comunemente inteso. Una sostenibilità che troverebbe ulteriore afflato vitale in un’applicazione a contrario del principio di precauzione30. Se è vero, infatti, che la premessa di tale principio è che le scelte politiche debbano operare il contemperamento delle esigenze coinvolte laddove le evidenze scientifiche non siano in grado di dimostrare in modo inequivoco l’assenza di rischi per la salute, è altresì vero che nella fattispecie locale pugliese la prospettiva dovrebbe essere rovesciata. L’unanimità di posizioni in ordine alla compromissione del quadro ambientale tarantino da parte dei grandi insediamenti produttivi, dovrebbe portare ad un contemperamento degli interessi in cui la scelta precauzione è appunto quella di incentivare impianti di energia rinnovabile, il cui impatto è sicuramente meno dannoso di quello attualmente emergente.
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Dossier XVIII Legislatura, Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente, 7 febbraio 2022
Non solo rinnovabili. La sfida tra le tecnologie energetiche del prossimo futuro, in Il sole 24 ore, 6 maggio 2021.
SITOGRAFIA
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www.giustizia-amministrativa.it
www.giustiziainsieme.it
www.ambientediritto.it
www.federalismi.it
www.cortecostituzionale.it
Note
1 M. Santini, Ambiente e paesaggio tra conflitti valoriali ed istituzionali, Urb. App, 3/2020.
2 P. Carpentieri, Paesaggio, ambiente e transizione ecologica, in www.giustiziainsieme.it, in cui l’autore sostiene una strenua difesa del valore paesaggio anche rispetto all’ambiente, proprio in ragione della storicità della tutela paesaggistica. Ripreso anche da M. Meli, Quando l’ambiente entra in conflitto con se stesso: fonti energetiche rinnovabili e tutela del paesaggio, in www.ambientediritto.it, fasc. 2/2021.
3 Il riferimento è ai vari “Conti Energia” con cui il Gestore dei Servizi elettrici ha disciplinato i procedimenti concorsuali per l’attribuzione degli incentivi economici alla produzione di energia di tipo rinnovabile.
4 Cfr. M. Santini, Ambiente e paesaggio tra conflitti valoriali ed istituzionali, op. cit., in Urb. App, 3/2020
5 Su tutti, Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2016 n. 1210 e 12 aprile 2021, n. 2983 citate in nota da M. Meli, Quando l’ambiente … op. cit., p. 10 -11, in cui si afferma che il diniego di autorizzazione paesaggistica deve essere “aggravato” non potendosi risolvere in un tautologico riferimento alla minor fruibilità del paesaggio ed al suo decremento qualitativo.
6 L’art. 9 Cost., precedente alla modifica operata con l. cost. n. 1/2022 così recitava: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [Cost. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
7 P. Carpentieri, Paesaggio, ambiente cit., traccia «una distinzione tra “paesaggio” e “ambiente”, che non è affatto scontata e, come si è visto, mostra profili problematici. Vorrei in particolare evidenziare che questa distinzione, come ho sostenuto in un mio recente contributo, affonda le sue radici (per così dire) nel jus, ossia in una risalente e ricca tradizione, culturale prima ancora che giuridica, sostanzialmente diversa rispetto a quella da cui è germogliata (più di recente) l’idea della tutela ambientale (e la nozione giuridica di “ambiente”), sicché, anche al di là della lex scripta (oggi nel codice del 2004 e nella Convenzione di Firenze del 2000), l’autonomia della nozione giuridica di “paesaggio” e la sua distinzione da quella di “ambiente” riceve una sua speciale legittimazione “forte” proprio nella diversità e specialità dell’humus storico-culturale da cui si è generata l’una, rispetto all’altra. Insomma, si tratta a ben vedere di due linee di pensiero e di due tradizioni culturali marcatamente differenti tra loro. Ed è proprio in questa diversità genetica che vanno ricercate le cause dell’attuale assetto giuridico, complicato, forse, più che complesso, della materia, così come le ragioni profonde dei ricorrenti e irrisolti conflitti. La tutela del paesaggio nasce, in sostanza, da un movimento di idee più antico rispetto a quello, più recente, che sta alla base della tutela dell’ambiente-ecosfera e dell’odierno diritto dell’ambiente. Il paesaggio nasce e vive – pressoché esclusivamente – nell’ambito delle scienze umane e mantiene (nonostante il materialismo storicistico e l’antropo-sociologismo imperanti nella seconda metà del Novecento) un nucleo essenziale estetico. L’ambiente, invece, nasce e vive pressoché esclusivamente nell’ambito delle scienze esatte e della tecnica. Il paesaggio esprime un profilo qualitativo, mentre l’ambiente esprime un punto di vista soprattutto quantitativo. Naturalmente queste affermazioni costituiscono delle generalizzazioni affrettate, qui consapevolmente proposte solo per sintesi e per chiarezza espositiva, poiché le cose sono in realtà molto più complicate e le distinzioni non sono mai così nette e marcate».
8 Giova osservare come la previsione di cui all’art. 9 Cost. è frutto di una scelta dei Padri Costituenti, effettuata quando il concetto di sostenibilità neppure esisteva. Nel momento storico di adozione della Carta costituzionale la preoccupazione maggiore era quella di evitare di sovrasfruttare le bellezze paesaggistiche, sacrificandole sull’altare della crescita economica che, all’epoca, non aveva le criticità di sovradimensionamento che stiamo affrontando negli ultimi decenni.
9 Corte Costituzionale, sentenza n. 179 del 2019: la tutela dell’art. 9 fa riferimento ad un «processo evolutivo diretto a riconoscere una nuova relazione tra la comunità territoriale e l’ambiente che la circonda, all’interno della quale si è consolidata la consapevolezza del suolo quale risorsa naturale eco-sistemica non rinnovabile, essenziale ai fini dell’equilibrio ambientale, capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di interessi e utilità collettive, anche di natura intergenerazionale»;
10 Dossier XVIII Legislatura, Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente, 7 febbraio 2022, p. 7.
11 Corte Costituzionale sentenza n. 71/2020.
12 Adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 19.07.2000 e ratificata in Italia con legge n. 14 del 2006.
13 Corte Costituzionale sentenza n. 71/2020
14 Deve osservarsi, invero, che il rischio di un contrasto tra ambiente e paesaggio come due elementi valoriali in potenziale conflitto era già ampiamente emersa in dottrina, cfr. P. Carpentieri, Paesaggio, op. cit. e M. Meli, Quando l’ambiente, op. cit., tanto che la modifica degli artt. 9 e 41 Costituzione non è stata unanimemente salutata con favore.
15 Il nuovo testo dell’art. 9 Cost. così recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [Cost. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
16 Il nuovo testo dell’art. 41 Cost. così recita: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali [Cost. 43]».
17 Il superamento della concezione dell’ambiente –nella prospettiva costituzionale – di “espansione” del bene paesaggio, è intuibile anche dalla collocazione sistemica della tutela ambientale, cui viene dedicato un autonomo comma dell’art. 9 Cost.
18 T.A.R. Sicilia Catania, Sez. II, 24 febbraio 2017, n. 372: «Le disposizioni di cui al d.lg. n. 387 del 2003 non escludono il potere del Comune di disciplinare l’uso del territorio al fine di procedere ad una distribuzione equilibrata e razionale degli impianti eolici e ciò in quanto la realizzazione degli impianti eolici impone un contemperamento tra l’interesse alla tutela del paesaggio e quello alla produzione di energia attraverso fonti pulite e rinnovabili, non potendosi configurare alcuna preminenza valoriale né in un senso (a favore del paesaggio), né nell’altro (a favore dell’ambiente e del diritto alla salute o del diritto di iniziativa economica). Non c’è dubbio, infatti, che se, da una parte, tali impianti possono contribuire notevolmente alla riduzione dei gas serra, dall’altra, essi incidono negativamente sul paesaggio: come è noto, le zone di maggiore ventosità sono proprio quelle dei crinali, delle colline e delle montagne, tutte per lo più rilevanti sotto il profilo paesaggistico e, conseguentemente, il legislatore stesso prevede che siano assunte le opportune misure atte ad assicurare un corretto insediamento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio … Ne consegue che le disposizione di cui ai decreti legislativi n. 387/2003 e n. 28/2011 non escludono in alcun modo il potere del Comune di disciplinare l’uso del territorio al fine di assicurare una distribuzione equilibrata e razionale degli impianti eolici».
19 M. Meli, Quando l’ambiente, op. cit.
20 Cfr. Corte Costituzionale, sentenza del 9 maggio 2013, n. 85;
21 G. Pino, Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali. Una mappa dei problemi, in Etica & politica, in www.units.it/etica/2006_1/PINO.htm, 2006.
22 La ratio di fondo dell’attività di bilanciamento è acutamente compendiata nella già citata decisione della Consulta n. 85/2013, resa in merito al Caso ILVA. In tale fattispecie la Corte Costituzionale, chiamata ad operare il bilanciamento tra il diritto alla salute e ad un ambiente salubre, sancito dall’art. 32 Cost. ed il diritto al lavoro stabilito dall’art. 4 Cost., ha stabilito che «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo “fondamentale”, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un “carattere preminente” del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona». In altri termini, la Consulta ha chiarito che l’aggettivo fondamentale non permette di trarre una gerarchia rigida dei principi costituzionali in ragione di un’interpretazione letterale delle disposizioni. Il principio espresso, notevolmente criticato dall’opinione pubblica, ha ad ogni modo condotto alla declaratoria di illegittimità costituzionale del d.l. 92 del 4 luglio 2015 (sentenza n. 58 del 2018), sempre riguardante lo stabilimento ILVA, e dunque sempre riferito al bilanciamento tra diritto alla salute e diritto al lavoro, appunto per una manifesta irragionevolezza. Ciò dimostra, come sostiene F. Scalia, Principio di precauzione e ragionevole bilanciamento dei diritti nello stato di emergenza, in questa rivista, n. 32/2020, 18 novembre 2020, p. 198, che l’operazione di bilanciamento non opera in modo rigido e predeterminato, ma “calza” ad ogni singola fattispecie. Se ne deduce, pertanto, anche una chiara componente “politica” che influenza tale operazione.
23 Alla luce di quanto innanzi detto, infatti, a difettare sono appunto le antinomie, non essendovi alcuna graduazione dei diritti costituzionali.
24 Per F. Scalia, op. cit., 190-191, il principio di proporzionalità è principio generale dell’ordinamento europeo che deve orientare tutta l’attività comunitaria, nonché parametro di “validità” delle misure nazionali e comunitarie che incidono sui diritti fondamentali. Cfr. G. Scaccia, Proporzionalità e bilanciamento tra diritti nella giurisprudenza delle Corti europee, in Rivista AIC, n. 3/2017, 26 settembre 2017. Si osservi che per “misure” si intende l’insieme dei possibili atti, legislativi e non, frutto dell’attività amministrativa degli stati sovrani o della comunità europea.
25 Il test di proporzionalità delle misure nazionali o comunitarie si sviluppa attraverso una triplice verifica. In primo luogo, si verifica la “idoneità” della misura a realizzare gli obiettivi prefissati (idoneità della misura). In secondo luogo, si valuta se la misura prescelta sia –tra le possibili– quella che meno configge con altri interessi (necessità della misura). In terzo luogo, si verifica il rapporto tra i vari interessi in conflitto (proporzionalità della misura). Più forte sarà l’incidenza della misura sugli interessi coinvolti, maggiore sarà l’approfondimento della verifica di proporzionalità. Sull’applicazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza nell’impianto costituzionale cfr. M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in www.cortecostituzionale.it, 12 novembre 2013. Amplius, sui principi di proporzionalità e ragionevolezza, senza alcuna pretesa di esaustività, cfr. ex multis P.M. Vipiana, Introduzione allo studio del principio di ragionevolezza, Cedam, Padova, 1993; G. Lombardo, Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, pp. 420-422; A. Sandulli, La proporzionalità dall’azione amministrativa, Cedam, Padova, 1998; D.U. Galetta, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Giuffrè, Milano 1998; G. Morbidelli, Il principio di ragionevolezza nel procedimento amministrativo, in AA.VV., Scritti in onore di G. Guarino, vol. III, Cedam, Padova, 1998; G. Corso, Il principio di ragionevolezza nel diritto amministrativo, in Ars Interpretandi, 7, 2002, pp. 437-451; A. Ruggeri, Ragionevolezza e valori attraverso il prisma della giustizia costituzionale, in La ragionevolezza nel diritto, a cura di M. La Torre, A. Spadaro, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 96-98; M.A. Sandulli, Proporzionalità, in Dizionario di Diritto Pubblico, a cura di S. Cassese, Giuffrè, Milano, 2006, Vol. V, p. 4641-4645 ss.; F. Modugno, La ragionevolezza nella giustizia costituzionale, ESI, Napoli, 2007; A. Ruggeri, Interpretazione costituzionale e ragionevolezza, in I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale. La Corte costituzionale nella costruzione dell’ordinamento attuale. Principi fondamentali, in Atti del 2º Convegno Nazionale della Società Italiana degli Studiosi del Diritto Civile (S.I.S.Di.C.), Capri 18, 19, 20 aprile 2006, I, Napoli, 2007; D.U. Galetta, Il principio di proporzionalità, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 109-111; E. Del Prato, Ragionevolezza e bilanciamento, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 21-24; F. Merusi, Ragionevolezza e discrezionalità amministrativa, ESI, Napoli 2011; P. Perlingieri, Interpretazione e legalità costituzionale, ESI, Napoli, 2011; S. Cognetti, Principio di proporzionalità, Giappichelli, Torino, 2011; F. Astone, Il principio di ragionevolezza, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 370-372; D.U. Galetta, Il principio di proporzionalità, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), Studi sui principi … cit., pp. 388-390; A. Sau, La proporzionalità nei sistemi amministrativi complessi, Giuffrè, Milano, 2013; M. Barberis, Eguaglianza, ragionevolezza e libertà, in A. Vignudelli (a cura di), Lezioni Magistrali di Diritto Costituzionale, III, Mucchi, Modena, 2014, pp. 24-27; P. Otranto, Principio di precauzione e potere sindacale di ordinanza, in www.giustamm.it, 2015; G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, ESI, Napoli, 2015, pp. 122-144 spec. p. 142; F. Trimarchi Banfi, Canone di proporzione e test di proporzionalità nel diritto amministrativo, in Dir. proc. amm., n. 1/2016, 2016. pp. 361 ss.; sull’applicazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza nella cd. “funzione amministrativa neutrale” cfr. M.T.P. Caputi Jambrenghi, La funzione amministrativa neutrale, Cacucci, Bari, 2017; M. Corradino, I principi di garanzia quali limiti alla potestà legislativa regionale in materia di procedimento amministrativo: una chiave di lettura di diritto comunitario, in www.giustizia-amministrativa.it; F. Scalia, Principio di precauzione … cit.¸ pp. 191-192; M.C. Vitucci, Ragionevolezza, consenso e margine di apprezzamento nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, in G. Perlingieri, A. Fachechi (a cura di), Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto contemporaneo, ESI, Napoli, II, 2017, pp. 1093 ss.; G. Perlingieri, Ragionevolezza e bilanciamento nell’interpretazione recente della Corte costituzionale, relazione al 12º Convegno Nazionale S.I.S.Di.C., su I rapporti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale nel decennio 2006-2016, Napoli, 11, 12 e 13 maggio 2017; A. Vacca, La ragionevolezza quale criterio decisorio – nel giudizio di costituzionalità, in Riv. dir. proc., Milano, 2/2019.
26 Art. 30 D.L. 31 maggio 2021, n. 77, conv. in L. 29 luglio 2021 n. 108.
27 Già oggi si registra l’inserimento di previsioni energetiche negli altri piani energetici. Tuttavia, con il presente scritto si preconizza un Piano Autonomo, un nuovo livello di pianificazione che –sotto l’ombrello costituzionale degli artt. 9 e 41 Cost., vada ad integrare tanto la panificazione paesaggistica, quanto quella urbanistica.
28 M. Meli, quando l’ambiente, op. cit., p. 10 sottolinea come in merito al consumo di suolo non esistano dati certi e che si oscilla tra posizione allarmate che sostengono la necessità di trasformare in campi fotovoltaici un territorio pari a «chissà quanti campi di calcio» e posizione diametralmente opposte che sostengono sia sufficiente coprire lo 0,5 % del territorio nazionale. Ved. anche Non solo rinnovabili. La sfida tra le tecnologie energetiche del prossimo futuro, in Il sole 24 ore, 6 maggio 2021.
29 M. Meli, op. ult. cit., p. 11
30 Il principio di precauzione trova il suo fondamento comunitario nel Trattato di Maastricht che lo pone al centro della politica comunitaria sull’ambiente. Esso «trova applicazione in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani possono essere incompatibili con l’elevato livello di protezione prescelto dalla Comunità» (Comunicazione della Commissione Europea del 2 febbraio 2000 sul principio di precauzione, COM/2000/0001). A rilevare quale elemento di tutela è, dunque, il rischio di danni che la scienza non riesce ad escludere. Tale impostazione estende enormemente l’ambito applicativo del principio. Ad oggi tale principio è codificato, nell’ordinamento italiano, nell’art. 301 del D. lgs. 152/2006 (codice dell’ambiente), secondo cui «In applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione.
L’applicazione del principio di cui al comma 1 concerne il rischio che comunque possa essere individuato a seguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva».
Focus CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO Settore Penale LE RICADUTE PROCESSUALI DERIVANTI DAL MANCATO O RITARDATO DEPOSITO DELLE CONCLUSIONI SCRITTE DEL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO O PRESSO […]
Diritto Penale Dottrina Fascicolo n.1/2023Focus
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO
Settore Penale
LE RICADUTE PROCESSUALI DERIVANTI DAL MANCATO O RITARDATO DEPOSITO DELLE CONCLUSIONI SCRITTE DEL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO O PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE NELLA DISCIPLINA EMERGENZIALE.
Relazione tematica
Rel. n. 13/2023
SOMMARIO : 1. Quadro normativo di riferimento. – 1.1. Rito cartolare in appello. – 1.2. Rito cartolare in Corte di cassazione. – 2. Rito cartolare nel giudizio penale ’appello: la giurisprudenza sul deposito delle conclusioni del procuratore generale. – 2.1. L’omessa formulazione delle conclusioni da parte del Procuratore generale. – 2.2. La comunicazione in ritardo (“non immediata”) delle conclusioni del procuratore generale ritualmente depositate nei termini. – 2.3. La formulazione tardiva delle conclusioni a parte del procuratore generale. – 2.4. L’omessa comunicazione delle conclusioni del procuratore generale depositate nei termini. – 3. Rito cartolare nel giudizio di cassazione: la giurisprudenza sul deposito delle richieste del procuratore generale presso la Corte di cassazione. – 3.1. L’omessa formulazione delle conclusioni da parte del procuratore generale presso la Corte di cassazione. – 3.2. La tardiva comunicazione delle richieste del procuratore generale presso la Corte di cassazione. – 3.2.1. l’orientamento giurisprudenziale in ordine alla natura del termine del quinto giorno antecedente all’udienza per il deposito delle conclusioni della difesa.
LA SMART CITY COME MODELLO DI CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILE. Avv. Vincenza Gigante Abstract (Ita) Senza la condivisione e la localizzazione degli obiettivi di sviluppo urbano sostenibile, coloro che di fatto vivono la città rischiano […]
Diritto Ambientale Diritto Urbanistico Dottrina Enti Locali e P.A. Fascicolo n.1/2023LA SMART CITY COME MODELLO DI CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILE.
Avv. Vincenza Gigante
Abstract (Ita) Senza la condivisione e la localizzazione degli obiettivi di sviluppo urbano sostenibile, coloro che di fatto vivono la città rischiano di essere meri spettatori di scelte calate dall’alto. La sostenibilità, d’altro canto, come tracciata dall’Agenda 2030, è sempre più da intendersi in maniera olistica e richiede, per la sua attuazione, scelte e progettazioni condivise. Ciò richiede politiche coerenti tese ad un’idea di città intelligente e sostenibile che pone al centro la comunità.
Abstract (EN) Without the sharing and localization of the objectives of sustainable urban development, those who actually live in the city risk being mere spectators of choices dropped from above. Sustainability, on the other hand, as outlined in the 2030 Agenda, is increasingly to be understood in a holistic way and requires, for its implementation, choices and shared designs. This requires consistent policies aimed at an idea of smart and sustainable cities that puts the community at the center.
Sommario: 1) Smart city: una centralità tutta da definire. 2)La localizzazione degli obiettivi. 3) Alcuni modelli di partecipazione. 4) Divenire comunità sostenibili.
1. Smart city: una centralità tutta da definire.
Le città rappresentano il terreno elettivo delle politiche sostenibili. Anzi, si potrebbe affermare che ne rappresentano il banco di prova in virtù della vicinanza ed interconnessione continua con coloro che le vivono. Lo spazio urbano, attraversato dall’impiego delle nuove tecnologie digitali nella gestione dei servizi dei cittadini, viene definito nel linguaggio comune, prima ancora che nel linguaggio giuridico, “smart” o, forse meglio in italiano, “intelligente”. In generale, «il concetto di «Smart city» è utilizzato per indicare una città caratterizzata dall’integrazione tra strutture e mezzi tecnologicamente avanzati, proiettata verso politiche di crescita sostenibile al fine di ottenere un miglioramento degli standard qualitativi della vita umana»1.
E si rimane su una definizione ampia di smart city, dai confini incerti anche quanto all’inquadramento giuridico, nonostante l’evoluzione sovranazionale e nazionale.2
A livello europeo, sono state poste in essere nel tempo pervasive iniziative di soft law sul tema, basate soprattutto sulla previsione di linee di finanziamento con la finalità di orientare gli enti territoriali e gli operatori economici ad adottare soluzioni smart nel governo e nella gestione degli insediamenti urbani.
Si consideri, infatti, l’Agenda Urbana per l’Unione Europea, nota anche come Patto di Amsterdam, istituita nel 2016, nella quale sono confluiti gli obiettivi e gli strumenti delineati anche a livello internazionale per lo sviluppo sostenibile delle città; principi emersi nella Conferenza internazionale Habitat III e precisati per l’attuazione negli impegni e nelle azioni contenute nella New Urban Agenda delle Nazioni Unite che ha individuato temi prioritari per i quali sono previsti finanziamenti indirizzati direttamente alle amministrazioni comunali. Sono i temi attorno ai quali ruota anche tutta l’attività dell’Agenda Urbana europea3.
Si delinea pian piano l’idea della città come spazio o bene oggetto di diritti; e allo stesso tempo come strumento per l’esercizio di questi diritti. «Condividiamo l’ideale di una città per tutti, riferendoci all’uguaglianza nell’uso e nella fruizione delle città e degli insediamenti umani e cercando di promuovere l’inclusività e garantire che tutti gli abitanti, sia delle generazioni presenti che di quelle future, senza discriminazioni di qualsiasi tipo, possano creare città e insediamenti umani giusti, sicuri, sani, accessibili, economici, resilienti e sostenibili e vivere in essi, al fine di promuovere la prosperità e la qualità della vita per tutti. Prendiamo atto degli sforzi di alcuni governi nazionali e locali per consacrare questo ideale, noto come ‘il diritto alla città’, nelle proprie leggi, dichiarazioni politiche e carte» (§ 11 New Urban Agenda).
Prima ancora, la centralità del ruolo delle amministrazioni locali era emersa nell’ambito delle politiche finalizzate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei territori di propria competenza. Si pensi al Patto dei sindaci lanciato in Europa nel 2008, che attualmente riunisce oltre 7.000 enti locali e regionali in 57 Paesi impegnati su base volontaria a raggiungere e superare gli obiettivi comunitari su clima ed energia4.
Analoga centralità alle amministrazioni locali è riconosciuta dalla strategia decennale “Europa 2020” per la realizzazione di cinque obiettivi entro l’anno 2020, riguardanti l’occupazione, la ricerca e sviluppo, il clima e l’energia, l’istruzione, l’integrazione sociale e la riduzione della povertà.
Si sviluppa così una politica europea tesa sviluppo urbano sostenibile ed integrato caratterizzato da finalità di efficienza energetica, di sostenibilità ambientale e di riqualificazione delle aree mediante soluzioni di mobilità e strumenti di comunicazione, nella quale si innesta il diritto il diritto alla città, il diritto alla smart city e all’innovazione5.
Una città europea chiaramente delineata nella Carta di Lipsia del 2007, come una preziosa e risorsa economica, sociale e culturale insostituibile che richiede «nuovo senso di responsabilità verso la politica di sviluppo urbano integrato» per «sviluppare le città come comunità sostenibili»6. Emerge, quindi, per la prima volta, il secondo elemento della endiadi: la comunità7.
Ed è alle comunità intelligenti che “preferisce” rivolgersi la normativa italiana, senza giungere ad una definizione specifica.
L’art. 20 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 21, che ha come rubrica: Comunità intelligenti, al co. 1 afferma che «1. L’Agenzia per l’Italia digitale definisce strategie e obiettivi, coordina il processo di attuazione e predispone gli strumenti tecnologici ed economici per il progresso delle comunità intelligenti. A tal fine l’Agenzia, sentito il comitato tecnico di cui al comma 2: a) predispone annualmente il piano nazionale delle comunità intelligenti-PNCI e lo trasmette entro il mese di febbraio al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per l’innovazione tecnologica, che lo approva entro il mese successivo; b) entro il mese di gennaio di ogni anno predispone il rapporto annuale sull’attuazione del citato piano nazionale, avvalendosi del sistema di monitoraggio di cui al comma 12; c) emana le linee guida recanti definizione di standard tecnici, compresa la determinazione delle ontologie dei servizi e dei dati delle comunità intelligenti, e procedurali nonché di strumenti finanziari innovativi per lo sviluppo delle comunità intelligenti; d) istituisce e gestisce la piattaforma nazionale delle comunità intelligenti di cui al comma 9 del presente articolo». Interessante è il co.4 che prevede lo Statuto della cittadinanza intelligente: « Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica, sentiti l’Agenzia e il comitato tecnico di cui al comma 2, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è adottato lo Statuto della cittadinanza intelligente, da redigere sulla base dei seguenti criteri: a) definizione dei principi e delle condizioni, compresi i parametri di accessibilità e inclusione digitale ai sensi delle disposizioni del presente decreto-legge, che indirizzano le politiche delle comunità intelligenti; b) elencazione dei protocolli d’intesa tra l’Agenzia e le singole amministrazioni, nei quali ciascuna di esse declina gli obiettivi del piano nazionale delle comunità intelligenti. I protocolli sono aggiornati annualmente a seguito del rinnovo del piano nazionale». Tale cittadinanza intelligente è ovviamente direttamente “dipendente” dalle competenze di cui si può disporre. In proposito il co. 16 stabilisce che «L’inclusione intelligente consiste nella capacità, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di offrire informazioni nonché progettare ed erogare servizi fruibili senza discriminazioni dai soggetti appartenenti a categorie deboli o svantaggiate e funzionali alla partecipazione alle attività delle comunità intelligenti, definite dal piano nazionale di cui al comma 2, lettera a), secondo i criteri stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delegato all’innovazione tecnologica». L’idea di fondo è, quindi, la realizzazione di una programmazione integrata e basata sull’utilizzo delle tecnologie digitali, verso «un modello di ripensamento e crescita urbana inclusiva e sostenibile, che va accompagnato da un quadro normativo rinnovato, da adeguate risorse e modalità per attivarle e da azioni mirate alla crescita della cultura digitale dei cittadini8».
Altra normativa italiana nel senso della centralità dell’area urbana funzionale allo sviluppo degli obiettivi europei sulle smart cities è la legge 7 aprile 2014, n. 56 (la cosiddetta legge Delrio), che individua nella Città metropolitana il centro dello sviluppo strategico della aree vaste, con compiti di pianificazione e gestione accentrata dei servizi. Ciò senza che vi sia nel nostro ordinamento una specifica definizione del concetto di sviluppo intelligente delle aree urbane e una reale delineazione delle competenze nella gestione dei servizi di area vasta. Ne deriva una sovrapposizione tra Comuni, Città metropolitane e Regioni, senza contare poi la dimensione provinciale. In questa cornice si inserisce l’Agenda urbana nazionale, che include i programmi regionali FESR-FSE 2014-2020 con ampie possibilità di finanziamento degli interventi. L’obiettivo generale, tramite accordi partenariato, è quello di realizzare nei territori urbani un’integrazione di politiche di sostenibilità e di competitività, derivanti dalla progettazione comune di autorità urbane (le città) e di più estesi enti territoriali (le Regioni). Ritorna qui il concetto di comunità intelligente9.
In termini equiparativi si pone l’Agenda 2030, adottata in seno all’ONU nel 2015, che tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile vi dedica in maniera specifica l’SDG 11 Città e comunità sostenibili: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”. Anche qui, pur sfuggendo a definizioni e distinzioni dogmatiche, è ribadita la centralità delle città e delle comunità in un’ottica multidimensionale del concetto di sostenibilità, nella triplice dimensione ambientale, sociale ed economica.
E la traduzione della parola inglese smart in italiano con “intelligente” appare riduttiva, a meno che non si intenda l’intelligenza una strategia della (e per la) sostenibilità urbana10.
In proposito è stato affermato che «la smart city può essere considerata un “sottoinsieme” della città sostenibile. La differenza tra una città etichettata come smart e una città “realmente” smart sarebbe da attribuire proprio alla capacità di perseguire o meno uno sviluppo sostenibile»11.
Può pertanto condividersi quanto affermato dal «Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (2014) nell’ambito del PON Città Metropolitane secondo cui è smart una città accessibile, sostenibile, coesa ed inclusiva nella quale, anche grazie all’uso dell’ICT, si adottano soluzioni “intelligenti” per migliorare le performance, la fruibilità e la compatibilità ambientale dei servizi urbani rivolti ai cittadini, alle imprese e ai city users, sia in termini di incremento della qualità della vita, sia come migliore accessibilità alle infrastrutture rilevanti per la competitività»12.
In tale ottica la componente tecnologica è quindi solo uno strumento per il raggiungimento degli obiettivi sostenibili.
2. La localizzazione degli obiettivi.
I risultati di un recente lavoro di ricerca sulla modalità di applicazione del paradigma Smart city in 12 grandi città italiane ha evidenziato le potenzialità di questo approccio dipendono, più che dall’utilizzo dell’ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), dalla chiara visione della evoluzione in chiave smart della città e pertanto da una strategia di programmazione che partendo dalle specificità dei diversi contesti definisca un ventaglio di azioni integrate da applicare ai diversi ambiti di intervento. Si tratta quindi di un processo di miglioramento di qualità della vita (nel senso di migliore fruizione della città dei suoi servizi), non dell’applicazione decontestualizzata e acritica di tecnologie informatiche e/o comunicative, che tenga conto delle differenze sociali, economiche e culturali che contraddistinguono la città e che sono basilari per l’individuazione di strategie specifiche di intervento.13 In definitiva uno strumento per supportare i decisori e non ulteriore elemento di differenziazione sociale14. Una visione tecno-centrica della città si risolverebbe, da un lato, in un approccio allo sviluppo urbano di tipo imprenditoriale e, dall’altro, alla negazione delle specifiche condizioni di contesto e delle caratteristiche proprie di ogni sistema urbano quasi nella ricerca di un “modello ideale” di Smart city lontano dalla lettura del reale15.
Ogni città è smart in modo diverso e richiede specifiche strategie di intervento.
Il punto di partenza, sul quale innestare specifiche strategie, è “come” comprendere se una città è intelligente e di misurare “quanto” lo è. La selezione degli indicatori, cosa misurare e come, non è una scelta neutrale16 perché è ciò che determina la strategia e consente di valutare l’attuazione degli interventi.
Gli indicatori per definire la smartness dei sistemi urbani, o, in via più complessiva, la sostenibilità, devono essere specifici per poter essere attendibili17.
Ed è sempre nell’ambito del rapporto tra sostenibilità ed intelligenza della città, considerando che il principale obiettivo della smart city è il perseguimento della sostenibilità attraverso l’uso dell’ITC, che si potrebbe accogliere la proposta del nuovo termine “Smart Sustainable Cities” per assegnare il giusto rilievo agli indicatori di sostenibilità per valutare la smartness urbana18.
Nell’ambito di questo orientamento, è smart una città che utilizza l’innovazione digitale come il tessuto che sostiene la transizione ecologica, gli obiettivi dell’Agenda, e che consente di monitorare le politiche e verificarne gli avanzamenti nella direzione della sostenibilità. Poiché l’Agenda 2030 e il BES (Benessere Equo e Sostenibile)19 in Italia indicano obiettivi misurabili tramite indicatori20 parzialmente sovrapponibili e sicuramente complementari21, l’impiego delle tecnologie digitali e di piattaforme inter operative di trattamento dei dati consente di fare misurazioni. La rilevazione e il trattamento dei «big data» consente misurazioni e analisi predittive. In definitiva l’intelligenza artificiale renderà possibile una lettura profonda delle possibilità di programmazione e la misurazione di risultati, campo per campo e nell’insieme. La politica e le politiche hanno quindi una nuova strategia predittiva, attuativa, di verifica.
Ma, a quale livello di governo?
In assenza di una definizione legislativa di “città intelligente” e stante il dettato costituzionale e la normativa di settore quale il TUEL (d.lgs. n. 267/2000), i possibili livelli di governo afferiscono a differenti enti pubblici territoriali e, in particolare, allo Stato, alle regioni, alle Città metropolitane, alle Provincie e ai Comuni. In considerazione però «dell’art. 118 Costituzione e la significativa propensione delle città intelligenti a soddisfare necessità della popolazione di riferimento; sembra che la dimensione della smart city non possa essere altro che quella dell’ente locale e, con precisione del Comune»22.
Con riferimento alle sperimentazioni sulla sostenibilità, è stato infatti osservato che il loro «radicamento nella cornice urbana dovrebbe funzionare, piuttosto che l’approccio internazionale e governativo al problema, come una garanzia di efficacia degli interventi messi in campo. Ciò è confermato anche dalla declinazione su scala locale degli obiettivi che definiscono un documento “globale” come l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile»23.
D’altro canto la Nuova Agenda Urbana delle Nazioni Unite del 2016 evidenzia che il goal 11 dell’Agenda 2030 è talmente legato a tutti gli altri che non solo si può analizzare di per sé ma può anche diventare la lente (quella della comunità locale, della città, della regione) attraverso cui misurare tutti gli altri a favore della popolazione che ci vive. E anche in Europa è stata accolta questa idea di guardare tutti gli obiettivi sostenibili attraverso la lente “locale” con l’Agenda Urbana per l’UE pubblicata anch’essa nel 2016. E’ stata da subito, quindi, data grande importanza all’aspetto della localizzazione poiché proprio il raggiungimento degli altri goal non sarebbe stato possibile senza il coinvolgimento delle città e delle comunità urbana.
Ma cosa si intende per localizzazione degli SDGs? Si tratta di definire, attuare e monitorare strategie a livello locale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo a livello globale, nazionale e locale. Ciò si può fare individuando i problemi locali, i problemi delle realtà vicine per coordinare eventuali interventi e i temi su cui la municipalità abbia competenza. Questo comprende pertanto meccanismi concreti, strumenti, piattaforme e processi che siano in grado di tradurre efficacemente l’agenda per lo sviluppo sostenibile a livello locale.
Gli SDGs si possono implementare a livello territoriale attraverso un allineamento alle attività e Piani strategici locali che prevede diverse fasi: in primo luogo un’attività di sensibilizzazione sia nei diversi Dipartimenti dell’Amministrazione sia rivolta alla cittadinanza; in secondo luogo una mappatura, cioè un processo endogeno di identificazione delle aree di competenza e delle risorse disponibili tramite la partecipazione coinvolgimento di tutti i dipartimenti dell’amministrazione; ciò culmina nel “Rapporto locale volontario”24 che consente la sistematizzazione e coordinamento delle politiche, migliora la consapevolezza e trasparenza della città, colloca le attività in un impegno globale. In base alle risorse disponibili si possono implementare deversi livelli, ad esempio prevedendo forme di collaborazione con le Università oppure coinvolgendo direttamente i cittadini nella co-progettazione.25
In tema di monitoraggio locale degli obiettivi, sicuramente l’esperienza italiana della Rete dei Comuni sostenibili26 rappresenta un importante “esperienza” di monitoraggio della localizzazione degli obiettivi27. Da tale monitoraggio dagli obiettivi (goals) o dai sotto obiettivi (target) si possono aprire nuove strade di azioni politiche locali, concrete, che incidono direttamente sulla vita delle persone ed indirettamente segnano o meno il raggiungimento di politiche globali.28
Il Comune, quindi, aderendo, si impegna a farsi monitorare annualmente e darsi degli obiettivi di miglioramento delle performance degli stessi indicatori. Per ogni indicatore verrà fornita la tendenza pregressa e, laddove è possibile, lo stato di raggiungibilità degli obiettivi fissati da ogni singolo ente.
Cambia il paradigma di riferimento. Più che pensare globale e agire locale, obiettivi globali e sfide locali. Programmare globalmente ma agire localmente. L’intreccio tra goals globali e azioni locali è inscindibile. Prende avvio, quindi, il percorso di Agende territoriali, strumenti concreti di dinamismo urbano come motore dello sviluppo sostenibile.
3. Alcuni modelli di “partecipazione”.
L’idea di smart city sembra rispondere a una serie di incalzanti esigenze e domande. «L’accrescimento esponenziale dei centri abitati e la maggiore concentrazione in essi della popolazione hanno ingenerato problematiche di natura ambientale, economica e sociale, connesse. A titolo esemplificativo, all’esaurimento del suolo e delle risorse, all’inquinamento, alla disponibilità dei servizi pubblici, alla carenza e vetustà delle opere infrastrutturali e, non da ultimo, alla scarsa resilienza dimostrata dagli attori pubblici nel comprendere i bisogni di una collettività in rapido mutamento e nel darle risposte adeguate. […] La città è, pertanto, intelligente nella misura in cui dispone di strumenti informatici che, in tempo reale, affianchino il “gestore pubblico-persona fisica” razionalizzando ogni aspetto della vita cittadina»29.
Ma come già rilevato la smart city è difficilmente riconducibile a una categoria giuridica “statica” definita dalla normativa e dalla giurisprudenza. La stessa “idea di smart city” si caratterizza per un continuo divenire e per un carattere interdisciplinare. L’approccio multilivello si fonda sul simultaneo esame di fattori tra i quali la mobilità, l’impiego di tecniche dematerializzate di comunicazione, l’offerta di servizi on line, la gestione dei rifiuti e delle risorse. In tale cornice complessa, si è detto, l’ente che meglio si addice alla smartness è quello del Comune ed a tale livello che occorre interrogarsi sulle forme di sussidiarietà orizzontale da applicare.
E’ in gioco “la dimensione democratica” che esclude una visione dei cittadini quali meri consumatori di servizi offerti e per i quali ne occorre verificare il gradimento. Fattori quali la smart people e la smart governance sono intimamente connessi e trovano un campo peculiare di applicazione nei processi decisionali delle amministrazioni sempre più improntati all’uso della telematica e delle nuove tecnologie. Ne consegue una progressiva traslazione della dimensione partecipativa «verso forme di democrazia a livello locale sussidiarie di quella rappresentativa. […] Una città non può, allora, essere intelligente se non è partecipativa- e a sua volta partecipativa nell’applicazione dell’ICT – nelle sue più svariate dimensioni, dai procedimenti amministrativi riguardanti i singoli, a quelli posti in essere nell’interesse generale, alle decisioni pubbliche locali. […] Emerge allora un “diritto alla città” che affianca alla smart city la “città condivisa” e la “città collaborativa”; espressioni, queste, che meglio paiono dare risalto ai fenomeni di gestione congiunta pubblico-privato delle politiche e degli spazi urbani nella dimensione della sussidiarietà orizzontale, nonché consentono di rimarcare il processo di governance, spiccatamente bottom-up, costituito dalle pratiche partecipative»30.
Posto che la sostenibilità è di natura trasversale e comprende come imprescindibile la dimensione sociale, viene da chiedersi se sia “smartness” una scelta o una decisione pubblica impopolare. Si pensi, al fine di perseguire un migliore tutela dell’ambiente, all’imposizione di costi o comportamenti ai consociati, quale la raccolta porta a porta dei rifiuti, oppure all’utilizzo di strumenti di comunicazione informatica rispetto all’accesso fisico ai pubblici uffici. La manifestazione sociale della comunità è una componente essenziale per misurare il grado di smartness di una città, ciò in quanto una città senza comunità non può esistere.
Si è nella traiettoria di un superamento di una visione individualistica e della valorizzazione della dimensione “sociale” del diritto alla città e dei diritti in cui esso si articola. In questo senso si pone come «essenziale la partecipazione collettiva ai processi decisionali che informano gli spazi urbani e i servizi che essi ospitano, prefigurando su questo particolare crinale obiettivi di democrazia partecipativa in grado di riflettere istanze diffuse anziché parziali e/o settoriali. Ché anzi, in questo risolversi in una politica funzionalistica in cui l’individuo ed i corpi sociali si riappropriano della città tramite pratiche partecipative e di amministrazione condivisa, il diritto alla città si contrapporrebbe al diritto della città. […] In definitiva nelle pieghe del dibattito relativo al diritto alla città si situa per così dire fisiologicamente quello intorno al diritto a città intelligenti e digitali, del resto in concomitanza con l’affermazione di un nuovo modello economico per lo sviluppo urbano informato da target di sostenibilità ambientale, di efficienza energetica, di innovazione tecnologica dell’informazione e della comunicazione. Le stesse forme di partecipazione diffusa alla costruzione del diritto alla città, nel solco dei percorsi di democrazia partecipativa di cui si è detto, sono predicabili nella forma di una cittadinanza smart, che confluisca appunto nella predisposizione, gestione e offerta di infrastrutture e servizi innovativi»31.
Poiché, come visto sopra, l’idea di smart city coinvolge preminentemente i Comuni, il fenomeno partecipativo si colloca a livello locale e si impone alle amministrazioni che a tale livello operano. Si pensi alle decisioni pubbliche su tematiche impattanti sul territorio, quali la gestione di spazi pubblici urbani e la realizzazione di opere infrastrutturali.32E’ evidente che in tematiche simili, che indubbiamente concernono le smart cities, il governo del territorio e la comunità si pongono su uno stello livello dinamico di adeguamento al processo tecnologico e di condivisione al fine di prevenire contestazioni e rallentamenti e, anzi, focalizzare meglio obiettivi e metodologie.
Per altro verso, non meno significativo, proprio le forme di cooperazione e/o partecipazione, anche grazie all’impiego delle risorse telematiche, possono assurgere ad indicatori di città intelligente e sostenibile.
Si consideri, ad esempio, l’amministrazione condivisa che mette al centro la comunità, più precisamente gli enti del Terzo settore che vengono coinvolti nella co-programmazione (procedimento amministrativo finalizzato all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di organizzazione degli stessi e delle risorse disponibili) e nella co-progettazione (procedimento finalizzato alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione) (cfr. art. 55 Codice del Terzo Settore – D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 nelle attività di cui all’art. 5 : settore sociale, ambientale, culturale, turismo sociale, etc..).
Un partenariato tra P.A. ed Enti del Terzo Settore, rappresentazione della solidarietà sociale (in grado di mettere a disposizione dell’Ente pubblico dati informativi e capacità organizzativa e di intervento), quindi, facendo leva sulla collaborazione, caratterizzato non dalla presentazione di un progetto pubblico da eseguire, ma dalla co-programmazione di tale progetto (si pensi al tema abbattimento delle barriere architettoniche, dal trasporto sociale delle persone non autosufficienti)33. Importante, in questa direzione, è la sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 che ha dato piena cittadinanza giuridico costituzionale a tale forma di collaborazione, fondato non sul principio di concorrenza ma di solidarietà sociale: essa «non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico»34. Siamo fuori dal campo di applicazione del Codice dei Contratti pubblici ma dinanzi a un modello alternativo per rispondere a determinati bisogni tramite «una “messa in comune” di risorse provenienti da diverse parti, di diversa natura, che determinano un effetto moltiplicatore innescato dalla collaborazione, dalla fiducia reciproca che i diversi attori costruiscono fra loro, dalla capacità di una lettura più attenta e comune della realtà. […] L’applicazione dell’art. 55, dopo molte incertezze, è stata resa di fatto operativa dalla richiamata sentenza n. 131 del 2020, dalle modifiche al Codice dei contratti pubblici e dalle Linee guida applicative, adottate con il D.M. n. 72 del 2021»35. Ciò che viene chiesto agli Enti del Terzo settore non è di contribuire con la capacità tecnica – esecutiva, ma la capacità creativa, generativa, le risorse, la visione su un determinato settore. Ciò che emerge, in definitiva, è la promozione e valorizzazione del civismo nelle sue varie espressioni esistenti sul territorio, quale bene comune immateriale. Alcune Regioni ed enti locali hanno definito i “modelli” di co-programmazione e di co-progettazione36.
Nell’ambito di tale percorso progettuale di Amministrazione condivisa, molto importanti sono i Patti di collaborazione che coinvolgono i Comuni e ruotano intorno alla cura dei beni comuni, materiali ed immateriali. Un esempio di gestione collettiva e condivisa di beni urbani e aree cittadine37. In tale cornice, «la tecnologia va intesa come mezzo di semplificazione e condivisione tra le parti sociali, soprattutto in un’ottica di partecipazione del cittadino alla gestione della cosa pubblica, non certo come fine — men che meno economico — a cui deve tendere ed aspirare l’intera collettività»38.
Divenire comunità sostenibili.
La visione di città intelligente e sostenibile, pone in piena luce il principio di fondo per eccellenza della sostenibilità, il “Leave No One Behind”.
Emerge cioè l’idea di una città tesa a «fortificare gli spazi e i legami sociali entro (e pel mezzo de) i quali si svolge il proprium della persona umana; a frenare l’idea per cui l’essere cittadino possa identificarsi in via esclusiva con (e calibrarsi su) l’accesso a determinate risorse; a ricostruire un significato di spazio pubblico che muova anche dal «bisogno (…) importante [che] è la partecipazione ai beni collettivi». In questo percorso, un contributo ancora prezioso proviene dalla matrice genetica dello Stato sociale costituzionale, ovvero dal fascio di luci con cui questa irradia ciò che è essenziale al pieno sviluppo della persona umana. Un contributo che dovrebbe attestare la parzialità di una visione che identifica la città come luogo topograficamente delimitato, abitato, regolato, amministrato o (persino) consumato, puntando piuttosto sull’idea di luogo vissuto, che prende forma nell’intreccio tra spazio geografico, spazio sociale e spazio politico e che, attraverso un’opera di apertura e di relazionalità con i plurimi spazi fisici e istituzionali circostanti, possa affiorare e affermarsi quale vera e propria «città territoriale», dimensione ottimale […] per la democrazia»39. In tale ottica, la digitalizzazione e l’impiego di modelli di elevata tecnologia sono utili se non indispensabili strumenti di inclusione sociale.
I modelli di partecipazione, co-progettazione, co-programmazione di cui si è detto sono sì predicabili nella forma di una cittadinanza smart, che confluisca appunto nella predisposizione, gestione e offerta di infrastrutture e servizi innovativi,40 nella misura in cui questa realizzi reti di relazione (tra i cittadini, tra cittadini ed istituzioni, all’interno delle istituzioni della città e reti tra le città) perché la città intelligente – grande o piccola che sia – deve essere molto più di una eccellente città digitale.
Sotto questo profilo, la citta intelligente e sostenibile diventa un nuova forma di democrazia che parte dal riconoscimento della comunità come soggetto attivo, corresponsabile di nuovi modi di governare, e non come passivo fruitore-consumatore41.
Possiamo quindi affermare di aver assistito ad una evoluzione della visione della smart city, più orientata alla comunità e la suo riconoscimento. «Una smart city non esiste se non c’è una smart comunity ed è questo forse il concetto più importante e innovativo degli ultimi anni»42. Occorre quindi porsi una “nuova” domanda: come far diventare comunità i cittadini? Tramite un «un futuro urbano programmato e partecipato»43.
Occorre agire su un doppio registro, su «una musica che è ritmo quotidiano inserito in una sinfonia di più ampio e lungo respiro, tramite una «legittimità dell’azione pubblica» che si snoda «nella costruzione di un consenso non superficiale, che non ha i tempi delle news digitali o della politica politicata (due facce della stessa medaglia) ma piuttosto di regole ben precise. Si tratta, quando è possibile, ma soprattutto per le grandi scelte da attuare, di non far calare dall’alto decisioni che riguardano il bene a lungo termine della comunità, ma di coinvolgerla secondo un tempo stabilito e in luoghi definiti, per discutere di quel dato tema, arrivare a suggerire più opzioni e decidere con un voto di maggioranza, che può riflettere le diverse opinioni ed esigenze, ma che non lascia in stallo la vita cittadina. […] se la maggior parte dei cittadini resta totalmente esclusa dai percorsi decisionali, progressivamente – e inevitabilmente- si disamora della vita democratica urbana»44.
Nella costruzione della comunità il collante è dato quindi dalla progettazione partecipata urbana.45
Una sfida, un percorso “intelligente”, creativo e democratico, che coinvolge tutti, e a tutti livelli.
Note
1 Così, E. Ferrero, Le smart cities nell’ordinamento giuridico, in Foro Amministrativo (Il), fasc.4, 2015, pag. 1267.
2 Sul punto, in modo significativo, S. Antoniazzi, Smart City; diritto, competenze e obiettivi (realizzabili?) di innovazione, in: federalismi.it, 22 maggio 2019, online: https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=38648
3 L’Agenda urbana per l’UE riunisce la Commissione, i ministri nazionali, le amministrazioni locali e le altre parti interessate per promuovere una migliore legislazione, un accesso più agevole ai finanziamenti e una più ampia condivisione delle conoscenze sulle questioni pertinenti per le città. I temi prioritari dell’agenda urbana sono: qualità dell’aria; economia circolare; adattamento ai cambiamenti climatici; transizione digitale; transizione energetica; edilizia; inclusione dei migranti e dei rifugiati; appalti pubblici innovativi e responsabili; posti di lavoro e competenze nell’economia locale; uso sostenibile del territorio e soluzioni fondate sulla natura; mobilità urbana; povertà urbana.
4 E. Ferrero, in ult. op. cit., evidenzia infatti che nel Premesso n. 11 del Patto, viene affermato «che molte delle azioni sulla domanda energetica e le fonti di energia rinnovabile necessarie per contrastare il cambiamento climatico ricadono nelle competenze dei governi locali ovvero non sarebbero perseguibili senza il supporto politico dei governi locali», pag. 19.
5 Per queste riflessioni, S. Antoniazzi, Smart City; diritto, competenze e obiettivi (realizzabili?) di innovazione, op ult. cit., pag. 5.
6 Così nella Carta di Lipsia del 2007: «Le nostre città posseggono qualità culturali e architettoniche uniche, forti strumenti di inclusione sociale e possibilità eccezionali per lo sviluppo economico. Sono centri di conoscenza e fonti di crescita e innovazione. Allo stesso tempo, comunque, sussistono problemi demografici, inequità sociale, esclusione sociale di specifici gruppi di popolazione, mancanza di alloggi accessibili e adeguati e problemi ambientali. A lungo termine le città non riescono ad adempiere alla loro funzione di motore del progresso sociale e della crescita economica come descritta nella Strategia di Lisbona, a meno che non riusciamo a mantenere l’equilibrio sociale al loro interno e tra di esse, garantendo la loro diversità culturale e introducendo un’alta qualità in settori quali il design urbano, l’architettura e l’ambiente. Noi abbiamo sempre più bisogno di strategie olistiche e di un’azione coordinata che coinvolga le persone e istituzioni nel processo di sviluppo urbano che va oltre i confini delle singole città. Ogni livello di governo – locale, regionale, nazionale ed europeo – ha una responsabilità per il futuro delle nostre città. Per rendere davvero efficace questo governo a più livelli, noi dobbiamo migliorare il coordinamento delle aree di politica settoriale e sviluppare un nuovo senso di responsabilità verso la politica di sviluppo urbano integrato. Dobbiamo anche assicurare che quelli che lavorano alla diffusione di queste politiche a tutti i livelli acquisiscano la conoscenza e le capacità di base e professionali necessarie per sviluppare le città come comunità sostenibili». Da qui le azioni programmatiche: I) di fare un maggiore ricorso alle strategie della politica di sviluppo urbano integrato (Creare ed assicurare spazi pubblici di alta qualità; Modernizzare le reti infrastrutturali e migliorare l’efficienza energetica; Innovazione proattiva e politiche didattiche; II). Un’attenzione speciale ai quartieri degradati all’interno del contesto cittadino (Perseguire strategie per migliorare l’ambiente fisico; Potenziare l’economia locale e il mercato del lavoro locale; Istruzione proattiva e politiche di formazione per bambini e giovani; Promozione di un trasporto urbano efficiente ed accessibile).
7 L’endiadi città-comunità intelligente è chiaramente enunciato dall’ European Innovation Partnership on Smart Cities and Communities, un’iniziativa sostenuta dalla Commissione europea che combina le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), la gestione dell’energia e la gestione dei trasporti per trovare soluzioni innovative alle principali sfide ambientali, sociali e sanitarie che le città europee devono affrontare. Per una definizione al livello europeo di smart city si veda http://ec.europa.eu/eip/smartcities/index_en.htm
8 Cfr. Premessa di P. Fassino, in Vademecum per la città intelligente, on line http://osservatoriosmartcity.it/wp-content/uploads/Vademecum_def_2_light.pdf
9 La piattaforma on line (http://www.agendaurbana.it/) è appunto titolata “La via italiana alle comunità intelligenti”.
10 Così Antonio Decaro, Sindaco di Bari e Presidente dell’Anci, nella Introduzione all’Agenda urbana per lo sviluppo sostenibile, 2017, «[…] Quella degli Obiettivi di sviluppo sostenibile è quindi una sfida di innovazione e integrazione delle politiche urbane. Molti degli obiettivi tematici riportati nel documento di ASviS e Urban@it non rientrano negli ambiti di competenza comunale. Ciò nonostante, gli amministratori e per primi i sindaci, non si tirano indietro rispetto a un’assunzione di responsabilità complessiva riguardo allo sviluppo sostenibile del territorio che i cittadini chiedono loro in quanto istituzione di maggiore prossimità. Per questo Anci ha promosso il rapporto Urbes che, insieme a Istat, ha consentito di fare il punto sulla realtà urbana in Italia rispetto a salute, lavoro, relazioni, cultura, partecipazione attraverso il monitoraggio di 64 indicatori. Tramite il suo osservatorio Smart City e, più recentemente, tramite l’attivazione della piattaforma Agenda urbana, Anci ha offerto strumenti di scambio e apprendimento finalizzati all’attivazione di pratiche innovative per lo sviluppo sostenibile».
11 Così è stato riportato da R. Battarra, C. Gargiulo, R.A. la Rocca e Laura Russo, in L’applicazione del paradigma smart city in Italia. Luci ed ombre delle sperimentazioni nelle città metropolitane, in Archivio di studi urbani e regionali, 123, 3, 2018, Franco Angeli, pag. 28.
12 Cfr. R. Battarra, C. Gargiulo, R.A. la Rocca e Laura Russo in op. ult. cit. pag. 31. Nella vasta letteratura sul tema, riportata nella pubblicazione del lavoro di ricerca cui si rinvia, c’è chi enfatizza la preminenza del ruolo delle reti e delle componenti hardware per garantire il miglioramento della vita e rendere le città più sostenibili, chi la critica radicalmente e chi invece integra la visione “tecnologica” con altri aspetti legati al capitale sociale, alla sostenibilità ambientale e ai servizi pubblici.
13 Per tutte queste riflessioni, si veda la ricerca op ult. cit., pagg. 30 ss. che ha ad oggetto le strategie di implementazione della smart city confrontando «l’attuale connotazione smart di 12 delle città metropolitane italiane istituite dalla L. 56/2014, definita da un set di indicatori, con la loro propensione verso l’applicazione di questo tipo di approccio, desunta dalla sperimentazione in atto». Il lavoro di ricerca si è quindi articolato in tre parti: la prima è relativa allo stato attuale di smartness di ciascuna città, la seconda ha riguardato il grado di propensione alla smartness (rilevato attraverso l’individuazione di interventi e progetti ad elevato contenuto tecnologico), la terza il confronto tra i risultati delle prime due fasi. L’obiettivo è osservare su come le città metropolitane italiane stanno decòiando il tema della smart city, su quali possono essere i prevedibili sviluppi e quali i principali aspetti critici per i quali intervenire con apposite iniziative
14 Per tale rischio, si veda l’ampia letteratura riportata nella ricerca ult. cit., tra cui vi è chi arriva ad ipotizzare la comparsa di una nuova classe sociale composta da coloro che saranno “digitalmente emarginati” pag. 28. Un solo accenno al dibattito, emerso soprattutto in fase di pandemia con riferimento al diritto di istruzione, in tema di digital divide e di diritto di accesso ad internet come diritto fondamentale della persona (cfr. art. 3 co. 2 Cost..). Si veda, sul punto, per tutti, C. Lotta, Un nuovo diritto al tempo del Covid-19? Accesso a internet e digital divide, in https://www.gruppodipisa.it/images/rivista/pdf/Cosimo_Lotta_-_Un_nuovo_diritto_al_tempo_del_Covid-19.pdf.
15 E’ stato evidenziato che per le città del Sud, le criticità possono superarsi proprio leggendo il contesto e progettando a partire da esso e coinvolgendo tutte le componenti sociali. Si riportano i risultati interessanti della ricerca, ult. po. Cit. pagg. 43-44: «Sebbene il dibattito sulla smart city abbia messo in evidenza la necessità di tener conto delle specificità e delle identità dei diversi contesti urbani sia nell’applicazione che nel riconoscimento del modello smart (che come tutti i modelli non è generalizzabile e replicabile senza differenze in tutte le realtà territoriali), tuttavia è possibile riconoscere, al di là facili enunciazioni di propaganda politico-amministrativa, che settori considerati strategici nella definizione di un modello smart sono più sviluppati in alcune realtà urbane piuttosto che in altre. È il caso, ad esempio, delle città del Nord che hanno raggiunto un più avanzato stadio di applicazione dell’ICT orientata al miglioramento
dell’efficienza dei servizi e della qualità della vita dei cittadini. Se in alcuni casi le iniziative in corso sembrano spinte dagli interessi di grandi gruppi imprenditoriali (Milano) e in altri sono guidate da una regia pubblica e le sperimentazioni sono maturate nell’ambito di progetti europei (Genova), o in altri casi è il settore della ricerca e della produzione l’elemento propulsivo dell’innovazione (Firenze), le città settentrionali testimoniano di una grande vivacità di interventi “concreti” che stanno modificando il modo di fruire di alcuni servizi. Inoltre è in alcune di queste città che si sta investendo su iniziative che, almeno nelle intenzioni, sembrerebbero prevedere la sperimentazione di set di azioni che trasversalmente ed in modo integrato operano su diversi aspetti della vita urbana. Emblematici in tal senso sono due progetti avviati a Milano (Sharing Cities) e a Firenze (Replicate) entrambi finanziati dal Programma Horizon 2020 e che si pongono come best practices dell’intervento alla scala urbana, operando con un’azione complessa e integrata volta a migliorare l’efficienza energetica degli edifici, ad incentivare l’utilizzo di modalità di trasporto sostenibile, ma anche ad applicare l’ICT per incrementare la sicurezza urbana attraverso il coinvolgimento della collettività nella progettazione degli interventi. Di contro, nelle città meridionali non tanto il minor numero di iniziative avviate, quanto la sporadicità di interventi non integrati all’interno di una chiara strategia di innovazione del sistema urbano, fa sì che anche le iniziative che potrebbero imprimere una spinta verso una trasformazione della città in un’ottica smart, perdono la loro incisività questi progetti si sono conclusi di recente. Come emerso anche dal confronto diretto con alcuni dei soggetti impegnati nelle sperimentazioni, all’interno di questo panorama è possibile individuare esperienze che testimoniano di come anche nelle città meridionali si stanno avviando politiche che, facendo leva anche sull’uso delle ICTs, sono orientate all’applicazione del paradigma della smart city (Battarra et al., 2016). A Bari, ad esempio, innestati su una pregressa esperienza di programmazione strategica a scala metropolitana, più di recente sono stati promossi una serie di processi di innovazione dei servizi urbani all’interno di un quadro complessivo di governance. La città sembra orientata a puntare su alcuni temi chiave (mobilità, energia ed efficienza dei servizi per la collettività), anche attivando risorse derivanti da programmi europei, per potenziare la modalità di verifica dell’efficacia delle strategie implementate. Nelle città del Sud inoltre sono emerse una consistente serie di iniziative, promosse da associazioni e gruppi di cittadini, che testimonia la volontà di supplire alle carenze delle istituzioni, attraverso processi di innovazione dal basso. In altri casi (Napoli, Catania e Palermo) è soprattutto nel campo della ricerca che sono maturati una serie di progetti che, se superata la fase di sperimentazione, potrebbero avere rilevanti impatti sulla città, soprattutto, per quanto attiene alla gestione delle utilities urbane, alla mobilità e all’accesso ai servizi pubblici».
16 Cfr. op. ult. cit. pag. 29. «Ad esempio, il lavoro ampiamente diffuso in ambito scientifico condotto da Giffinger et al. (2007) per classificare le smart cities europee, impiega dati che, nel 50% dei casi, si riferiscono al territorio regionale o nazionale Inoltre lo studio, il cui principale punto di forza è rappresentato dall’aver messo a sistema gli elementi costitutivi di una smart city articolandoli in 6 caratteristiche (Economy, People, Governance, Mobility, Environment, Living), risulta poco efficace nella definizione di alcuni indicatori, soprattutto, relativi alle dimensioni che attengono il capitale umano e gli aspetti sociali (De Luca, 2013)».
17 Si considerino, in proposito, le differenze dei risultati del lavoro di ricerca citato. Le città che hanno le migliori performance sono Milano, Bologna, Torino e Venezia, con differenziazioni. Si legge, pag. 37: «In particolare, Milano presenta scostamenti positivi rilevanti per le dimensioni People, Economy e Governance, mentre registra valori più bassi per Smart Environment e per Smart Mobility, a differenza di Torino che, dopo Genova e Venezia, è la città con le migliori performance in quest’ultima dimensione. Bologna e Firenze, che hanno valori superiori alla media per tutti gli indicatori della dimensione Smart Living, sono le città che, più delle altre, garantiscono una buona offerta di servizi ai cittadini. Per Firenze, inoltre, si registrano valori superiori alla media nella dimensione Governance, a differenza delle dimensioni Environment e Mobility. Per quest’ultimo aspetto, infatti, si registrano bassi livelli di offerta del trasporto pubblico ed un elevato tasso di incidentalità. Tra le città settentrionali Genova è quella che presenta valori più prossimi a quelli medi e, per 3 dimensioni – People, Economy e Governance – scostamenti negativi, differenziandosi così dalle altre città della stessa area geografica che comparativamente mostrano un miglior andamento degli indici. Roma, rispetto alle 6 dimensioni, si colloca a cavallo dei valori medi, facendo registrare modesti scostamenti positivi solo per People ed Economy, da attribuire principalmente all’elevato numero di laureati e di imprese di informazione e comunicazione. Tra le città meridionali quella che fa registrare valori in linea con quelli medi è Bari che, inoltre, mostra valori superiori alla media nelle dimensioni Living e Governance. Catania, Palermo e Reggio Calabria sono le città che registrano le peggiori performance, con valori inferiori alla media per tutte le dimensioni. Napoli, si connota per indici negativi molto elevati nella dimensione Governance e People determinati da valori inferiori alla media per tutti gli indicatori, a meno del tasso di ricambio della popolazione».
18 Nel concetto di smart city sostenibile l’uso dell’ITC è un indicatore si sostenibilità urbana. In tal senso Bibri e Krogstie (2017), riportati nel pregevole lavoro di ricerca citato, in cui si legge, tra l’altro, sui campi di applicazione delle ICTs nell’ambito della città: «Le tecnologie consentono di affrontare efficacemente alcune sfide ambientali: l’abbattimento dell’inquinamento, la riduzione del consumo di risorse non rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica (Bibri and Krogstie, 2017a; Morelli et al. 2013). Da questa angolazione, il campo di azione della smart city si sovrappone a quello della città sostenibile tanto da poter affermare che il minimo comun denominatore delle città intelligenti è la sostenibilità ambientale declinata nelle sue diverse componenti (The European House-Ambrosetti, 2012)».
19 In https://www.istat.it/it/benessere-e-sostenibilit%C3%A0 «Il progetto Bes nasce nel 2010 per misurare il Benessere equo e sostenibile, con l’obiettivo di valutare il progresso della società non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale. A tal fine, i tradizionali indicatori economici, primo fra tutti il Pil, sono stati integrati con misure sulla qualità della vita delle persone e sull’ambiente. A partire dal 2016, agli indicatori e alle analisi sul benessere si affiancano gli indicatori per il monitoraggio degli obiettivi dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, i Sustainable Development Goals (SDGs) delle Nazioni Unite, scelti dalla comunità globale grazie a un accordo politico tra i diversi attori, per rappresentare i propri valori, priorità e obiettivi. La Commissione Statistica delle Nazioni Unite (UNSC) ha definito un quadro di informazione statistica condiviso per monitorare il progresso dei singoli Paesi verso gli SDGs: oltre 230 indicatori sono stati individuati». Si consideri il progetto sul «BES DELLE PROVINCE» che coinvolge 26 Province e 8 Città metropolitane in tutto il paese e che, dal 2021, permette di offrire una lettura del territorio coerente con gli indicatori di sviluppo sostenibile definiti dall’ONU (cfr. www.besdelleprovince.it).
21 Cfr. https://www.istat.it/it/files//2018/04/Raccordo_BES_SDGs-_Feb_22.pdf,
22 Così M. Timo, Dialogo e collaborazione nelle smart cities: la dimensione orizzontale della sussidiarietà e la partecipazione, in G.F. Ferrari (a cura di) Le smart cities al tempo della resilienza, Mimesis 2022, pag. 68. L’Autore osserva, infatti, che, pur essendo alcune finalità perseguite dalle città intelligenti riconducibili alle Città Metropolitane e alle Province, tra cui importanti attività di pianificazione e di gestione ed organizzazione dei servizi, «Di converso, bisogna osservare come la Città metropolitana e la Provincia, nel sistema delineato dalla legge Delrio, non siano direttamente rappresentative comunità, atteso il modello di designazione di diritto o di secondo grado dei loro organi politici: dunque, se anche per esse è imprescindibile perseguire un’ottica di sussidiarietà orizzontale, è da ritenersi che il miglior livello debba restare quello comunale, in ragione della più stretta vicinanza semantica con l’idea di città, della più intima rappresentatività dei propri organi e, in senso lato, della maggiore connessione con la comunità di riferimento». In proposito è opportuno riportare (almeno) il Comunicato del 7.12.2021 dell’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale: «L’attuale disciplina sui sindaci delle Città metropolitane è in contrasto con il principio di uguaglianza del voto e pregiudica la responsabilità politica del vertice dell’ente nei confronti degli elettori. Spetta però al Legislatore, e non alla Corte costituzionale, introdurre norme che assicurino ai cittadini la possibilità di eleggere, in via diretta o indiretta, i sindaci delle Città metropolitane. È quanto si legge nella sentenza n. 240 depositata oggi (redattore Stefano Petiti) con cui la Corte costituzionale si è pronunciata sulla riforma degli enti di area vasta varata nel 2014 con la legge Delrio, e sulle corrispondenti norme della Regione Siciliana, secondo cui il sindaco delle Città metropolitane non è una carica elettiva poiché si identifica automaticamente con il sindaco del Comune capoluogo, a differenza del presidente della Provincia, eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali del territorio. Le questioni sollevate dalla Corte d’appello di Catania sono state dichiarate inammissibili perché richiedevano un intervento di sistema, di competenza del Legislatore. La Corte costituzionale ha tuttavia evidenziato come la normativa attualmente vigente «non sia in sintonia con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale» circa l’uguaglianza del voto dei cittadini e la responsabilità politica del vertice della Città metropolitana. La necessità di un riassetto normativo del settore, si legge nella sentenza, è dovuta anche al fatto che la mancata abolizione delle Province, a seguito del fallimento del referendum costituzionale del 2016, ha reso «del tutto ingiustificato» il trattamento attualmente riservato agli elettori residenti nella Città metropolitana». (https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20211207150636.pdf)
23 Così Carla Acocella-Giuseppe Laneve in Città intelligenti e diritti: nuove prospettive di consumo nel prisma della socialità, PA PERSONA E AMMINISTRAZIONE, Riviste Giuridiche dell’Amministrazione e l’economia, 2021, in https://journals.uniurb.it.
24 A livello ricostruttivo, è opportuno evidenziare che, in tema di monitoraggio, l’Italia ha presentato per la prima volta nel 2017 la Volontary National Review; c’è poi il Rapporto annuale SDG pubblicato dall’Istat. Per quanto riguarda invece le iniziative nazionali, occorre evidenziare la cabina di regia “Benessere Italia”, che è una struttura di coordinamento in capo alla Presidenza del Consiglio per il coordinamento delle politiche economiche, sociali e ambientali nell’ambito degli impegni sottoscritti dall’Italia per l’Agenda 2030; La Strategia Nazionale per lo Sviluppo sostenibile (SNSvS), di cui vi è una Relazione annuale in cui è stato inserito anche il PNRR, e il Forum per lo Sviluppo sostenibile con gruppi di lavoro tematico che accompagnano la cabina di regia, nonché tutte le azioni di collegamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) alla programmazione economica e di bilancio. Importante pertanto, a livello nazionale, è il Rapporto annuale BES. Tutti i documenti citati sono reperibili in internet.
25 Per tali importanti rilievi P. Proietti, ricercatrice nel Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea, esposti durante l’incontro del 6.05.2022 dedicato a La rete dei comuni sostenibili: il monitoraggio volontario degli obiettivi nel VI Corso di Alta formazione “Politica e amministrazione degli Enti locali”, Scuola Universitaria Sant’Anna di Pisa. Attualmente il JRC è impegnato nel monitoraggio degli SDG in 10 Regioni pilota in Europa nell’integrazione dei vari contributi a livello locale.
26 In proposito è interessante evidenziare che proprio tale esperienza italiana è al centro di una ricerca del Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea, un’esperienza che, quindi, può porsi l’obiettivo di essere replicata e adattata in altri contesti europei. «Focus della ricerca è il sistema di monitoraggio, attraverso il set di 101 indicatori che analizzano e sintetizzano le tendenze in atto a livello di singolo comune sui temi della sostenibilità e sui 17 obiettivi dell’Agenda 2030. L’obiettivo è quello di capire quanto e come i Comuni che hanno aderito alla Rete dei Comuni Sostenibili e che si sono fatti monitorare, abbiano risposto alle domande del questionario, come si siano relazionati con la Rete, come gli amministratori locali e i tecnici abbiano accresciuto la propria consapevolezza sull’importanza di tale sistema di misurazione. Inoltre, verrà approfondita la forza e la tenuta del set di indicatori e, soprattutto, l’eventuale esportabilità in altri Paesi europei e la scalabilità a un numero più ampio di enti locali. […] Il set dei 101 indicatori è stato costruito attraverso un percorso che ha visto il coinvolgimento del Comitato Scientifico di RCS, di ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e con il supporto del JRC, anche attraverso le indicazioni contenute nell’edizione 2020 dell’European Handbook for SDG Voluntary Local Reviews. Sono già alcune decine i comuni grandi, medi e piccoli che hanno compilato il questionario della Rete dei Comuni Sostenibili e sono oggetto di misurazione. In queste settimane sono stati consegnati i primi Rapporti di sostenibilità che includono le tendenze, comune per comune, sugli indicatori del set, una sintesi per singolo goal e per tipologia di indicatore. Da sottolineare che la maggior parte degli indicatori riguardano fenomeni di competenza dei Comuni, poiché è su questi che è più necessario misurare l’efficacia delle politiche locali. Inoltre, i Rapporti includono una serie di suggerimenti per migliorare gli indicatori e, di conseguenza, la qualità della vita dei cittadini e delle cittadine». Così M. Gazzarri, Responsabile area formazione e sostenibilità di ALI e collaboratore della Rete dei Comuni Sostenibili, in https://www.governareilterritorio.net/2022/05/20/leuropa-guarda-con-interesse-allesperienza-della-rete-dei-comuni-sostenibili/. Il Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea, suggerisce l’utilizzo di 71 indicatori: cfr. seconda parte European Handbook, molto importante perché descrive il significato e l’applicazione locale dei grandi obiettivi, con suggerimento degli indicatori da utilizzare. Pubblicazione tuttora interamente in inglese, reperibile in https: //publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC118682. A livello di programmazione “urbana” delle Nazioni Unite, il Report annuale è reperibile in https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC118682 che completa ed integra il lavoro della commissione europea. Unico documento italiano pubblicato sulla piattaforma di UN-HABITAT è Il Rapporto locale volontario della Città Metropolitana di Firenze. Altro esempio virtuoso di progettazione inclusiva è da attribuire a Firenze con il Piano Strategico Metropolitano in http://pianostrategico.cittametropolitana.fi.it/.
27 Per tale monitoraggio, che riguarda principalmente le Regioni ma in cui vi sono importanti rilevazioni anche dei Comuni, si veda la pubblicazione Rapporto ASviS 2021, I territori e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il Rapporto è frutto di un intenso confronto tra il Gruppo di lavoro sul Goal 11 “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, l’Area ricerca, Referenti, Coordinatrici e Coordinatori degli altri gruppi di lavoro di Asvis. Più in generale, il Rapporto annuale ASviS L’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
28 Cfr. in https://www.comunisostenibili.eu/associazione/: «La Rete dei Comuni Sostenibili è un’associazione nazionale, senza scopo di lucro, aperta a tutti i Comuni italiani. Persegue finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di attività per la promozione tra Comuni e le Unioni dei Comuni, delle politiche per la sostenibilità ambientale, sociale, culturale ed economica, sulla base dei 17 Obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite e dei 12 obiettivi del Benessere Equo e Sostenibile. È nata a Gennaio 2021 su iniziativa dell’Associazione delle Autonomie Locali Italiane – ALI, Città del Bio e Leganet. L’obiettivo è accompagnare i Comuni nel raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030 e del Bes con strumenti e pratiche innovative, concrete e virtuose. L’impegno della Rete dei Comuni Sostenibili si concretizza nel: Misurare con un “set” di indicatori oggettivo, scientifico e autorevole le politiche di sostenibilità e gli effetti delle scelte dei governi locali; Accompagnare i Comuni nella pianificazione strategica, nella redazione dei “Piani di azione per il comune sostenibile”, Agende Locali 2030 e DUP finalizzati a migliorare gli indicatori e quindi la qualità della vita e dell’ambiente delle comunità locali; Mettere in rete i Comuni e le Unioni dei Comuni al fine di favorire il confronto e l’interscambio di esperienze, buone pratiche, idee e progetti; Aiutare i Comuni a cogliere le opportunità di finanziamento di progetti attraverso la partecipazione a bandi europei, nazionali e regionali; Contribuire attraverso campagne di comunicazione e di partecipazione a far crescere la consapevolezza nei cittadini, nella società civile e nelle imprese dei temi della sostenibilità al fine di favorire una “mobilitazione di comunità”; Diffondere il marchio “Rete dei Comuni Sostenibili” esaltando le esperienze locali che con scelte di governo lungimiranti migliorano la qualità di vita dei propri cittadini; Promuovere momenti di alta formazione per gli amministratori locali e i dipendenti comunali sui temi della sostenibilità. La Rete dei Comuni Sostenibili è aperta a “partnership” del mondo dell’associazionismo, fondazioni, Università e centri di ricerca, società civile interessate a promuovere progetti dedicati allo sviluppo sostenibile. L’Associazione e il progetto dei Comuni Sostenibili nasce dalla volontà di “mettere a terra” gli obiettivi di Agenda 2030 e dalla consapevolezza che solo grazie al protagonismo delle Citta e dei Comuni può crescere un nuovo modello di Sviluppo sostenibile. Per le persone e per il Pianeta: è tempo di Comuni Sostenibili!»
29 Così M. Timo, Dialogo e collaborazione nelle smart cities: la dimensione orizzontale della sussidiarietà e la partecipazione, ult. cit., p. 61 ss.
30 Ibidem
31 In tal senso, Carla Acocella-Giuseppe Laneve, op. ult. cit;
32 E’ stato osservato che in Italia parte consistente delle esperienze a livello locale si attua su iniziative delle amministrazioni interessate (si pensi alla realizzazione del nuovo tracciato stradale noto come “Gronda di ponente” a Genova) sia avvenuta su iniziativa delle stesse amministrazioni interessate. Il “dibattito pubblico” è stato invece codificato quale forma di democrazia codificata nell’art. 22 del D. Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 come forma di partecipazione collettiva al sub procedimento di progettazione di grandi opere infrastrutturali pubbliche. Per tali rilievi e per una disamina esaustiva delle molteplici conformazioni della partecipazione, sia come partecipazione al procedimento amministrativo, sia come nuove pratiche di consultazione, cfr. M. Timo, op. cit., che, riportando l’ampio contributo della dottrina sul tema, evidenzia come sia proprio «la gestione di un fenomeno complesso, quale i grandi centri abitati, con ricadute su plurimi aspetti della vita in comune – dall’ambiente, all’educazione, dal patrimonio culturale, alla salute – imponga che gli abitanti siano partecipi ai processi decisionali che li riguardano. […] Si delinea un concetto di “cittadinanza amministrativa”, il cui il livello è quello locale e si concretizza negli istituti della “democratica amministrativa”, comprensivi non solo dei tradizionali istituti regolati in generale dalla legge sul procedimento amministrativo, ma anche dalle forme inclusive della cosiddetta “democrazia rappresentativa”» pag. 72 ss..
33 Per un approfondimento, si veda “Riforma Terzo settore. Guida all’uso”, a cura di L. Gori e G. Marocchi, in https://www.cantiereterzosettore.it/gli-approfondimenti/il-rapporto-tra-pubblica-amministrazione-e-terzo-settore/.
34 Cfr. https://www.giurcost.org/decisioni/2020/0130s-20.html?titolo=Sentenza%20n.%20130
35 Cfr. L. Gori, Il mosaico dell’Amministrazione condivisa, on line https://aliautonomie.it/wp-content/uploads/2021/07/Il-mosaico-dellAmministrazione-condivisa-di-Luca-Gori.
36 Si pensi alla Regione Toscana, che con una serie di interventi normativi attua questo modello: con la legge n. 65 del 2020 sul Terzo settore, la legge n. 71 del 2020 (Governo collaborativo dei beni comuni e del territorio, per la promozione della sussidiarietà sociale in attuazione degli articoli 4, 58 e 59 dello Statuto), che prevede la definizione dei cittadini attivi come di «tutti coloro che vivono sul territorio regionale sono soggetti attivi, sia come singoli, sia attraverso formazioni sociali, per iniziative di cura, gestione collaborativa e rigenerazione dei beni comuni» (art. 5); la legge regionale Toscana n. 17 del 2020 (Disposizioni per favorire la coesione e la solidarietà sociale mediante azioni a corrispettivo sociale) che ha disciplinato le c.d. azioni a corrispettivo sociale, quali attività che richiedono il coinvolgimento volontario, attivo e responsabilizzante, del soggetto destinatario di interventi di sostegno da parte della pubblica amministrazione in campo sociale e socio-sanitario, finalizzate alla realizzazione di risultati di impatto sociale a livello locale e regionale, ed al pieno sviluppo della persona e dell’espressione delle sue capacità nell’esercizio dei diritti fondamentali nelle materie di competenza regionale. Prima ancora la legge regionale Toscana n. 67 del 2019 che ha introdotto misure di supporto alle c.d. cooperative di comunità, prevedendo la concessione, con la finalità di valorizzazione, di determinate zone del territorio urbano o extraurbano e sulla base di una specifica proposta presentata dalle cooperative stesse, dell’utilizzo di aree e di beni immobili inutilizzati, per il loro recupero e riuso con finalità di interesse generale. Anche in questo caso si tratta di un “patto”, concluso fra la pubblica amministrazione ed un soggetto privato a forte vocazione solidaristica, al di fuori degli schemi tipici della concessione. Per questa ricostruzione L. Gori, ult. op. cit. che riprende i contenuti dell’interessante convegno “La Toscana dei beni comuni” organizzato da Labsus disponibile in internet https://www.youtube.com/watch?v=PHgmuhd1Edc
37 Si vedano le significative esperienze riportate dal Laboratorio Labsus (www.labsus.org) all’interno del quale è possibile anche rinvenire il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni elaborato da Labsus, adottato da circa 300 Comuni di varia grandezza, che viene adeguato continuamente che rappresenta la cornice legale entro i quali i Patti di collaborazione ne costituiscono l’aspetto giuridico specifico. Sulla scia delle Best Practices, https://partecipazione.regione.emilia-romagna.it/beni-comuni.
38 E. Ferrero, Le smart cities nell’ordinamento giuridico, op. ult. cit.
39 Così Carla Acocella-Giuseppe Laneve, in op. cit.;
40 Per queste ulteriori considerazioni, ibidem, che riporta, tra gli altri, anche il contributo di S. Antoniazzi, in City: diritto, competenze e obiettivi (realizzabili) di innovazione, in federalismi.it, 2019, 10 sulla volontà del legislatore italiano di valorizzare la componente umana delle smart cities, proprio partendo dalla constatazione, già rilevata, della assenza nell’ordinamento interno di una nozione giuridica di smart city con preferenza per la locuzione «comunità intelligenti» (ex art. 20, D.L. n. 179/2012, conv. in L. n. 221/2012).
41 Su questo profilo della corresponsabilità, si veda https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-01/co-governance-arte-governare-citta-convegno-mariapoli-movimento.html.
42 Così Paolo Verri, in Il paradosso urbano, Nove città in cerca di futuro, Egea, 2022. Una lettura “illuminante” e propositiva sul tema. Afferma l’Autore, «Una smart city è una città non solo capace di affrontare le sfide del futuro ma soprattutto di farlo con il sorriso sulle labbra, tenendo insieme tecnologia e cultura, abilità del singolo e politiche pubbliche ben focalizzate sui principali problemi di vita quotidiana. […] e si è cominciato a riflettere sul miglioramento della vita dei cittadini tramite l’innovazione tecnologia. […] Riflettere quindi sulle città, sulla loro importanza nello sviluppo significa (visto il peso che hanno nella distribuzione della popolazione mondiale, della ricchezza, della ricerca, del divertimento, della cultura) riflettere sul futuro del mondo. Cambiare stili di vita nella città significa immaginare nuove forme di società, con un ruolo diverso nella gestione dei beni (con il conseguente allargamento dei cosiddetti “beni comuni” e la nascita del concetto, quasi alternativo a quello di proprietà, di “condivisione”.[…]Una smart community, ovvero una comunità di persone che coscientemente fanno proprie scelte di vita tese ad un consumo e a una gestione intelligente del proprio tempo, del proprio spazio e del proprio denaro, considerando tutti questi beni di pertinenza non solo individuale ma collettiva, è in grado di prevedere il proprio sviluppo e di renderlo sostenibile. Come? Operando scelte collettive orientate a un concetto ampio di sostenibilità, ma anche aprendosi a forti innovazioni», pag. 12 ss. Del resto, per questi profili, considerando i goals dell’Agenda 2030, l’obiettivo 11 è strettamente collegato al 12, che investe direttamente gli stili di vita dei cittadini (Consumo e produzione responsabili). E non potrebbe essere altrimenti; occorre un ripensamento complessivo dei modelli di consumo nel lungo periodo, come per i modelli di produzione. Da questo punto di vista una città è intelligente se promuove questo ripensamento.
43 Così, P. Verri, op. ult. cit., pag. 193.
44 Ibidem, pag. 194.
45 Si veda il sito https://www.avventuraurbana.it/ e il testo lungimirante di Iolanda Romano, Cosa fare come fare. Decidere insieme per praticare davvero la democrazia, Milano, Chiarelettere, 2012.
Focus CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO Settore Penale GLI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI E DOTTRINALI IN ORDINE AL RAPPORTO TRA INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO PER CASSAZIONE E IMPROCEDIBILITÀ. Relazione tematica Rel. […]
Diritto Penale Dottrina Fascicolo n.1/2023Focus
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO
Settore Penale
GLI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI E DOTTRINALI IN ORDINE AL RAPPORTO TRA INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO PER CASSAZIONE E IMPROCEDIBILITÀ.
Relazione tematica
Rel. n. 12/2023
SOMMARIO : 1. L’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata del giudizio di impugnazione. – 2. La giurisprudenza di legittimità: primi riferimenti. – 3. Il regime temporale dell’improcedibilità: norme transitorie e questioni in tema di retroattività. – 3.1 Il difetto di coordinamento tra i commi 4 e 5 dell’art. 2 legge n. 134 del 2021. – 3.2 Lo sbarramento temporale dell’art. 2, comma 3, legge n. 134 del 2021: la natura dell’istituto e le ricadute in tema di possibile applicabilità ai reati commessi prima del 1° gennaio 2020. – 3.2.1 La dottrina maggioritaria sulla legittimità costituzionale del regime intertemporale. – 3.2.2 La dottrina minoritaria sull’illegittimità costituzionale del regime intertemporale. – 3.2.3 I risvolti in malam partem: la possibile natura sfavorevole dell’istituto. – 3.2.4 La giurisprudenza di merito sull’infondatezza della questione di costituzionalità. – 3.2.4.1 Segue: i rilievi dottrinari. – 3.2.5 Il primo arresto di legittimità sull’infondatezza della questione di costituzionalità. – 3.2.5.1 Segue: i rilievi dottrinari. – 3.2.5.2. La successiva giurisprudenza di legittimità. – 4. I rapporti tra improcedibilità e inammissibilità dell’atto di impugnazione. – 4.1 La prevalenza della declaratoria d’inammissibilità nel primo (ed unico) arresto di legittimità. – 4.2 La conforme tesi dottrinaria del primato dell’inammissibilità sull’improcedibilità. – 4.3 La difforme tesi dottrinaria del primato dell’improcedibilità sull’inammissibilità dell’impugnazione.
MUSEI SOSTENIBILI E BENI CULTURALI COME TRAINO PER LA CREAZIONE DI COMUNITÀ ENERGETICHE INCLUSIVE E A IMPATTO ZERO. Rossana Russo ABSTRACT. I Musei italiani, i siti archeologici e i beni culturali […]
Diritto Ambientale Dottrina Fascicolo n.1/2023
MUSEI SOSTENIBILI E BENI CULTURALI COME TRAINO PER LA CREAZIONE DI COMUNITÀ ENERGETICHE INCLUSIVE E A IMPATTO ZERO.
Rossana Russo
ABSTRACT. I Musei italiani, i siti archeologici e i beni culturali in genere, nel corso degli anni, hanno notevolmente “cambiato rotta” aprendo le porte a nuovi utenti, perdendo quell’aspetto ieratico e offrendo ampie esperienze di fruibilità. In questo nuovo contesto, nell’ambito degli obiettivi tracciati dall’Agenda 2030 e delle grandi sfide poste dalla Economia Circolare, la creazione di comunità energetiche involgenti anche i beni culturali e gli edifici e strutture ospitanti (nella doppia veste: consolidata di consumer e inedita di prosumer) costuisce un traino e un valido esempio proattivo verso un impatto zero, laddove l’abbattimento dei costi di gestione, oltre all’azzeramento di produzione di Co2 e il risparmio energetico, aprirebbe ampi spiragli di inclusività e di accesso illimitato e “per tutti” alla Cultura. Di grande apertura la sottoscrizione, tra il Ministro per i Beni Culturali e il Presidente dell’Enea, di un Programma di efficienza energetica per i Musei italiani a sottolineare come l’uomo di Cultura, l’uomo di Scienza e, anche, l’uomo di Legge – nell’immaginario collettivo agli antipodi – ognuno nei rispettivi campi e con ampi spazi di commistione, possono attingere agli strumenti che il nuovo indirizzo mondiale sta fornendo, al fine di superare il concetto di conservazione statica del patrimonio culturale in favore di una godibilità dinamica (con un approccio democratico e di inclusione sociale) e in linea con l’ormai principio cardine dello sviluppo sostenibile.
ABSTRACT. Italian Museums, archaeological sites and cultural heritage in general, over the years, have significantly “changed course” by opening their doors to new users, losing that hieratic aspect and offering broad usability experiences. In this new context, in the context of the goals outlined by Agenda 2030 and the major challenges posed by the Circular Economy, the creation of energy communities also involving cultural heritage and host buildings and facilities (in the dual guise: established as prosumer and unseen as consumer) constitutes a driving force and a valid proactive example towards zero impact, where the lowering of management costs, in addition to the zeroing of Co2 production and energy savings, would open wide vistas of inclusiveness and unlimited and “for all” access to Culture. Of great openness is the signing, between the Minister for Cultural Heritage and the President of Enea, of an Energy Efficiency Program for Italian Museums to underscore how the man of Culture, the man of Science and, also, the man of Law-in the collective imagination at the antipodes-each in their respective fields and with ample room for intermingling, can draw on the tools that the new world direction is providing in order to overcome the concept of static preservation of cultural heritage in favor of dynamic enjoyability (with a democratic and socially inclusive approach) and in line with the now cardinal principle of sustainable development.
SOMMARIO: 1. I nuovi principî costituzionali in materia di ambiente e beni culturali: la modifica degli artt. 9 e 41 Cost. 2. Un modello di Museo Sostenibile: da Rio de Janeiro 1992 all’Agenda 2030 (brevi cenni storici). 3. La diffusione – in termini di estensione e fruibilità – dei Musei italiani. 4. Spunti per uno “sviluppo sostenibile”: la creazione di comunità energetiche locali con partecipazione dei musei in veste di prosumer e consumer – Il Progetto Grande Maxxi. 5. Musei eco-compatibili in Italia e nel Mondo. 6. Conclusioni – Una finestra su Taranto.
1. I nuovi principî costituzionali in materia di ambiente e beni culturali: la modifica degli artt. 9 e 41 Cost.
Il tratto distintivo della Costituzione italiana – per comune intento dei Padri Costituenti – è la tutela “del bello”1. Fin dalla sua entrata in vigore, e nei lavori preparatori, la Carta Costituzionale portava avanti, mostrando tutta la sua modernità, l’intento di creare uno scudo per le generazioni future (nella forma dei doveri di solidarietà sociale che permeano l’intero testo costituzionale). Non si può non scorgere un parallelo tra il periodo storico di nascita, creazione, sviluppo ed entrata in vigore della Costituzione italiana e l’attualità: la crisi epidemica (legata alla diffusione del virus SarsCovid19, ancora lontano dall’essere debellato o, quantomeno, posto sotto controllo) e la consequenziale crisi economica sono connotati dai medesimi caratteri di urgenza, del “qui e ora” e dalla necessità di agire nell’immediato.
In questo quadro si inseriscono le richiamate modifiche all’art. 9 Cost. a sottolineare una nuova visione improntata alla conservazione, in chiave futura, del “bello” inteso in senso ampio e involgente il patrimonio culturale, artistico e naturale d’Italia. A parere di chi scrive, le modifiche hanno consentito una nuova visione unitaristica del mondo della Cultura, della Scienza e della Legge2.
Nella sua nuova formulazione, il testo dell’art. 9 Cost. così recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali“3.
Il testo novellato, da intendersi quale doverosa integrazione4, eleva l’ambiente a principio fondamentale la cui tutela non può essere decontestualizzata bensì procedere, con comunità di intenti, in parallelo e intersecandosi, con la protezione dei beni culturali nello sprito di protezione delle generazioni future e con il necessario intervento della scienza. Quanto detto comporta, ad esempio, che nel realizzare opere necessarie, le richiamate tutele impongano l’applicazione di tecnologie meno impattanti sul territorio e sull’ambiente.
Nello specifio, per tornare al tema del presente scritto e nell’anticipare quanto sarà argomentato nel seguito, la ristrutturazione di un edificio ospitante un bene di interesse culturale necessariamente coinvolge i tre aspetti richiamati dall’art. 9 Cost.: la tutela dei beni culturali, la tutela dell’ambiente, l’interesse delle generazioni future, non potendo trascurare il contesto comunitario e la funzione sociale, anche in termini di ampia fruibilità delle opere.
È palese che gli interessi in gioco necessitino di una ampia cooperazione nell’ottica del bilanciamento e, quindi, emerege l’opportunità di una analisi a monte (anche in linea con un cardine dell’ordinamento internazionale: il principio di precauzion5). E in questo senso che la modifca dell’art. 9 Cost. coinvolge più soggetti. Tornando all’esempio pratico di cui innanzi: la valutazione sull’opera a realizzarsi non può prescindere dall’esame fondamentale di tre aspetti: 1. la conservazione – non più in senso statico – del bene di interesse culturale; 2. il rispetto della biodiversità, del paesaggio, della flora e della fauna prossimi all’opera e ugualmente (s)oggetti di tutela; 3. la necessità che l’opera realizzanda sia progettata nell’ottica di preserevare le generazioni future. Ritornano, inevitabilmente e fortunatamente, l’uomo di cultura, l’uomo di scienza e l’uomo di legge (a livello amministrativo locale e centrale).
Non può non scorgersi l’importanza dell’opera di riforma dell’art. 9 che, in sé, contiene una vera e propria definizione, se si vuole, anche grafica, di Economia Circolare. L’auspicio è che il disegno sulla carta e in potenza si trasformi in collaborazioni concrete, fattive e proattive.
Che vi sia l’urgenza di superare gli individualismi (anche delle categorie dello scibile) è una conclusione cui è pervenuto anche Livio de Santoli6: “… è emersa la necessità e la volontà di ricomporre tutte le diverse compentenze in una nuova intrepretazione dell’ambiente, estranea a «visioni del mondo» di carattere esclusivamente settoriale. Perché l’ambiente è un «affare di tutti»: di chi si occupa di energia, ma anche di chi si occupa di architettura, di politica di sociologia e di arte – nonché di diritto (n.d.a.) – è anzi «affare» di ogni singolo individuo, come pure della società insieme…7“.
Contestuale alla modifica dell’art. 9 Cost., la revisione apportata all’art. 41 Cost., a norma del quale l’inziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La modifica, oltre a limitare l’esercizio dell’attività economica nel superiore interesse dell’ambiente, introduce, al terzo comma, una riserva di legge in termini di coordinamento e indirizzo della medesima attività a fini sociali e ambientali8.
2. Un modello di museo sostenibile: da Rio de Janeiro all’Agenda 2030 (brevi cenni storici).
La lettura dell’art. 9 Cost. e la sua interpretazione ancorata all’attualità rispondono a tutte le esigenze connesse al pensiero di Museo Sostenibile.
Il concetto di sostenbilità9, oggi di comune sentire, affonda le sue radici e trae origine dalla nozione di “futuro” che, nell’ambito delle politiche ambientali, economiche e culturali internazionali, viene menzionata, per la prima volta, in seno all’Earth Summit di Rio de Janeiro10, nel 1992, durante il quale, per la prima volta, si prende coscienza dell’approssimarsi di un “punto di non ritorno” e delle caducità e limitatezza delle risorse ambientali. La Conferenza di Rio apre le finestre al futuro e tenta di superare gli individualismi egotici del sé, del consumo sconfinato delle risorse naturali, della ricchezza accentrata nelle mani di pochi che ha, quale conseguenza, una forte disuguaglianza sociale in termini di partecipazione attiva alla vita del Paese in ogni ambito (culturale, politico, economico, ambientale).
A porre l’accento sulla eredità che il Mondo, nel 1992, stava lasciando alle generazioni future è la dodicenne Severn Cullis-Suzuki. Risuona ancora il suo discorso, cadenzato dall’anafora “Sono solo una bambina… Sono solo una bambina…” e dalla pronuncia di una frase che diventerà storia e costituira la scopo principale di tutte gli obiettivi successivi: “… Nella mia vita ho sognato di vedere grandi mandrie di animali selvatici, giungle e foreste pluviali piene di uccelli e farfalle, ma ora mi chiedo se i miei figli potranno mai vedere tutto ciò. Vi siete mai preoccupati di queste cose quando avevate la mia età? Tutto questo sta accadendo sotto ai nostri occhi, e tuttavia agiamo come se avessimo a disposizione tutto il tempo che vogliamo e tutte le soluzioni…“.
Il 1992 ha segnato lo spartiacque e la presa di coscienza, anche dopo la messa in stampa del Rapporto Brundtland11, della necessità di agire. La Conferenza di Rio ha ceduto il testimone all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (con la differenza di tempi strettissimi per la realizzazione degli obiettivi che l’Agenda si pone e impone agli Stati di raggiungere).
Il leit motiv dell’Agenda 2030 è, difatti, rappresentato dalla immediatezza di un’azione rapida e incisiva che non lascia più spazio a tentennamenti e di un’azione che incida su ogni aspetto del vivere comune. La sostenibilità diviene una urgenza da perseguire a livello interdisciplinare e, in questo percorso, si inserisce la necessità che anche gli edifici volti a ospitare i beni culturali siano orientati verso un approccio sostenibile, a tutela del “futuro” che, se nel 1992, stava facendo capolino all’orizzonte, oggi è più prossimo che mai.
ICOM12 ha fatto propri tutti i principî legati allo sviluppo sostenibile e li ha esplicitati, da ultimo, nella Risoluzione On sustainability and the implementation of Agenda 2030, Transforming our World. Si riconosce il ruolo dei musei nel “plasmare e creare un futuro sostenibile attraverso programmi, partenariati e attività” che siano in linea con gli obiettivi e i traguardi posti dalle Nazioni Unite, incorporando pratiche sostenibili interne ed esterne che comportino la riduzione dell’impatto ambientale13.
In precedenza anche ANMS14, attraverso il Gruppo di Lavoro “Educazione nei musei scientifici” (GEMS), gettava le basi per un “Manifesto per la sostenibilità” (presentato al XXIV Congresso annuale di Livorno nel 2015). Il lavoro dell’ANMS prosegue in questo senso e, difatti, il XXXVI Congresso annuale (18-21 ottobre 2022) porta il tema “MUSEI SCIENTIFICI, AMBIENTE, TERRITORIO. NUOVE VISIONI, OBIETTIVI, SERVIZI, RELAZIONI PER COMUNITÀ SOSTENIBILI”15.
In ambito internazionale lo sguardo è stato indirizzato verso una maggiore inclusività (intesa come accesso garantito a ogni categoria di utenti con attenzione verso soggetti svantaggiati). In questo senso: Codice Etico della Uk Museums Associations del 200816 per cui i musei hanno un fondamentale ruolo di miglioramento della qualità della vita di ogni persona; Statuto della Netherland Museums Association del 201117 il quale acclara il valore culturale dei musei nel patrimonio e il ruolo di traino culturale, educativo, esperenziale, relazionale in seno alla qualità della vita delle persone; Happy Museums, Re-imagining museums for a changing world18 dei Museums of East Anglia il cui manifesto così recita: “Our own happiness is short-lived if we achieve wellbeing for our generation at the environmental expense of future generations” (La nostra felicità è di breve durata se raggiungiamo il benessere per la nostra generazione a spese delle generazioni future). Accanto ai citati documenti programmatici vi sono, poi, concreti esempi – sia in Italia che in altri Paesi – cje mostrano un approccio reale volto realizzare questa trasformazione circolare e multidisciplinare.
3. La diffusione – in termini di estensione e fruibilità – dei Musei italiani. Sintesi sui consumi energetici e sui costi di gestione.
Che l’Italia sia un “grande museo a cielo aperto” è frase trita e ritrita ma, per quanto tale affermazione trasudi retorica, risponde a verità, come confermato dai dati forniti dal Report Istat19, nel quale, putroppo, si registra un elemento negativo dovuto alla mancata riapertura di alcune strutture dopo il lockdown20.
Il patrimonio immobiliare del MiBAC conta circa 1060 immobili, comprendenti musei, archivi, biblioteche, uffici.
I dati così come delineati costituiscono i 15.600.000 mq del patrimonio archeologico italiano.
Durante il periodo di “chiusura”, l’accesso ai musei, con modalità differente, fortunatamente ha subito un calo inferiore rispetto a quanto si potesse temere. Il 73% delle strutture ha garantito servizi, attività e accessi virtuali, con il potenziamento delle piattaformen web, incontri on-line e tour da remoto. Nel periodo antecedente e successivo al lockdown l’offerta meuseale fornisce ampie possibilità di fruizione e servizi attraverso aree aperte al pubblico: caffetteria, bookshop, servizi igenici, guardaroba, sale conferenze, auditorium. Una struttura museale si compone altresì di spazi privati quali spogliatoi e servizi igenici per il personale, laboratori di catalogazione, magazzini di stoccaggio.
Alla elencazione di cui innanzi si aggiungono, quale fulcro dell’offerta e in veste di attrattiva massima per i visitatori, le zone espositive e le sale interattive.
L’equazione grandi spazi:ampia fruibilità=grandi consumi è una conclusione logica. Si stima che il consumo medio annuo di un museo sia compreso tra 780 e 1280 GW21, comprendendo l’illuminazione e la climatizzazione che, necessariamente, devono essere diversificate a seconda dell’area cui sono poste a servizio.
È di tutta evidenza che le sale espositive debbano dotarsi di una luce speciale che possa valorizzare l’opera (contemperando i “giochi” di luce artificiale e di luce naturale) e preservarla dal deterioramento connesso alla ricezione di ultravioletti22. Nonché di gradi di umidità che favoriscano la conservazione.
Con Decreto Ministeriale del 10.05.201123 sono stati introdotti limiti massimi di illuminazione e indicatori di dose massima di radiazione massima luminosa e ultravioletta cui possono essere sottoposte le varie opere che, costituite e create con materiali ovvero pigmenti differenti, sono dotate di un distinto grado di fotosensibilità. L’allineamento a tali indicatori, come ovvia conseguenza, comporta un costo immediato e un costo diluito nel tempo, in termini di adeguamento e spese di gestione e di utenze.
Nel quadro innanzi delineato, i consumi energetici legati al patrimonio dei beni culturali, è altissimo e sconta due limiti: 1) molte strutture si trovano a dover gestire impianti obsoleti con conseguenze su costi, sprechi e scarsa se non impossibile capacità di conservazione; 2) altri edifici hanno introdotto tecnologie ultramoderne, tuttavia non in linea con i principî di economia sostenibile.
4. Spunti per uno sviluppo sostenibile: la creazione di comunità energetiche locali con partecipazione dei musei in veste di Consumer e Prosumer – il Progetto “Grande Maxxi”.
I musei, alla luce di quanto fino a ora argomentato, oltre a svolgere un fondamentale ruolo sociale, inevitabilmente rivestono il ruolo di “consumatore”, andando a incidere sul PIL e rappresentando un costo per lo Stato. Inconsapevolmente, gli edifici ospitanti i beni culturali e di interesse culturale costituiscono anche una rilevante percentuale nei dati relativi agli sprechi, all’inquinamento e alla obsolescenza delle strutture.
Di contro, vi è il rovescio positivo della medagli, i musei, a livello nazionale possono contribuire (e lo stanno facendo, come si avrà modo di documentare nel seguito) all’attuazione di alcuni degli obiettivi delineati dall’Agenda 2030. Il che ci riporta alla chiamata in partecipazione, in maniera sinergica, di tutti gli operatori culturali, scientifici e del diritto, al fine di rendere gli immobili culturali il faro di una spinta alla socialità culturale, alla inclusione (intesa anche come lotta alla povertà favorendo la partecipazione delle classi più deboli), al miglioramento della qualità della vita, alla eliminazione degli sprechi anche con dimuzione dei costi di gestione, al rispetto dell’ambiente nell’interesse delle generazioni future. L’impatto zero richiesto in questo periodo, sta in ciò: una graduale riduzione dei consumi legati alla manutenzione degli immobili, alle “spese di bolletta” con pontenziale aumento del range di visitatori, consentendo un abbassamento dei costi di accesso.
La creazione di un museo ecocompatibile risponde a tutte queste esigenze e la ecocompatibilità raggiungerebbe un livello massimo laddove l’edificio ospitante l’immobile, lo spazio che include il sito archeologico, affiancassero alla veste di consumatore energetico, il ruolo di partecipante attivo del processo produttivo, quindi come soggetto calato all’interno di una Comunità Energetica.
Con la Direttiva 2018/2001 “RED II”24 si è imposto agli Stati Membri di autorizzare i cosumatori a costituirsi in produttori e autoconsumatori di energia elettrica rinnovabile a prezzi accessibili, di creare quindi, delle “associazioni di comunità” a carattere decentrato, con predisposizione di un quadro normativo che indichi i meccanismi e gli incentivi per il raggiungimento degli obiettivi di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili.
In particolare, l’art. 22 della Direttiva disciplina le Comunità Energetiche, tese all’autoconsumo elettrico e alla condivisione dell’energia prodotta.
Gli Stati membri sono stati obbligati a recepire la direttiva entro il 30.06.2021.
In Italia, nelle more del recepimento della Direttiva RED II, con il Decreto Legge 169/2019 “Milleproroghe”, all’art. 42 bis, è stata autorizzata l’attivazione dell’autoconsumo colettivo da fonti rinnovabili, ovvero la creazione e la realizzazione di comunità energetiche rinnovabili, con predisposizione della necessaria disciplina e delle condizioni per fruire degli incentivi.
Il D.L. è stato convertito in con Legge 8/202025 (con modifiche all’art. 42 bis) in parziale attuazione della Direttiva RED II, in particolare con riferimento agli artt. 21 e 22, introducendo una disciplina sperimentale e transitoria. La Legge demanda ad ARERA26 l’adozione dei provvedimenti attuativi.
La disciplina regolamentativa delle Comunità Energetiche prevede dei punti fondamentali, il rispetto dei quali consente di assumere lo status di C.E.:
– Possono parteciparvi, su base volontaria, in veste di produttori e/o clienti finali, persone fisiche, piccole e medie imprese, enti territoriali e enti locali, comprese le amministrazioni locali. Per le imprese private, la partecipazione all’associazione non deve costituire attività commerciale primaria.
– Ha, quale scopo, la condivisione e l’autoconsumo, attraverso infrastrutture per la produzione di energia, nel comune intento di fornire benefici ai propri associati ovvero alle aree locali. È un soggetto giuridico autonomo, nella forma di associazione, ente del terzo settore, cooperativa, cooperativa benefit, consorizio, partenariato, organizzazione senza scopo di lucro.
– La partecipazione deve essere garantita anche a clienti finali domestici, ubicati sul territorio locale prossimo, compresi quelli appartenenti a nuclei con basso reddito o vulnerabili.
– I soggetti partecipanti devono produrre energia utilizzando impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza complessiva non superiore a 1MW, entrati in esercizio successivamente all data di entrata in vigore dellla L. 8/2020 ed entro i 60 giorni successivi alla data di entrata in vigore del provvedimento di recepimento della Direttiva RED II.
– L’energia deve essere prodotta usando la rete di distribuzione esistente.
– L’energia deve essere condivisa per l’autoconsumo istantaneo ovvero attraverso sistemi di accumulo.
– L’energia elettrica prelevata dalla rete pubblica, compresa quella condivisa, deve essere assoggettata alla componenti tariffarie per copertura degli oneri generali di sistema.
– I punti di prelievo e i punti di immissione degli impianti di produzione alimentati da fonti rinnovabili devono essere ubicati su reti elettriche in bassa tensione, sottese, alla data di creazione dell’associazione, alla medesima cabina di trasformazione di medio/bassa tensione (cabina secondaria).
– Le comunità/associazioni devono dotarsi di uno Statuto che indichi la sede, l’oggetto sociale, lo scopo (non di lucro), la durata, la destinazione dei proventi ai fini del raggiungimento dell’obiettivo sociale, i diritti e gli obblighi dei soci, gli organi sociali e ogni altra informazione utile ai fini del riconoscimento degli incentivi27.
Si sono successivamente registrati ulteriori interventi volti ad apporre i necessari correttivi.28
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Individuata a grandi linee la disciplina delle Comunità Energeriche e alla luce delle considerazioni espletate in relazione al ruolo educativo, sociale, di aggregazione, di valorizzazione della identità locale dei musei e ai consumi energetici connessi al funzionamento degli immobili ospitanti beni culturali, v’è chi non veda la possibilità che il MUSEO possa partecipare attivamente all’interno di una Comunità Energetica nella duplice veste: consolidata di consumer29 e inedita di prosumer30.
Per comprendere appieno tali possibilità appare opportuno analizzare un esempio concreto: il Maxxi di Roma31.
In primo luogo, è d’ausilio analizzare il contesto nel quale il Museo Maxxi è calato: Roma. Il piano di rigenerazione globale che sta interessando questa città probabilmente è il punto dal quale tutte le altre comunità che intendano riappropriasi dei propri spazi culturali e farlo con un crisma di consapevolezza e a impatto zero, devono partire.
Per comprendere, illuminante la dichiarazione di Jeremy Rifkin32, resa nell’ambito dei lavori preparatori di un Master Plan per l’energia a Roma33:
“Duemila anni fa tutte le strade portavano a Roma, una città da cui si è partiti per il futuro della civilizzazione del mondo occidentale attraverso la combinazione di opere ingegneristiche importanti, sofisticati sistemi di trasporto e una prima forma di democrazia. L’Impero romano era un regime centralizzato per l’energia e per le comunicazioni con il potere economico e politico che fluiva dall’alto verso il basso e dal centro verso la periferia … Nella nuova era, Roma può diventare il primo di migliaia di nodi urbani, territori interconnessi energicamente attraverso la smart grid34… La strada da percorrere richiede un approccio sistemico che comprenda adeguatamente diversi aspetti: economici, energetici, ambientali, ma anche le dimensioni umane e sociali di un modello nuovo. Il successo della sfida non sarà solo funzione di una ingegneria innovativa, di nuove tecnologie e infrastrutture fisiche, ma saranno necessari meccanismi culturali e comportamentali in grado di valorizzare gli indivisui e le comunità, e assicurare una partecipazione equa nella trasformazione verso un mondo post-carbon35“.
È nell’alveo di queste nuove visioni che si inserisce il Progetto definito “Grande Maxxi” presentato il 10.02.2022, finanziato dal Piano Strategico “Grandi Progetti Beni Culturali”36 del Ministero della Cultura (15 milioni di euro), dalla linea di investimento 1.2 del PNNR di competenza del MiC (2,5 miloni di euro); dal Fondo MIMS37 (20 milioni di euro).
Il piano di lavoro prevede che, accanto alla struttura progettata da Zaha Hadid38, saranno creati nuovi spazi e ambienti sostenibili e polifunzionali. Nello specifico:
– Galleria Green: collegherà il giardino pensile dell’hub con l’edificio di Via Masaccio, con orti urbani che riforniranno i punti di ristoro interni alla struttura e saranno qualificati come orti didattici, coinvolgendo agronomi e cittadini.
– Innovation HUB: polo di ricerca e di sviluppo nel mondo dell’arte, dell’architettura, della creatività per la elaborazione di sensazioni, visioni, progetti di rigenerazione urbana. (Opera in questo settore una cordata formata da Fondazione Human Technopole, Sony Csl Paris, DTC Lazio – Centro di Eccellenza, Innova Camera, Lventure Group e Pi School).
– Centro di eccellenza per il restauro contemporaneo, in sinergia con istituzioni e scuole del settore.
– Maxxi accessibile per tutti, Maxxi Technology, Maxxi Storage: si propone di abbattere le barriere architettoniche ed economiche consentendo a una ampia platea di utenti e visitatori di vivere una esperienza tecnologicamente avanzata di partecipazione al museo con tecnologie indossabili, sistemi interattivi e sensoriali, ambienti immersivi. Ciò anche all’interno dei magazzini che non saranno più considerti come passaggio per lo smistamento ma vissuti direttamente dagli utenti.
La Fondazione, per la realizzazione dell’Hub e dell’area green, ha lanciato un Concorso nazionale di Idee (rivolto a gruppi mutlidisciplinari) conclusosi il 10.06.202239. Le opere di questo primo blocco dovrebbero vedere la luce nel 2026.
Emerge con chiarezza come la realizzazione di questi progetti, oltre al necessario capitale di partenza, preveda anche dei costi di gestione permanenti che incidono fortemente sui consumi di energia. In quest’ottica, la Fondazione Maxxi ha previsto un ulteriore restayiling che mira a rendere il polo museale carbon free. L’impatto ambientale “zero” sarà raggiunto attraverso la predisposizione di un piano pluriennale, che vede altresì la partecipazione del Ministero della Difesa e del Ministero della Cultura attraverso la sottoscrizione comune di una Lettera di Intenti che individua ulteriori aree che saranno cedute dal primo a vantaggio del secondo. Tali aree, insieme ad altri immobili di proprietà del Ministero della Difesa, andranno a costituire una Comunità Energetica in partnership con Enel. Il progetto, evidentemente studiato sulle opere di restauro ecosostenbile che hanno reso l’Aula Nervi40 uno degli impianti fotovoltaici più famosi del Mondo, è estremamente ambizioso poiché comporta la installazione di diverse tipologie di pannelli fotovoltaici che non dovranno interferire con il profilo architettonico dell’edificio (vetri fotovoltaici verticali e tegole fotovoltaiche invisibili), nonché la sostituzione delle caldaie a metano con pompe di calore. La illuminazione interna ed esterna sarà resa possibile con tencologia a led. È previsto un sistema di domotica che ottimizzi i consumi energetici e introduca un programma di riciclo, riuso e recupero delle acque meteoriche per irrigare le aree verdi e gli orti urbani.
La creazione della Comunità Energetica, di concerto con la sede del Demanio, consentirà al Maxxi di ottenere l’energia verde idonea a supportare tutte le necessità dei servizi che, terminato il Grande progetto, verranno a essere offerti agli utenti esterni nonché di quelli relativi alle aree private. Si stima che 1/3 sarà autoprodotta, i restanti 2/3 saranno forniti dalla CEFR.
È in questo senso che il Maxxi indosserà le vesti comuni di consumatore di energia (consumer) ma si presenterà anche nella inedita figura di parte attiva nel processo di creazione e produzione di Energia Verde (prosumer).
La Comunità Energetica Grande Maxxi rispetta tutti i critreri che le norme in vigore hanno introdotto ai fini del riconoscimento di tale qualifica. Naturlamente, per i dettagli di natura tecnica – anch’essi legislativamente disciplinati – si dovrà attendere la fine del progetto e l’effettivo avvio in concreto. I soggetti coinvolti e partecipanti, lo scopo sociale volto al raggiungimento del bene comune e all’assenza di lucro, le potanzialità di inclusione e di accesso a ogni categoria sono già visibili e ben si attagliano alla figura delle Comunità Energetiche.
5. Musei ecocompatibili in Italia e nel Mondo.
Accanto al progetto ambizioso del Maxxi di Roma vi sono, in Italia e nel resto del Mondo, altre realtà che hanno fatto della ecocompatibiltà una suggestione reale. Molti musei si sono dotati di codici etici che hanno elevato i concetti di sostenibiltà, lotta allo spreco e inclusione a vera e propria norma41 generale di comportamento.
Di seguito alcuni esempi e modelli concreti.
a. Mart di Rovereto – Museo d’Arte Moderna e Contemporanea42: dispone di un particolare software di controllo delle luci con un risparmio stimato in bolletta del 25% dei consumi. Favorisce e suggerisce anche buone pratiche ospitando convegni ed eventi dotati di certificazione CO2 zero.
b. Explora di Roma – Museo dei bambini43: è partner della campagna Energia Sostenibile per l’Europa (SEE). La struttura nasce come progetto di riqualificazione urbana del Comune di Roma di un vecchio deposito, ora protetto da un impianto fotovoltaico installato sul tetto che produce circa 40mila kWh di energia.
c. Museo Salvatore Ferragamo di Firenze44: nel 2016 ha ottenuto, come primo museo aziendale Green, lo “Standard internazionale ISO 14064”, relativo alla rendicontazione delle emissioni di CO2. È entrato a far parte di ICOM (v. nota 12).
d. Hermitage di San Pietroburgo45: l’installazione di lampade ad alta efficenza energetica consente il risparmio annuo di circa il 55% dell’energia elettrica.
e. Museo Quai Branly di Parigi46: ha eretto un “giardino verticale” di 800 mq che garantisce una minore dispersione termica e incrementa le aree verdi cittadine. Inoltre, sono stati installati pannelli fotovoltaici e sonde geotermiche per il riscaldamento.
e. California Academy of Sciences di San Francisco47: è dotato di un tetto verde esteso per circa 50 mila mq (progettato da Renzo Piano e ultimato nel 2008), che controlla e ricicla le acque reflue utlili alla sopravvivenza dei circa 46 milioni di esemplari di piante presenti nella struttura. Il tetto è anche fonte di energia e consente il mantenimento di una temperatura costante della struttura. L’aria condizionata è stata sotituita con finestre apribili, pannelli solari e 55 mila cellule fotovoltaiche. La struttura è composta dal strutture metalliche formate, per il 90%, da materiale riciclato. Inoltre, nel pieno rispetto della natura che lo circonda, il tetto ha un andamento sinuoso: si solleva in presenza di alberi ad alto fusto e in prossimità del planetarium e si abbassa dove c’è la piazza.
6. Conclusioni – Una finestra su Taranto.
Non v’è ostacolo alcuno perché anche Taranto, con il MArTa48 e con i varî siti archeologici dislocati nella immediata prossimità, possa intraprendere lo stesso cammino del Maxxi, con la collaborazione e il partenariato degli enti locali, dell’Autorità Portuale e della Marina Militare (alla quale si deve riconoscere un’importante opera di gestione del Castello Aragonese49).
Come tutti i più importanti musei nazionali ed esteri, anche il MarTa sta perseguendo una politica di inclusione50 e di riavvicinamento sfruttando l’onda lunga degli eventi che hanno visto Taranto protagonista indiscussa. Fra i tanti: Medimex, Tour dell’Orchestra della Magna Grecia51. Gli Ori di Taranto hanno anche ispirato la Maison Dior per la Collezione Cruise 2021.
Con il patrocinio del Ministero della Cultura, insieme all’Associazione Italiana per la Promozione della Festa della Musica, il MarTA ha altresì ospitato, il 21.06.2022, il Recovery Sound & Green Music Economy, nell’ambito della Festa della Musica. Un road tour che ha interessato diverse città della penisola italiana alla riscoperta dei luoghi nei quali anche la musica, tornando al passato, riscopre il contatto diretto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda.
Perché “Taranto è una città perfetta. Viverci è come vivere nell’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, Taranto vecchia, intorno i due mari, e i lungomari“52.
Quindi, una città con una importantissima risorsa: l’essere una città di mare, una città del Mediterreno perché “… nelle città del Mediterraneo è spesso così. Non trovi mai davvero quello che eri venuto a cercare. Forse perché questo mare, i porti che ha generato, le isole che culla, le linee e le forme delle sue rive rendono la verità inseparabile dalla felicità. L’ebrezza stessa della luce non fa che esaltare lo spirito di contemplazione53“. Ritorna, quindi, questa forma ciclica nella quale felicità, bellezza, luce, contemplazione, inclusione (non è forse questo il Manifesto stesso dei Musei!) si rincorrono per incontrarsi nell’uso collettivo, con il comune obiettivo di lasciare alle generazioni future le migliori opportunità possibili.
Oltre la visione poetica, v’è la certezza che Taranto e, nello specifico caso oggetto di trattazione, il MarTA – con la fitta rete di siti archeologici e di immobili ospitanti beni culturali e di interesse culturale – possa raggiungere l’obiettivo di carbon neutrality/carbon free, di inclusione e di abbattimento della povertà.
I progetti richiamati, i concreti esempi di ecocompatibiltà e inclusività dipingono un quadro ambizioso – ma possibile – che sembra protendere verso l’ideale di una COMUNITÀ, riappropiandosi del significato primigenio del termine: insieme di persone che hanno comunione di vita sociale, condividono gli stessi comportamenti e interessi54. Evidentemente non ha mai avuto torto chi ha immaginato la storia come un cerchio, una visione ciclica di qualcosa che ritorna: il vivere comune come negli antichi agglomerati urbani o villaggi, nei quali ogni azione e decisione erano improntate al bene comune.
Oggi sarebbe più semplice un passo indietro, una sorta di ritorno al futuro: il passato che rivive con la possibilità di sfruttare al meglio le tecnologie e le conoscenze acquisite, quasi a voler realizzare una riconversione delle “macchine” ponendole a servizio della natura55. E perché ciò si realizzi, è necessario operare in sinergia riconoscendo il ruolo dell’individuo, quale essere senziente e produttivo, nella comunità. La realizzazione di Comunità Energetiche, nello specifico ambito di cui ci occupa nel presente elaborato, che coinvolgano anche i poli museali e le strutture ospitanti beni culturali e di interesse comunale, la spinta individuale dell’uomo di legge, dell’uomo di cultura e dell’uomo di scienza devono convergere per la realizzazione di un progetto che non può più attendere i tempi lunghi della politica, riscoprendo un ruolo attivo dei professionisti coinvolti.
Il Qui e Ora ha smesso di essere un motto che campeggia sui cartelloni dei manifestanti ed è diventato un’esigenza vitale e urgente per la quale tutti devono offrire il loro contributo in veste di consumatori attenti e attivi, parte attivamente parte al processo di riconversione mentale e fattiva.
Note
1. In questa ottica si inserisce la proposta di legge Costituzionale n. 1402, presentata il 22.05.2014 a firma PELLEGRINO e altri: “Modifica all’articolo 1 della Costituzione, in materia di riconoscimento della bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale”.
2. La riforma dell’art. 9 Cost. rappresenta la prima modifica, dal 1984 a oggi, di uno degl articoli a tutela dei Principî Fondamentali (1-12 Cost.).
3. Per l’iter di approvazione www.riformeistituzionali.gov.it/it/la-riforma-costituzionale-in-materia-di-tutela-dell-ambiente/
4. In linea con la normativa europea: a) Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) che, all’art. 37 statuisce: “Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”; b) Trattatto sul funzinamento dell’Unione Europa il cui art. 191 recita: “La politica ambientale dell’Unione europea si fonda sull’articolo 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e ha come obiettivo la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente, nonché la protezione della salute umana”. La modifica costituzionale costituisce l’apice formale di un lavoro che, a livello sostanziale, il Paese aveva già portato avanti. La tutela ambientale e dell’ecosistema trovavano spazio e disciplina nell’art. 117 c. 2 Cost. rientrando nel novero della materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Come riportato nel testo, in ogni caso, l’intera Costituzione, fin dalla sua creazione, si è sempre mostrata un testo dinamico pronto al cambiamento. Si può individuare negli anni’80 il periodo storico nel quale gli interessi ambientali si sono manifestati con maggior forza all’interno della Carta.
5. “Il principio di precauzione è citato nell’articolo 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il suo scopo è garantire un alto livello di protezione dell’ambiente grazie a prese di posizione preventive in caso di rischio. Tuttavia, nella pratica, il campo di applicazione del principio è molto più vasto e si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. La definizione deve anche avere un impatto positivo a livello internazionale, al fine di garantire un livello appropriato di protezione dell’ambiente e della salute nei negoziati internazionali. Infatti, tale principio è stato riconosciuto da varie convenzioni internazionali e figura in special modo nell’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS) concluso nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Secondo la Commissione europea, il principio di precauzione può essere invocato quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, se questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza. Il ricorso al principio si iscrive pertanto nel quadro generale dell’analisi del rischio (che comprende, oltre la valutazione del rischio, la gestione e la comunicazione del rischio) e più particolarmente nel quadro della gestione del rischio che corrisponde alla fase di presa di decisione. La Commissione sottolinea che il principio di precauzione può essere invocato solo nell’ipotesi di un rischio potenziale, e che non può in nessun caso giustificare una presa di decisione arbitraria. Il ricorso al principio di precauzione è pertanto giustificato solo quando riunisce tre condizioni, ossia: 1) l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi; 2) la valutazione dei dati scientifici disponibili; 3) l’ampiezza dell’incertezza scientifica. Le autorità incaricate della gestione del rischio possono decidere di agire o di non agire, in funzione del livello di rischio. Se il rischio è alto, si possono adottare varie categorie di misure. Si può trattare di atti giuridici proporzionati, del finanziamento di programmi di ricerca, di misure d’informazione al pubblico, ecc. Tre principî specifici devono sottendere il ricorso al principio di precauzione: 1) una valutazione scientifica la più completa possibile e la determinazione, nella misura del possibile, del grado d’incertezza scientifica; 2) una valutazione del rischio e delle conseguenze potenziali dell’assenza di azione; 3) la partecipazione di tutte le parti interessate allo studio delle misure di precauzione, non appena i risultati dalla valutazione scientifica e/o della valutazione del rischio siano disponibili. Inoltre, i principî generali della gestione dei rischi restano applicabili allorché il principio di precauzione viene invocato. Si tratta dei cinque seguenti principi: la proporzionalità tra le misure prese e il livello di protezione ricercato; la non discriminazione nell’applicazione delle misure; la coerenza delle misure con quelle già prese in situazioni analoghe o che fanno uso di approcci analoghi; l’esame dei vantaggi e degli oneri risultanti dall’azione o dall’assenza di azione; il riesame delle misure alla luce dell’evoluzione scientifica. Nella maggior parte dei casi, i consumatori europei e le associazioni che li rappresentano devono dimostrare il pericolo associato a un processo o a un prodotto messo sul mercato, eccezione fatta per i medicinali, i pesticidi o gli adittivi alimentari.Tuttavia, nel caso di un’azione presa a titolo del principio di precauzione, si può pretendere che sia il produttore, il fabbricante o l’importatore a dimostrare l’assenza di pericolo. Questa possibilità deve essere esaminata caso per caso; non può essere estesa a livello generale all’insieme dei prodotti e dei processi messi sul mercato” – www.eur_lex.europa.eu
6. Ingegnere e ordinario di Fisica tecnica ambientale presso l’Università di Roma La Sapienza; responsabile dell’Energia della Sapienza dove ricopre il ruolo di energy manager; è stato Preside della facoltà di Architettura Valle Giulia; ha fondato e diretto per dieci anni il corso di laurea in Gestione del processo edilizio; attualmente è direttore del Centro di Ricerca CITERA (Territorio, Edilizia, Restauro e Ambiente) della Sapienza e direttore del master di primo livello in Gestione immobiliare integrata-Global Service MGS; coordinatore del dottorato di ricerca Risparmio energetico e microgenerazione distribuita presso “La Sapienza” Università di Roma. Nell’ottobre 2012 è stato eletto Presidente dell’Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria, Riscaldamento Refrigerazione per il triennio 2014-2016. È presente nel Comitato Direttivo del Coordinamento Fonti Rinnovabili e Efficienza Energetica; è membro del Consiglio Direttivo dell’International Solar Energy Society Italia e del Consiglio Direttivo del Comitato Termotecnico Italiano; coordina il Gruppo di Lavoro Nazionale per le Linee Guida sull’Efficienza Energetica per il Patrimonio Culturale, Ministero dei Beni Culturali. Ha scritto il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile di Roma Capitale all’interno dell’impegno del Patto dei Sindaci. Autore di Le Comunità dell’Energia (Quodlibet, 2011) e del Manifesto “Territorio Zero” (Minimum Fax, 2012), di 11 testi universitari e di circa 150 pubblicazioni del settore. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Eurosolar per la progettazione dell’impianto fotovoltaico della copertura dell’Aula delle Udienze Paolo VI (Aula Nervi), Città del Vaticano, 2008; REHVA SCIENCE AWARD (Federazione delle Associazioni Europee del Condizionamento dell’aria, Riscaldamento, Refrigerazione), 2009; premio Forum PA per la programmazione energetica della Sapienza, 2011 – http://www.aracneeditrice.it
7. L. de SANTOLI , Le Comunità dell’Energia, Roma, Quodlibet, 2011 (pag. 16).
8. L’orientamento interpretativo offerto dalla Corte Costituzionale circa la definzione di coordinamento e indirizzo è in termini di “bilanciamento” tra i varî interessi costituzionali tutelati. Uno spunto in tal senso è stato fornito dalla decisione n. 58/2018 con la quale la Consulta precisa e ribadisce, rispetto alla precedente decisione n. 85/2013, che il diritto alla salute non può soccombere di fronte alla libera inziativa economica, essendo necessario un bilanciamento tra i diversi interessi costituzionalmente rilevanti.
9. Nelle scienze ambientali ed economiche, condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei biosgni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Secondo la definizione proposta nel rapporto Our Common Future, pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (Commissione Brundtland) del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente – www.treccani.it
10. Il Summit della Terra tenutosi a Rio de Janeiro dal 3 al 4 giugno 1992 ha costituito un evento senza precedenti. Per la prima volta i “Grandi della Terra” si sono riuniti in una Conferenza Mondiale sull’Ambiente. La tutela dell’ambiente viene posta sullo stesso piano dello sviluppo economico e sociale. Il Summit ha condotto alla sottoscrizione di tre accordi internazionali – non vincolanti – e di due Convenzioni – vincolanti. Accordi: 1. Agenda 21: piano di azione per il miglioramento della qualità della vita e per lo sviluppo sociale ed economico in armonia con l’ambiente. Suddivisa in quattro sezioni: 1. dimensioni economiche e sociali; 2. conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo; 3. rafforzamento del ruolo delle forze sociali; 4. strumenti di attuazione. 2. Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo: enumera 27 linee guida, in termini di diritti e obblighi delle nazioni, per uno sviluppo sostenibile. Introduce un principio cardine: la crescita economica di lungo periodo è possbile solo se in armonia con la tutela dell’ambiente. Inoltre, nel pieno rispetto delle concrete possibilità/capacità/attitudini di ciascuno Stato, attribuisce responsabilità “comuni ma differenziate”. 3. Dichiarazione dei principî per la gestione sostenibile delle foreste: pone l’accento sull’utilizzazione sostenibile delle foreste attraverso la predisposizione di linee guida per azioni di salvaguardia. Convenzioni: 1. Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui camabiamenti climatici: pone quale obiettivo la stabilizzazione/riduzione delle emissioni di gas serra. Diventerà vincolante solo con il Protocollo di Kyoto ratificato nel 2003. 2. Convenzione sulla biodiversità: introduce tre obiettivi sostanziali: a. conservazione della diversità biologica; b. uso sostenibile delle componenti della diversità biologica; 3. ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche. Fonti: www.are.admin.ch; www.eur-lex.europa.eu; www.treccani.it
11. Nel 1987, Gro Harlem Brundtland, presidente della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED,) istituita nel 1983, presenta il rapporto Our common future, formulando una linea guida per lo sviluppo sostenibile ancora oggi valida. Il rapporto Brundtland constatava che i punti critici e i problemi globali dell’ambiente sono dovuti essenzialmente alla grande povertà del sud e ai modelli di produzione e di consumo non sostenibili del nord. Il rapporto evidenziava quindi la necessità di attuare una strategia in grado di integrare le esigenze dello sviluppo e dell’ambiente. Questa strategia è stata definita in inglese con il termine sustainable development, attualmente di largo uso, e tradotto successivamente con «sviluppo sostenibile». La definizione data al concetto di «sviluppo sostenibile» è stata allora la seguente: “Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” – www.are.admin.ch
12. ICOM – International council of museums. Organizzazione internazionale dei musei e dei professionisti museali impegnata a preservare, ad assicurare la continuità e a comuicare il valore del patrimonio culturale e naturale mondiale, attuale e futuro, materiale e immateriale. È associato a UNESCO e gode dello status di organismo consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) – www.icom-italia.org
13. Kyoto 2019, Working Group on Sustainability – WGS – 25^ Conferenza Generale (2-9 settembre)
14. L’Associazione Nazionale dei Musei Scientifici (ANMS) nasce nel 1972 come strumento di diffusione della museologia scientifica in Italia e di collegamento fra le Istituzioni e gli operatori interessati. L’azione dell’ANMS si sviluppa attraverso l’organizzazione di congressi, convegni, seminari, incontri tematici che favoriscono lo scambio delle opinioni e l’aggiornamento, la pubblicazione della rivista specializzata Museologia Scientifica che permette un continuo flusso di notizie fra i Musei – www.anms.it
15. “Il titolo (e la scelta dei temi) tiene conto dell’appartenenza del Museo ospitante e dei suoi ruoli nell’ambito della relazione/azione nell’ambiente e nel territorio. Sarà stimolante per tutti noi discutere dei rapporti musei scientifici-territorio, in particolare con le aree naturali protette, con esempi di gestione concreti e di successo. Il tema è fortemente sentito a livello internazionale (UNESCO ed EU). La visione postmoderna del Museo è quella di una Istituzione al servizio dei pubblici, delle comunità, del territorio. Non a caso, i musei pubblici presentano progetti e programmi regolati dalle normative istituzionali: visione, missione, bilancio performance, advocacy, rendicontazione, client, impatto sociale, accreditamento, trasparenza e accountability. I temi includono le attività standard e classiche museali di ricerca e conservazione, documentazione, memoria, ma includono anche le ultime direttive UNESCO, EU, sull’ uso “integrato” del patrimonio per il benessere locale e il miglioramento della qualità della vita delle popolazioni e del Pianeta (vedi ad esempio la Convenzione di Namur del 2015 e la Convenzione di Faro del 2005). Temi come ricerca, conservazione, revisione delle politiche sulla biodiversità, sostenibilità dei luoghi, città sostenibili, aree protette, ecc. saranno il centro del dibattito di almeno una sessione di lavoro. Sarà certamente stimolante conoscere progetti, iniziative, programmazioni dei nostri Musei sui temi congressuali e delineare insieme prospettive future” – www.anms.it
16. www.museumsassociations.org – Sustainability and museums
17. https://www.museumvereniging.nl/media/nmv_more_than_worth_it.pdf
18.https://www.happymuseumproject.org/wp-content/uploads/2013/11/HM_LearningEvaluation_SummaryReport2-1.pdf
19. Report Istat, Musei e istituzioni similari in Italia, anno 2020 – www.istat.it/it/archivio/266363
20. Otto strutture espositive su 100 non riaprono dopo il lockdown, www.istat.it/it/archivio/266363 (pag. 7)
21. GW è l’unità di misura della potenza, pari a 10/9 watt (1 GW = 1.000.000.000 W). È usata soprattutto per misurare la potenza prodotta su grande scale, utilizzando le diverse fonti di energia, www.treccani.it
22. “È noto che le radiazioni a corta lunghezza d’onda risultano particolarmente dannose per materie sensibili come la seta, la carta, pelli e i pgimenti organici (molto spesso le opere di arte contemporana sono costituite proprio da materiali organici). L’emissione luminosa (anche di sorgenti artificiali) è sempre accompagnata da radiazioni ultraviolette e, tuttavia, quand’anche queste fossero assenti, su materiali sensibili provocano danno anche le radiazioni del primo visibile: per intenderci quella che viene definita luce blu, oggi utilizzata in modo spesso sconsiderato. Gli effetti dell’energia ricevuta nel tempo si sommano e possono deteriorare rapidamente gli oggetti e i materiali edili. Ancora oggi molti musei espongono le opere sensibili alla luce naturale che, soprattutto quando proviene dal cielo, è ricca di radiazioni ultraviolette blu”, C. BALOCCO, Energia nei musei in Musei illuminati. L’uso dell’energia nei musei e nelle aree archeologiche, Roma, 2010, Civita Associazione, SCMSGR, pag.56
23. D.M. 10.05.2001, Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (Art. 150 c. 6 D.L. 112/1998) in Gazzetta Ufficiale, serie Generale n. 224 del 19.10.2001, Supll. Ordinario n. 238, www.beniculturali.it
24. La Direttiva (UE) 2018/2001 dispone che gli Stati membri, entro il 2030, provvedano a consentire un incremento della quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell’Unione almeno pari al 32% (art. 1, c. 3, par. 1) e della quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti almeno al 14% del consumo finale in tale settore (art. 25, par. 1).Gli Stati membri devono fissare i contributi nazionali per il conseguimento collettivo di tale obiettivo vincolante all’interno dei rispettivi Piani nazionali integrati per l’energia e il clima-PNIEC (art. 3, par. 1). All’interno del PNIEC sono contenuti anche gli obiettivi 2030 per cui, nella Direttiva e in funzione del raggiungimento dei goals, sono inotrodotti principî e criteri per diciplinare il sostegno finanziario all’energia elettrica da fonti rinnovabili; l’autoconsumo dell’energia elettrica prodotta da tali fonti; l’uso di energia da FER nel settore del riscaldamento e raffrescamento nel settore dei trasporti; la cooperazione tra Stati membri e tra questi e i paesi terzi su progetti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; la garanzia di origine dell’energia da FER, le procedure amministratvie improntate a garantire un favor per la produzione da FER e l’informazione e la formazione sulle FER – www.temi.camera.it
25. In Gazzetta Ufficiale n. 51 del 29.02.2019.
26. ARERA: Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente
27. www.energyinetlligence.it
28. a. Documento ARERA n. 112/2020/R/EEl di attuazione dell’art. 42 bis; b. Delibera ARERA 318/2020/R/EEL; c. Decreto MiSe del 16 settembre 2020 (tariffa incentivante impianti a fonti rinnovabili delle configurazioni sperimentali di autoconsumo collettivo e comunità energetiche rinnovabili); d. Regole tecniche GSE del 22.12.2020 (accesso a valorizzazione e incentivazione energia elettrica condivisa); e. Consultazione GSE del 04.03.3032; D. Lgs. 199/2021 di definitivo recepimento della Direttiva RED II
29. Consumatore di beni commerciali, spec. in quanto fa parte di associazioni per tutelare i propri interessi – www.treccani.it
30. è una crasi dei termini producer e consumer che indica un consumatore che è a sua volta produttore o, nell’atto stesso che consuma, contribuisce alla produzione – www.treccani.it
31. Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, inaugurato nel 2010 e gestito dall’omonima Fondazione, costituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il MAXXI è uno dei tre poli museali romani dedicati all’arte contemporanea, inaugurato nel 2010 e gestito dall’omonima Fondazione, costituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il MAXXI è uno dei tre poli museali romani dedicati all’arte contemporanea, insieme al Museo di Arte Contemporanea di Roma (MACRO) e alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (GNAM). Ubicato nell’edificio progettato dall’architetto anglo-irachena Zaha Hadid, il MAXXI ospita due distinti musei: MAXXI Architettura, comprendente anche una sezione dedicata alla fotografia e una bibliomediateca, e MAXXI Arte, che si propone di valorizzare la creatività italiana e internazionale più recente con particolare attenzione per quei fenomeni artistici che pongono al centro dell’indagine l’individuo umano, secondo una linea ideale che parte dalla tradizione dell’Umanesimo italiano. Tale progetto si realizza attraverso l’incremento delle collezioni permanenti, nonché tramite la promozione di attività sperimentali, la commissione di opere e interventi site-specific o l’istituzione di concorsi e premi – www.treccani.it
32. Economista statunitense. Fondatore e presidente della Foundation on Economic Trends (FoET), nata nel 1977 per studiare l’impatto che le innovazioni scientifiche e tecnologiche hanno sull’economia, la società e l’ambiente. Considerato come uno dei maggiori analisti della società postfordista, è attivo come ambientalista e consulente per le politiche ambientali della Commissione e del Paralmento europei – www.treccani.it
33. J. Rifkin Team, The Third Industrial Revolution Mater Plan to Transition Rome into the World’s First Post-Carbon Biosphere City, presentato a Roma il 31.10.2010
34. Insieme di reti di informazione e reti di distribuzione dell’energia elettrica. È una rete detta intelligente in quanto ottimizza la distribuzione dell’energia elettrica, decentralizza le centrali di produzione dell’energia e minimizza i sovraccarichi e le variazioni della tensione elettrica – www.acea.it
35. In L. de Santoli, Le Comunità dell’Energia, Roma, Quodlibet, 2011 (pag. 53).
36. Approvato dalla Conferenza Unificata delle Regioni in data 09.02.2022, ha disposto un fondo di 200 milioni di euro da destinare a 38 progetti e 3 nuove acquisizioni del patrimonio dello Stato – www.cultura.gov.it
37. Fondo delle Infrastrutture e della Mobilità per gli interventi infarstrutturali di conservazione, manutenzione, riqualificazione, restauro e valorizzazione dei beni culturali e degli spazi, anche verdi, a essi strumentali.
38. Architetto irachena naturalizzata britannica. Prima donna a vincere il premio Pritzker (20004), massimo riconoscimento nell’ambito dell’architettura. Ha disegnato un nuovo modo di concepire lo spazio architettonico come necessariamente interconnesso alla politica, alla geologia e al paesaggio del luogo nel quale le opere sono inserite. Il dialogo spazio culturale coinvolge anche l’uso di tecnologie e materaili innovativi.
39. Il concorso è stato vinto dallo studio italo-francese LAN. La Commissione, costituita da Giovanna Melandri (presidente della Fondazione Maxxi), Petra Baisse, Maria Claudia Clemente, Mario Cucinella e Lorenzo Mariotti, ha così motivato la scelta: “Il rapporto con il contesto urbano, la presenza di un giardino pensile generoso e accessibile e allo stesso tempo di forte valore architettonico, come una specie di ordine gigante verde che domina e caratterizza l’edificio anche a grande distanza. Il progetto costitusce inoltre un rapporto virtuoso ed efficiente sia con la piazza Boetti che con l’affaccio su Via Masaccio e prevede una buona flessibilità nell’organizzazione delle funzioni e degli spazi a loro destinati. L’ampia presenza di aree verdi, sia nell’area del nuovo edificio, sia nell’area interessata dal concorso (zona B) e l’uso di tecniche costruttive “a secco” contribuiscono in modi diversi al tono “sostenibile” dell’intervento” – www.archiportale.com
40. Aula delle Udienze “Paolo VI” in Vaticano ha precorso i tempi poiché, fin dalla sua progettazione e costruzione (1964 – 1971) era orientata al risparmio energetico: sui tetti erano stati posizionati tegolini in calcestruzzo con funzione di schermo dalla radiazioni solari per evitare il surriscaldamento e limitare la potenza frigorifera per il raffeddamento dell’aula sottostante (copertura Nervi). Il nuovo progetto si è posto un obbligo fondamentale, necessario peraltro in tutte le ristrutturazioni che coinvolgono beni di interesse culturale, di rispetto della struttura e delle architetture primigenie ma anche dell’ambiente in cui la struttura stessa è calata. È stato, pertanto, installato un impianto fotovoltaico con pannelli inclinati a sostituzione dei tegolini in calcestruzzo. La inclinazione dei pannelli è rimasta inalterata rispetto a quella dei tegolini poiché subordinata alla esposizione della Basilica di San Pietro. Il pannello fotovoltaico assolve alla precedente funzione di schermatura dalle radiazioni solari e, in via innovativa, trasforma parte della quantità assorbita in energia utile. Ciò è stato reso possibile sfruttando la esposizione della struttura: sui tegolini esposti a sud sono stati impiantati pannelli fotovoltaici, sui tegolini esposti a nord sono stati installati materiali diffondenti volti ad aumentare la capacità di captazione dei pannelli – L. de Santoli, Le Comunità dell’Energia, Roma, Quodlibet, 2011 (pagg. 27-31)
41. Codice etico della UK Museum Association del 2008 che attribuisce ai musei il compito di migliorare la qualità della vita di ogni persona – www.museumassociation.org; Statuto della Netherland Association per cui il valore di un museo risiede nella capacità educativa, esperenziale, relazionale e nella garanzia di benessere che siano fornite agli utenti – www.museumverenuging.nl; Museums Australia ha pubblicato, nel 2001, una dichiarazione di intenti con principî generali sulla sostenibilità – www.museumaustralia.org
42. Ospita collezioni che variano dal Futurismo alla Metafisica, fino all’arte contemporanea e sperimentale. La sede è situata in due palazzetti del ‘700 ed è stata progettata dall’architetto svizzero Mario Botta, in collaborazione con l’ingegner Giulio Andreolli
43. Primo Children’s Museum privato no profit. Nato nel 1994 dalla collaborazione con l’Associazione Museo dei Bambini e l’Istituto di Psicologia del C.N.R. e il Comune di Roma
44. Sorto nel 1995, è un “museo aziendale” che racconta la storia della Società Ferragamo e delle sue creazioni. A partire dal 2006, con lo scopo di allinearsi alla dinamcità delle collezioni Ferragamo, ogni anno indossa “vesti” diverse coinvolgendo artisti, architetti, designer, filosofi, con allestimenti diversi a carattere stagionale… come una sfilata di moda.
45. Istituito e avviato fin dal 1764, faceva parte di un complesso archiettonico ospitante gli zar della dinastia Romanov. Comprende il Palazzo di Inverno, il Piccolo Ermitage, il Grande Ermitage, il Nuovo Ermitage, il Teatro dell’Ermitage.
46. Di recente fondazione, 2006, situato a pochi passi dalla Torre Eiffell, museo etnologico di cultura primitiva di Asia, Africa, Oceania e Americhe. Nato dal progetto di J. Nouvel.
47. Situtato nel Golden Gate Park
48. Nato nel 1887 grazie al grande lavoro di Luigi Viola (prima professore di latino e greco e, successivamente, archeologo). Ha sede nell’ex convento di San Pasquale (o dei Frati Alcantarini). Costruito poco dopo la metà del XVIII secolo, l’edificio è stato ingrandito e risistemato in varie fasi, a partire dal 1903, epoca della ricostruzione delle facciate su progetto di Guglielmo Calderini, mentre l’ala settentrionale è stata progettata da Carlo Ceschi e realizzata tra il 1935 ed il 1941. A partire dal 1998 sono iniziati i lavori di ristrutturazione che hanno portato al completamento del Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTa con l’allestimento del II piano del museo (inaugurato il 29 luglio 2016). Il percorso espositivo, che tiene conto delle caratteristiche dei materiali della raccolta museale e della possibilità di riferire ai contesti di scavo la maggior parte dei reperti, illustra la storia di Taranto e del suo territorio dalla Preistoria all’Alto Medioevo, sviluppandosi diacronicamente dal secondo al primo piano: periodo preistorico e protostorico, periodo greco (senza tralasciare le tematiche dei rapporti dinamici con il mondo indigeno preromano), periodo romano, periodo tardoantico e altomedievale. Il percorso inizia dal secondo piano che mostra le fasi più antiche della storia dell’insediamento in Puglia (Paleolitico e Neolitico) per giungere alla fondazione della colonia greca e alla città classica ed ellenistica. Il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, al piano mezzanino, possiede anche una collezione di quadri che nel 1909 confluirono nelle collezioni del Regio Museo di Taranto per disposizioni testamentarie del Monsignor Giuseppe Ricciardi, vescovo di Nardò, che volle donarli alla sua città natale. Oltre ad una bellissima icona bizantina ed una Addolorata piangente su lastra di zinco, gli altri diciotto quadri, tutti con soggetti di ispirazione religiosa, sono dipinti ad olio su tela e si inquadrano fra XVII e XVIII secolo. La maggior parte degli altri quadri rientra nella produzione napoletana, con attribuzioni alla scuola di Luca Giordano, Andrea Vaccaro e Francesco De Mura. I quadri più recenti, l’Addolorata fra i Santi Nicola e Barbara e la Deposizione, sono stati riferiti invece ad un artista pugliese, Leonardo Antonio Olivieri di Martina Franca – www.beniculturali.it
49. Il Castello di Taranto, chiamato Castel S. Angelo, è ubicato vicino ad un’antica depressione naturale del banco di roccia sopra cui sorge il borgo antico della città e consiste fondamentalmente in una ricostruzione Aragonese di una precedente fortezza normanno-sveva-angioina costruita nello stesso punto ma avente caratteristiche molto diverse poiché era un tipico castello medievale con numerose torri alte e sottili costruito sopra una precedente fortificazione bizantina che aveva le fondamenta poggiate su strutture risalenti al periodo greco (IV-III secolo a.c.). Il miglioramento dell’ artiglieria nel XV secolo, rese i castelli medievali obsoleti poiché le loro sottili mura non potevano più resistere contro i cannoni degli attaccanti né permettere il loro uso da parte dei difensori. La conquista di Otranto da parte dei turchi nel 1480 dimostrò chiaramente che questo tipo di fortificazione era ormai inadeguato. Il re di Napoli, Ferdinando d’ Aragona, decise pertanto di rinforzare le difese costiere del reame. In questo contesto, tra il 1487 e il 1492, il Castello di Taranto fu ricostruito seguendo forse lo specifico progetto del grande architetto senese Francesco di Giorgio. Il nuovo castello aveva una forma vagamente reminescente quella di uno scorpione con cinque torri rotonde ubicate agli spigoli della costruzione. Queste torri più basse e più larghe delle precedenti, ricevettero il nome di S. Cristoforo, San Lorenzo e Sant’ Angelo per le tre di fronte l’attuale canale navigabile, mentre l e due di fronte il borgo antico furono chiamate Annunziata e Bandiera. Torri e mura erano della stessa altezza, 21 metri, e quasi dello stesso spessore, circa 8 metri; tutte le torri avevano un diametro di 18 metri eccetto San Cristoforo che era 10 metri più larga. Verso il Mar Grande, in accordo con il probabile progetto di Francesco di Giorgio, fu aggiunto nel 1491, un puntone triangolare, (vero prototipo del bastione del XVI sec, erroneamente chiamato rivellino ), per rinforzare la cortina meridionale e migliorare la capacità di difesa di fiancheggiamento dell’ accesso al fossato che fu ampliato sino a collegare il Mar Grande con il Mar Piccolo. Le fortificazioni del XV sec. ebbero elevate qualità estetiche ma una validità militare piuttosto effimera a causa del rapido progresso dell’artiglieria. Gli spagnoli, che succedettero agli Aragonesi nel 1502, ampliarono le piattaforme sommitali per facilitare il movimento e uso dell’artiglieria. Essi riempirono anche di terra molte delle gallerie intramurali e le casematte superiori delle torri per rinforzarle e per ottenere postazioni per l’artiglieria sulla sommità delle torri. Nonostante gli interventi spagnoli, la fortezza perse progressivamente validità militare e dopo aver avuto un ruolo fondamentale, in numerose battaglie, respingendo in particolare l’ assalto turco nel 1594, finì per essere utilizzata come prigione e come caserma. Questa diversa utilizzazione ha portato alla frammentazione dei locali interni con la chiusura di passaggi e corridoi. In aggiunta a ciò, le aumentate esigenze residenziali unite al basso costo di intonaco e cemento, hanno portato all’uso massiccio di questi materiali per ricoprire muri e pavimenti allo scopo di migliorare le condizioni igieniche. Il castello, comunque, è rimasto sostanzialmente intatto eccetto che per la torre di S. Angelo, demolita nel 1883 per fare posto al ponte girevole. A partire dal 2003, la Marina Militare, custode del castello dal 1883, ha iniziato il restauro sistematico dell’interno della fortezza con l’intento di riportarla alla configurazione Aragonese e di identificare le precedenti strutture greche, bizantine, normanne, svevo-angioine. Il restauro interno, effettuato dal personale della Marina Militare, sotto la supervisione della locale Sovrintendenza ai beni Architettonici, consiste essenzialmente nella rimozione dell’intonaco e cemento per riportare alla luce le superfici originarie di mura e pavimenti nella riapertura di corridoi, locali e passaggi, per ristabilire, inoltre, la permeabilità del castello e ristabilire la funzionalità dei vari elementi difensivi. Durante queste attività sono state scavate grandi quantità di terra in collaborazione con l’Università di Bari, sotto la supervisione della Sovrintendenza ai beni Archeologici, portando alla scoperta di numerosi reperti dei diversi periodi che abbracciano quasi tremila anni di storia – www.castelloaragonesetaranto.com
50. In collaborazione con il CNTHI (Centro per le nuove Tecnologie per l’Handicap e l’Inclusione) ha avviato un programma di ricerca per la eliminazione delle barriere architettoniche, sensoriali e comunicative che possa limitare l’esperienza museale dei visitatori.
51. Il MarTA è divenuto resideza artistica del Maetro Dario Marianelli (vincitore, nel 2008 dell’Oscar e del Golden Globe per migliore colonna sonora con Espiazione) con l’intento di comporre un quadro sonoro dedicato al Museo.
52. P. P. PASOLINI, La lunga strada di sabbia, fotografie di P. SÉCLIER, Edizioni Contrasto, Roma, 2005
53. J. C. IZZO, Aglio, menta e basilico – Marsiglia, il noir e il Mediterraneo, Edizioni E/O, Roma, 2014
54. www.treccani.it
55. Idea sviluppata anche da Miyazaki in “Conan ragazzo del futuro”, serie televisiva del 1978 che si conclude con un messaggio positivo e a carattere ambientalista: la tecnologia negativa è rappresentata da una nave che sprofonda e si incunea negli abissi ma sulla quale, nel corso del tempo, nascono e si sviluppano nuove vegetazioni che mantegono in equlibrio l’ecosistema.
Bibliografia
– F. FRACCHIA, Sviluppo sostenibile e diritti delle generazioni future in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, Giappichelli editore, Torino, 2010
– Come si fa una comunità energetica – Una storia vera di transizione alle energie rinnovabili, a cura di M. MARIANO, Altraeconomia, 2020
– L. de SANTOLI , Le Comunità dell’Energia, Roma, Quodlibet, 2011
– L. de SANTOLI , Energia per la gente – Il futuro di un bene comune, Roma, Castelvecchi, 2021
– J. RIFKIN, La terza rivoluzione industriale – Come il “potere laterale” sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo, Mondadori, Milano, 2018
– Musei Illuminati L’uso dell’energia nei musei e nelle aree archeologiche, a cura di Civita Associazione e SCMSGR, 2010
– P. P. PASOLINI, La lunga strada di sabbia, fotografie di P. SÉCLIER, Edizioni Contrasto, Roma, 2005
– J. C. IZZO, Aglio, menta e basilico – Marsiglia, il noir e il Mediterraneo, Edizioni E/O, Roma, 2014
– I mondi di Miyazaki Percorsi filosofici negli universi dell’artista giapponese, a cura di M. BOSCAROL, Mimesis/Il caffè dei filosofi, 2016
Sitografia.
– www.riformeistituzionali.gov.it
– www.eur-lex.europa.eu
– www.aracneeditrice.it
– www.treccani.it
– www.are.admin.ch
– www.icom-italia.org
– www.anms.it
– www.museumassociation.org
– www.museumvereniging.nl
– www.happymuseumproject.org
– www.istat.it
– www.beniculturali.it
– www.temi.camera.it
– www.energyintelligence.it
– www.acea.it
– www.cultura.gov.it
– www.archiportale.com
– www.museumaustralia.org
– www.castelloaragonesetaranto.com
Gli animali in giudizio, Contenziosi costituzionali, civili, penali, amministrativi, contabili, tributari, comunitari sugli “esseri senzienti non umani”. Normativa, giurisprudenza, dottrina. Vito TENORE di Lugi Carbone Assegnista di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico […]
Libri
Gli animali in giudizio, Contenziosi costituzionali, civili, penali, amministrativi, contabili, tributari, comunitari sugli “esseri senzienti non umani”. Normativa, giurisprudenza, dottrina.
Vito TENORE
di Lugi Carbone
Assegnista di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Trieste
Anche gli “esseri animali”, e non solo gli “esseri umani”, fanno lavorare tutte le magistrature! Il contenzioso originato dagli esseri animali e dai loro padroni o detentori (rectius “conduttori”) è diventato davvero rilevante e diffuso. La produzione giurisprudenziale in sede civile, penale, amministrativa, contabile, tributaria e persino costituzionale ed europea (CGUE) è dunque poderosa e crescente.
Mancava tuttavia nel pur vasto panorama bibliografico che riguarda il mondo animale, uno studio grandangolare sui tanti contenziosi occasionati dagli “amici dell’uomo” innanzi ai Tribunali: liti condominiali, assegnazione di cani e gatti in sede di separazione tra coniugi, liti ereditarie, aggressioni e lesioni ad opera di animali, imbrattamenti di aree comuni ad opera di animali, fauna selvatica (cinghiali, orsi, lupi e volatili) e danni arrecati, maltrattamenti ad animali, doping animale, uso di animali nei circhi, divieti di ingressi in spiagge e condomini, immissioni acustiche e disturbo della pubblica quiete per latrati notturni, abbandono di animali, furto di animali etc. etc.
Questo volume, alla luce del propulsivo referente costituzionale (art. 9), della vigente normativa, generale e speciale, della attenta dottrina intervenuta, ma soprattutto alla luce dell’ampia produzione giurisprudenziale, delinea un quadro sistematico e approfondito delle molteplici questioni giuridiche originate dal mondo animale, in attesa di interventi normativi più incisivi sia sulla tutela dell’essere animale, ad oggi mera “res” vivente, e non ancora “soggetto (limitato) di diritto”, sia sulla tutela delle vittime di aggressioni, o di condotte poco igieniche dei conduttori di animali.
Un testo di basilare ausilio per avvocati, magistrati, associazioni ambientaliste e di difesa degli animali, funzionari pubblici preposti all’ambiente ed alla fauna, associazioni sportive, Forze di Polizia, ma utilissimo per ogni proprietario o amante di animali che voglia con consapevolezza convivere con il mondo degli esseri sensienti non umani.
Il testo si connota per una chiarezza espositiva che lo rende ben fruibile ad una utenza di lettori non limitata ai giuristi, ma a qualsiasi lettore che ami il mondo animale o voglia meglio conoscerlo.
L’IMPORTANZA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI PER IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI SDGS DELL’AGENDA 2030 Marina Ione SOMMARIO: 1) l’Agenda Globale e gli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030. 2) Quadro di riferimento: […]
Diritto Ambientale Dottrina Fascicolo n.1/2023
L’IMPORTANZA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI PER IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI SDGS DELL’AGENDA 2030
Marina Ione
SOMMARIO: 1) l’Agenda Globale e gli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030. 2) Quadro di riferimento: dagli interventi dell’Unione Europea agli interventi normativi di adeguamento agli obiettivi dell’Agenda 2030 in Italia. 3) L’obiettivo 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili. 4) Target e strumenti di attuazione per il raggiungimento dell’obiettivo 11 ed il ruolo fondamentale dei servizi pubblici locali. 5) Mobilità Sostenibile e l’importanza della Pianificazione Urbana: i PUMS.
ABSTRACT (ITA) Il 25 settembre 2015 è stata approvata l’Agenda Globale e, a partire da questa data storica, il concetto di sviluppo sostenibile diventa il leitmotiv delle politiche mondiali. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dall’Agenda Globale dovranno essere raggiunti entro il 2030. Dopo 7 anni, giunti a metà strada di questo itinerario, ho voluto ripercorrere le tappe fondamentali raggiunte a livello europeo e nazionale, per poi soffermarmi in particolare sul Goal 11: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” e constatare, sempre in un’ottica che degrada, via via, da un livello europeo ad un livello nazionale sino a quello locale cosa e quanto è stato fatto per il raggiungimento dell’obiettivo 11. Traguardi e criticità determinati prendendo come parametro i servizi pubblici locali e nello specifico la mobilità per valutarne il grado di sostenibilità; traguardi e criticità indispensabili che, ad oggi, ci danno contezza di quanto la realtà attuale sia “sostenibile” e che, nella prospettiva futura, ci danno un’indicazione sulla rotta da seguire per il raggiungimento di questo importante obiettivo di sviluppo sostenibile.
ABSTRACT (EN) On 25 September 2015, the Global Agenda was approved and, from this historic date, the concept of sustainable development becomes the leitmotif of world policies. The 17 sustainable development goals set by the Global Agenda must be achieved by 2030. After 7 years, halfway through this itinerary, I wanted to retrace the milestones reached at European and national level, and then focus in particular on Goal 11: “Making cities and settlements human inclusive, safe, durable and sustainable” and to observe, always in a perspective that gradually degrades from a European level to a national level up to the local what and what has been done to achieve Objective 11. Objectives and criticalities determined taking as a parameter the local public services and in the and in particular mobility to assess the degree of sustainability; essential goals and criticalities that, to date, give us insight into how the current reality is “sustainable” and that, in the future perspective, give us an indication of the route to follow to achieve this important objective of sustainable development.
1. L’Agenda Globale e gli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030.
Introduco questo mio lavoro inerente lo stato di raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile consacrati nell’Agenda 2030, soffermandomi con particolare riguardo sul Goal 11: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, partendo da un doveroso inquadramento storico-temporale e giuridico che ha scandito le varie tappe di questo lungo percorso intrapreso nella direzione dello sviluppo sostenibile per fare poi, ad oggi, il punto della situazione circa i traguardi raggiunti e le criticità emerse con specifico riguardo ai servizi pubblici locali e, tra questi, alla mobilità urbana che, da sempre, ha rappresentato l’esternalità più costosa ed impegnativa da impostare in un’ottica sostenibile. All’inizio di questo excursus su tale argomento, il quesito/curiosità che sorge quasi immediato nella mia mente e al quale mi riprometto di dare in conclusione una risposta è: “nelle realtà amministrative comunali (come quella di Taranto, la mia città) cosa e quanto effettivamente si sta facendo nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, tenuto conto che una delle principali priorità dell’Agenda europea è proprio quella di guidare lo sviluppo urbano delle città su percorsi sostenibili, competitivi ed efficienti?”.
Il 25 settembre 2015 rappresenta una data storica per quanto concerne il concetto di sostenibilità ed infatti, è proprio in tale data che le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile che consiste in un ambizioso programma d’azione condiviso, sottoscritto dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, tra cui l’Italia.
L’Agenda, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fissa 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals– SDGs nell’acronimo inglese) e con essa i leader mondiali si sono ufficialmente impegnati ad eliminare la povertà, garantire pace e prosperità e proteggere il pianeta, perseguendo l’obiettivo di creare un mondo migliore e più sicuro. L’Agenda 2030 crea, dunque, la tabella di marcia per la cooperazione internazionale in tema di sviluppo sostenibile, apportando una grande novità; infatti, per la prima volta, viene espresso un chiaro giudizio sull’insostenibilità del previgente modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale ma anche su quello economico e sociale, superando in questo modo definitivamente l’idea che la sostenibilità sia unicamente una questione ambientale ed affermando una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo1.
I 17 SDGs, che rappresentano il cuore dell’Agenda Globale, dovranno essere raggiunti entro l’anno stabilito, ossia il 2030; sono articolati in 169 Target e rappresentano una bussola per indirizzare le politiche dell’Italia e del mondo intero in un’ottica di sostenibilità, guidando le scelte strategiche dei Paesi firmatari sia nell’ambito della propria politica nazionale, sia nelle relazioni internazionali2. Il processo di cambiamento del modello di sviluppo viene monitorato attraverso i Goals, i Target e oltre 240 indicatori; rispetto a tali parametri, ciascun Paese viene valutato periodicamente in sede Onu e dalle opinioni pubbliche nazionali ed internazionali.
Gli obiettivi prevedono l’eliminazione di mali endemici quali la fame e la povertà, la degradazione dell’ambiente, l’eliminazione della paura e della violenza e puntano all’incoraggiamento nella realizzazione di partnership strategiche a tali fini. Più nel dettaglio, gli SDGs sono rivolti a cinque aree, note anche come 5P: Persone (eliminare fame e povertà in tutte le forme, garantire dignità e uguaglianza), Prosperità (garantire vite prospere e piene in armonia con la natura), Pianeta (proteggere le risorse naturali e il clima del pianeta per le generazioni future), Pace (promuovere società pacifiche, giuste e inclusive) e infine Partnership (implementare l’Agenda attraverso solide partnership. Il che significa che per raggiungere la pace e la prosperità è necessario lavorare in collaborazione a beneficio del pianeta e di tutte le persone che lo abitano3). E, poiché il raggiungimento di un obiettivo di sviluppo sostenibile comporta una serie di passaggi, le Nazioni Unite definiscono anche alcuni indicatori che valutano il successo e l’evoluzione di una nazione in un’area specifica.
Ma vediamo in dettaglio questi 17 obiettivi sostenibili quali sono e cosa prevedono: 1) Sconfiggere la povertà: porre fine alla povertà in tutte le sue forme, ovunque. 2) Sconfiggere la fame: porre fine alla fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile. 3) Buona salute: garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età, riducendo in particolare la mortalità materna e dei bambini sotto i 5 anni. 4) Istruzione di qualità: garantire un’istruzione inclusiva per tutti e promuovere opportunità di apprendimento permanente eque e di qualità. 5) Parità di genere: raggiungere la parità di genere ponendo fine ad ogni forma di discriminazione ed attraverso l’emancipazione delle donne. 6) Acqua pulita e servizi igienico-sanitari: garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e servizi igienico-sanitari. 7) Energia rinnovabile e accessibile: assicurare la disponibilità di servizi energetici accessibili, affidabili, sostenibili e all’avanguardia per tutti. 8) Buona occupazione e crescita economica: promuovere una crescita economica inclusiva, sostenuta e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva un lavoro dignitoso per tutti. 9) Innovazione ed infrastrutture: costruire infrastrutture solide, promuovere l’industrializzazione inclusiva e sostenibile e favorire l’innovazione. 10) Ridurre le diseguaglianze: ridurre le disuguaglianze all’interno e tra i Paesi e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti. 11) Città e comunità sostenibili: creare città sostenibili e insediamenti umani che siano inclusivi, sicuri e solidi aumentando l’urbanizzazione inclusiva. 12) Utilizzo responsabile delle risorse: garantire modelli di consumo e produzione sostenibili. 13) Lotta contro il cambiamento climatico: adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico integrando nelle politiche nazionali misure di contrasto alle sue conseguenze. 14) Utilizzo sostenibile del mare: conservare gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile. 15) Utilizzo sostenibile della terra: proteggere, ristabilire e promuovere l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire le foreste in modo sostenibile, combattere la desertificazione, bloccare e invertire il degrado del suolo e arrestare la perdita di biodiversità. 16) Pace e giustizia: promuovere società pacifiche per uno sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia e creare istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli. 17) Partnership per lo sviluppo sostenibile: rafforzare gli strumenti di attuazione e rivitalizzare la partnership globale per lo sviluppo sostenibile.
Questi 17 obiettivi sono senza dubbio pilastri importanti di una società moderna ed equilibrata, in grado di generare occupazione e ricchezza, nel rispetto della natura e dei diritti umani. Un tema che riguarda tutti e al quale sicuramente tutti noi possiamo contribuire nelle nostre attività quotidiane.
Da una prima osservazione, si ricava come la sostenibilità non sia una questione unicamente ambientale, ma riguardi anche un cambiamento del modello socio-economico e, in definitiva, non si tratta solo di lavorare per una società giusta sul piano economico, sociale e ambientale, ma anche di essere consapevoli della responsabilità e dell’impatto di ciascun individuo sul pianeta.
L’Agenda 2030 lancia una sfida complessa: poiché le tre dimensioni dello sviluppo (economica, ambientale e sociale) sono strettamente correlate tra loro, ciascun obiettivo non può essere considerato in maniera indipendente ma deve essere perseguito sulla base di un approccio sistemico, che tenga in considerazione le reciproche interrelazioni e non si ripercuota con effetti negativi su altre sfere dello sviluppo; Garantire un’istruzione di qualità, equa e inclusiva (Goal 4) vuol dire anche offrire pari opportunità a donne e uomini (Goal 5); per assicurare salute e benessere (Goal 3), occorre vivere in un Pianeta sano (Goal 6, 13, 14 e 15); un lavoro dignitoso per tutti (Goal 8) richiede l’eliminazione delle disuguaglianze (Goal 10). Solo la crescita integrata di tutte e tre le componenti consentirà il raggiungimento dello sviluppo sostenibile.
Gli SDGs sono universali, rimandano cioè alla presenza di problemi che accomunano tutte le nazioni. Per questo motivo, tutti i Paesi sono chiamati a contribuire alla sfida per portare il mondo su un sentiero sostenibile, senza più distinzione tra Paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo. Ciò vuol dire che ogni Paese deve impegnarsi a definire una propria strategia di sviluppo sostenibile che consenta di raggiungere gli SDGs e a rendicontare i propri risultati all’Onu. Non solo, all’interno dei Paesi serve un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società, dalle imprese al settore pubblico4, dalla società civile alle istituzioni filantropiche, dalle università e centri di ricerca agli operatori dell’informazione e della cultura, perché, per abbracciare lo sviluppo in ogni sua parte, è fondamentale l’impegno di tutti5. Tutti siamo, pertanto, parte del cambiamento per un domani migliore, tutti ne siamo responsabili perché sono le nostre azioni che influenzeranno il futuro dei nostri figli e delle prossime generazioni. Stili di vita corretti e azioni individuali, in quest’ottica che degrada, via via, da un livello mondiale ad un livello umano, fanno la differenza6.
2. Quadro di riferimento: dagli interventi dell’Unione Europea agli interventi normativi di adeguamento agli obiettivi dell’Agenda 2030 in Italia.
L’Agenda 2030 è una pietra angolare per lo sviluppo sostenibile, frutto delle conferenze ONU per lo sviluppo sostenibile tenutesi nel 1992, 2002, 2012; rappresenta il nuovo quadro di riferimento globale ed universale per l’impegno nazionale ed internazionale teso a trovare soluzioni comuni alle grandi sfide del pianeta, quali l’estrema povertà, i cambiamenti climatici, il degrado dell’ambiente e le crisi sanitarie; vale per tutti i Paesi, al Nord come al Sud, e pone una serie di priorità per lo sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030.
Elementi essenziali dell’Agenda 2030, come abbiamo già detto, sono i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e i 169 sotto-obiettivi ad essi associati, che si raggruppano in cinque principi fondamentali, ossia le persone, il pianeta, la prosperità, la pace e la partnership (le 5 P). Mira, ad esempio, a garantire il benessere di tutte le persone, lo sviluppo economico, la protezione dell’ambiente, affrontando aspetti come la pace, lo Stato di diritto e il buongoverno, essenziali per la promozione dello sviluppo sostenibile. La sua attuazione mediante partenariati viene sancito come quinto principio.
Ma vediamo più nel dettaglio quale in concreto sia stata la risposta dell’Unione Europea alla sfida lanciata dall’Agenda 2030.
La base giuridica delle strategie per lo sviluppo sostenibile è l’articolo 3 del Trattato sull’Unione Europea (TEU), che afferma la responsabilità interna ed esterna dell’UE alla salvaguardia di questo principio. La necessaria connessione tra le politiche e l’integrazione di esse è solidamente ancorata agli articoli 7 e 11 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU), che esigono l’integramento della protezione ambientale in tutte le aree di intervento politico.
All’interno dell’Unione Europea, è la Commissione ad avere il compito di proporre strategie per il miglioramento e l’implementazione dello sviluppo sostenibile, attraverso la selezione delle aree chiave su cui concentrarsi, delle tendenze problematiche da affrontare e degli obiettivi specifici da raggiungere. Gli obiettivi individuati sono poi tradotti in provvedimenti ed interventi, mentre, per verificarne l’impatto, vengono effettuati controlli sul piano delle politiche, a livello degli stati membri per verificarne l’attuazione e a livello della stessa UE.
Lo sviluppo sostenibile, pertanto, è formalmente uno degli obiettivi a lungo termine dell’UE, che già nel 2010 ha integrato la tematica nella “Strategia Europa 2020”, che si basava su un approccio tematico ed era strutturata intorno a cinque obiettivi principali per il 2020: 1) l’aumento del tasso di occupazione dal 69% al 75%; 2) l’investimento di un 3% del PIL in ricerca e sviluppo; 3) la riduzione del 20% nell’emissione dei gas serra; 4) gli obiettivi nel campo dell’educazione e 5) quelli per la riduzione della povertà al fine di migliorare le condizioni di vita di 20 milioni di persone.
La stipulazione di resoconti da parte degli stati membri venne introdotta per monitorare l’impatto della strategia e per aiutare i Paesi a sviluppare ed implementare le tattiche di sviluppo sostenibile. Le raccomandazioni indirizzate agli specifici Paesi includevano anche delle forme di sollecitazione per gli stati che non avevano fornito delle risposte adeguate ai problemi da affrontare.
Oltre a ciò, nel 2011 la Commissione Europea ha pubblicato la comunicazione n. 681 – “A renewed EU strategy 2011-14 for Corporate Social per finire, nel contesto del suo naturale partenariato con le Nazioni Unite per la creazione di un mondo migliore e più sicuro Responsibility” – nella quale si delinea una nuova strategia sulla responsabilità delle imprese. Imprese che ora sono chiamate ad integrare nei loro piani strategici aziendali temi sociali, etici, ambientali per massimizzare i risultati in un’ottica di sviluppo sostenibile7. Tra le altre iniziative rilevanti dell’Unione Europea in tema di sostenibilità ci sono: la Strategia sulla Bioeconomia (2012), che ha l’obiettivo di sostituire l’uso di fonti fossili con alternative naturali e, in generale, di promuovere la produzione di risorse biologiche rinnovabili.
Il Piano d’azione per l’economia circolare (2015), che consiste in un pacchetto di misure per agevolare le imprese e i consumatori nella transizione verso un’economia che prevede il riciclaggio e il riutilizzo, nell’ottica di aumentare il ciclo di vita dei prodotti. E, l’Unione Europea si è impegnata nella definizione dei principi dell’Agenda 2030.
Tra il 2019 e il 2020 è stato, infatti, avviato il Green Deal Europeo, un programma d’azione per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, in relazione anche all’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.
L’Agenda riflette gli obiettivi europei per la promozione dello sviluppo sostenibile e l’UE ha determinato tre azioni in particolare da sviluppare sotto di essa entro il 2030: 1) l’integrazione degli SDGs in tutte le iniziative e politiche europee; 2) i report periodici sui progressi compiuti; 3) l’organizzazione di una piattaforma multilaterale di alto livello per discutere sia le politiche che i progressi in merito. L’Agenda 2030 dall’impronta globale ha il grande merito di aver unificato per la prima volta l’approccio sia interno che esterno dell’UE allo sviluppo sostenibile, creandone uno congiunto.
Nel 2018 la Commissione ha annunciato le sue sei priorità per i cinque anni successivi. Queste sei aree tematiche definiscono i diversi fattori riguardanti lo sviluppo sostenibile, a partire dall’aspetto ambientale. Tutto ciò è stato poi formalizzato nello European Green Deal del 2019, che traccia una tabella di marcia per la transizione dell’UE verso la sostenibilità economica, con l’intento di renderla il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, tramite la riduzione delle emissioni di gas serra a zero. Inoltre, il Deal si propone di dissociare la crescita economica dal consumo di risorse attraverso lo sviluppo dell’economia circolare. Le aree di intervento includono: la biodiversità, l’energia pulita, l’industria sostenibile e le iniziative del programma Farm-to-Fork.
La strategia si accompagna allo European Climate Law (Legge climatica europea), un atto legislativo che dovrebbe assicurare l’integrazione e l’impegno delle politiche europee allo scopo di raggiungere la neutralità climatica.
Il Just Transition Mechanism (il Meccanismo per una giusta transizione) è parte integrante del Green Deal, in quanto offre un supporto finanziario ai cittadini, alle imprese e alle regioni che, a causa della loro dipendenza dai combustibili fossili, vengono colpiti negativamente dalla transizione verde. Il Meccanismo si appoggia su tre pilastri: il Just Transition Fund, il Just Transition Scheme e un programma di prestiti per il settore pubblico, che insieme costituiscono un supporto finanziario pari a cento miliardi di euro. Scopo di questi strumenti è promuovere l’equità sociale, stimolando egualmente gli stati membri nel mutamento verso un’economia climaticamente neutra.
Il Green Deal è integrato nel Semestre Europeo, il ciclo semi-annuale che mira ad uniformare le politiche macroeconomiche nazionali guidando gli stati membri con raccomandazioni relative alle loro manovre economiche e fiscali. L’“inverdimento” del semestre europeo è legato alla Strategia annuale di crescita sostenibile, la quale definisce la politica economica e di assunzione in conformità con le priorità del Green Deal. Il semestre europeo contribuisce a rendere concreti gli strumenti economici necessari per una produzione competitiva e sostenibile tramite i suoi tre pilastri: investimenti, riforme strutturali e consolidamento fiscale. E questo a dimostrazione di come gli SDGs siano stati progressivamente integrati negli interventi economici. I progressi fatti dagli stati membri in relazione alle loro manovre macroeconomiche vengono periodicamente controllati attraverso i Country Reports e le Country Specific Recommendations.
Tutti i Paesi sono chiamati, dunque, ad impegnarsi per definire una propria strategia di sviluppo sostenibile che consenta di raggiungere gli obiettivi fissati, comunicando i risultati conseguiti all’interno di un processo coordinato dall’ONU. Ciascun Paese viene infatti valutato annualmente in sede ONU attraverso l’attività dell’High-level Political Forum (HLPF), che ha il compito di valutare i progressi, i risultati e le sfide per tutti i Paesi, e dalle opinioni pubbliche nazionali ed internazionali. Ogni quattro anni si svolge, inoltre, un dibattito sull’attuazione dell’Agenda 2030 in sede di Assemblea Generale dell’ONU, alla presenza di Capi di Stato e di Governo: la prima verifica di questo tipo è stata realizzata nel settembre 2019.
Anche l’Italia è intervenuta introducendo normative di adeguamento agli obiettivi dell’Agenda 2030 Gli interventi più rilevanti sono: il Collegato Ambientale8, contenente “disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di Green Economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”. Garantisce l’aggiornamento con cadenza triennale della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SnSVS) ed è lo strumento con cui sono declinati a livello nazionale i principi e gli obiettivi dell’Agenda 2030.
L’istituzione della Cabina di regia “Benessere Italia”, che è un organo della Presidenza del Consiglio con il compito di coordinare, monitorare, misurare e migliorare le politiche dei Ministeri nell’ottica del benessere dei cittadini. Un passo avanti per dotare l’Italia di una governance per l’Agenda 2030, uno strumento che permetterà al Governo di promuovere un benessere equo e sostenibile attraverso la definizione di nuovi approcci e nuove politiche. Rigenerazione equo sostenibile dei territori, mobilità e coesione territoriale, transizione energetica, qualità della vita, economia circolare sono le cinque macroaree in cui si sviluppano le sue linee programmatiche. Pongono al centro la persona e mirano alla promozione di stili di vita sani, alla definizione di tempi di vita equilibrati, alla progettazione di condizioni di vita eque, alla promozione di azioni finalizzate allo sviluppo umano, alla formazione continua.
A livello nazionale, lo strumento di coordinamento dell’attuazione dell’Agenda 2030 è rappresentato dalla Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile (SNSvS), approvata dal CIPE con Delibera n. 108/2017. Si tratta di un provvedimento che prevede un aggiornamento triennale e “che definisce il quadro di riferimento nazionale per i processi di pianificazione, programmazione e valutazione di tipo ambientale e territoriale per dare attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite”. L’attuazione della Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile deve raccordarsi con i documenti programmatici esistenti, in particolare con il Programma Nazionale di Riforma (PNR) e più in generale il Documento di Economia e Finanza (DEF). Le azioni proposte e gli strumenti operativi devono conciliarsi, inoltre, con gli obiettivi già esistenti e vincolanti a livello comunitario. La Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile 2017-2030 si configura come lo strumento principale per la creazione di un nuovo modello economico circolare, a basse emissioni di CO2, resiliente ai cambiamenti climatici e agli altri cambiamenti globali causa di crisi locali, come, ad esempio, la perdita di biodiversità, la modificazione dei cicli biogeochimici fondamentali (carbonio, azoto, fosforo) e i cambiamenti nell’utilizzo del suolo.
Un aspetto innovativo dell’Agenda 2030 è l’attenzione rivolta al fenomeno delle disuguaglianze. In assenza di un’adeguata strategia di intervento, diversi fattori possono contribuire ad alimentare una polarizzazione tra diverse situazioni. Per questo motivo è necessario individuare e condividere le politiche che possono rilanciare la crescita e renderla sostenibile nel lungo periodo. La Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile si basa, infatti, su un approccio multidimensionale per superare le disuguaglianze economiche, ambientali e sociali e perseguire così uno sviluppo sostenibile, equilibrato ed inclusivo. Tale approccio implica l’utilizzo di un’ampia gamma di strumenti, comprese le politiche di bilancio e le riforme strutturali.
Il piano aggiorna la precedente “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia 2002-2010”, ma ne amplia il raggio d’azione, integrando gli obiettivi contenuti nella Agenda 2030 delle Nazioni Unite. E’ strutturata in cinque aree di intervento, corrispondenti alle “5P” dello sviluppo sostenibile proposte dall’Agenda 2030, ciascuna delle quali contiene Scelte Strategiche ed Obiettivi Strategici per l’Italia, correlati agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e richiamano alla profonda interrelazione tra dinamiche economiche, crescita sociale e qualità ambientale, aspetti conosciuti anche come i tre pilastri dello sviluppo sostenibile9.
Un altro passo importante per l’attuazione dell’Agenda 2030 in Italia è rappresentato dalla Legge di bilancio 2017.
I 17 Goals dell’Agenda 2030 sono, inoltre, richiamati anche nel Piano per il Sud 2030 – Sviluppo e coesione per l’Italia.
La creazione dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASVIS), che, dal punto di vista della partecipazione della società civile e della diffusione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, rappresenta una realtà significativa. Creata nel 2016 su iniziativa della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma “Tor Vergata”, l’Organizzazione ha come scopo la diffusione, a livello sociale ed istituzionale, della conoscenza e della consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. L’ASVIS redige annualmente un rapporto dove vengono presentate sia un’analisi dello stato di avanzamento dell’Italia rispetto all’Agenda 2030 e agli obiettivi di sviluppo sostenibile, sia proposte per l’elaborazione di strategie che possano assicurare lo sviluppo economico e sociale del paese. La direttiva del presidente del Consiglio del 16 marzo 2018, contenente l’indirizzo per dare attuazione alla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.
La nuova Strategia Nazionale per l’economia circolare, adottata nel 2021 dal Ministero per la Transizione Ecologica, la quale prevede una serie di misure legate alla gestione dei rifiuti e alla promozione del riuso e riparazione dei prodotti.
3. L’obiettivo 11: rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.
Le città sono centri per nuove idee, per il commercio, la cultura, la scienza, la produttività, lo sviluppo sociale e molto altro. Nel migliore dei casi le città hanno permesso alle persone di migliorare la loro condizione sociale ed economica. Tuttavia, persistono molte sfide per mantenere i centri urbani come luoghi di lavoro e prosperità, e che allo stesso tempo non danneggino il territorio e le risorse. Le sfide poste dall’ambiente urbano includono il traffico, la mancanza di fondi per fornire i servizi di base, la scarsità di alloggi adeguati, il degrado delle infrastrutture. Esse possono essere vinte in modo da permettere alle città di continuare a prosperare e crescere, migliorando l’utilizzo delle risorse e riducendo l’inquinamento e la povertà. Il futuro che vogliamo include città che offrano opportunità per tutti, con accesso ai servizi di base, all’energia, all’alloggio, ai trasporti ed altro ancora10.
Come abbiamo visto, un’importante caratteristica di tutti i 17 SDGs è che sono fortemente interconnessi l’uno con l’altro; l’SDG 11 in particolare si connette agli SDGs legati all’organizzazione dell’uomo sulla terra e alla difesa di alcune risorse naturali. In particolare all’SDG 3 (salute e benessere degli individui), all’SDG 6 (migliore qualità dell’acqua e riduzione dell’inquinamento idrico), all’SDG 9 (infrastrutture resilienti, industrializzazione inclusiva e sostenibile e favorire l’innovazione), all’SDG 10 (riduzione delle diseguaglianze), all’SDG 13 (azione contro il cambiamento climatico) e all’SDG 15 (vita sulla terra)11.
Oggigiorno, il 54% per cento della popolazione mondiale vive in aree urbane, percentuale che dovrebbe aumentare al 66% entro il 2050. Il fenomeno dell’urbanizzazione e l’espansione delle città da un lato ha favorito il progresso sociale ed economico al livello mondiale, dall’altro però ha contribuito allo sviluppo di situazioni di degrado e di povertà connesse all’inadeguata gestione delle risorse naturali al livello locale, alla scarsità o totale assenza di fondi da destinare a supporto dei servizi basilari e di adeguate strutture abitative per tutti. Attualmente, 828 milioni di persone vivono in città in condizioni di degrado e povertà urbana. L’SDG 11 punta alla trasformazione dei centri urbani in città sostenibili attraverso l’accesso di tutta la popolazione ad alloggi, servizi basilari e mezzi di trasporto adeguati, economici e sicuri, soprattutto per le persone più vulnerabili. Inoltre, poiché le città sono responsabili del 60-80% del consumo di energia e del 75% delle emissioni di sostanze nocive, occorrerà rendere le città del futuro green, obiettivo raggiungibile attraverso la riduzione degli impatti negativi sull’ambiente, il potenziamento delle aree verdi e degli spazi pubblici sicuri ed inclusivi, con un’attenzione specifica rivolta alle periferie urbane12. Dovrà, infine, essere garantita la preservazione del patrimonio artistico e culturale comune riducendo l’impatto ambientale negativo delle città e prestando particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti.
L’SDG 11 comprende 10 traguardi da raggiungere nei prossimi otto anni, i cui progressi vengono misurati da 15 indicatori. I primi sette target puntano a risultati diretti, mentre gli altri tre servono a creare un contesto favorevole. Analizziamoli nel dettaglio.
11.1 Entro il 2030, garantire a tutti l’accesso ad alloggi adeguati, sicuri e convenienti e ai servizi di base e riqualificare i quartieri poveri. Questo primo traguardo è misurato dall’indicatore di performance relativo alla percentuale di popolazione urbana che vive in baracche, insediamenti informali o alloggi inadeguati. In particolare, una famiglia slum è definita come un gruppo di individui che vivono sotto lo stesso tetto senza una o più delle seguenti condizioni: accesso all’acqua potabile e a servizi igienici, nonché una superficie abitabile sufficiente.
11.2 Entro il 2030, garantire a tutti l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani. A questo secondo traguardo è associato l’indicatore che misura la percentuale di popolazione che ha un accesso conveniente ai trasporti pubblici, per sesso, età e persone con disabilità.
11.3 Entro il 2030, migliorare l’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificazione e gestione partecipativa, integrata e sostenibile degli insediamenti umani in tutti i paesi. Per misurare questo terzo traguardo gli indicatori di riferimento sono: il rapporto tra il tasso di consumo di suolo e il tasso di crescita della popolazione; la percentuale di città con una struttura di partecipazione diretta della società civile nella pianificazione e gestione urbana che opera regolarmente e democraticamente.
11.4 Potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo, ha come indicatore di performance la spesa totale (pubblica e privata) pro capite volta alla preservazione, protezione e conservazione di tutto il patrimonio culturale e naturale.
11.5 Entro il 2030, ridurre significativamente gli effetti negativi dei disastri naturali, ha come indicatori il numero di morti, dispersi e persone direttamente colpite da catastrofi per 100.000 abitanti e la perdita economica diretta in relazione al PIL globale, ai danni alle infrastrutture critiche e al numero di interruzioni dei servizi di base, attribuiti alle catastrofi.
11.6 Entro il 2030, ridurre l’impatto ambientale negativo pro-capite delle città, prestando particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti urbani e di altri rifiuti. La proporzione di rifiuti solidi urbani regolarmente raccolti e con adeguato scarico finale sul totale dei rifiuti urbani prodotti, e il livello medio annuo di particolato fine nelle città sono gli indicatori che servono per misurare questo traguardo.
11.7 Entro il 2030, fornire accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili a tutti, in particolare per donne, bambini, anziani e disabili. L’ultimo traguardo che punta a risultati diretti, viene misurato dalla quota media della superficie edificata delle città che è spazio aperto per uso pubblico per tutti, per sesso, età, disabili, ma anche dalla proporzione di persone vittime di molestie fisiche o sessuali.
Gli ultimi tre traguardi, quelli volti a creare un contesto favorevole, sono: l’11.a, “sostenere legami economici, sociali e ambientali positivi tra le aree urbane, periurbane e rurali rafforzando la pianificazione dello sviluppo nazionale e regionale”, che ha come indicatore la percentuale di popolazione che vive in città che attuano piani di sviluppo urbano e regionale e che integrano le proiezioni della popolazione e le esigenze di risorse, per dimensione della città; l’11.b, “aumentare sostanzialmente il numero di città e insediamenti umani che adottano e attuano politiche e piani integrati verso l’inclusione, l’efficienza delle risorse, la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, la resilienza ai disastri, e sviluppare e attuare, in linea con il Quadro di Sendai per la Riduzione del Rischio di Disastri 2015-203013, una gestione olistica del rischio di disastri a tutti i livelli”, viene misurato sia dall’indicatore che riguarda il numero di Paesi che adottano e implementano strategie nazionali di riduzione del rischio di disastri in linea con il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030, sia dalla percentuale di governi locali che adottano e attuano strategie locali di riduzione del rischio di disastri in linea con le strategie nazionali; infine, l’11.c, “sostenere i Paesi meno sviluppati nella costruzione di edifici sostenibili e resistenti utilizzando materiali locali”, ha come indicatore la proporzione del sostegno finanziario ai Paesi meno sviluppati che è destinato alla costruzione e all’ammodernamento di edifici sostenibili, resistenti ed efficienti in termini di risorse.
4. Target e strumenti di attuazione per il raggiungimento dell’obiettivo 11 ed il ruolo fondamentale dei servizi pubblici locali.
Per rendere i centri urbani più sostenibili, inclusivi e sicuri e per tutelare in modo adeguato il patrimonio culturale e naturale presente nelle città c’è ancora tanto da fare. Secondo il Sustainable Development Report 2021, infatti, c’è ancora una certa discrepanza tra il sostegno politico espresso per gli SDGs e l’integrazione degli obiettivi nei processi strategici di politica pubblica, in particolare nei bilanci nazionali e l’SDG 11 non fa eccezione.
In base a quanto sostiene l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), è sempre più necessario che i governi subnazionali implementino delle politiche adeguate al soddisfacimento dei traguardi previsti dall’SDG 11. Le azioni regionali e locali, per accelerare nella realizzazione di queste politiche, devono mirare a ridurre l’inquinamento urbano, a rafforzare l’accesso al trasporto pubblico e alla mobilità e ad incrementare l’accessibilità degli alloggi. Le misure politiche potrebbero essere considerate come indicatori dell’impegno dei governi locali a raggiungere il triplice obiettivo di essere economicamente produttivi, socialmente inclusivi e sostenibili dal punto di vista ambientale.
Il SDSN (Sustainable Development Solutions Network) sta lavorando a un nuovo progetto su “Il futuro dei trasporti e dell’uso del territorio nella città digitale” per identificare come gli strumenti di progettazione urbana e le nuove fonti di dati e modelli possano aiutare a informare la mobilità urbana e le strategie di uso del territorio nell’era digitale e sulla scia della pandemia COVID-19, che ha avuto un forte impatto sulla mobilità urbana, l’uso del territorio e i sistemi di trasporto sia nei Paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, destinato a durare nel tempo. E proprio sulla base del nuovo scenario creato dalla pandemia da Covid-19, la politica e la società sono tornate ad interrogarsi sull’urgenza di attuare misure efficaci per una mobilità sempre più sostenibile14. Se infatti, da una parte, i lockdown del 2020, causando un sensibile calo dell’inquinamento atmosferico, hanno evidenziato l’importanza di un ambiente più a misura d’uomo, dall’altra le misure igieniche e di distanziamento sociale, necessarie a contenere il contagio, hanno avuto un forte impatto su vari settori del mondo della mobilità. Si è assistito, per esempio, a un ritorno dell’auto di proprietà, fino a poco tempo prima data “in agonia”, alla frenata del car sharing e, contemporaneamente, ad un’impennata della micromobilità nei grandi centri urbani. Penalizzato risulta anche il bike-sharing, calato sia a causa dell’emergenza pandemia sia per la crescente concorrenza dei monopattini elettrici in condivisione.
In particolare, UN-Habitat sta supportando i governi nazionali e locali per aiutarli a rispondere e a riprendersi dalla pandemia. Nello specifico, il piano di risposta, su base locale, nazionale e globale, mira a sostenere i governi locali, fornire dati urbani, fare una mappatura dettagliata dei bisogni, mitigare l’impatto economico e avviare la ripresa.
Per quanto riguarda la performance dell’Italia rispetto all’obiettivo 11, stando ai dati diffusi dall’ASviS nel Rapporto 2021 su Città e Comunità Sostenibili e dall’Istat nel Rapporto SDGs 2021, il Paese ha ancora ampi margini di miglioramento sotto diversi aspetti.
Sempre l’ASviS, per migliorare le condizioni delle città italiane, presenta diverse proposte, tra cui: l’approvazione di una norma per la costituzione di un’unica cabina di regia per la rigenerazione urbana presso il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims); il superamento della logica dei soli bandi al fine di contrastare il disagio abitativo; la costituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione abitativa; l’impulso al trasporto rapido di massa nelle aree urbane; la connessione degli incentivi per i veicoli a basse emissioni al reddito; il superamento dei limiti presenti nella Strategia nazionale per le aree interne grazie a strumenti innovativi di pianificazione; per una miglior qualità dell’aria, adottare una diversa governance che coinvolga con maggiore decisione il livello nazionale e affronti temi quali la produzione di energia, il sistema dei trasporti, le principali filiere produttive; l’estensione dei finanziamenti per la riforestazione urbana a tutti i comuni ed enti territoriali italiani e il sostegno di tali politiche di incremento del capitale naturale delle città attraverso una pianificazione specifica per il verde.
Come sottolinea la stessa ASviS, il Goal 11 dell’Agenda 2030 è al centro delle azioni previste dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Il fondo complementare al Pnrr, infatti, prevede 2 miliardi di euro di investimenti per migliorare l’efficienza energetica, la resilienza e la sicurezza sismica, nonché la condizione sociale nel patrimonio residenziale pubblico.
Tra le politiche nazionali messe in atto a sostegno del Goal 11, è stato riavviato il Programma straordinario per le periferie, con erogazioni di importi medi di oltre 30 milioni di euro al mese. È partita, inoltre, una linea di progetti di rigenerazione urbana gestiti dal Ministero dell’Interno che ripartisce le risorse (8,5 miliardi di euro per Comuni capoluogo o con popolazione superiore a 15.000 abitanti) secondo le richieste dei Comuni.
Per il disagio abitativo, la principale strategia messa in atto in Italia è la dotazione di edilizia residenziale pubblica, sebbene il ridotto impegno finanziario pubblico veda il Paese svantaggiato rispetto agli altri Stati europei. Secondo gli ultimi dati, infatti, sono oltre 1,1 milioni le famiglie che si trovano in condizione di disagio abitativo, acuto o grave.
Per quanto concerne le politiche per l’abitare, il Pinqua (Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare) non contiene ancora obiettivi quantitativi. Tuttavia, per sostenere le fasce più deboli della popolazione è stata decisa la sospensione delle rate dei mutui prima casa nel corso del 2021, insieme al rifinanziamento dei fondi di sostegno alla locazione e per le morosità incolpevoli e ad alcuni contributi istituiti per l’emergenza Covid-19.
Nel corso del 2021, sono stati rinnovati sostegni per diverse categorie di operatori in ambito artistico e culturale ed è stato regolato il rilascio di voucher per spettacoli e ingressi a musei, sospesi per l’emergenza sanitaria.
Per quanto riguarda il miglioramento della qualità dell’aria, il Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr stabilisce l’erogazione di 105 milioni di euro per gli anni 2022-2024.
Sono stati adottati interventi per mitigare gli effetti della pandemia sul trasporto pubblico, in particolare sono stati destinati alle linee metropolitane 2,7 miliardi di euro nel triennio 2021-2023 e sono stati stanziati 550 milioni per il rinnovo degli autobus (50% al Sud) e 1.550 milioni per le linee ferroviarie regionali (80% al Sud). E’ stata resa obbligatoria la figura del mobility manager, che promuove e realizza interventi di organizzazione e gestione della domanda di mobilità delle persone, anche collaborando all’adozione del piano di mobilità sostenibile.
Il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dedica una quota molto elevata di risorse alle riforme ambientali (il 37,5% di tutte le risorse europee, per un totale di circa 72 miliardi di euro).
Circa 57 miliardi di euro da stanziare per la transizione ecologica e per la dotazione di infrastrutture sostenibili sono di competenza del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims). Molte di queste risorse sono territorializzate, ovvero si tratta di fondi assegnati alle regioni oppure agli enti locali perché sviluppino progetti di propria competenza o li assegnino a altri soggetti attuatori. È questo il caso, ad esempio, dei fondi dedicati alla riqualificazione dei porti, al potenziamento delle linee ferroviarie regionali, agli interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana e al rafforzamento delle strutture idriche. Ed, altresì, del rinnovo degli autobus in senso ecologico, ed infatti, tra i vari provvedimenti per facilitare la transizione ecologica, il piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto anche il rifornimento da parte dei centri urbani del nostro paese di mezzi di trasporto pubblico a basse emissioni. Come stabilito e approvato in via definitiva nel dicembre 2021, nel corso della Conferenza Unificata, questi fondi, gestiti dal Mims, saranno assegnati ai grandi comuni per acquistare, nello specifico, autobus elettrici o ad idrogeno. I mezzi di trasporto a basse emissioni sono uno strumento particolarmente importante per contrastare alcuni effetti negativi del cambiamento climatico e favorire la transizione ecologica. Infatti, i trasporti sono uno dei settori più inquinanti (causa di oltre un terzo di tutte le emissioni di ossidi di azoto), e l’inquinamento atmosferico risulta ad oggi una delle conseguenze più dannose della presenza antropica sulla Terra, sia per l’ambiente stesso che per la nostra salute. Essendo poi il trasporto pubblico di per sé molto utile per arginare il problema di un troppo elevato tasso di motorizzazione – l’Italia è il secondo paese Ue con più veicoli privati per abitante – è palese che garantire una rete di trasporto pubblico efficiente ed ecologica sia essenziale. Questo con maggiore attenzione ai grandi centri abitati, maggiormente esposti all’inquinamento atmosferico generato dal traffico veicolare.
Infine, a conclusione di questa rassegna sulle politiche messe in atto a sostegno dell’Obiettivo 11 nel contesto italiano, è interessante fare un breve cenno ad una recente iniziativa di Enel X che ha creato una metrica per misurare il grado di sostenibilità delle città, attraverso la fornitura di servizi innovativi, tra cui le ricariche per l’auto elettrica, i pannelli solari, i servizi innovativi per le aziende come il demand response o gli e-bus e metriche come il Circular City Index o il Sustainability Report.
Questi progetti di Enel X hanno come obiettivo rendere i servizi accessibili alle pubbliche amministrazioni al fine di rendere le città sempre più consapevoli nel processo per diventare più sostenibili.
5. Mobilità Sostenibile e l’importanza della Pianificazione Urbana: i PUMS.
La Commissione Europea, nel 2013, ha rilanciato l’efficienza e la sostenibilità in ambito urbano con un nuovo pacchetto di misure volte alla mobilità, tra le quali considera elemento centrale l’elaborazione del Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile. Le città europee, in alternativa ad un ulteriore degrado della qualità della vita nelle aree urbane ed alla compromissione della capacità del sistema dei trasporti di esaudire la domanda di mobilità in modo efficiente e sostenibile, sono state chiamate a cogliere le opportunità offerte da un approccio integrato alla pianificazione urbana della mobilità, che ha richiesto evidenti sforzi iniziali ma che, nell’ottica della Commissione Europea, sarebbero stati ampiamente ripagati nel medio-lungo periodo.
Tenuto conto che una delle principali priorità dell’Agenda europea è guidare lo sviluppo urbano delle città su percorsi sostenibili, competitivi ed efficienti, una particolare attenzione è sempre stata richiesta al tema della mobilità. Tra le esternalità, la congestione urbana, infatti, ha sempre comporta i costi e l’impegno maggiori.
Sempre la Commissione Europea, per dare fattivo supporto agli enti territoriali, ha elaborato degli specifici working paper che si riferiscono alla Logistica Urbana, alla Regolamentazione dell’accessibilità urbana dei veicoli “smart”, agli ITS (Information Transportation System), alla sicurezza stradale urbana e ai Sustainable Urban Mobility Plans (SUMP, in italiano Piano Urbano Mobilità Sostenibile-PUMS) ed ha riconosciuto il ruolo strategico che può essere ricoperto dalla pianificazione sostenibile della mobilità in ambito urbano e, per questo, ha individuato nei PUMS lo strumento per rilanciare un sistema dei trasporti efficiente e competitivo. La risonanza dell’iniziativa relativa ai PUMS è stata tale che anche l’iniziativa del Patto dei Sindaci, e di conseguenza dei Piani di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), sono stati interessati dall’introduzione di una dimensione dedicata alla “mobilità urbana” per le città interessate.
A tal riguardo sono stati adottati appositi strumenti; ad esempio, è stata attivata la Piattaforma Europea ENDURANCE (EU-wide Establishment of Enduring National and European Networks for Sustainable Urban Mobility), che consiste in un progetto dell’Unione Europea, co-finanziato dal programma Intelligent Energy Europe (IEE), che ha l’obiettivo di creare una rete nazionale ed europea stabile e duratura a supporto della pianificazione e della realizzazione delle misure di mobilità urbana sostenibile nelle città.
E’ opportuno, inoltre, citare il progetto IEE, “Boosting Urban Mobility Plans (BUMP), che ha segnato un progresso verso l’implementazione e l’adozione da parte dei Comuni dei PUMS quale strumento innovativo di programmazione a supporto dei Comuni con popolazione compresa tra i 40.000 e 350.000 abitanti, per la predisposizione del PUMS attraverso il trasferimento delle conoscenze e competenze necessarie, messe in rete per facilitare la condivisione di esperienze e insegnamenti.
Il PUMS è, dunque, uno strumento strategico di pianificazione, con un orizzonte temporale di lungo termine (minimo 10 anni), che si basa sugli strumenti di pianificazione esistenti e tiene in debita considerazione i principi di integrazione, partecipazione e valutazione per soddisfare, oggi e domani, le necessità di mobilità delle persone e delle merci con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita nelle città e nei loro dintorni. Gli elementi che lo contraddistinguono dai tradizionali Piani dei Trasporti/Mobilità sono da individuare proprio nei tre principi di integrazione, partecipazione15 e valutazione cui si ispira l’intero processo di elaborazione e attuazione del piano stesso.
L’attività, assolutamente innovativa, di pianificazione del PUMS16 si basa principalmente sul coordinamento e l’integrazione dei vari aspetti della sostenibilità (equità sociale ed economica, ambientale e sviluppo di qualità) nei vari settori (trasporti, urbanistica, ambiente, sviluppo economico, politiche sociali, salute, sicurezza, energia ecc.); prevede, inoltre, la cooperazione tra i vari livelli istituzionali nonché la collaborazione tra aree urbane vicine e il coinvolgimento pubblico degli stakeholder; infine, attribuisce un peso molto rilevante alle attività di monitoraggio e di valutazione dei target e delle misure pianificate che devono periodicamente accompagnare l’attuazione del piano. Il tutto si realizza nell’ottica del miglioramento dell’efficienza, dell’attrattività e della qualità del sistema dei trasporti urbani. Le politiche e le misure definite in un PUMS devono, pertanto, riguardare tutti i modi e le forme di trasporto presenti sull’intero agglomerato urbano, pubbliche e private, passeggeri e merci, motorizzate e non motorizzate, di circolazione e sosta.
Nell’accezione riconosciuta dalle Linee Guida ELTIS (“Guidelines for developing and implementing a Sustainable Urban Mobility Plan”, approvate nel 2014 dalla Direzione Generale per la Mobilità e i Trasporti della Commissione Europea) e dal loro aggiornamento pubblicato come seconda edizione delle linee guida europee nell’ottobre 2019, un “Piano Urbano della Mobilità Sostenibile è un piano strategico che si propone di soddisfare la variegata domanda di mobilità delle persone e delle imprese nelle aree urbane e peri-urbane per migliorare la qualità della vita nelle città. Il PUMS integra gli altri strumenti di piano esistenti e segue principi di integrazione, partecipazione, monitoraggio e valutazione”.
Le linee guida europee definiscono, quale finalità principale di un PUMS, quella di creare un sistema urbano dei trasporti che persegua almeno i seguenti obiettivi: 1) migliorare l’accessibilità per tutti, senza distinzioni di reddito o status sociale; 2) accrescere la qualità della vita e l’attrattività dell’ambiente urbano; 3) migliorare la sicurezza stradale e la salute pubblica; 4) ridurre l’inquinamento atmosferico e acustico, le emissioni di gas serra e il consumo di energia; 5) fattibilità economica, equità sociale e qualità ambientale. Esse elencano, inoltre, i principali benefici che un PUMS genera, sia per gli Enti locali che per la collettività nel suo insieme: 1) migliorare la qualità della vita, 2) creare benefici economici e ridurre i costi; 3) dare un valido contributo al miglioramento della salute e dell’ambiente; 4) migliorare l’accessibilità e la fluidificazione della mobilità; 5) fare un uso più efficiente delle risorse limitate a disposizione; 6) conquistare il consenso dei cittadini; 7) realizzare piani migliori grazie a un approccio interdisciplinare e integrato; 8) riuscire a soddisfare gli obblighi di legge in maniera efficace e integrata; 9) sfruttare le sinergie di più istituzioni e settori per una pianificazione collaborativa; 10) muoversi verso una nuova cultura della mobilità.
Più sinteticamente, la redazione di un PUMS ha, pertanto, l’obiettivo di migliorare la qualità e le prestazioni ambientali delle aree urbane in modo da assicurare un ambiente di vita più sano in un complessivo quadro di sostenibilità economica e sociale, facendo sì che il sistema della mobilità urbana assicuri a ciascuno l’esercizio del proprio diritto a muoversi, senza gravare, per quanto possibile, sulla collettività in termini di inquinamento atmosferico, acustico, di congestione e incidentalità. In tale ottica, il tema dell’accessibilità, intesa come insieme delle caratteristiche spaziali, distributive, organizzative e gestionali in grado di permettere la mobilità e un uso agevole, in condizioni di sicurezza e autonomia, degli spazi e delle infrastrutture della città da parte di qualsiasi persona, è da intendersi come elemento centrale per la redazione, l’implementazione e il monitoraggio di un PUMS.
Una città dove ci si sposta in modo agevole, comodo e sicuro è una città migliore, sia per i cittadini sia per le attività economiche esercitate in loco. Per questo è importante che nelle cosiddette smart city la mobilità sia sostenibile17.
Il concetto stesso di smart city racchiude in sé quello di smart mobility, termine che fa riferimento a tecnologia, infrastrutture per la mobilità (parcheggi, reti di ricarica, segnaletica, veicoli), soluzioni per la mobilità (tra cui i modelli di new mobility). E l’obiettivo finale dell’introduzione di una mobilità smart nelle nostre città è ridurre il traffico, ridurre l’inquinamento, creare flussi intelligenti e senza interruzioni, e rafforzare le economie di scala per promuovere una mobilità accessibile a tutti18.
Per quanto riguarda i risultati ottenuti in ambito europeo dall’applicazione di misure di mobilità sostenibile, uno dei casi più significativi è Stoccolma, seguita da Amsterdam. Lo indica il City Mobility Index (DCMI 2020) di Deloitte, che prende in esame la qualità della mobilità urbana in 36 centri urbani sparsi per il pianeta. I criteri usati per la ricerca (interessanti per capire meglio in cosa consiste il nuovo modo di muoversi sostenibile) sono stati: 1) Prestazioni e resilienza. Aspetti come la mobilità integrata e la modal diversity (diversità modale); 2) Visione e leadership. Investimenti, innovazione, regolamenti, ecc.; 3) Servizio e inclusione. Accessibilità e altro ancora. Per ogni criterio, le città sono state classificate da ‘emergenti’ ad ‘aspiranti’, ‘contender’, ‘top performer’ e ‘leader globale’. Amsterdam è un “leader globale” sia nella diversità modale che nella visione e nella strategia, un “top performer” quando si tratta di congestione e densità dei trasporti pubblici, ma solo una città “aspirante” per l’accessibilità dei trasporti. Il 30% dei viaggi nella capitale olandese è fatto in bicicletta e il 19% con i mezzi pubblici, le auto private sono ancora la maggior parte dei mezzi circolanti (42%).
Tokyo, seconda solo a Stoccolma, è un “leader globale” quando si tratta di sicurezza dei trasporti, ma solo “aspirante” quando si tratta di congestione e qualità dell’aria. I cittadini di Tokyo viaggiano molto di più sui mezzi pubblici (47%) e molto meno in auto (12%). Sorprendentemente, il 24% degli abitanti della metropoli cammina, contro solo il 4% di chi vive a Amsterdam.
In Italia, l’art. 22 della Legge 340/200019 ha istituito il Piano Urbano della Mobilità (PUM) quale strumento di pianificazione sistemica con orizzonte temporale decennale per i Comuni con più di 100.000 abitanti, con lo scopo di regolamentare il settore della mobilità urbana, dal punto di vista della viabilità, del trasporto pubblico e della sicurezza stradale. Il Piano Urbano della Mobilità si affiancato al Piano Urbano del Traffico (PUT), uno strumento programmatico, reso obbligatorio dal 1992 per i Comuni con più di 30.000 abitanti o interessati da particolari flussi turistici o da elevato pendolarismo, ma che non possiede la portata del PUM e si configura piuttosto come piano di gestione di breve periodo. In base alla normativa nazionale, la predisposizione del PUM costituiva un prerequisito per accedere ai co-finanziamenti nazionali per investimenti in infrastrutture (fino al 60% dell’investimento). Per il resto, il PUM era finanziato con fondi locali destinati alla gestione dei servizi di trasporto, alla gestione della domanda o per altre iniziative di riduzione del traffico.
Il PUM italiano si è avvicina man mano sempre di più al PUMS introdotto dalla Commissione Europea; infatti, il PUM originariamente era un progetto integrato di mobilità urbana, che raccoglieva e coordinava progetti del sistema della mobilità comprendenti l’insieme organico degli interventi sulle infrastrutture di trasporto pubblico e stradali, sui parcheggi di interscambio, sulle tecnologie, sul parco veicoli, sul governo della domanda di trasporto attraverso la struttura dei mobility manager, i sistemi di controllo e di regolazione del traffico, l’informazione all’utenza, la logistica e le tecnologie destinate alla riorganizzazione della distribuzione delle merci nelle città.
Il PUM, però, per diventare PUMS necessitava di ulteriori elementi propri del secondo ed assenti nel primo. Ad esempio, nel caso della “partecipazione”, il PUMS prevedeva sempre il coinvolgimento degli stakeholder e del pubblico in generale mentre nel caso del PUM questo avveniva solamente se si rendeva obbligatoria una procedura di Valutazione Ambientale Strategica. Inoltre, il PUMS prevedeva la predisposizione di una serie di piani di settore, tra cui anche il piano della ciclabilità, quello della diffusione delle tecnologie telematiche e una periodica attività di monitoraggio e valutazione20.
Tra le città italiane che per prime hanno deliberato il PUM, alcune sono andate sin da subito nella direzione di un vero e proprio PUMS21. Tra queste, ancor prima del varo dello Urban Mobility Package, nel 2008, il Comune di Torino aveva predisposto un PUMS descrivendo in maniera dettagliata la situazione di partenza e le azioni che intendeva realizzare in tutte le tematiche previste dalla Commissione Europea; inoltre, era stata predisposta una serie di indicatori per le attività di monitoraggio e verifica.
Milano ha avviato il procedimento per la redazione del nuovo PUMS nel 2012, stabilendo 10 linee di indirizzo che puntavano sulle infrastrutture di trasporto pubblico, accessibilità e sicurezza, mobilità dolce e condivisa.
Parma è considerato uno degli esempi migliori per le politiche di mobilità sostenibile e il PUM comunale è stato integrato (divenendo PUMS) da una serie di piani di settore, come il BiciPlan, il Piano della Sosta e le varie carte tematiche della mobilità.
Reggio Emilia ha elaborato il suo PUM, anch’esso integrato (quindi PUMS) con il BiciPlan e le Zone 30 nel centro storico.
Prato ha avviato l’elaborazione del nuovo PUMS, da parte di un apposito staff scientifico definito come La Mos, ossia “Laboratorio per la Mobilità Sostenibile”.
Roma nel 2009 ha elaborato un Piano Strategico per la Mobilità Sostenibile con linee di indirizzo alle quali conformare gli strumenti di pianificazione della mobilità, come il Piano Generale del Traffico Urbano e i Piani Particolareggiati del Traffico, il Programma Urbano della Mobilità e il Piano Regolatore Generale.
Il 5 agosto 2017 sulla Gazzetta Ufficiale n. 233 è stato pubblicato il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 4 agosto 201722 recante “Individuazione delle linee guida per i piani urbani di mobilità sostenibile, ai sensi dell’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 25723”, poi aggiornate con Decreto n. 396 del 28 agosto 201924. Il Decreto originale è stato approvato con l’esplicita finalità di favorire l’applicazione omogenea e coordinata di linee guida per la redazione di Piani Urbani di Mobilità Sostenibile su tutto il territorio nazionale e consta di 6 articoli (Art. 1 “Finalità”, Art. 2 “Linee guida”, Art. 3 “Adozione dei PUMS”, Art. 4 “Aggiornamento e monitoraggio”, Art. 5 “Clausola di invarianza”, Art. 6 “Modifiche”) e due allegati contenenti il primo le “Procedure per la redazione e approvazione del piano urbano di mobilità sostenibile” e il secondo gli “Obiettivi, strategie ed azioni di un PUMS”.
Nelle Linee guida si fa riferimento ai seguenti aspetti: a) procedura uniforme per la redazione e l’approvazione dei PUMS, contenuta nell’allegato 1; b) individuazione delle strategie di riferimento, degli obiettivi macro e specifici e delle azioni che contribuiscono all’attuazione concreta delle strategie, nonché degli indicatori da utilizzare per la verifica del raggiungimento degli obiettivi dei PUMS (allegato 2).
Il nuovo approccio alla pianificazione strategica della mobilità urbana si basa sulle Linee Guida ELTIS ed è in linea con quanto espresso dall’allegato “Connettere l’Italia: fabbisogni e progetti di infrastrutture” al Documento di economia e finanza 2017. I macro obiettivi obbligatori che i PUMS devono raggiungere, che sono misurabili attraverso i relativi indicatori indicati nell’allegato 2, sono monitorati con le modalità indicate all’Art. 4, anche al fine di valutare il grado di contribuzione al raggiungimento progressivo degli obiettivi di politica nazionale.
Il Decreto sancisce l’obbligo di adozione del PUMS, inteso come condizione essenziale per accedere ai finanziamenti statali destinati a nuovi interventi per il trasporto rapido di massa, per tutti i Comuni con più 100.000 abitanti, fatta eccezione per quelli che ricadano in una Città metropolitana che abbia provvisto alla definizione di un proprio PUMS.
Gli enti locali, per poter accedere ai finanziamenti statali di infrastrutture per nuovi interventi per il trasporto rapido di massa, devono definire i Pums applicando le linee guida adottate. Con l’avvento delle piattaforme digitali e della sharing mobility, le azioni degli enti locali per una mobilità sostenibile possono essere ulteriormente sviluppate e incentivate.
Secondo l’analisi dei PUMS inserita nel Rapporto MobilitAria 2021, redatto da Kyoto Club e CNR-Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, i comuni italiani aventi un PUMS approvato al 31 gennaio 2021 sono 43; di questi, 22 sono capoluoghi di provincia. Dal Rapporto emerge, inoltre, come le città di medie dimensioni abbiano intensificato gli sforzi per la pianificazione di una mobilità sostenibile per far fronte ai problemi relativi ai servizi, all’accessibilità e alla sostenibilità. Tra i principali obiettivi dei PUMS italiani troviamo la volontà di ridurre il traffico motorizzato privato favorendo l’uso della bicicletta e della mobilità attiva, il potenziamento del trasporto pubblico locale, la riduzione delle emissioni di CO2 e, infine, degli inquinanti PM10 e NOx25. Di contro, tra le strategie del PUMS, si nota una certa marginalità della logistica urbana delle merci. I cambiamenti nel comportamento dei consumatori, i nuovi servizi di e-commerce, le consegne istantanee e la pandemia COVID-19, insieme ai tradizionali movimenti delle merci, stanno causando un aumento delle consegne dell’ultimo miglio e una forte pressione sugli ambienti urbani (20% del traffico urbano e 30% delle emissioni in ambito urbano sono generate dalla logistica; in un contesto in cui lo studio FM Logistics prevede una crescita annuale del mercato dell’8%/anno fino al 2030). Ciò nonostante, l’attenzione dei PUMS rispetto alla logistica urbana rimane ancora marginale. Infatti, solo l’8% dei PUMS analizzati in Italia (46 su 560 in termini assoluti) prevedono la logistica tra le strategie26, nonostante nel Libro Bianco dei Trasporti (2011) la Commissione Europea abbia fissato come obiettivo il raggiungimento di una City Logistics libera da emissioni di CO2 entro il 2030, come ricordato anche nel recente webinar del progetto Logistica Smart organizzato da CNR-IIA e Albo dell’Autotrasporto. FIT Consulting ha lavorato all’analisi dello stato dell’arte, all’individuazione di criticità e alla definizione di pacchetti di misure volte a rendere più efficiente e sostenibile il settore che è essenziale per garantire la vitalità delle nostre città e indispensabile per la floridità del tessuto economico urbano. Al momento FIT ha all’attivo 2 PUMS approvati (Livorno e Trieste), uno adottato (Verona, in fase di approvazione) e uno in fase di redazione (Città Metropolitana di Cagliari) più due studi di approfondimento/fattibilità sulle misure di logistica dell’ultimo miglio incluse nel PUMS di Modena e Bergamo.
Giunta al termine di questo lavoro in cui ho voluto ripercorrere ed analizzare le tappe più significative che stanno coinvolgendo l’intero pianeta cercando di indirizzarlo sempre più su una prospettiva di sviluppo sostenibile, cercando di dare una risposta alla domanda iniziale che voleva indagare circa i risultati e le criticità che, a 7 anni dall’approvazione dell’Agenda 2030, emergono ad oggi nelle amministrazioni comunali, laddove l’organizzazione dei servizi pubblici ed in particolare la questione mobilità assumono primaria rilevanza, e dalla valutazione, nello specifico, della realtà amministrativa di Taranto, a me più vicina, constato il raggiunto di un discreto livello di sostenibilità.
Abbiamo più volte detto che tante sono le criticità emerse in questi anni ed ancora molto c’è da fare per migliorare le attuali situazioni ma è innegabile che, in questi anni, i progressi ed i progetti in fase di attuazione siano importanti e, mancando ancora poco più di 7 anni al 2030, molto altro possa essere realizzato. In quest’ottica ottimistica, con immenso piacere ho appreso che anche a Taranto l’Amministrazione comunale27, a partire dalla redazione del PUMS, approvato nel 2018, è impegnata in un’azione ad ampio spettro per realizzare il potenziamento del trasporto pubblico urbano, riconosciuto dal PUMS di Taranto come una risorsa strategica per accompagnare la città verso nuovi e più sostenibili modelli di mobilità, ma anche come Driver per stimolare processi di riqualificazione urbana.
La città di Taranto può contare su una dotazione importante (700.000 km/anno) di percorrenze finanziate dal fondo unico per il TPL che è necessario sfruttare al meglio. Attualmente sulla rete urbana si muovono giornalmente circa 40.000 passeggeri paganti che salgono a 60.000 se si considerano le stime di traffico effettivo calcolato sui passeggeri a bordo. Dando per scontato l’obiettivo di contrasto all’evasione, finalizzato a recuperare efficienza economica, il PUMS si è posto come scopo prioritario il raggiungimento di una maggiore competitività della rete portante urbana rispetto all’auto privata.
E’ stato rilevato che, degli oltre 540.000 spostamenti elementari in auto privata che quotidianamente si svolgono internamente alla città (i quali rappresentano l’80% degli spostamenti in auto privata effettuati all’interno del territorio comunale), circa l’85% ha una durata inferiore ai 30’. A questo scopo, il PUMS ha previsto la realizzazione di due linee di Bus Rapid Transit (BRT) che costituiscano la struttura portante della rete. Il BRT è una soluzione infrastrutturale-tecnologica-organizzativa fondata sull’utilizzo, quanto più efficiente possibile, dell’autobus i cui elementi distintivi sono: 1. adozione di soli autobus ad alta capacità e tendenzialmente con motorizzazione ibrida o elettrica; 2. sede prevalentemente riservata; 3. priorità semaforica alle intersezioni; 4. allestimento delle fermate con accosto a marciapiede, incarrozzamento a raso e servizi ai passeggeri; 5. distanziamento medio tra le fermate non inferiore ai 350 metri.
L’Amministrazione si è, altresì, impegnata per quanto concerne il potenziamento di una rete continua e sicura di itinerari ciclabili in grado di connettere reciprocamente i quartieri della città con i principali attrattori di traffico e il centro storico. Effettuando un’attività di coinvolgimento dell’Università, delle scuole secondarie di secondo grado, degli enti e delle aziende pubbliche e delle Forze Armate e dei Corpi di Polizia per ricostruire i flussi di mobilità che, quotidianamente, si muovono dalla residenza verso i luoghi di destinazione, sono stati studiati e analizzati più di 16.000 percorsi casa-scuola e casa-lavoro per definire e avviare la realizzazione di piste ciclabili compatibili con le reali esigenze di mobilità leggera.
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D.M. 4 agosto 2017, n. 397, “Individuazione delle linee guida per i piani urbani di mobilità sostenibile, ai sensi dell’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257. (17A06675)”.
D.M. 28 agosto 2019, n. 396, “Modifiche delle linee guida per la redazione dei PUMS di cui al D. Min. Infrastrutture e Trasp. 04/08/2017.”
NOTE
1 Asvis (2020), L’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibile, Rapporto Asvis 2020.
2 A. Falzarano, Agenda 2030 tra Sviluppo Sostenibile e cultura della sostenibilità: una lettura sociologica. Agenda 2030 between Sustainable Development and the Culture of Sustainability: A Sociological Reading. Culture e Studi del Sociale-CuSsoc 2020, pg. 143-152
3 Giovannini E., L’Utopia Sostenibile, Editori Laterza (2018).
4 D. Herman E., Oltre la crescita. L’economia dello sviluppo sostenibile, Einaudi Editore (2001).
5 L. Cavalli, Fondazione Eni Enrico Mattei, 2018, Agenda 2030 da globale a locale, Milano.
6 Castellani V., Sala S., Significato e prospettive della sostenibilità. Il ruolo del mondo accademico, delle istituzioni, della scuola e delle imprese per lo svilupp o sostenibile, Tangram Edizioni Scientifiche 2010.
7 Gabrielli G., Teorie e pratiche per una gestione sostenibile delle persone, Franco Angeli Edizioni.
8 Legge 28 dicembre 2015, n. 221, “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali. (16G00006)”.
9 Porena D., Il principio di sostenibilità. Contributo allo studio di un programma costituzionale di solidarietà intergenerazionale, G. Giappichelli Editore.
10 Galuzzi P., Vitillo P., Rigenerare le città. La perequazione urbanistica come progetto, Maggioli Editore.
11 Martinelli N., Mininni M., Città Sostenibilità Resilienza: l’urbanistica italiana di fronte all’Agenda 2030, Donzelli Editore.
12 Grigorut I., Le politiche pubbliche nazionali per le città e le periferie nella prospettiva della rigenerazione urbana, Working Papers. Rivista online di Urban@it – 1/2019.
13 Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030
14 C. Pignalberi, Promuovere esperienze di apprendimento sul territorio: la sostenibilità e la resilienza come motore di “rinascita” ai tempi del Covid-19 (2021). FORMAZIONE & INSEGNAMENTO. Rivista internazionale di Scienze dell’educazione e della formazione, 281-295.
15 Gabrielli G., Teorie e pratiche per una gestione sostenibile delle persone, Franco Angeli Edizioni.
16 Tricarico L., Vecchio G., Testoni S., Comunità di pratiche della mobilità urbana: innovazione, condivisione e behavioural economics, “Working Papers. Rivista Online Di Urban@it” 2016.
17 De Castro M., Mobilità Sostenibile. Approcci, mentali e strumenti di governance, Altravista Editore.
18 Staricco L., Smart Mobility: opportunità e condizioni, TeMA Vol 6 pag341-356.
19 Legge 24 novembre 2000, n. 340, “Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi”.
20 Sacco C., Il Piano Urbano di Mobilità Sostenibile. Linee d’azione, indicatori e monitoraggio, Alinea Editrice.
21 Vittadini M. R., Rigenerazione Urbana e Mobilità Sostenibile, Ecoscienza n. 5/2017.
22 D.M. 4 agosto 2017, n. 397, “Individuazione delle linee guida per i piani urbani di mobilità sostenibile, ai sensi dell’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257. (17A06675)”.
23 D.Lgs. 16 dicembre 2016, n. 257, “Disciplina di attuazione della direttiva 2014/94/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, sulla realizzazione di una infrastruttura per i combustibili alternativi. (17G00005)”.
24 D.M. 28 agosto 2019, n. 396, “Modifiche delle linee guida per la redazione dei PUMS di cui al D. Min. Infrastrutture e Trasp. 04/08/2017.”
25 L.R. 23 giugno 2008, n. 16, “Principi, indirizzi e linee di intervento in materia di piano regionale dei trasporti”.
26 Fonte: “Lo stato dei PUMS in Italia”, Est motus in rebus 2019.
27 L.R. 23 giugno 2008, n. 16, “Principi, indirizzi e linee di intervento in materia di piano regionale dei trasporti”.
I BOSCHI URBANI E LA TUTELA PAESAGGISTICA E FORESTALE Mariangela Balestra ABSTRACT: Partendo dalla definizione normativa di bosco, il presente articolo tratta dei boschi in ambito urbano e del loro doppio regime di tutela […]
Diritto Ambientale Dottrina Fascicolo n.1/2023
Mariangela Balestra
ABSTRACT: Partendo dalla definizione normativa di bosco, il presente articolo tratta dei boschi in ambito urbano e del loro doppio regime di tutela paesaggistica e forestale; trattasi di vincoli ambientali che, come rilevato dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, prevalgono sulle disposizioni pianificatorie di carattere urbanistico-territoriale. Tutele che tuttavia, come dimostra l’ampia casistica giurisprudenziale e le cronache locali, ancora vengono spesso ignorate o negate.
Starting from the Italian regulatory definition of forest, this article deals with urban forests and their dual regime of landscape and forest protection. As noted by Italian constitutional and administrative courts, these environmental constraints prevail over the urban planning provisions. Protections which however, as demonstrated by the extensive case law and local news, are still often ignored or denied.
SOMMARIO:
1. La definizione normativa di bosco – 2. I boschi urbani – 3. Le tutele dei boschi – 4. La tutela paesaggistica – 4.1 La definizione di cui all’art. 142, primo comma, lett. G) D. Lgs 42/2004 4.2 L’esclusione della tutela in zone urbanizzate alla data del 6.09.1985 (art.2 D.Lgs. 42/2004) – 4.3 Tutela paesaggistica e strumenti di pianificazione – 4.4 Tutela paesaggistica e sanzioni (cenni) 5. Tutela forestale (cenni) 6. Conclusioni.
Per la legge italiana, influenzata tanto dai valori costituzionali dell’ambiente e del paesaggio (in particolare, art. 9 Costituzione)i, quanto dalle norme internazionaliii ed europee sovraordinate che mirano ad un’elevata difesa dell’ambienteiii, il Bosco è un bene primario ed assolutoiv di rilevante interesse pubblico.
La legge stabilisce in particolare che «La Repubblica riconosce il patrimonio forestale nazionale come parte del capitale naturale nazionale e come bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future.»v
Il bosco riveste anche una funzione sociale e culturale importante del territorio e del paesaggio perché garantisce nel tempo la multifunzionalità e rigenerazione delle risorse forestali, della biodiversità animale ed ambientale e, da ultimo, favorisce la lotta ai cambiamenti climatici, obiettivi che l’Italia in generale e le città metropolitane, in particolare, si sono impegnate a perseguirevi.
Per legge, si definisce bosco qualsiasi superficie coperta da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore a 2000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri, e copertura forestale maggiore del 20 per cento.vii
La legge, dunque, protegge in modo dinamico il bosco in quanto ecosistema autopoietico ed evolutivo che si sviluppa nello spazio e nel tempo, perché, come osservato dal Consiglio di Stato, «il concetto di bosco è da intendersi a livello eco-sistemico, non solo quale formazione vegetale ma quale insieme di elementi biotici, abiotici, paesaggistici che connotano il proprio essere peculiare.»viii
In ambito urbano, un bosco che abbia la superficie minima di legge è sempre protetto in ragione dell’estensione non solo arborea, ma anche prativa ed arbustiva che, nel tempo, ha acquisito. Va infatti considerato un insieme unitario ed imprescindibile, a maggior ragione se si sviluppa in una città, così esplicando tutte le funzioni ecosistemiche fondamentali, dove più se ne ha bisognoix.
Nulla a che vedere con elementi eterogenei tra cui filari di alberi piantumati, orti urbani, tetti verdi e c.d. boschi verticali sugli edifici; tutti elementi che spesso finiscono per venir indicati anch’essi come bosco urbano, in maniera impropria e alquanto confusa, nella comunicazione pubblica e giornalistica o in alcune statistiche del verde urbano.
L’utilizzo della corretta terminologia è necessario anche alla luce dell’importanza che il bosco sta acquisendo come vero e proprio elemento del territorio urbano. Malgrado l’urbanistica italiana abbia storicamente optato per parchi e giardini e dunque aree ambientali disegnate, costruite e gestite dall’uomo, nelle città si assiste sempre più spesso allo sviluppo di boschi sia artificiali, in attuazione di progetti di forestazione urbana pubblici o privati, sia spontanei, a causa della rinaturalizzazione di ampie aree (soprattutto ex militari o industriali) dismesse. Come meglio vedremo, tali trasformazioni forestali del territorio urbano – sia volontarie sia spontanee – hanno carattere dinamico e permanente, beneficiando di tutele paesaggistiche e forestali conformative del diritto di proprietà che impediscono o comunque minimizzano l’edificabilità, prevalendo anche sugli strumenti urbanistici difformi.
Proprio in ragione dei rilevanti benefici che produce e delle importanti funzioni svolte dal bosco, la legge riconosce più forme di tutela tra cui quelle: forestale, paesaggistica, derivante dal vincolo idro-geologico e dalla legge–quadro in materia di incendi boschivi che, come noto, rende del tutto inedificabile per 10 anni ogni terreno boschivo percorso da incendix.
Come ben sottolineato dalla giurisprudenza sia penale sia amministrativa, la normativa paesaggistica e quella forestale non si sovrappongono, in quanto tutelano beni giuridici distinti che, pur traendo la loro fonte nell’art. 9 della Costituzione, hanno ad oggetto rispettivamente il paesaggio e l’eco-sistema forestale. Inoltre, sia le autorità preposte, sia le conseguenze sanzionatorie sono in parte diverse, essendo assistita la normativa paesaggistica anche dalla sanzione penale.
In ogni caso, per effetto dei diversi livelli di tutela, eventuali trasformazioni edilizie che interessano aree boschive (o assimilate), sono soggette alla previa autorizzazione sia dell’autorità paesaggistica, sia dell’autorità forestale preposta, oltre al rilascio del titolo edilizio da parte del Comune.
In ogni caso, tutti i predetti vincoli ambientali, preposti alla tutela di valori e beni di rilievo costituzionale, prevalgono rispetto all’applicazione delle disposizioni di carattere urbanistico-territoriale, a prescindere dalla circostanza che il legislatore si ricordi di esplicitare detta prevalenza, di volta in volta, nel contesto di ciascuna regolamentazione settoriale. Inoltre, i vincoli ambientali sono inderogabili e dunque non sono cedevoli, neppure rispetto a quei provvedimenti amministrativi che, nel perseguire interessi pubblici di vario tipo, potrebbero entrare in conflitto con i medesimixi.
Qui tratteremo soprattutto della tutela paesaggistica in ambito urbano, con riferimento ai boschi urbani, e faremo cenno alla tutela forestale.
La tutela paesaggistica, introdotta con la c.d. Legge Galasso, è disciplinata dal d. lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali), il cui art. 142 contiene un’elencazione dei beni paesaggistici, tra cui «i territori coperti da boschi e foreste, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227».
L’oggetto della tutela paesaggistica non coincide con il bosco o la foresta secondo la definizione forestalexii ma ricomprende, in senso più ampio, il territorio su cui insiste il bosco o la foresta, quale insieme di elementi biotici, abiotici, arborei, floreali che lo caratterizzano, ricomprendendosi anche le aree limitrofe che servono per la salvaguardia e l’ampliamentoxiii.
La tutela del paesaggio di cui all’art. 9 della Costituzione impone infatti la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientalixiv.
Secondo la Corte costituzionale, il codice dei beni culturali effettua una rigorosa tipizzazione dei beni paesaggistici, «alla quale corrisponde una altrettanto dettagliata previsione dei casi, ugualmente nominati e tassativi, di deroga». La corte costituzionale ha avuto modo di precisare che tali eccezioni al vincolo, individuate nell’art. 142, comma 2 D. Lgs. 42/2004, sono circoscritte e non sono suscettibili di alcun ampliamento, interpretazione o applicazione estensiva da parte delle Regionixv.
L’art. 142, comma 2 del D. Lgs 42/2004 – che riprende l’art. 1 della legge 431/1985, c.d. legge Galasso – stabilisce che il vincolo paesaggistico – ivi incluso quello boschivo- non si applica a quelle aree già indicate, alla data del 6 settembre 1985, come zone territoriali omogene urbane A e B (ai sensi del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444) o alle altre zone, limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione, a condizione della loro effettiva realizzazione, e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrali ai sensi dell’art. 18 legge 865/1071.
La giurisprudenza penale e amministrativa formatasi sulla legge Galasso, entrata in vigore il 6 settembre 1985, ha evidenziato a più riprese il carattere temporaneo delle suddette deroghe.
Infatti, affermano i giudici: «la possibilità di deroga al vincolo paesaggistico riguarda soltanto le aree comprese in previsioni urbanistiche già approvate alla data di entrata in vigore della legge e non può essere estesa ai successivi atti programmatori».xvi
La deroga aveva soltanto lo scopo di consentire la realizzazione di opere già avviate, in esecuzione dei piani vigenti nel 1985, «nonché in relazione ad aree già urbanizzate, quindi già compromesse, ed in quelle oggetto di una pianificazione che aveva ritenuto maturo, a quell’epoca, il tempo dell’esecuzione di interventi sul territorio»xvii.
Pertanto, a distanza di quasi 40 anni dalla legge Galasso, le attuali superfici urbane boschive formatesi ante o post 1985 – a causa dei mancati interventi edilizi in aree urbanizzate – dovrebbero essere tutte tutelate paesaggisticamente, senza possibilità di deroga.
Il Consiglio di Stato ha infatti recentemente ribadito che: «L’eccezione al vincolo ex lege vale solo a favore di quelle aree già indicate come zone territoriali omogenee A) e B) prima del 6 settembre 1985 (c.d.legge Galasso), per tener conto dell’esistente, e sino a che vige quello strumento urbanistico, così consentendo di portare a compimento una scelta già fatta al momento dell’entrata in vigore della legge Galasso; non può valere nel caso di nuova determinazione dell’amministrazione nello stesso senso, evidentemente sul presupposto che la precedente non aveva avuto concreta o, comunque, completa attuazione. In tal senso rileva: a) l’evidente ratio di tutela dei valori paesistici; b) l’espressa previsione contenuta nella successiva lett. b) dello stesso comma, secondo la quale la deroga vale anche per le aree delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del d.m. n. 144 del 1968, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A) e B), limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, <<a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate>>. Inoltre, nella direzione di una interpretazione restrittiva appare orientata la giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale non è consentito ai Comuni ampliare tale disciplina derogatoria (Cons. Stato, sez.VI, n. 2056 del 2010) ».xviii
In altri termini, il D. Lgs. 42/2004 non permette a posteriori alcuna eccezione alla tutela paesaggistica assicurata dalla legge Galasso del 1985, eccezione che valeva solo a consentire l’urbanizzazione approvata in quel momento storico e non sine die. Se nessun intervento urbanistico si è realizzato in un’area urbana, tanto che la rinaturalizzazione ha comportato la formazione di un bosco, è solo quell’intervento della natura, ormai connotante il paesaggio urbano, a dover essere tutelato sine die.
La giurisprudenza ha altresì precisato che i boschi costituiscono un bene paesaggistico sottoposto dalla legge a tutela diretta con vincoli che gli strumenti di pianificazione regionale devono recepire, non soggetti a decadenza, perché traggono origine dalle caratteristiche dell’area.xix La nozione di«territorio coperto da bosco«, ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico «non può assumere una portata riduttiva, sicché la natura di zona boscata è determinata dalla presenza effettiva di bosco fitto di alto fusto o di bosco rado indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale»xx .
Inoltre, una volta accertata la presenza del bosco, l’area è da intendersi tutelata con il vincolo paesaggistico, ai sensi dell’art. 142, comma 1°, lettera g, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i., «indipendentemente da eventuali diverse definizioni ad essa date dagli strumenti urbanistici comunali»xxi. A nulla rilevano, quindi, eventuali differenti classificazioni delle aree boschive negli atti di pianificazione urbanistica (es. P.O.C., P.R.G.), in quanto la previsione di cui all’art. 142, comma 1, lettera g) del d.lgs. n. 42/2004 è ricognitiva del vincolo. Inoltre, mentre la pianificazione comunale è preordinata alla gestione della vocazione urbanistica delle diverse zone, quella paesaggistica tende a conformare le diverse aree, salvaguardando anche i limiti posti dall’eventuale piano territoriale paesaggistico. In riferimento all’art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42/2004, il Consiglio di Stato ha precisato che gli strumenti urbanistici comunali non possono contemplare condizioni peggiorative rispetto alle disposizioni del piano paesaggistico, ma possono pur sempre disciplinare le aree vincolate con previsioni che tutelano anche il profilo ambientale e paesaggistico in modo più favorevolexxii.
L’art. 146 D. Lgs. 42/2004 precisa che i proprietari, possessori o detentori di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.
Gli interventi – pubblici o privati – effettuati senza la prescritta autorizzazione sono sanzionati sia penalmente sia con pena amministrativa.
Il regime sanzionatorio penale in materia paesaggistica è disciplinato dall’art. 181 del D.Lgs. 42/2004, la cui pena ordinaria prevede l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro (Art. 181 c.1 del D.Lgs. 42/2004). Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato.
Per le opere realizzate in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, dovranno essere altresì irrogate le sanzioni amministrative previste dall’art. 167 del summenzionato decreto legislativo.
Inoltre, l’art. 167, comma 1 del D. Lgs 42/2004 stabilisce l’obbligo della rimessione in pristino per opere eseguite in assenza/difformità da autorizzazione paesaggistica.
La compatibilità paesaggistica può essere accertata esclusivamente nei casi previsti (art. 167, comma 4 D Lgs. 42/2004) e, dunque, secondo il Consiglio di Stato, «non si può far luogo all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria nel caso di interventi non edilizi di alterazione di territori coperti da foreste e da boschi».xxiii
Ai sensi dell’art. 146 del Codice, l’autorità preposta alla tutela paesaggistica è la Regione, previo parere della Soprintendenza statale (comma 5), anche se può delegarne l’esercizio, in presenza di determinati presupposti organizzativi e funzionali, agli enti locali (comma 6), conservando comunque il potere di intervenire in via sostitutiva, in caso di inerzia dell’ente delegato (comma 10).xxiv
Come per le norme paesaggistiche anche per la legge forestale, la presenza del bosco ha la precedenza rispetto alle destinazioni urbanistiche e alle pianificazioni degli enti localixxv.
In particolare, in base alle norme di cui al D. Lgs 34/2018, i proprietari delle particelle ricoperte da superfici boschive aventi le caratteristiche fisiche individuate dalla suddetta legge, sono vincolati alla sua salvaguardia e non sono liberi di trasformare il boscoxxvi.
Per trasformazione del bosco si intende «ogni intervento che comporti l’eliminazione della vegetazione arborea e arbustiva esistente, finalizzato ad attività diverse dalla gestione forestale.« La legge forestale è chiara nel vietare:
“ogni intervento di trasformazione del bosco che determini un danno o un danno ambientale ai sensi della direttiva 2004/35/CE e della relativa normativa interna di recepimento e che non sia stato preventivamente autorizzato, ove previsto, ai sensi dell’articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, delle disposizioni dei piani paesaggistici regionali ovvero ai fini del ripristino delle attivita’ agricole tradizionali e della realizzazione di opere di rilevante interesse pubblico e di viabilita’ forestale connessa alle attivita’ selvicolturali e alla protezione dei boschi dagli incendi, sempre che la trasformazione del bosco risulti compatibile con le esigenze di difesa idrogeologica, di stabilita’ dei terreni, di regime delle acque, di difesa dalle valanghe e dalla caduta dei massi, di conservazione della biodiversita’ e di tutela della pubblica incolumita’» (art. 8, comma 2, D. lgs. 34/2018). Anche laddove la trasformazione del bosco sia autorizzata, la stessa deve poter essere compensata con rimboschimenti (art. 8, comma 3, D. lgs. 34/2018).
La mancanza di autorizzazione forestale costituisce illecito amministrativo sanzionabile. Inoltre, è sempre prevista la tutela ripristinatoriaxxvii.
I boschi urbani e peri-urbani costituiscono una componente sempre meno marginale del contesto urbano, per effetto sia di riforestazione pubblica e privata (in risposta ai cambiamenti climatici), sia di fenomeni di rinaturalizzazione spontanea in aree urbane dismesse. Una volta accertata la sussistenza del bosco in base ai parametri di legge, il bosco beneficia, anche in ambito urbano, di specifiche ed inderogabili tutele paesaggistica e forestale che trovano la loro ispirazione in norme costituzionali e sovra-ordinate, tutele che costituiscono tanto limite alla proprietà privata quanto alle previsioni urbanistiche ed ai provvedimenti amministrativi confliggenti. Tutele che spesso, purtroppo, ancora oggi vengono ignorate o negate.
Invero, la pianificazione urbanistica non solo deve tener conto dei vincoli ambientali, come meglio evidenziato nel presente studio, ma dovrebbe essere naturalmente volta alla valorizzazione dei boschi in città se è vero quanto si affermava già nel 1926xxviii:«Se consideriamo che l’obiettivo di massima di qualunque piano regolatore è di orientare la crescita verso i maggiori vantaggi per la collettività in termini sociali, economici, ricreativi e di bellezza, si comprende anche senza particolari difficoltà il ruolo del bosco».
Note
i La Costituzione fissa i principi, tra cui:
1) il diritto alla salute
2) il diritto e la difesa dell’ambiente e del paesaggio.
3) Il rispetto della proprietà privata, seppur nei limiti dell’utilità sociale e delle leggi.
Quanto al principio della difesa dell’ambiente, la Corte costituzionale nelle sentenze n. 210 e n. 641 del 1987 ha definitivamente chiarito che l’ambiente è un bene giuridico riconosciuto e tutelato …e la sua protezione rappresenta un diritto fondamentale della persona umana, oltre che un valore costituzionale primario assieme a quello alla salute individuale e collettiva. L’interpretazione della Corte costituzionale ha, quindi, consentito un’integrazione del significato dell’art. 9 Cost. mediante un’attività volta alla difesa e promozione delle libertà fondamentali. E ciò naturalmente, per quanto ci riguarda, interessa anche i boschi, come indicato, anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 105 del 2008 (vedasi nota 4). Per effetto della modifica costituzionale del 2022, l’attuale art. 9 COST. così prevede: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversita’ e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
ii Si ricordano, da ultimo, l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile e l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, la Convenzione europea del paesaggio adottata il 19 luglio 2000, la Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità, adottata il 5 giugno 1992, ratificata e resa esecutiva con la legge 14 febbraio 1994, n. 124; la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottata a New York il 9 maggio 1992, ratificata e resa esecutiva con la legge 15 gennaio 1994, n. 65 e il Protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997, sui mutamenti climatici, ratificata e resa esecutiva con la legge 1° giugno 2002, n. 120, nonché la «Dichiarazione autorevole di principi giuridicamente non vincolante per un consenso globale sulla gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile di ogni tipo di foresta», adottata nell’ambito della Conferenza di Rio.
iii Questi principi si ritrovano e sono stati anche più articolati, per quanto riguarda, il diritto ambientale, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 37) e nei trattati dell’Unione Europea. Tra essi si ricordano gli artt. 11, 191,192,193, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che in materia di ambiente fissano i principi della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione alla fonte dei danni causati dall’inquinamento, nonché il principio «chi inquina paga». Si ricorda il Green Deal europeo e il Piano di ripresa e resilienza https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it Quanto alle foreste, si ricorda la Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni «Nuova strategia dell’UE per le foreste per il 2030», del 2021.
iv Cfr. Corte Costituzionale, 18 aprile 2008, n. 105, che afferma: «Sotto l’aspetto ambientale, i boschi e le foreste costituiscono un bene giuridico di valore “primario” (sentenza n. 151 del 1986), ed “assoluto” (sentenza n. 641 del 1987), la cui tutela apprestata dallo Stato è nell’ambito della sua competenza esclusiva in materia di ambiente».
v Art. 1, comma 1, D. Lgs 3 aprile 2018, n. 34 Testo unico in materia di foreste e filiere forestali
vi Carta di Bologna per l’Ambiente, “Le città metropolitane per lo sviluppo sostenibile”, sottoscritta a Bologna l’8.06.2017, che tra le altre cose prevede come obiettivi per le Città metropolitane e le aree urbane: «Raggiungere …45 mq di verde urbano per abitante entro il 2030…«ridurre il consumo di suolo…del 20% .. anche attraverso l’attuazione delle reti ecologiche per creare sistemi connessi che comprendano boschi e foreste…riconoscere le infrastrutture verdi come elementi indispensabili per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, per la valorizzazione dei servizi ecosistemici».
vii Art. 3 comma 3 D. Lgs 34/2018. Sono fatte salve definizioni delle leggi regionali, solo nell’ottica di una maggiore tutela.
viii Sentenza Consiglio di Stato 23 ottobre 2012, n. 5410.
ix Ispra, “Foreste e biodiversità, troppo preziose per perderle – risposte alle domande più frequenti”, p. 13: «Nonostante sia stata da tempo superata la comune visione legata alla funzione puramente estetica e ricreativa delle aree verdi in città, solo recentemente è stato riconosciuto il ruolo cruciale delle foreste urbane e periurbane nella salvaguardia della qualità ambientale e del benessere psico-fisico degli abitanti. Tra i benefici corrisposti dagli spazi verdi e dagli alberi ricordiamo quelli di carattere sociale ed aggregativo, il controllo delle acque piovane, il miglioramento del microclima e della qualità dell’aria e la riduzione dei consumi di energia e quindi di emissioni. Questi benefici concorrono tutti insieme a rendere le città più vivibili e sostenibili. Non va dimenticata poi la grande valenza ecologica della vegetazione urbana, la quale, a dispetto delle limitate estensioni, può racchiudere e preservare preziosi habitat per la sopravvivenza e la riproduzione di flora e fauna, tra cui piccoli mammiferi, anfibi, uccelli e insetti. Infine, gli spazi verdi urbani e peri-urbani offrono la possibilità di recuperare e riqualificare aree abbandonate e degradate della città, come ad esempio insediamenti produttivi dismessi, sia dal punto di vista sociale sia ambientale».
x L. 21 novembre 2000, n. 353.
xi Così M. Renna, Vincoli alla proprietà e diritto dell’ambiente, in “Il Diritto dell’economia” n.4/2005 che ricorda, ad esempio, l’art. 14bis della L.241/1990 che prevede che, in sede di conferenza preliminare di servizi, per la realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, le amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del paesaggio devono pronunciarsi tempestivamente, per quanto di propria competenza, sulla realizzabilità del progetto, nonché sulle condizioni e gli elementi necessari per l’autorizzazione dell’opera. L’esigenza di una verifica preventiva dei vincoli si ritrova esplicitata anche nell’art. 3ter del D. L. 351/2001, secondo cui le amministrazioni preposte alle tutele paesaggistico-ambientali si esprimono nel contesto dell’accordo di programma di valorizzazione territoriale degli immobili pubblici e, dunque, prima della sua adozione.
xii L’art. 2 comma 6 del D. Lgs. 227/2001, T.U. in materia forestale, conteneva una definizione di bosco poi trasfusa, con alcune modifiche, nell’art. 3 comma 3 D. Lgs 34/2018.
xiii Consiglio di Stato, Sent. 23 ottobre 2012, n. 5410 e Cass. Pen. 9 giugno 1994, n. 7556.
xiv Così Corte Cost., sent. 367/2007 e sent. 66/2012
xv Corte Costituzionale, sent. 367/2007
xvi Cons. St., Sez. V, 1 aprile 2011, n. 2015, che richiama Sez. VI, 4 dicembre 1996, n. 1679; id., 22 aprile 2004 , n. 2332, secondo cui la disciplina statale subordina l’esclusione dal vincolo paesaggistico predisposto per legge alla delimitazione dei terreni negli strumenti urbanistici come zone A e B ad una data determinata, e cioè al 6 settembre 1985, epoca di entrata in vigore della l. n. 431 del 1985.
xvii Cass. pen., sez. III, 17 gennaio 1998, n. 3882 (c.c. 17 dicembre 1997), Matarrese.
xviii Sent. Consiglio di Stato n. 332/2018 del 19.01.2018
xix Sent. T.A.R. Puglia, LE, Sez. I, 4 novembre 2019, n. 1683
xx Sent. Cass. Pen., sez. III, n. 17060 del 21/03/2006 e n. 2864 del 25 gennaio 2007
xxi Sent. Cass. Penale 19533/2015
xxii Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 2019, n. 4778
xxiii Consiglio di stato, sent. 312/2018 in https://www.ingenio-web.it/articoli/tutela-paesaggistica-di-chi-e-la-competenza-per-il-procedimento-autorizzatorio/
xxiv Consiglio di stato, sent. 312/2018, cit.
xxv L’urbanistica, cioè la disciplina che studia il territorio antropizzato e ha come scopo la progettazione dello spazio urbano e la pianificazione organica delle modificazioni del territorio, si sviluppa all’interno di una cornice legislativa complessa che tuttavia ha il suo faro nei principi costituzionali, quelli derivati dall’ordinamento UE e dalle leggi, sovraordinate rispetto agli atti amministrativi.
xxvi Cfr. art. 8, commi 1-3. D. Lgs. 34/2018.
xxvii Consiglio di Stato, sent. 3184/2000 e sent. 5410/2012
xxviii Charles Lathrop Pack, milionario e filantropo investì una fortuna nella conservazione dei boschi in America e fu sostenitore della Tree association, City Planning, ottobre 1926 – Titolo originale: The community forest and the community plan – Traduzione di Fabrizio Bottini, in http://www.cittaconquistatrice.it/il-bosco-urbano-e-lurbanistica-1926/
PARRESIA, OVVERO “DIRE IL VERO” Sergio Benedetto Sabetta Nell’attuale fase storica dove dalla globalizzazione informe dei principi e valori schiacciati sull’unico valore economico si è passati ad una conflittualità globale nella ricerca di […]
Dottrina Enti Locali e P.A. Notizie
PARRESIA, OVVERO “DIRE IL VERO”
Sergio Benedetto Sabetta
Nell’attuale fase storica dove dalla globalizzazione informe dei principi e valori schiacciati sull’unico valore economico si è passati ad una conflittualità globale nella ricerca di una nuova suddivisione di aree di influenza e rideterminazione di scale di potere a valori, nasce la necessità della cura del sé quale conoscenza dell’Io premessa per una ricerca di autonomia dalla globalizzazione desertificante (Habermas).
La libertà di ricerca o di pensiero è nel mondo occidentale di fatto direzionata dalla logica di mercato, se non nella ricerca, a posteriore nella sua divulgazione da parte dei media secondo tesi di parte, ma anche i progetti culturali e il finanziamento che ne consegue vengono ad influire, in molti casi anche secondo criteri ideologici, questo avviene anche in ambito non solo economico, basti pensare alle recenti polemiche sui 110% in materia edilizia, ma anche negli aspetti più apparentemente neutri quali l’ecologia.
Già i Greci individuarono due tipi di verità, innanzitutto il Logos, ossia la verità nel pubblico, e successivamente attraverso l’insegnamento di Socrate il Bios, la verità nel privato ovvero la conoscenza del “sé”.
Tuttavia, come in tutto l’agire umano, vi è una possibile doppia lettura, la parresia o libertà di parola può in democrazia essere pervertita in una forma di “demagogia”, se non “insolenza”.
Nel mondo greco l’accesso alla verità risiede nel possesso delle qualità morali e nel dovere comunicare la verità, nell’età moderna in Cartesio vi è il dubbio e la verità risiede nella sua evidenza, dove opinione e verità coincidono.
La verità non risiede per il “parresiastes” nel discorso lungo e retorico, bensì nel dialogo aperto, questo tuttavia comporta nel dire la verità un rischio o pericolo nell’irritare l’interlocutore, la parresia è quindi legata al coraggio nell’essere esercitata dal “basso” verso “l’alto”, ovvero del potere di “uno” o della “maggioranza”, essendo la “parresia democratica” differente dalla “parresia monarchica”, dove vi è un dovere da parte del consigliere del sovrano di dire la verità.
Per Platone il pericolo della parresia risiede non tanto nella presa di potere da parte di un demagogo, bensì nella mancanza di uno stile di vita comune, ossia di alcuni valori di vita fondamentali da condividere, che creano unità.
Se la libertà di dire (logos) corrisponde alla libertà di fare (bios), questa per Demostene non è solo un diritto o privilegio ma risulta nei fatti essere una attitudine personale, che in Aristotele diviene una qualità etico-morale.
La parresia, quale verità, si pone anche nel rapporto tra logos (discorso) e nomos (legge), in cui Platone individua la parresia politica nel rapporto “logos, verità, nomos”, mentre la parresia etica risiede nel rapporto “logos, verità, bios”, la parresia deve quindi superare il puro concetto per diventare una pratica.
Mentre Plutarco pone il problema dell’autoinganno, Socrate quello della conoscenza di se stessi, entrambi legati alla risolutezza nei propositi, passando dal dire la verità agli altri al dire la verità a se stessi, temi tra loro legati.
“Noi siamo gli adulatori di noi stessi” (89, M.Foucault), per questo abbiamo bisogno del “parresiastes”, ma chi può essere questi se non colui che è in un rapporto armonico tra le parole (logoi) e le sue azioni (erga), solo in questa possibilità di resoconto vi è la conferma del ruolo di esaminatore (basanos) della vita altrui, superando la distanza tra discorso e pensiero propria dei sofisti.
Nascono due interrogativi, come stabilire se un’affermazione è vera, qual è l’importanza di dire la verità e di conoscere la verità, sia per l’individuo che per la società.
Diogene dice ad Alessandro “ So che sei stato offeso e so anche che sei libero. Tu hai sia la capacità che la legittimazione giuridica per uccidermi. Ma sarai abbastanza coraggioso da ascoltare dalla mia bocca la verità, o sei così codardo da dovermi uccidere?”. “Ebbene, puoi uccidermi, ma se lo fai nessun altro ti dirà la verità”. (85, M. Foucault)
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Vero o falso. L’uso politico della storia, a cura di Marina Caffiero e M. Micaela Procaccia, Donzelli Ed. 2008;
Foucault M., Discorso e verità nella Grecia antica, Donzelli Ed. 2005;
Hadot P., Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi 1988;
Jaeger W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, La Nuova Italia, 1978.
Il Fascicolo n.1/2023 della Rivista Giuridica di Diritto QUOTIDIANO LEGALE è in preparazione, il PDF uscirà a completamento del 1^ trimestre.
Fascicoli Fascicolo n.1/2023
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CONVEGNO ON LINE AMBIENTE, AUTORIZZAZIONI AMBIENTALI E SEMPLIFICAZIONE: UN TRINOMIO POSSIBILE? (a cura di Antonio Mitrotti) 21 aprile 2023 – inizio ore 9.00 Convegno On Line Relazione introduttiva, saluti e presentazione del Convegno Dott.ssa […]
Convegni e Master Notizie
CONVEGNO ON LINE
AMBIENTE, AUTORIZZAZIONI AMBIENTALI E SEMPLIFICAZIONE: UN TRINOMIO POSSIBILE?
(a cura di Antonio Mitrotti)
21 aprile 2023 – inizio ore 9.00 Convegno On Line
Relazione introduttiva, saluti e presentazione del Convegno
Dott.ssa Daniela DI PAOLA, Vice-Direttore di AmbienteDiritto.it
I rapporti tra uomo e natura nel diritto vivente
Prof. Simone BUDELLI, Componente del Com. Dir. di AmbienteDiritto.it
Prima Sessione LA GIURISPRUDENZA AMBIENTALE Coordinamento ed introduzione dei lavori della sessione. Prof. Gian Luca CONTI, Univ. di Pisa Gli arresti della giurisprudenza europea sull’ambiente. Prof. Clara NAPOLITANO, Univ. del Salento Le tappe della Corte costituzionale italiana sull’ambiente. Prof. Giancarlo A. FERRO, Univ. di Catania Gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa nel prisma dell’ambiente. Prof. Marco OLIVI, Univ. Ca’ Foscari di Venezia La costituzionalizzazione dell’ambiente e le sue possibili ricadute giurisprudenziali. Prof. Daniele PORENA, Univ. di Perugia Ore 11.00 – Pausa Caffè |
Ore 11.15 – Seconda Sessione LA SEMPLIFICAZIONE NELL’AMBIENTE Coordinamento ed introduzione dei lavori della sessione. Prof. Pier Luigi PORTALURI, Univ. del Salento Il concetto filosofico di semplificazione. Prof. Marco Alberto QUIROZ VITALE, Univ. di Milano Semplificare la Costituzione? Prof. Paolo BIANCHI, Univ. di Camerino La semplificazione nel procedimento amministrativo. Prof. Salvatore CIMINI, Univ. di Teramo La semplificazione nel diritto ambientale. Prof. Annamaria BONOMO, Univ. di Bari L’interpello ambientale tra dialogo e semplificazione. Prof. Giacomo VIVOLI, Univ. di Firenze Ore 13.30 – Pausa Pranzo |
Ore 15.30 – Terza Sessione IL PUNTO SULLA DISCIPLINA DELLE AUTORIZZAZIONI AMBIENTALI Coordinamento ed introduzione dei lavori della sessione. Prof. Vera FANTI, Univ. di Foggia Le autorizzazioni ambientali nel quadro giuridico europeo. Prof. Carmine PETTERUTI, Univ. L. Vanvitelli Il riparto delle competenze autorizzatorie in materia ambientale tra Stato e Regioni. Prof. Nicola GULLO Univ. di Palermo Le autorizzazioni ambientali in Francia. Dott. Luigi COLELLA, Univ. L. Vanvitelli Autorizzazioni ambientali e semplificazione in Italia. Dott. Augusto DI CAGNO, Univ. di Bari Le autorizzazioni ambientali nel Regno Unito: il permitting. Dott. Antonio MITROTTI, Segr. comunale Le autorizzazioni ambientali in Colombia e spunti di comparazione con le esperienze sudamericane. Prof. Juan Carlos COVILLA MARTINEZ, Universidad Externado de Colombia Conclusioni: Prof. Pier Luigi PORTALURI, Univ. del Salento |
In corso di accreditamento: Consiglio Nazionale Forense – Ordine dei Giornalisti – Ordine Ingegneri – Ordine Architetti – Ordine Agronomi |
La partecipazione è gratuita L’iscrizione è obbligatoria al seguente Link: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-ambiente-autorizzazioni-ambientali-e-semplificazione-un-trinomio-possibile-546411530597 |
Per iscriverti: Scarica la locandina, inquadra il Codice QR e segui le istruzioni oppure utilizza il link qui a fianco |
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LA “PAURA DELLA FIRMA” TRA MITO E REALTA’: RIFLESSIONI SULLA CORTE DEI CONTI E SULLE SUE FUNZIONI in occasione dell’uscita della nuova ed. del volume La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlliA cura […]
Convegni e Master Libri
LA “PAURA DELLA FIRMA” TRA MITO E REALTA’: RIFLESSIONI SULLA CORTE DEI CONTI E SULLE SUE FUNZIONI
in occasione dell’uscita della nuova ed. del volume
La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli
A cura di Vito Tenore
con contributi di: Andrea Baldanza, Luigi Caso, Claudio Chiarenza, Adelisa Corsetti, Piergiorgio Della Ventura, Paolo Evangelista, Alessandro Napoli, Vito Tenore
e con presentazione di Guido Carlino e
de Il nuovo Codice della contabilità pubblica
di Vito Tenore e Luigi Carbone, ed Anicia
Roma, 13 marzo 2023
h. 15.00 – 18.30
Corte dei conti – Aula Turina
Edificio Montezemolo – Via Baiamonti 6
L’evento è seguibile da remoto
14.30 Registrazione partecipanti
15.00 Saluti
Guido Carlino, Presidente della Corte dei conti
Coordinamento
Vito Tenore, Presidente di Sezione della Corte dei conti, Docente SNA
Relatori
Stefano Ferracuti, Ordinario di psicopatologia forense presso il Dipartimento di Neuroscienze Umane della Sapienza Università di Roma
La nozione psichiatrica di paura e suo adattamento al funzionario pubblico
Maria Rosaria Sangiorgio, Giudice della Corte costituzionale
Le novelle normative in tema di responsabilità del dipendente pubblico al vaglio della Consulta
Ernesto Lupo, Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione
Il ragionevole o meno concorso tra g.o. e Corte dei conti nel perseguire danni erariali
Francesco Lo Voi, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma
Paura della firma nell’abuso e nella omissione di atti d’ufficio e i raccordi tra Corte dei conti e Procura della Repubblica nella lotta alla illegalità
Aristide Police, Ordinario di diritto amministrativo Università Tor Vergata
Paura della firma e novelle al giudizio di responsabilità amministrativo–contabile
Francesco Giorgino, Docente Luiss di Comunicazione e Marketing
La paura della firma nella rappresentazione mediale del funzionario pubblico
Bernardo Giorgio Mattarella, Ordinario di diritto amministrativo LUISS Guido Carli
Paura della firma ed utilità dell’attività di controllo e consultiva della Corte dei conti
Giuseppe Busia, Presidente dell’ANAC
Paura della firma e lotta alla corruzione
Vito Tenore, Presidente di Sezione della Corte dei conti, Docente SNA
Conclusioni: il recupero del coraggio nella firma attraverso la semplificazione normativa e la competenza dei funzionari pubblici: ruolo dei concorsi e della SNA
Per confermare presenza, contatti e informazioni:
tel. 06.38763855/3730/3235
e–mail: cerimoniale.presidenza@corteconti.it
L’evento è stato accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Roma nel quadro della formazione permanente
Master in Diritto e Tecnica della Transizione Ecologica – Unipa. Coordinatore: Prof. Nicola GULLO Coordinatore Vicario: Prof. Ing. Gaspare VIVIANI Dipartimento di Giurisprudenza – Dipartimento di Ingegneria Centro di Sostenibilità e Transizione Ecologica Università degli […]
Convegni e Master NotizieMaster in Diritto e Tecnica della Transizione Ecologica – Unipa.
Coordinatore: Prof. Nicola GULLO
Coordinatore Vicario: Prof. Ing. Gaspare VIVIANI
Dipartimento di Giurisprudenza – Dipartimento di Ingegneria
Centro di Sostenibilità e Transizione Ecologica
Università degli Studi di Palermo
I MODULO
La questione ambientale: profili scientifici e socio-economici
II MODULO
Il diritto multilivello della transizione ecologica
III MODULO
Parte speciale: La tutela dell’aria, dell’acqua e del suolo
IV MODULO
Parte speciale: Le fonti energetiche
V MODULO
Parte speciale: La gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati
VI MODULO
Parte speciale: La pianificazione del territorio e lo sviluppo delle aree urbane
VII MODULO
Gli strumenti di tutela giurisdizionale
Scadenza delle candidature:10 marzo 2023
Iscrizione con riserva per i laureandi di marzo
Scarica la locandina del Master_II_livello_transizione_ecologica
Ulteriori info sul Master di II Livello
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 gennaio 2023, n. 4 (Massime a cura di Ilaria Genuessi) DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Istanza di accesso – Rito speciale (accesso) – Ordinanza di primo […]
Amministrativa Fascicolo n.1/2023 Giurisprudenza
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 gennaio 2023, n. 4
(Massime a cura di Ilaria Genuessi)
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Istanza di accesso – Rito speciale (accesso) – Ordinanza di primo grado su istanza di accesso – Impugnazione Appellabilità ordinanza – Natura decisoria – Accesso difensivo “qualificato” – Criterio di interpretazione letterale – Criterio di interpretazione storica – Criterio di interpretazione sistematica – Criterio di interpretazione conforme a Costituzione.
Provvedimento: Sentenza Consiglio di Stato
Sezione: Adunanza Plenaria
Data di pubblicazione: 24 gennaio 2023
Numero: 4
Data di udienza: 16 novembre 2022
Presidente: Maruotti
Estensore: Lopilato
Premassima
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Istanza di accesso – Rito speciale (accesso) – Ordinanza di primo grado su istanza di accesso – Impugnazione Appellabilità ordinanza – Natura decisoria – Accesso difensivo “qualificato” – Criterio di interpretazione letterale – Criterio di interpretazione storica – Criterio di interpretazione sistematica – Criterio di interpretazione conforme a Costituzione
(Massime a cura di Ilaria Genuessi)
Massime
Consiglio di Stato, Ad. Plen., 24 gennaio 2023, n. 4
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Istanza di accesso – Rito speciale (accesso) – Ordinanza di primo grado su istanza di accesso – Impugnazione Appellabilità ordinanza – Natura decisoria
Il comma 2 dell’art. 116 c.p.a. – nell’abrogare tacitamente l’art. 25, comma 4 – ha previsto che «l’istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio».
Rispetto all’appellabilità dell’ordinanza che decide sull’istanza di accesso ai documenti, depositata nel corso del processo, alla luce degli orientamenti che si sono originati sulla disposizione, si ritiene debba essere seguito, seppur con alcune puntualizzazioni, quello che ritiene si tratti di una vera e propria domanda di accesso ai documenti amministrativi, con qualificazione dell’ordinanza come avente natura decisoria. (1)
Tale ricostruzione, valorizzando peraltro la previsione che impone la notifica della relativa istanza sia all’amministrazione, sia al controinteressato, comporta che, sul piano sostanziale, si applichi integralmente la disciplina dell’accesso, mentre sul piano processuale, l’ordinanza sia autonomamente impugnabile mediante ricorso al Consiglio di Stato e sia del pari suscettibile di esecuzione coattiva con la proposizione del ricorso per ottemperanza.
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Istanza di accesso – Rito speciale (accesso) – Ordinanza di primo grado su istanza di accesso – Impugnazione Appellabilità ordinanza – Natura decisoria – Accesso difensivo “qualificato”
L’ordinanza resa nel corso del processo di primo grado sull’istanza di accesso documentale ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.a., è appellabile innanzi al Consiglio di Stato.
Tale ordinanza che esamina l’istanza di accesso proposta nel corso di giudizio ha valenza decisoria poiché incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle oggetto del giudizio principale, così come avviene nel caso di ricorso proposto in via autonoma.
Ad ogni modo si tratta di un accesso difensivo “qualificato” dalla circostanza che la documentazione richiesta deve essere strumentale alla tutela delle situazioni giuridiche che sono state fatte valere in uno specifico processo amministrativo in corso di svolgimento.
Inoltre, la disposizione in esame consente al giudice di non decidere in ordine all’istanza di accesso con ordinanza, ma di deciderla con la sentenza che definisce il giudizio; ciò nella logica della «connessione» della domanda con il giudizio in corso, che potrebbe indurre il giudice della causa principale a rinviare, ad esempio, la decisione incidentale sull’accesso al momento di adozione della sentenza, laddove ritenga quella documentazione non necessaria ai fini della definizione del giudizio.
DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Istanza di accesso – Rito speciale (accesso) – Ordinanza di primo grado su istanza di accesso – Impugnazione Appellabilità ordinanza – Natura decisoria – Criterio di interpretazione letterale – Criterio di interpretazione storica – Criterio di interpretazione sistematica – Criterio di interpretazione conforme a Costituzione
L’ordinanza che decide sull’istanza di accesso, ai sensi dell’art. 116, comma 2 c.p.a., si ritiene abbia natura decisoria e possa dunque conseguentemente essere impugnata innanzi al Consiglio di Stato, sulla base delle seguenti ragioni.
In primo luogo, secondo un criterio di interpretazione letterale, l’art. 116, comma 2 c.p.a. prevede che: i) «il ricorso di cui al comma 1» può essere proposto con istanza in pendenza di giudizio, il che evidenzia – per il rinvio effettuato all’accesso richiesto con ricorso autonomo – la sostanziale unitarietà del rimedio; ii) l’istanza deve essere notificata all’Amministrazione e agli eventuali controinteressati, che potrebbero anche essere diversi dalle parti già evocate in giudizio, il che evidenzia come il rispetto delle regole del contraddittorio sia coerente con la logica della natura decisoria dell’ordinanza.
In secondo luogo, sulla base del criterio di interpretazione storica, le norme vigenti, rispetto al dettato di cui all’art. 17 della l. n. 15 del 2005, non qualificano più l’ordinanza in esame come «ordinanza istruttoria».
In terzo luogo, in base ad un criterio di interpretazione sistematica, il Codice del processo amministrativo ha disciplinato distintamente la fase dell’istruttoria e l’istanza di accesso in corso del giudizio, cosicchè non si possono sovrapporre gli istituti in esame. (2)
Infine, alla luce del criterio di interpretazione conforme a Costituzione, da un parte, appare necessario assicurare il diritto di difesa (ex artt. 24 e 113 Cost.; art. 1 c.p.a.) dei controinteressati e della stessa pubblica amministrazione, qualora nel corso del processo sia emessa una ordinanza che accolga il ricorso ex art. 116, comma 2, c.p.a. e consenta di fatto l’ostensione dei documenti richiesti; d’altra parte il principio del doppio grado di giudizio (art. 125 Cost.) impone, in presenza di provvedimenti aventi contenuto decisorio, di consentire alle parti di proporre appello. (3)
(1) Cfr., in tal senso, anche Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2019, n. 3936; Sez. V, 21 maggio 2018, n. 3028.
(2) Si v. Cons. Stato, Ad. plen., n. 19 del 2020, rispetto alle differenze tra l’accesso documentale e le esigenze istruttorie, anche nel processo civile.
(3) Così Corte cost. n. 8/1982; Cons. Stato, Ad. plen., n. 1/1978.
Vedi: Consiglio di Stato, Ad. Plen., 24 gennaio 2023, Sentenza n. 4
PENSIERO UNICO NEL PLURALISMO DI UNA EUROPA UNIFICATA Sergio Benedetto Sabetta Vi è attualmente una notevole difficoltà nel pensare il concetto di Europa nei termini socio-politici di U.E., che cosa è l’Europa? Cosa […]
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PENSIERO UNICO NEL PLURALISMO DI UNA EUROPA UNIFICATA
Sergio Benedetto Sabetta
Vi è attualmente una notevole difficoltà nel pensare il concetto di Europa nei termini socio-politici di U.E., che cosa è l’Europa? Cosa dovrebbe essere? Vi sono una pluralità di visioni, ognuna frutto di interessi, storie e culture differenti ma strettamente intrecciate tra loro, in cui secondo il punto di vista si possono sottolineare le differenze o le similitudini, una parentela tendenzialmente litigiosa ma obbligata a convivere per storia e ristrettezza dei luoghi, avvolta in un continuo scambio culturale.
La centralità della Germania sia in termini geo-strategici che economici, il suo peso nei confronti dei vicini ma anche la sua storia recente del Novecento, crea aspettative, inquietudini e dubbi, da una parte si vorrebbe che prendesse delle posizioni più decise, chiare e mettesse la sua forza economica a disposizione dell’Unione, dall’altra vi è un timore che debordi schiacciando gli alleati, creando malessere, nella difficoltà di riportare la sua concezione austera e comunitaria dell’economia con quella mediterranea del disavanzo collettivo a beneficio dell’individualismo familiare.
Gli Stati Uniti a loro volta, da protettori di una U.E. utile agli scambi economici e quale bastione contro il blocco orientale guidato dall’U.R.S.S., hanno acquisito una certa indifferenza strategica mista a diffidenza per il forte surplus commerciale della Germania.
Anche il rapporto con la Russia e la Cina da parte dell’U.E. sono oggetto di attenzione e incomprensione, alcuni problemi finanziari e di destabilizzazione dell’area del Mediterraneo, con i loro strascichi immigratori, non appaiono essere estranei quali risultati di manovre oltreoceano, l’Italia come pedina nei rapporti tra l’area germanica e gli U.S.A.
La Banca centrale europea (BCE), quale clone della Bundesbank, ne ha ereditato la cultura della stabilità fondata sulla bassa inflazione e la stabilità del cambio, elementi inseriti in statuto, l’austerità contabile che ne è conseguita alla crisi del 2008 tende a scaricare sugli Stati Uniti l’onere della ripresa, con profonde problematiche per le aree periferiche, le cui difficoltà aumentano il potere del centro moderando ulteriormente l’inflazione e la diffidenza sia degli U.S.A. che di altre aree dell’U. E.
Solo la Francia forte del suo peso strategico resiste ad una accentuata austerità, ondeggiando nel suo rapporto con Berlino per la quale l’asse Parigi – Berlino è fondamentale per la stabilizzazione dell’U.E.
La Francia da parte sua ha teso a compensare il dinamismo economico tedesco con la potenza militare e l’attività diplomatica, ma le crisi che si sono succedute dai primi anni Duemila con il rigetto da parte francese nel 2005 della costituzione europea, l’eccesso di tecnocrazia imposto all’U.E. con il Trattato di Lisbona del 2006, la crisi finanziaria del 2008, la non brillante gestione della primavera araba nel 2011, con la successiva collegata crisi migratoria, e le recenti crisi della pandemia e della guerra in Ucraina hanno reso evidenti oltre ai limiti francesi anche quelli dell’Unione, obbligando Berlino e Parigi a riconsiderare i loro rapporti, ancor più nel momento in cui la crisi europea si era già manifestata con la Brexit della Gran Bretagna.
L’uscita dell’Inghilterra dall’U.E. e le difficoltà francesi nel gestire militarmente e diplomaticamente le crisi e i conflitti alla periferia dell’Unione, per non parlare della guerra all’Est, hanno dato nuova valenza al progetto “Ankerarmee” elaborato a Berlino e proposto alla conferenza della Sicurezza di Monaco del 31/1/2014.
Vi è la necessità ed opportunità di un maggiore impegno nella difesa comune, considerato il peso economico e geopolitico, ma vi è anche il rischio di creare tensioni vista la memoria storica, nasce pertanto la necessità di appoggiarsi sulla Francia per stemperare i timori ed evitare futuri conflitti, ma anche di mantenere una fedeltà alla Nato e cercare di continuare a coinvolgere la Gran Bretagna.
L’impegno militare non può che accrescersi gradualmente evitando pericolosi eccessi, che destabilizzano tanto gli equilibri con gli altri partner dell’Unione che all’interno della stessa Repubblica Federale, dove è cresciuta una cultura che delega la difesa all’esterno con i relativi costi, concentrandosi solo sugli aspetti economici della produzione ed export.
Una cultura che con il tempo da punitiva e contenitiva si è rivelata conveniente alla nuova economia globale, eliminando parte delle spese militari improduttive e concentrando ricerca e sviluppo sull’export, fino ad esplodere con la fine della Guerra fredda.
Nonostante la diffidenza l’offerta di Berlino di diventare “Ankerarmee” (esercito àncora), in modo da ottenere delle forze armate continentali specializzate per settori e con un potenziale industriale – militare autonomo, è stato già accolto da alcuni Stati dell’area germanica quali i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca.
Ancora più interessante è l’istituzione dall’aprile del 2017 del Kommando Cyber und Informationsraum (Comando cibernetico e dello spazio informativo), con base a Bonn, con il compito di ciberdifesa ed in futuro di sviluppare una potenzialità offensiva quale alternativa al potenziale nucleare.
In questi scenari il “gruppo di Visagrad”, nel raccogliere quattro paesi dell’ex patto di Varsavia, si pone quale gruppo di pressione all’interno dell’Unione tra l’area occidentale e quella russa, depositari di una propria storia drammatica del Novecento e di una cultura condivisa sui valori e sui diritti forgiata dai drammi del secolo di ferro, d’altronde l’U.E. ha due linee di frattura: una ad Oriente con il mondo Russo e l’altra a Sud nel Mediterraneo, linee che si saldano nel Medio Oriente, di cui il mondo balcanico nella sua frammentazione ne è una rappresentazione.
Il Mediterraneo considerato da sempre elemento di instabilità per il confluire e il raffrontarsi di culture diverse, interessi confliggenti e incrociarsi di vie di comunicazione, è per l’Europa una soglia estremamente delicata, i cui paesi europei che su di esso si affacciano possiedono una fragilità strutturale ed una cultura alternativa a quella del Nord.
La Spagna è stata vista dalla Germania, per un certo lasso di tempo, quale possibile alternativa all’Italia nel bacino del Mediterraneo, al fine di una eventuale stabilizzazione e integrazione dell’area, ma la speranza è andata a spegnersi a causa delle tensioni interne e delle crisi economiche, mentre la Grecia è finita commissariata.
Resta l’Italia con la sua storia particolare quale unico paese immerso nel Mediterraneo, vi è tuttavia una fragilità strutturale dello stesso dato dalle divisioni interne dovute anche dalle sue differenze storico – culturali, ulteriormente accentuatesi in questo momento di crisi.
Già Luttwak prevedeva negli anni Novanta del secolo scorso il sovrapporsi del conflitto geo-economico al classico conflitto militare, un conflitto che si apriva anche tra gli ex alleati del fronte occidentale così da superare “la visione serafica dell’Europa di Maastricht propagandata dal massimalismo europeista” (87, L. Incisa di Camerana, La vittoria dell’Italia nella terza guerra mondiale, Laterza, 1996).
L’Italia in questi nuovi scenari assumeva una visione universalistica tra una agenzia dell’ONU e la C.R.I. (1), senza una politica estera ben definita, seguendo la politica già perseguita durante la guerra fredda di un basso profilo militare, adeguandosi al clima politico e sociale esistente prevalentemente pacifista e ripiegato sulle dinamiche interne, tale da trasformare l’Italia in un possibile campo di battaglia socio-economico per Stati e potentati esteri, come nel XVI secolo in cui ad una ricchezza culturale ed economica corrispondeva una debolezza politico-amministrativa (2).
L’Italia risulta quindi essere stretta tra Germania e Stati Uniti, sottoposta a facili pressioni internazionali sia dirette che indirette, basti pensare alle ripetute crisi finanziarie del debito pubblico, alle pressioni migratorie e alle infiltrazioni cinese e russe, con una politica estera indecisa, in affanno nella difesa del proprio capitale industriale, percorsa da fremiti pacifisti, terzomondisti e idealisti nel pubblico ma fortemente individualista nel privato, sostanzialmente delocalizzata nel proprio intimo e quindi nell’impossibilità di inserirsi, se non occasionalmente, sia nel triangolo Parigi-Londra-Berlino che nel duopolio Parigi-Berlino, non in grado di assumere una politica europea coerente ed erede di una cultura in cui la “commendatio” è parte del proprio essere.
Le tensioni e i conflitti finora descritti, sia interni tra visioni politiche differenti, che esterne, secondo un arco di crisi che va dal Baltico al Mediterraneo per estendersi all’Atlantico, hanno fatto sì che in mancanza di una forte legittimazione politica derivante dal voto delle popolazioni europee, prevalessero le tecnostrutture di Bruxelles e della BCE, espressione delle maggiori forze nazionali europee, creando dei poli naturali obbligati, ma mettendo a rischio nel tempo la tenuta della stessa U.E., non resta che rifarsi alla storia dell’Europa.
Togliendo la struttura variabile propria della costruzione politica dell’Impero romano, già il cristianesimo ha originariamente manifestato una marcata autonomia culturale tra le diverse comunità, una fluidità istituzionale con centri direttivi paritari, dove esistevano “le Chiese” e non “la Chiesa”, solo lentamente si formò una struttura istituzionale più accentrata, ma comunque mai come quella che emerse dal Concilio tridentino nel XVI secolo.
Ne sono testimoni i vari concili ecumenici che si susseguirono nel IV e V secolo, tutti orientati per il prevalere politico della parte orientale dell’Impero, a cui si affiancarono i concili locali provinciali, ma anche alla dissoluzione dell’Impero d’Occidente una costellazione di regni romano-barbarici diedero origine ad una variabile notevole nei rapporti interni tra popolazione ed esterni con l’autorità formale dell’Impero, per non scordare dell’articolazione del Sacro Romano Impero e delle trasformazioni subite nella sua millenaria storia fino allo scioglimento napoleonico, come anche della pluralità dell’Impero asburgico.
Vi è in altre parole nella genetica dell’Europa una varietà di forme e culture che ne determinarono una apparente fragilità ma che costituiscono quell’intreccio che ne rende resistente la matrice alle perdite e alle aggressioni, impedendo la nascita di un pensiero unico ma l’esistenza di una serie di pensieri complementari in osmosi fra essi.
Occorre pertanto evitare che il prevalere di una tecnostruttura autoreferente, non legittimata dalle popolazioni, conduca al dissolvimento dell’Unione per un autoritarismo implicito che tenda ad appiattire le comunità su un’unica visione prevalente, l’amalgama ci sarà ma avverrà spontaneamente e nei modi differenti da luogo a luogo, né devono trarre in inganno i facili entusiasmi dei momenti di crescita in quanto è nelle crisi che si vede la bontà di una costruzione.
BIBLIOGRAFIA
JEAN C., Geopolitica, Laterza, 1995;
Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Laterza, 1994; Romano S., Lo scambio ineguale, Laterza, 1995;
AA.VV., U.S.A. – Germania duello per l’Europa, in Limes, 5/2017.
L’INTERESSE LEGITTIMO, RILEGGENDO F.G. SCOCA. L’interesse legittimo. Storia e teoria. Rocco Parisi * Abstract: F.G. Scoca esamina in maniera analitica la natura dell’interesse legittimo, ripercorrendo le tappe evolutive che hanno caratterizzato la figura in esame, […]
Fascicoli Fascicolo n.1/2023L’INTERESSE LEGITTIMO, RILEGGENDO F.G. SCOCA.
L’interesse legittimo. Storia e teoria.
Rocco Parisi *
Abstract: F.G. Scoca esamina in maniera analitica la natura dell’interesse legittimo, ripercorrendo le tappe evolutive che hanno caratterizzato la figura in esame, giungendo a qualificarla come situazione giuridica sostanziale a natura strumentale, definitivamente affrancata dall’interesse (o diritto) alla legittimità amministrativa. L’interesse legittimo, collocato tra le figure di teoria generale del diritto, presenta una propria autonomia giuridica e dogmatica, quale situazione giuridica sostanziale che consente al titolare di dialogare con il potere unilaterale altrui, esercitando facoltà idonee ad influire sulle modalità di esercizio del potere e sulle scelte di merito.
F.G. Scoca analytically examines the nature of the legitimate interest, retracing the evolutionary stages that have characterized the figure in question, qualifying it as a substantive legal situation of an instrumental nature, definitively freed from the interest (or right) to administrative legitimacy. The legitimate interest, placed among the figures of general theory of law, has its own juridical and dogmatic autonomy, as a substantial juridical situation that allows the holder to dialogue with the unilateral power of others, exercising suitable faculties to influence the methods of exercising power and on the choices of merit.
SOMMARIO: 1. La positivizzazione dell’interesse legittimo e le prime elaborazioni dottrinali; 2. La lenta affermazione della natura sostanziale dell’interesse legittimo e l’impulso decisivo della Costituzione repubblicana; 3. L’interesse legittimo come «necessaria presa in considerazione» degli interessi privati nel procedimento; 4. L’interesse legittimo come diritto soggettivo: l’elaborazione teorica della scuola fiorentina; 5. La pienezza della tutela dell’interesse legittimo ed il suo assorbimento nella categoria del diritto soggettivo; 6. L’elaborazione teorica di Scoca: l’interesse legittimo come situazione giuridica sostanziale e strumentale all’adozione del provvedimento favorevole; 7. L’inquadramento dogmatico dell’interesse legittimo tra le figure di teoria generale del diritto; 8. In conclusione, quali prospettive per l’interesse legittimo?
1. La positivizzazione dell’interesse legittimo e le prime elaborazioni dottrinali.
Il volume del Professore F.G. Scoca rappresenta un contributo fondamentale nello studio dell’interesse legittimo, in cui l’Autore ripercorre le tappe del percorso “gestazionale” che ha caratterizzato la figura in esame, per giungere alla sua ricostruzione dell’interesse legittimo come situazione giuridica sostanziale, a natura strumentale, collocata tra le figure di teoria generale del diritto.
Com’è noto, l’occasione propizia per il formale riconoscimento dell’interesse legittimo nel diritto positivo fu costituita dalla legge 31 marzo 1889, n. 5992 (c.d. «legge Crispi»), istitutiva della Sez. IV del Consiglio di Stato, cui fu demandata la tutela di interessi dei privati, diversi dai diritti soggettivi, incisi da atti o provvedimenti amministrativi.
Scoca rileva che la promulgazione della «legge Crispi» rappresentò un’occasione «felice» e, al contempo, «fuorviante» nello studio dell’interesse legittimo.
L’occasione fu «felice» perché costrinse la dottrina a dedicarsi allo studio di una situazione giuridica soggettiva diversa dal diritto soggettivo e, ciò nonostante, giuridicamente tutelata. Infatti, la tutela giuridica di una situazione soggettiva diversa dal diritto soggettivo lasciava presagire la positivizzazione di un’inedita categoria di interessi giuridicamente riconosciuti e protetti, ponendo dunque le basi per l’elaborazione teorica di una nuova situazione giuridica soggettiva.
L’occasione, tuttavia, fu allo stesso tempo «fuorviante» perché, inserendosi in una vicenda prettamente processuale, indusse in un primo momento la dottrina a prospettare tesi di stampo processualistico, volte a negare la natura sostanziale dell’interesse legittimo. L’antico retaggio fondato sulla secca alternativa tra diritto soggettivo ed interesse semplice1, cui faceva da corollario il dogma per cui solo i diritti soggettivi potessero costituire situazioni giuridiche tutelabili dai privati, ostacolò nella prima fase l’elaborazione teorica di una nuova situazione giuridica sostanziale diversa dal diritto soggettivo, autonomamente tutelabile in sede giurisdizionale.
Considerato che il nuovo giudizio non poteva riguardare i diritti soggettivi e che, tuttavia, solo questi erano qualificabili come situazioni giuridicamente rilevanti dei privati, si ritenne che il nuovo giudizio amministrativo fosse rivolto alla tutela dell’interesse pubblico e che l’interesse del privato fosse solo occasionalmente protetto, ove coincidente in via di fatto con il primo.
I nuovi «interessi» positivizzati dalla legge del 1889 furono inizialmente (e per lungo tempo) considerati alla stregua di meri presupposti processuali, come “occasione” per il privato di agire per tutelare – direttamente – l’interesse pubblico e – solo in via di fatto – il proprio interesse (ove coincidente con il primo).
Sancita formalmente la natura giurisdizionale del giudizio dinanzi alla IV Sezione del Consiglio di Stato2, il predetto convincimento fu basato sul (ritenuto) carattere obiettivo del nuovo giudizio.
La prima ricostruzione dottrinale, elaborata da Meucci3, individuò l’interesse legittimo come interesse giuridicamente rilevante, diverso dal diritto soggettivo, tuttavia non ancora elevato al rango di situazione giuridica sostanziale, la cui tutela è garantita in giudizio mediante la proposizione di un’azione popolare. L’interesse dei privati, ponendosi in un rapporto occasionale con l’interesse pubblico tutelato dal diritto obiettivo, è qualificato come «interesse occasionalmente protetto», che può giovarsi dell’osservanza della legge da parte del potere. Tale situazione giuridica, non essendo di per sé autonomamente tutelabile in giudizio, necessita del ricorso ad un’azione popolare, di tal guisa che la «difesa della legge» è affidata al «casuale incontro di un interessato».
Anche Ranelletti, pur criticando inizialmente la ricostruzione di Meucci4, finì per recepirla nei suoi tratti essenziali, inglobandola nella propria elaborazione teorica dell’interesse legittimo come figura composita, avente i connotati sia dell’interesse occasionalmente protetto che del diritto soggettivo affievolito5. L’Autore, attingendo alla teoria della relatività delle situazioni soggettive, sostenne che il diritto soggettivo «si sdoppia nei rapporti e di fronte alla pubblica amministrazione, secondo il grado di protezione, che in tali rapporti la norma di diritto accorda all’interesse»6.
In primo luogo, riprendendo Meucci, Ranelletti qualificò l’interesse legittimo come interesse occasionalmente protetto, frutto dell’emersione dell’interesse semplice, avente ad oggetto la conformità dell’azione amministrativa alle norme giuridiche.
La norma giuridica, secondo Ranelletti, ha come fine principale («causale»), quello di tutelare l’interesse pubblico; la tutela dell’interesse legittimo è dunque occasionale ed indiretta, in quanto coincidente con l’interesse pubblico (causalmente) tutelato dalla legge.
In secondo luogo, l’interesse legittimo può configurarsi come diritto soggettivo affievolito dall’interesse pubblico. In effetti, partendo dal presupposto per cui nessun diritto può considerarsi aprioristicamente inalterabile dinanzi all’interesse pubblico, Ranelletti distinse – da un lato – i «diritti perfetti», non condizionati dall’interesse pubblico o, comunque, sottoposti ad una condizione interamente definita dalla legge rispetto alla quale l’amministrazione non dispone di alcun margine discrezionale e – dall’altro lato – i «diritti affievoliti», compenetrati con l’interesse pubblico, per il cui perseguimento l’amministrazione dispone di poteri discrezionali7.
Mentre i diritti perfetti – propriamente diritti soggettivi – possono essere sacrificati dall’amministrazione solo per espressa previsione normativa e dietro corresponsione di un indennizzo in favore del loro titolare (es: diritto di proprietà), i diritti affievoliti possono essere normalmente sacrificati per motivi di interesse pubblico, in quanto fortemente compenetrati nell’interesse pubblico e da questo giuridicamente condizionati8. Questi ultimi diritti, peraltro, si mostrano affievoliti solo nel rapporto con l’amministrazione e rispetto a quegli atti preordinati alla cura dell’interesse pubblico con cui sono compenetrati, atteggiandosi come diritti soggettivi perfetti nei confronti di qualsiasi altro soggetto giuridico.
In ogni caso, la lesione dell’interesse legittimo, nella duplice configurazione ranellettiana, genera l’interesse al ricorso e la sua tutela rappresenta lo scopo del giudizio amministrativo9: l’interesse legittimo, dunque, è condizione del ricorso per ottenere l’annullamento di un provvedimento illegittimo.
Nello stesso periodo, un’elaborazione teorica diversa fu proposta da Ludovico Mortara, il quale definì l’interesse legittimo come «diritto pubblico subbiettivo» alla legittimità degli atti discrezionali della pubblica amministrazione10. Mortara, muovendo dal dogma della inscindibile connessione tra tutela giurisdizionale e diritto soggettivo e dalla ritenuta natura giurisdizionale del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, sostenne che anche le nuove situazioni giuridiche soggettive positivizzate dalla legge del 1889 non potessero che essere qualificate, in definitiva, come veri e propri diritti soggettivi, escludendo dunque la possibilità di inquadrare l’interesse legittimo come autonoma situazione giuridica soggettiva.
In questa prospettiva, il diritto alla legittimità si distinguerebbe dagli altri diritti subiettivi (veri interessi sostanziali) per la propria funzione eminentemente strumentale al diritto obiettivo, rappresentando nient’altro che la proiezione in chiave soggettiva di quest’ultimo. Ebbene, fatta salva la tesi di Mortara, la ricostruzione di Ranelletti fu recepita quasi acriticamente dalla dottrina dell’epoca e rimase pressoché intatta sino al periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della Costituzione.
Scoca rileva, al riguardo, che le ragioni di tale successo sono da ricondurre, più che alla particolare oculatezza giuridica della teoria di Ranelletti, alla scarsa attenzione prestata dagli studiosi dell’epoca alla figura dell’interesse legittimo, essendo in quel periodo la dottrina prevalentemente impegnata ad approfondire questioni inerenti alla giustizia amministrativa. Senza considerare che lo studio dell’interesse legittimo, ove anche praticato, si inseriva pur sempre in una prospettiva prettamente processuale, risultando strumentale alla demarcazione del riparto di giurisdizione tra G.A. e G.O.
Mostrandosi critico verso l’impianto teorico di Ranelletti, Scoca sostiene anzitutto che la ricostruzione dell’interesse legittimo come interesse occasionalmente protetto osta in nuce al suo riconoscimento come situazione giuridica sostanziale, ammettendo una tutela solo processuale ed occasionale del privato, non predicabile fuori dal (e prima del) processo. Solo affrancandosi dall’ombra dell’interesse pubblico l’interesse legittimo può essere effettivamente considerato come autonoma e distinta situazione giuridica soggettiva dei privati.
Inoltre, nella teorica dell’interesse occasionalmente protetto, la qualità e la natura della situazione giuridica del privato (diritto soggettivo/interesse legittimo) viene fatta erroneamente dipendere dallo scopo della norma, nell’alternativa tra tutela diretta («causale») o indiretta («occasionale») dell’interesse del privato, trascurando di considerare che la situazione giuridica soggettiva può essere condizionata solo dal contenuto dispositivo della norma e non dal suo fine.
Anche la ricostruzione dell’interesse legittimo come diritto soggettivo affievolito, secondo Scoca, sconta l’intrinseca contraddittorietà di ricondurre nella stessa figura dell’interesse legittimo entità giuridiche del tutto disomogenee, finendo col considerare la stessa situazione giuridica come diritto soggettivo (in sede sostanziale) che però si comporta (in sede processuale) come interesse legittimo.
2. La lenta affermazione della natura sostanziale dell’interesse legittimo e l’impulso decisivo della Costituzione repubblicana.
Il riconoscimento della natura e della rilevanza sostanziale dell’interesse legittimo rappresentò l’esito di un percorso graduale e non certo agevole per la dottrina dell’epoca, per lungo tempo ancorata al dogma della esclusività del diritto soggettivo come situazione giuridica sostanziale tutelabile in sede processuale.
L’affermazione, solo formale, della natura sostanziale dell’interesse legittimo continuava ad essere contraddetta in concreto dal riconoscimento di una tutela solo indiretta ed occasionale dell’interesse privato rispetto all’interesse pubblico, in conseguenza della posizione ancillare in cui il primo continuava ad essere relegato rispetto al secondo.
Un importante segnale di cambiamento fu offerto dalla giurisprudenza amministrativa, attenta a rilevare che l’oggetto del giudizio non è costituito dalla mera tutela della legalità amministrativa, bensì dell’interesse del privato, il quale in effetti agisce in giudizio non come «alfiere della legalità amministrativa» ma per perseguire una propria utilità sostanziale.
La Costituzione repubblicana diede un impulso decisivo al superamento della ricostruzione dell’interesse indirettamente ed occasionalmente protetto, configurando l’interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva sostanziale che si affianca al diritto soggettivo, non meno ma diversamente tutelata rispetto a quest’ultimo.
In un primo momento, tuttavia, l’entrata in vigore della Costituzione, oltre a non condurre ad un immediato abbandono della tesi di Ranelletti, non impedì l’elaborazione delle c.d. tesi processualistiche, volte a qualificare l’interesse legittimo come mero presupposto processuale per ottenere l’annullamento in giudizio del provvedimento illegittimo, privo di qualsivoglia rilevanza sul piano sostanziale (prima e fuori dal processo), ove continuava ad essere considerato come interesse di fatto.
Secondo Chiovenda, in particolare, il privato sarebbe titolare di un «diritto di azione» che egli esercita per consentire (a tutela dell’interesse generale) un controllo di legalità dell’atto impugnato; l’interesse (leso) sotteso a tale diritto di azione continua a risultare giuridicamente irrilevante11.
Guicciardi, pur riconoscendo che l’ordinamento giuridico si vale del cittadino per promuovere la restaurazione dell’interesse pubblico leso, facendo leva sul fatto che anche il suo interesse (privato) può aver subito uno svantaggio dall’inosservanza delle norme12, attribuì all’interesse legittimo una rilevanza esclusivamente processuale, considerandolo al contempo «fatto di legittimazione» ed «interesse ad agire».
Nella prospettiva di Guicciardi viene a crearsi uno iato tra realtà giuridica e situazione di fatto: anche se di fatto il privato agisce in giudizio per tutelare un proprio interesse leso dall’amministrazione, sotto il profilo giuridico la norma che il giudice è tenuto ad applicare non è volta a tutelare l’interesse privato ma quello pubblico13. Sicché, mentre i giudizi ordinari sarebbero volti alla «tutela dell’interesse giuridico individuale contro l’atto amministrativo illecito», i giudizi amministrativi risulterebbero preordinati alla «tutela dell’interesse pubblico contro l’atto amministrativo illegittimo»14.
Scoca mostra di non condividere, anzitutto, le premesse da cui muove Guicciardi, per cui il giudizio amministrativo risulterebbe preordinato alla tutela dell’interesse pubblico, laddove trascurerebbe di considerare che la ratio della riforma del 1889 sia stata proprio quella di garantire la tutela giuridica degli interessi dei privati diversi dal diritto soggettivo, rimasti estranei al sistema di guarentigie delineato nel 186515.
Soprattutto, secondo Scoca, le ricostruzioni processualistiche devono ritenersi definitivamente superate con l’avvento della Costituzione, la quale qualifica definitivamente l’interesse legittimo come situazione giuridica sostanziale di tutela del privato, completamente sganciata dalla tutela dell’interesse pubblico.
Con l’entrata in vigore della Costituzione sarebbe addirittura l’interesse pubblico a risultare occasionalmente protetto rispetto all’interesse del privato, essendo strumentale al conseguimento dell’utilità sostanziale del privato. Tale cambio di prospettiva è desumibile non solo dagli articoli 24, 103 e 113 Cost., che prefigurano la tutela in giudizio di qualcosa che esiste già fuori e prima del giudizio, ma anche (e soprattutto) dai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97, che impongono all’amministrazione di esercitare il potere, pur unilateralmente, tenendo conto di tutti gli interessi (anche privati) coinvolti. Tuttavia, l’affermazione della natura (e della rilevanza) sostanziale dell’interesse legittimo da parte della Costituzione si scontrò inizialmente con le difficoltà della dottrina di trasporre l’elaborazione teorica di tale figura dal processo (ove era stata collocata per oltre cinquant’anni) al procedimento amministrativo (nuova sede fisiologica delineata dai costituenti). Tali difficoltà furono vieppiù acuite dall’antico retaggio volto ad individuare un inscindibile legame tra interesse legittimo e provvedimento amministrativo, negando così la sussistenza dell’interesse legittimo prima del provvedimento e nel corso del procedimento. Perciò, i primi Autori sostanzialisti (tra cui Piras e Giannini) elaborarono alcune soluzioni di transizione, prospettando una vera e propria duplicazione della situazione giuridica del privato dinanzi al potere amministrativo.
Nelle prime elaborazioni di Giannini l’interesse legittimo è situazione attiva che nasce a seguito dell’adozione del provvedimento e che succede ad una situazione inattiva, definita «pretesa», presente prima del provvedimento16. Invero, l’interesse legittimo sorgerebbe in conseguenza della lesione della pretesa realizzata dal provvedimento, operando nella prospettiva processuale per consentire l’annullamento in giudizio del provvedimento illegittimo e lesivo.
Anche secondo Piras, l’interesse legittimo, inteso come potere di annullamento dell’atto illegittimo, nasce a seguito del provvedimento e in conseguenza della lesione arrecata dallo stesso. Prima del provvedimento, il privato è titolare di un «interesse protetto», definito come «situazione giuridica soggettiva, inattiva, ma di favore, che definisce la posizione del soggetto in un rapporto amministrativo»17. Proprio l’individuazione di una situazione giuridica sostanziale (seppur inattiva) del privato inserita nel rapporto amministrativo rappresenta, secondo Scoca, il tratto di maggiore innovatività e rilevanza della prima elaborazione di Piras per lo sviluppo teorico successivo18. Tuttavia, è evidente che le prime ricostruzioni di Giannini e Piras attribuirono solo apparentemente una natura sostanziale all’interesse legittimo, configurandolo in concreto come potere di annullamento dell’atto illegittimo, derivante dalla lesione di una diversa situazione giuridica sostanziale (definita come «pretesa» o «interesse protetto»). Nelle ricostruzioni in esame, la natura sostanziale viene semmai riconosciuta alla «pretesa» e all’«interesse protetto», presenti già in sede procedimentale, che tuttavia non attribuiscono alcuna tutela o prerogativa procedimentale al privato, essendo funzionali solo a giustificare la rilevanza giuridica della lesione da cui origina l’interesse legittimo.
Nelle elaborazioni più mature, sia Piras che Giannini rinunceranno alla teoria della duplicazione, riconoscendo la sussistenza di un’unica situazione giuridica soggettiva, appunto l’interesse legittimo, rilevante sul piano sia sostanziale che processuale e tutelata (anzitutto) in sede sostanziale attraverso il riconoscimento di poteri strumentali19.
Nel primo periodo successivo all’entrata in vigore della Costituzione, in cui la dottrina era fortemente frammentata nell’adesione alle varie tesi dottrinali poste sul tappeto, un contributo determinante all’affermazione della natura sostanziale dell’interesse legittimo fu apportato da Miele, il quale con grande lungimiranza sostenne con convinzione la natura sostanziale dell’interesse legittimo, quale «posizione di vantaggio del privato rispetto ad un bene della vita» e «dipendente da un potere giuridico altrui»20. Nella prima prospettiva di Miele, successivamente recepita e sviluppata dal suo allievo Silvestri21, la tutela giuridica dell’interesse legittimo coinciderebbe con la garanzia della legalità amministrativa, atteso che «la posizione giuridica di vantaggio è data dalla necessità che il potere sia esercitato legittimamente, e che il dovere sia regolarmente adempiuto»22. Fuori dalla legittimità si valicherebbero i confini della rilevanza giuridica, riconoscendosi al privato un interesse semplice a che l’amministrazione, in applicazione dei criteri di buona amministrazione, faccia buon uso del potere amministrativo discrezionale. Rimarcata l’assoluta lungimiranza e centralità del contributo di Miele nell’evoluzione teorica successiva, Scoca evidenzia che dall’affermazione della natura sostanziale dell’interesse legittimo non può che derivare la sua collocazione e rilevanza nell’ambito del procedimento, ove l’interesse del privato viene acquisito e ponderato dall’amministrazione, influenzando le scelte discrezionali e divenendo, così, parte integrante dell’interesse pubblico concreto. Per tale via, viene progressivamente valorizzata la partecipazione dei privati al procedimento amministrativo, in passato addirittura osteggiata e ritenuta inopportuna perché inutilmente gravosa per l’azione amministrativa23. Soprattutto, muta definitivamente il rapporto tra privati e amministrazione24, non più inteso in termini di contrapposizione, ma di confronto dinamico e collaborativo tra interessi, all’esito del quale l’amministrazione è tenuta a perseguire l’interesse pubblico con il minor sacrificio degli interessi (anche) privati in gioco25.
È evidente il cambio radicale di prospettiva imposto dalle disposizioni costituzionali e dall’affermazione della natura sostanziale dell’interesse legittimo: in passato si riconosceva all’amministrazione il compito di perseguire in maniera obiettiva ed “asettica” l’interesse pubblico astrattamente previsto dalla legge e, rispetto a tale esercizio del potere unilaterale, il privato veniva a trovarsi in una posizione di sostanziale soggezione, potendo fruire di una tutela solo occasionale, ove coincidente con l’interesse pubblico (ovvero con l’interesse obiettivo al rispetto delle norme).
Nella sua “nuova” connotazione sostanziale, invece, l’interesse legittimo consente al privato di interloquire con il potere nel corso del procedimento, ovvero proprio nella sede in cui il potere si fa atto (concretizzandosi), incidendo direttamente nella decisione finale adottata dall’amministrazione.
3. L’interesse legittimo come «necessaria presa in considerazione» degli interessi privati nel procedimento.
Un contributo di assoluta rilevanza nell’evoluzione teorica dell’interesse legittimo fu apportato da Nigro, secondo cui l’interesse legittimo si traduce anzitutto nella necessaria «presa in considerazione»26 degli interessi privati nell’esercizio (procedimentale) del potere amministrativo. Cosicché, l’interesse privato deve essere necessariamente valutato dall’amministrazione nel corso del procedimento e bilanciato con gli altri interessi (pubblici e privati) coinvolti, nella definizione dell’unico interesse pubblico concreto.
Nella nota definizione di Nigro, diffusamente recepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente, l’interesse legittimo è «posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad una utilità oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa all’utilità»27.
L’interesse legittimo non garantisce la necessaria soddisfazione dell’interesse privato, ma la necessaria presa in considerazione in sede sostanziale (ed attraverso la partecipazione procedimentale) di tale interesse, atteso che «l’interesse legittimo esaurisce la sua spinta vitale in questa partecipazione e non può mai attingere il bene sperato se non per il tramite dell’esercizio del potere ed in quanto questo glielo consenta»28.
L’interesse legittimo consta dunque di una serie di poteri e facoltà procedimentali che consentono al privato di influenzare l’esercizio del potere, orientandolo nella direzione a sé più favorevole. Non a caso, proprio Nigro diede un contributo determinante alla stesura della legge n. 241/1990, attraverso cui fu definitivamente formalizzata la procedimentalizzazione dell’azione amministrativa e riconosciuta la centralità delle prerogative partecipative dei privati nel corso del procedimento, con conseguente ampliamento della consistenza e della tutela sostanziale dell’interesse legittimo che nel procedimento vedeva ormai riconosciuto il suo habitat naturale. In effetti, è proprio il procedimento a costituire la sede fisiologica di rilevanza e tutela degli interessi privati, riferendosi la tutela processuale ad una fase patologica ed eventuale, derivante dalla lesione (in sede sostanziale) di tali interessi29.
L’interesse legittimo, come interesse privato collocato nel procedimento, e (come tale) valutabile dall’amministrazione nel bilanciamento con gli altri interessi in gioco, è così destinato ad affrancarsi definitivamente dall’interesse pubblico alla legalità amministrativa.
4. L’interesse legittimo come diritto soggettivo: l’elaborazione teorica della scuola fiorentina.
L’ampliamento delle prerogative procedimentali ha dato origine ad un acceso dibattito in dottrina in merito alla natura giuridica di tali pretese partecipative ed al loro rapporto con l’interesse legittimo. Secondo l’orientamento più diffuso, cui anche Scoca mostra di aderire, le facoltà procedimentali costituiscono mezzi di protezione dell’interesse legittimo, restando giuridicamente assorbiti in esso. Altri Autori30 ritengono invece che si tratterebbe di veri e propri diritti soggettivi predeterminati dalla legge, cui corrisponderebbe una posizione di obbligo in capo all’amministrazione. Ebbene, proprio partendo dalla qualificazione delle facoltà procedimentali come diritti soggettivi cui fa da contraltare un obbligo giuridico dell’amministrazione, gli esponenti della scuola fiorentina hanno qualificato gli interessi legittimi come diritti soggettivi di credito, la cui prestazione sarebbe costituita da un comportamento (un atto) dalle caratteristiche predeterminate31. In effetti, posto che l’interesse legittimo è una situazione giuridica attiva, «a esso non può essere contrapposta (o, il che è lo stesso, correlata) una posizione di potere, parimenti attiva, bensì una situazione appartenente al genere delle situazioni giuridiche passive»32.
L’interesse legittimo si distinguerebbe dal diritto soggettivo per un elemento puramente estrinseco, ovvero per il giudice speciale demandato a garantirne la tutela processuale33; per il resto, sul piano sostanziale, le due situazioni soggettive andrebbero a coincidere. Tuttavia, l’interesse legittimo inteso come diritto di credito appare ancora una volta sganciato dall’utilità finale del privato, finendo nuovamente per confondersi con l’interesse alla legittimità dell’azione amministrativa34.
Infatti, ritenere che la prestazione che il titolare del diritto può pretendere dall’amministrazione è costituita dall’adozione di un atto o di un comportamento conforme alle caratteristiche predeterminate dalla legge si traduce, in concreto, nell’attribuzione al privato di una pretesa ad un’azione amministrativa conforme a legge. Proprio su tale aspetto si concentrano le obiezioni di Scoca alla tesi della scuola fiorentina, la quale, seppur in principio orientata ad implementare la tutela giuridica dei privati dinanzi alla pubblica amministrazione, finisce col pervenire ad esiti diametralmente opposti, appiattendo nuovamente la posizione del privato sull’interesse alla legittimità amministrativa e non consentendogli di influire sulle scelte discrezionali (di opportunità) dell’amministrazione35.
La pienezza della tutela individuale, piuttosto che con il ricorso alla categoria dei diritti soggettivi, può essere meglio perseguita attraverso la valorizzazione delle «facoltà con cui il privato influisce sulle decisioni che l’amministrazione è chiamata ad adottare»36, che costituiscono secondo Scoca il proprium dell’interesse legittimo. Un’elaborazione matura e consapevole dell’interesse legittimo come situazione giuridica sostanziale non può prescindere dal suo definitivo affrancamento dal profilo della legittimità, che per lungo tempo lo ha confinato ad interesse (o diritto) alla legittimità amministrativa.
La legittimità, infatti, rappresenta un elemento eterodosso all’interesse legittimo, costituendo il limite alla sua tutela processuale, ove il principio di separazione dei poteri impedisce al giudice di sindacare le scelte di merito dell’amministrazione. Fuori dal processo, nel corso del procedimento, l’interesse legittimo non incontra alcun limite nella legittimità, consentendo al suo titolare di esercitare una serie di facoltà idonee ad indirizzare e condizionare le scelte di merito dell’amministrazione.
5. La pienezza della tutela dell’interesse legittimo ed il suo assorbimento nella categoria del diritto soggettivo.
Negli ultimi decenni si è assistito ad un evidente incremento della tutela dell’interesse legittimo, sul piano sia sostanziale che processuale. Infatti, oltre agli istituti sostanziali volti ad ampliare le prerogative procedimentali del privato, sul versante processuale è stato progressivamente valorizzato il principio di pienezza ed effettività della tutela dell’interesse legittimo dinanzi al Giudice amministrativo, specie a seguito dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo. Ciò in ragione, anzitutto, dell’estensione del novero delle azioni processuali esperibili a tutela dell’interesse legittimo, secondo alcuni significativa dell’affermazione del principio di atipicità delle azioni nel processo amministrativo, con conseguente riconoscimento anche della tutela risarcitoria, a lungo negata in passato (soprattutto) dalla giurisprudenza37. Proprio l’incremento della tutela (anche risarcitoria) dell’interesse legittimo è stato interpretato da alcuni Autori come indice sintomatico della sua definitiva trasformazione in diritto soggettivo. Infatti, muovendo dal presupposto per cui l’interesse legittimo costituirebbe ontologicamente una situazione giuridica inferiore al diritto soggettivo, la pienezza della tutela ad oggi garantita dall’ordinamento sarebbe significativa del suo assorbimento nella (superiore) categoria del diritto soggettivo.
Alberto Romano ritiene che il riconoscimento della tutela risarcitoria degli interessi dei privati porterebbe alla necessaria qualificazione di questi ultimi come diritti soggettivi38. Nelle sue più recenti elaborazioni, l’Autore sostiene che gli interessi legittimi si sarebbero trasformati in diritti soggettivi in senso lato, rientrando nell’ampio genus degli interessi giuridicamente protetti accanto ai diritti soggettivi “tradizionali” di diritto privato39.
In particolare, i diritti soggettivi in senso lato si distinguerebbero dai diritti soggettivi di diritto privato per l’inscindibile connessione con l’esercizio del potere e, di conseguenza, per le diverse forme di tutela garantite dall’ordinamento: i primi, in quanto inscindibilmente connessi all’esercizio del potere, godono di una tutela sostanziale costituita unicamente dalla garanzia dell’osservanza delle modalità e dei presupposti previsti dalla legge per l’esercizio del potere40. Emerge, sul punto, una chiara analogia con il pensiero di Angelo Falzea, per cui interesse legittimo e diritto soggettivo sarebbero situazioni giuridiche attive, distinte solo per oggetto e modalità di tutela, ricomprese nell’unica categoria degli interessi giuridicamente rilevanti41.
Secondo la definizione di Falzea, in particolare, l’interesse legittimo è la posizione del «soggetto sulla cui sfera giuridica incide il potere accordato dalla legge ad altro soggetto» per il perseguimento di un interesse giudicato prevalente e consiste nel potere di reazione alle lesioni cagionate dall’esercizio illegittimo del potere (ove quest’ultimo si spinga oltre i limiti delineati dalla legge) 42.
Scoca, pur condividendo la prospettiva per cui l’interesse legittimo conserverebbe la sua connotazione autonoma rispetto ai diritti soggettivi di diritto privato, rileva tuttavia che l’interesse legittimo non si risolve nella sola possibilità di reazione alla lesione cagionata da un esercizio illegittimo del potere amministrativo, essendo intessuto di una serie di facoltà e prerogative che consentono al suo titolare di interferire nell’esercizio del potere stesso43.
Anche Merusi sostiene che la maturazione e la pienezza della tutela garantita dal diritto positivo hanno condotto alla trasformazione dell’interesse legittimo in diritto pubblico soggettivo, il cui oggetto non sarebbe più limitato alle modalità di esercizio del potere amministrativo, ma involgerebbe l’intero rapporto che intercorre tra l’interesse del privato e l’esercizio del potere. Tuttavia, lo stesso Merusi ammette che la situazione giuridica de qua è solo nominalmente distinta dall’interesse legittimo, mantenendone per il resto intatta la fisionomia di situazione giuridica soggettiva che fronteggia il potere amministrativo44.
Muovendo dalla pienezza della tutela garantita dall’ordinamento positivo, Marzuoli ritiene che l’interesse legittimo non possa più distinguersi dal diritto soggettivo, avendo esso stesso ad oggetto un bene della vita consistente nella chance (probabilità) di ottenere il risultato anelato45.
Tuttavia, Scoca mostra di non condividere il presupposto da cui muovono le predette tesi dottrinali, per cui dall’incremento della tutela deriverebbe la trasformazione dell’interesse legittimo in diritto soggettivo, rilevando che la modifica (in melius o in peius) degli strumenti di tutela previsti dal diritto positivo non può incidere sulla natura della situazione giuridica sostanziale, non potendone affatto alterare i tratti distintivi, né tantomeno trasformarla in altra situazione giuridica46.
6. L’elaborazione teorica di Scoca: l’interesse legittimo come situazione giuridica sostanziale e strumentale all’adozione del provvedimento favorevole.
All’esito della propria ricostruzione storico-teorica, Scoca definisce l’interesse legittimo come situazione sostanziale che vive e si colloca nel procedimento47, costituita da una serie di facoltà attraverso cui il privato dialoga con il potere amministrativo, influenzandone le scelte di merito nel senso a sé più favorevole. Oramai definitivamente affrancato dalla mera pretesa alla legittimità amministrativa, l’interesse legittimo è dunque interesse del privato all’adozione di un provvedimento favorevole, in vista della conservazione o dell’acquisizione di un bene della vita. Tale definizione consente di ricondurre l’interesse legittimo al novero delle situazioni strumentali, il cui proprium è costituito dall’adozione di un provvedimento favorevole. In effetti, il bene della vita anelato rappresenta il fine dell’interesse legittimo, ma non l’oggetto, rimanendo dunque estraneo alla figura in esame. In tale prospettiva, l’aggettivo «strumentale» viene utilizzato dall’Autore «per indicare che la situazione soggettiva ha ad oggetto il provvedimento con cui si conclude il procedimento, che è il mezzo, lo strumento necessario, per conservare il bene della vita, o per acquisirne uno nuovo; ossia sta ad indicare che oggetto dell’interesse legittimo non è direttamente e immediatamente il bene della vita»48. Tale passaggio rappresenta un elemento essenziale del pensiero giuridico di Scoca sull’interesse legittimo, che pone l’Autore in antitesi rispetto all’orientamento, inaugurato dalle Sezioni Unite n. 500 del 1999, volto a subordinare la risarcibilità dell’interesse legittimo alla valutazione prognostica di spettanza del bene della vita.
Il giudizio di spettanza, oltre a condurre ad uno sconfinamento del sindacato giudiziale su valutazioni rimesse alla competenza esclusiva dell’amministrazione, subordina indebitamente la risarcibilità dell’interesse legittimo all’accertamento di un elemento (bene della vita) del tutto estraneo all’oggetto della situazione giuridica sostanziale del privato, cui effettivamente si riferisce la lesione. Sicché, «se ne deve dedurre che l’ingiustizia del danno non è data dalla lesione dell’interesse legittimo, ma, nel complicato pensiero della Corte di Cassazione, dalla contemporanea lesione dell’interesse legittimo e di un diverso e (imprecisato) interesse ad un bene della vita»49. Invece, la lesione dell’interesse legittimo, inteso come coacervo di facoltà procedimentali di “dialogo influente” con il potere amministrativo, deve essere risarcita in quanto tale, indipendentemente dalla sussistenza del bene della vita. Il bene, quale elemento giuridico autonomo e diverso dall’interesse legittimo, può (rectius: deve) essere autonomamente considerato ed (eventualmente) ulteriormente risarcito.
Nel sostenere la propria tesi «strumentale», Scoca si confronta con la diversa elaborazione (c.d. «finale») di Guido Greco50, secondo cui l’interesse legittimo è situazione giuridica sostanziale avente ad oggetto direttamente il bene della vita. Le tesi in esame, pur muovendo dal medesimo presupposto per cui l’interesse legittimo è situazione giuridica sostanziale volta all’adozione di un provvedimento favorevole (e non solo legittimo), giungono tuttavia ad esiti diversi: secondo la tesi «strumentale» (Scoca) l’oggetto dell’interesse legittimo sarebbe costituito unicamente dall’adozione del provvedimento favorevole; la tesi «finale» (Greco) ritiene invece che il bene della vita rappresenti l’oggetto dell’interesse legittimo, il quale, pertanto, ove sussistente, impone la necessaria realizzazione dello stesso bene.
Scoca evidenzia che l’adesione all’una piuttosto che all’altra ricostruzione dottrinale non incide affatto sul livello di tutela apprestato al privato nei confronti dell’amministrazione, atteso che secondo la tesi «finale» ove il privato non possa legittimamente ottenere il bene della vita anelato non sarebbe neppure titolare di interesse legittimo. Sicché, in tale prospettiva, l’interesse legittimo o sussiste, e allora consente al titolare il necessario conseguimento del bene anelato, oppure, laddove non fosse legittimamente possibile conseguire il bene della vita, difetterebbe in nuce51.
Secondo la tesi «strumentale» di Scoca, invece, anche in quest’ultima ipotesi il privato sarebbe titolare di un interesse legittimo, potendo comunque confrontarsi con il potere amministrativo nel corso di un procedimento che, all’esito, potrà o meno consentirgli l’acquisizione (o il mantenimento) del bene anelato52.
Ebbene, Scoca riporta due ragioni fondamentali, di ordine sia teorico che sistematico, per cui ritiene preferibile sostenere la natura strumentale dell’interesse legittimo53.
In primo luogo, l’Autore rileva che la titolarità e l’esercizio delle facoltà procedimentali necessitano di essere ricomprese nell’alveo di una situazione giuridica soggettiva – appunto, l’interesse legittimo – che all’esito del procedimento potrà o meno condurre alla realizzazione del bene della vita. Diversamente, aderendo alla tesi «finale», ove il privato non possa legittimamente conseguire il bene della vita, l’interesse legittimo difetterebbe e, con esso, anche la copertura giuridica delle facoltà espresse nel corso del procedimento.
In secondo luogo, viene messa in luce l’ontologica disomogeneità che connota la tesi «finale», la quale riconduce ad oggetto dell’interesse legittimo, al contempo, sia il provvedimento favorevole che il bene della vita, i quali tuttavia rappresentano entità giuridiche diverse, poste in rapporto di atto (provvedimento favorevole) – effetto (bene della vita).
Ciò posto, Scoca sottopone la propria elaborazione teorica ad una vera e propria «prova di resistenza» scientifica, ponendola a confronto con alcuni istituti sostanziali e processuali positivizzati negli ultimi anni che, tutelando direttamente il bene della vita, sembrerebbero prima facie suffragare la tesi «finale».
Al riguardo, vengono in rilievo, anzitutto, talune azioni processuali previste dal codice del processo – tra cui l’azione di adempimento al rilascio del provvedimento richiesto di cui all’art. 34 comma 1 lett. c) c.p.a. e quella avverso il silenzio-inadempimento ex art. 31 comma 3 c.p.a. – in cui il privato fa effettivamente valere in giudizio il proprio interesse finale.
Scoca, tuttavia, rileva che gli istituti in esame si riferiscono ad ipotesi di attività amministrativa interamente vincolata (a monte, dalla legge, o a valle, per consumazione della discrezionalità originariamente attribuita), rispetto alle quali il giudice adito non fa altro che formalizzare con sentenza un dato ormai consolidato a livello sostanziale (perché, appunto, definito dalla legge o risultante dal procedimento). Si tratterebbe, dunque, di giudizi di accertamento, che «non stabiliscono se spetta al privato il bene della vita», attraverso cui il ricorrente ottiene il provvedimento formale sulla base di una decisione favorevole già assunta dall’amministrazione o imposta dalla legge, senza che sia in alcun modo contraddetta la natura strumentale dell’interesse legittimo54.
Sul piano sostanziale, l’Autore mette a confronto la propria tesi con l’istituto dei vizi non invalidanti di cui all’art. 21-octies della legge n. 241/1990, che, nel subordinare l’annullamento del provvedimento illegittimo all’incidenza del vizio procedimentale o formale sul contenuto dispositivo dell’atto, sembrerebbe effettivamente tutelare l’interesse legittimo in relazione al solo perseguimento del bene finale.
Scoca ritiene di poter superare anche tale profilo controverso, rilevando – da un lato – la progressiva limitazione in via interpretativa della categoria dei vizi formali non invalidanti, da cui sono stati progressivamente espunti ad esempio i vizi relativi alla partecipazione procedimentale, all’accesso agli atti e al difetto/contraddittorietà della motivazione, e – dall’altro lato – che ove anche il privato non possa fruire della tutela caducatoria nei confronti del provvedimento illegittimo (ma non annullabile), resterebbe comunque ferma la possibilità di accedere alle altre forme di tutela previste dall’ordinamento, prima fra tutte quella risarcitoria (rispetto all’eventuale lesione dell’interesse legittimo cagionata dal provvedimento).
Al riguardo, tuttavia, si ripropongono le problematiche derivanti dall’aver subordinato (in sede giurisprudenziale) la risarcibilità degli interessi legittimi al giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita, essendo alquanto improbabile che il giudice amministrativo, accertata nel giudizio di annullamento l’irrilevanza sostanziale del vizio formale o procedimentale sul contenuto del provvedimento, possa contraddire sé stesso in sede risarcitoria, riconoscendo sempre sul piano sostanziale la spettanza del bene che il provvedimento illegittimo (ma non annullabile) avrebbe indebitamente leso, ammettendone così la risarcibilità.
7. L’inquadramento dogmatico dell’interesse legittimo tra le figure di teoria generale del diritto.
Argomentando sulla natura sostanziale dell’interesse legittimo, Scoca colloca l’istituto in esame tra le situazioni giuridiche soggettive55 e tra le figure di teoria generale del diritto56.
Preliminarmente, sul piano dogmatico generale, la situazione giuridica soggettiva è definita come un attributo ascritto ad un soggetto giuridico, costituito da un elemento pregiuridico (materiale) e dal riconoscimento (qualificazione) da parte di una norma di diritto obiettivo che ne determina la rilevanza giuridica e la tutela57. Peraltro, in virtù delle caratteristiche dei predetti elementi costitutivi, si distingue solitamente tra situazioni di avere/agire e situazioni statiche/dinamiche58.
Partendo da tali premesse, Scoca definisce l’interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva che vive in un rapporto dinamico con il potere59, il cui sostrato pregiuridico è costituito dal mantenimento o dalla trasformazione di un assetto di interessi nel confronto con il potere amministrativo.
L’interesse legittimo è situazione che si interfaccia con il potere unilaterale disciplinato dalla legge, atteso che ove difetti la disciplina positiva del potere il destinatario dello stesso potere si viene a trovare in una posizione di soggezione o tuttalpiù di aspettativa. Ne deriva che il livello di tutela dell’interesse legittimo è direttamente proporzionale al livello ed all’intensità della disciplina legale del potere, in quanto «maggiori sono le regole, formali e sostanziali, che attengono al percorso dell’esercizio del potere, limitandone la libertà, più ampie sono le facoltà di partecipazione a tale percorso e di influenza sul risultato dell’esercizio, ossia sull’assetto di interessi che ne deriva, maggiore è il livello di tutela che assicura l’interesse legittimo»60. Di talché, tra le situazioni che si confrontano con l’esercizio del potere unilaterale altrui l’interesse legittimo è quella più garantita, in quanto attribuisce al soggetto «facoltà di affiancamento attivo del titolare del potere»61, consentendogli di esercitare facoltà idonee ad indirizzare l’esercizio del potere nella direzione a sé favorevole e di reagire in caso di esercizio sfavorevole ed illegittimo del potere.
L’interesse legittimo, peraltro, è situazione giuridica attiva, intessuta di una serie di facoltà collaborative che consentono comportamenti giuridicamente rilevanti, che si pone in un rapporto dinamico e collaborativo con un’altra situazione giuridica attiva, qual è il potere pubblico62.
Proprio la natura dinamica e collaborativa del rapporto che si instaura tra interesse legittimo e potere pubblico consente di riconoscere la compresenza di due situazioni giuridiche attive nell’ambito dello stesso rapporto giuridico, per cui l’assetto di interessi definito unilateralmente dal potere (id est: l’interesse pubblico concreto) comprende come componente necessaria l’interesse del privato acquisito e ponderato nel corso del procedimento63.
L’interesse legittimo, tuttavia, non è situazione giuridica di vantaggio, sia perché la classificazione tra situazioni di vantaggio e svantaggio è predicabile solo in riferimento alle situazioni giuridiche statiche, mentre quella in esame è situazione dinamica, sia perché l’interesse legittimo non garantisce necessariamente la realizzazione dell’interesse al mantenimento o all’acquisizione del bene della vita64. Pertanto, tirando le fila delle considerazioni di cui sopra, secondo Scoca «l’interesse legittimo, come situazione giuridica soggettiva, è interesse all’esito favorevole dell’esercizio del potere precettivo altrui, tutelato mediante facoltà di collaborazione dialettica, dirette ad influire sul merito della decisione (precetto) finale, esperibili lungo tutto il corso dell’esercizio del potere»65. In quanto situazione giuridica soggettiva avente propria autonomia concettuale e dogmatica, l’interesse legittimo è figura di teoria generale del diritto, che valica i confini del diritto amministrativo e dell’ordinamento interno, rinvenendosi (a prescindere dalla sua effettiva positivizzazione) in tutti quei rapporti giuridici (anche privatistici)66 in cui l’ordinamento attribuisce ad uno dei soggetti il potere di definire unilateralmente l’assetto di interessi e tale potere unilaterale risulti disciplinato dalla legge.
Di conseguenza, si ritiene che la mancata positivizzazione dell’interesse legittimo negli ordinamenti stranieri sia dipesa unicamente dalla mancanza di un’occasione propizia e favorevole, che nell’ordinamento italiano si verificò nel 1889, allorquando con la «legge Crispi» fu devoluta alla neo istituita IV Sezione del Consiglio di Stato la tutela di «interessi» dei privati, incisi da atti o provvedimenti amministrativi, diversi dai diritti soggettivi già demandati al sindacato dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
Come già ricordava Nigro, infatti, non bisogna confondere il mancato isolamento dell’interesse legittimo da parte del diritto positivo con la sua inesistenza, atteso che l’interesse legittimo è «una figura generale di situazione giuridica, in quanto legata all’esistenza, al modo d’esercizio, agli effetti del potere amministrativo, ed all’atteggiarsi della posizione complessiva del privato nei confronti di tale potere»67.
Negli stessi termini, anche Merusi mette in luce che «l’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva di teoria generale perché corrisponde all’esercizio di un potere. E di un potere può essere titolare non solo una pubblica amministrazione»68.
8. In conclusione, quali prospettive per l’interesse legittimo?
In conclusione, Scoca trae le proprie considerazioni sulla persistente utilità pratica e teorica dell’interesse legittimo, messa in dubbio dalla possibile confluenza nella categoria dei diritti soggettivi, e sulle prospettive future della figura de qua. L’Autore evidenzia che l’interesse legittimo, quale figura generale del diritto, ha una propria autonomia giuridica e dogmatica, differenziandosi dal diritto soggettivo per l’attitudine ad interfacciarsi con il potere unilaterale altrui nella definizione dinamica di un assetto di interessi.
Rispetto al diritto soggettivo, l’interesse legittimo garantisce una migliore tutela della sfera giuridica del destinatario del potere, consentendo a quest’ultimo di dialogare con l’Autorità e di indirizzarne le scelte di merito. In effetti, il diritto soggettivo non consente il medesimo confronto dialogico con il potere, per il semplice fatto che tale situazione sostanziale non si inserisce in un rapporto giuridico dinamico con il potere, bensì in un rapporto in cui il risultato giuridico (rectius: il rapporto del titolare con il bene della vita) è interamente definito dalla legge. A riprova, si consideri che le ricostruzioni dogmatiche volte ad inquadrare l’interesse legittimo nell’alveo del diritto soggettivo non conducono ad un incremento concreto della tutela del privato nei confronti del potere, pervenendo di converso ad un suo appiattimento nella pretesa alla legalità dell’azione amministrativa, incapace di influire sulle scelte di opportunità e di merito realizzate dall’Autorità.
Per quanto concerne le perplessità inerenti alla possibile abolizione dell’interesse legittimo per mano dell’ordinamento euro-unitario, Scoca ritiene di superare i dubbi manifestati in passato69, rilevando che l’Unione Europea, pur riconoscendo nominalmente il solo diritto soggettivo tra le situazioni giuridiche dei privati, è pienamente rispettosa delle categorie giuridiche formali adottate dai singoli Stati membri, badando più al risultato sostanziale che alle forme utilizzate70.
Invero, soprattutto in materia di contratti pubblici, la Corte di Giustizia UE, pur qualificando formalmente come diritti soggettivi le situazioni dei privati dinanzi al potere, ha costantemente garantito nei loro confronti una tutela non dissimile rispetto a quella riconosciuta agli interessi legittimi dai giudici nazionali71.
Ciò conferma, in conclusione, che, a prescindere dall’eventuale riconoscimento formale da parte del diritto positivo, l’interesse legittimo presenta una propria dignità dogmatica, ponendosi (sia nel presente che nel futuro) come situazione giuridica sostanziale di tutela dei soggetti che anelano a conseguire (o mantenere) un bene della vita intercettato dal potere unilaterale (pubblico o privato) altrui.
1 *Assegnista di ricerca in Diritto amministrativo Università Mediterranea di Reggio Calabria
Tale retaggio è messo bene in luce da Silvio Spaventa, nel suo discorso inedito per l’inaugurazione della IV Sezione del Consiglio di Stato, pubblicato successivamente da R. Ricci, in Riv. dir. pubbl., 1909, I, 299.
2 Il riconoscimento formale della natura giurisdizionale del giudizio azionato dinanzi al Consiglio di Stato si ebbe con la promulgazione della legge 7 marzo 1907, n. 62, in attuazione della quale fu emanato il Regio Decreto 17 agosto 1907, n. 642.
3 L. Meucci, Il principio organico del contenzioso amministrativo in ordine alle leggi recenti, in Giust. Amm., 1891, IV; Id., Instituzioni di diritto amministrativo, III, Torino, 1892.
4 O. Ranelletti, A proposito di una questione di competenza della IV Sezione del Consiglio di Stato, Avezzano, 1892.
5 Cfr. O. Ranelletti, Principii di diritto amministrativo, I, Napoli, 1912.
6 O. Ranelletti, Op. ult. cit., 434.
7 O. Ranelletti, Op. ult. cit., 439.
8 Sicché, nell’impianto ranellettiano, i diritti possono essere fievoli ab origine, perché nati come tali, oppure possono essere originariamente perfetti e successivamente affievoliti dagli atti amministrativi (nei soli casi consentiti dalla legge).
9 Cfr. O. Ranelletti, Le guarentigie amministrative e giurisdizionali della giustizia amministrativa, 3a ed., Milano, 1930, 396.
10 L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, vol. I, Teoria e sistema della giurisdizione civile, Milano, s.d., 53.
11 Cfr. G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3a ed., Napoli, 1923, 336.
12 Cfr. E. Guicciardi, Concetti tradizionali e principii ricostruttivi nella giustizia amministrativa, in Arch. dir. pubbl., 1937, 12.
13 E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, 3a ed., Padova, 1954, 69.
14 Cfr. E. Guicciardi, Concetti tradizionali, cit., 18.
15 Cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017, 133.
16 Cfr. M.S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, 273.
17 A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, II, L’accertamento del rapporto e l’esecuzione della sentenza, Milano, 1962, 233.
18 Cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 192.
19 Cfr. M.S. Giannini – A. Piras, voce Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., vol. XIX, Milano, 1970, 229 ss.
20 Cfr. G. Miele, Introduzione al tema, in Atti, Convegno nazionale sull’ammissibilità del risarcimento del danno patrimoniale derivante da lesione di interessi legittimi, Napoli dal 27 al 29 ottobre 1963, 1965, 19 ss.
21 L’elaborazione teorica di Miele trovò largo eco nella dottrina successiva e, tra i vari Autori che mostrarono di aderirvi, si segnala soprattutto Enzo Silvestri (suo allievo), per cui si veda: E. Silvestri, L’attività interna, Milano, 1950, 103.
22 Cfr. G. Miele, Introduzione al tema, cit., 20.
23 Cfr. R. Alessi, Interesse sostanziale e interesse processuale nella giurisdizione amministrativa, in Arch. giur., 1943, 133; G. Barone, L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1969, 69 ss.
24 Cfr. U. Allegretti, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965, 108 ss.
25 Cfr. E. Capaccioli, Interessi legittimi e risarcimento dei danni, Milano, 1963, 47; G. Berti, La definitività degli atti amministrativi, in Arch. Giur. Filippo Serafini, 1965,78.
26 Cfr. M. Nigro, Giustizia Amministrativa, E. Cardi-A. Nigro (a cura di), Bologna, 2002, 99.
27 Cfr. M. Nigro, Op. ult. cit, 103.
28 Cfr. M. Nigro, Op. ult. cit., 104.
29 Cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 234.
30 Tra cui, A. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996, 131.
31 Cfr. L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 2003, 175.
32 Cfr. L. Ferrara, Op. ult. cit., 169.
33 Cfr. C. Marzuoli – A. Orsi Battaglini, Unità e pluralità della giurisdizione. Un altro secolo di giudice speciale per l’amministrazione?, in Dir. pubbl., 1997, 907.
34 Cfr. A. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa”, Milano, 2005, 169.
35 A. Orsi Battaglini, Op. ult. cit, 170, tenta di superare tale obiezione sostenendo che in capo all’amministrazione si impone un’ulteriore clausola generale di comportamento, di buona amministrazione, che rappresenta un vero e proprio obbligo.
36 F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 270.
37 F.G. Scoca, Op. ult. cit., 274 ss. riporta puntualmente le ragioni di natura economica e giuridica che per lungo tempo hanno indotto i giudici amministrativi a negare la risarcibilità dei danni derivanti da lesioni di interessi legittimi, pur a seguito del riconoscimento della natura sostanziale di questi ultimi. Peraltro, come emerso nel corso del Convegno nazionale sull’ammissibilità del risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, organizzato dalla Sezione campana del Centro italiano di studi amministrativi a Napoli dal 27 al 29 ottobre 1963, molti Autori in dottrina avevano rimarcato l’antinomia tra l’affermazione della natura sostanziale dell’interesse legittimo e la negazione della risarcibilità dei danni derivanti dalla sua lesione. Sul punto, si veda anche: F. Benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975, 3231; G. Greco, Responsabilità civile della pubblica amministrazione nell’urbanistica (con particolare riferimento alla lesione degli interessi legittimi dinamici), in Dir. e soc., 1983, 555 ss.; E. Follieri, Risarcimento dei danni per lesioni di interessi legittimi, Chieti, 1984, 24 ss.; F.G. Scoca, Sulle implicazioni del carattere sostanziale dell’interesse legittimo, in Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, vol. III, Milano, 1988, 669 ss.
38 Cfr. A. Romano, Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili sono diritti soggettivi, in Dir. amm., 1998, 1 ss.; Id., Sono risarcibili; ma perché devono essere interessi legittimi?, in Foro it., 1999, 3224, laddove l’Autore sostiene che «non è […] che gli interessi legittimi, o almeno, alcune loro categorie, siano diventati risarcibili. È che gli interessi legittimi, o, meglio, alcune categorie, si sono trasformati in diritti soggettivi. E solo per questo mutamento della loro natura, sono diventati risarcibili».
39 Cfr. A. Romano, Conclusioni al Colloquio sull’interesse legittimo, in Atti del Convegno in memoria di Umberto Pototsching – Milano, 19 aprile 2013, Napoli, 2014, 179.
40 A. Romano, Conclusioni, Op. ult. cit., 181.
41 Cfr. A. Falzea, Gli interessi legittimi e le situazioni giuridiche soggettive, in Riv. dir. civ., 2000, 685.
42 A. Falzea, Gli interessi legittimi, cit., loc. ult. cit.
43 F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 327 ss.
44 Cfr. F. Merusi, Il codice del giusto processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2011, 14.
45 Cfr. C. Marzuoli, Diritti e interessi legittimi: due categorie in cerca di identità, in Questa giustizia, 2009, 2, 42.
46 Al riguardo, Scoca richiama alcuni contributi affini al proprio pensiero, tra cui: V. Cerulli Irelli, Il potere amministrativo e l’assetto costituzionale delle funzioni di governo, in Studi in onore di Alberto Romano, Napoli, 2011, 148; M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna 2013, 129; G. Poli, Potere pubblico, rapporto amministrativo e responsabilità della P.A. L’interesse legittimo ritrovato, Torino, 2012, 50.
47 L’Autore, tuttavia, riconosce che in alcuni casi l’interesse legittimo si colloca al di fuori del procedimento, ponendosi dunque come potere di reazione al provvedimento lesivo. Si tratta, in particolare, di quelle ipotesi in cui il potere viene esercitato senza la partecipazione del privato al procedimento, perché ad esempio il provvedimento che impatta sull’interesse del privato non conclude ma avvia il procedimento (es: bando di gara), ovvero perché il privato non ha voluto o potuto partecipare al procedimento (cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 426).
48 F.G. Scoca, Op. ult. cit., 411.
49 Cfr. F.G. Scoca, Op. ult. cit., 300.
50 Cfr. G. Greco, Dal dilemma diritto soggettivo-interesse legittimo, alla differenziazione interesse strumentale-interesse finale, in Dir. amm., 2014, 484 ss.
51 Cfr. G. Greco, Op. ult. cit., 486; Id., Il rapporto amministrativo e le vicende della posizione del cittadino, in Dir. amm., 2014, 589 ss.
52 Cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 415.
53 F.G. Scoca, cit., loc. ult. cit.
54 Cfr. F.G. Scoca, Op. ult. cit., 419.
55 Sulle situazioni giuridiche soggettive: A. Romano Tassone, voce Situazioni giuridiche soggettive (diritto amministrativo), in Enc. dir., II, Milano, 1998; A. Falzea, voce Capacità (teoria generale), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 25 ss.; M. Occhiena, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2002, 242 ss.; F.G. Scoca, Le situazioni giuridiche soggettive, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2015, 18; S. Cassarino, Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956.
56 Al riguardo, si richiama anche A. Massera, Il contributo originale della dottrina italiana al diritto amministrativo, in Dir. Amm., 2010, 825 ss.
57 Cfr. R. Guastini, La sintassi del diritto, Torino, 2011, 83.
58 Cfr. F.G. Scoca, Le situazioni giuridiche soggettive, cit., 18.
59 In particolare, l’interesse legittimo si colloca «in una vicenda di trasformazione, in forma diseguale, di un determinato assetti di interessi» nel rapporto con l’esercizio del potere unilaterale altrui (cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 453).
60 Cfr. F.G. Scoca, Op. ult. cit., 401.
61 Cfr. F.G. Scoca, Op. ult. cit., 453.
62 Cfr. F.G. Scoca, Op. ult. cit., 457.
63 Cfr. F.G. Scoca, Op. ult. cit., 458.
64 Cfr. F.G. Scoca, cit., loc. ult. cit.
65 Cfr. F.G. Scoca, Op. ult. cit., 460.
66 Cfr. P. Rescigno, Gli interessi legittimi nel diritto privato, in Scritti in memoria di Angelo Lener, Napoli, 1989, 886; G. Poli, L’interesse legittimo (di diritto amministrativo) nel prisma del diritto privato, in Dir. pubbl., 2012, 81 ss.; P. Zatti, Considerazioni introduttive, in U. Breccia – L. Bruscuglia – F.D. Busnelli (a cura di), Il diritto privato nel prisma dell’interesse legittimo, Torino, 2001, 97.
67 Cfr. M. Nigro, Silvio Spaventa e la giustizia amministrativa come problema politico, in Riv. Trim dir. pubbl., 1970, 744; A. Massera, Il contributo originale, cit., 834 ss.
68 Cfr. F. Merusi, Appunti per una casistica dell’interesse legittimo come istituto di teoria generale. I cd. Diritti de consumatori e degli utenti, in Studi in onore di Alberto Romano, Napoli, 2011, vol. I, 575.
69 Il riferimento va a M.S. Giannini, Ha un futuro la nozione di interesse legittimo?, in Scritti in onore di Elio Fazzalari, I, Milano, 1993, 281 ss.
70 Cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 484.
71 In tal senso, anche A. Tizzano, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell’unione Europea, in Potere discrezionale e interesse legittimo nella realtà italiana e nella prospettiva europea. Atti del XXXVIII Convegno di Varenna, Milano, 1994, 182.
CASSAZIONE: RELAZIONE SU NOVITÀ NORMATIVA LA “ RIFORMA CARTABIA”. UFFICIO DEL MASSIMARIO SERVIZIO PENALE Corte di Cassazione Rel.02-2023
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Corte di Cassazione Rel.02-2023
FASCICOLO n.4, Anno 2022 QUOTIDIANO LEGALE Indice generale RIMEDI GIUDIZIALI A TUTELA DEI DIRITTI LESI DA COMPORTAMENTI INQUINATORI. LEGITTIMAZIONE, REQUISITI ED ONERE DELLA PROVA. LA NOVITÀ INTRODOTTA DALL’ART. 840 BIS C.P.C. 7 Marcello Scapati […]
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QUOTIDIANO LEGALE
Indice generale
RIMEDI GIUDIZIALI A TUTELA DEI DIRITTI LESI DA COMPORTAMENTI INQUINATORI. LEGITTIMAZIONE, REQUISITI ED ONERE DELLA PROVA. LA NOVITÀ INTRODOTTA DALL’ART. 840 BIS C.P.C. 7
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RIMEDI GIUDIZIALI A TUTELA DEI DIRITTI LESI DA COMPORTAMENTI INQUINATORI. LEGITTIMAZIONE, REQUISITI ED ONERE DELLA PROVA. LA NOVITÀ INTRODOTTA DALL’ART. 840 BIS C.P.C.. Marcello Scapati Abstract il lavoro si propone di […]
Diritto Ambientale Dottrina Fascicoli Fascicolo n.4/2022RIMEDI GIUDIZIALI A TUTELA DEI DIRITTI LESI DA COMPORTAMENTI INQUINATORI. LEGITTIMAZIONE, REQUISITI ED ONERE DELLA PROVA. LA NOVITÀ INTRODOTTA DALL’ART. 840 BIS C.P.C..
Marcello Scapati
Abstract il lavoro si propone di descrivere lo stato dell’arte in ordine ai rimedi giudiziali esperibili a fronte di comportamenti inquinatori prendendo in esame le singole azioni previste dall’ordinamento verificandone effetti e ambito di applicazione.
This work aims to describe the state of the art in relation to the judicial remedies available in the face of polluting behavior by examining the individual actions provided for by the law, verifying their effects and scope of application.
SOMMARIO: 1. Il danno risarcibile. 2. Rimedi esperibili. 3. Onere della prova. 4. La nuova azione introdotta dall’art 840 bis c.c. 5. Conclusioni.
Il danno risarcibile
La norma principale volta alla tutela civilistica dei danni subiti a seguito di comportamenti inquinatori è l’articolo 844 c.c. ai sensi del quale il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti, e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino se non superano la normale tollerabilità avuto riguardo anche alla condizione dei luoghi.
Al fine di fornire al giudice una serie di criteri utili all’applicazione della norma e alla definizione del concetto di normale tollerabilità la norma fornisce una serie di indici e criteri disponendo che l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e può tener conto della priorità di un determinato uso1. Nell’interpretazione della norma fu subito chiaro che il criterio del preuso avesse carattere facoltativo e sussidiario e nel 1992 la Corte d’Appello di Catania statuiva che la priorità d’uso va considerata nella sua obiettività, cioè con riferimento ai fondi nei loro reciproci rapporti, e non già in relazione al momento dell’acquisto della proprietà da parte dei soggetti tra i quali è sorta la controversia2.
Negli ultimi decenni si è data sempre maggiore importanza alla funzione sociale della proprietà e conseguentemente hanno assunto maggiore centralità le conseguenze che i comportamenti inquinatori hanno sulla qualità della vita delle persone che li subiscono. La giurisprudenza ha statuito che l’art. 844 2° comma, nella parte in cui prevede la valutazione da parte del giudice del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso deve essere letto, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento di una normale qualità della vita, sicché, in siffatta evenienza va escluso qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità d’uso3. in tema di tollerabilità delle immissioni, è stato discusso il problema relativo ad immissioni che, pur recando danno al fondo confinante, provengono da impianti che producono nel pieno rispetto della normativa speciale in materia ambientale come può essere un’aia. La Suprema Corte ha avuto modo di occuparsi della questione statuendo che i parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell’ambiente, dirette alla protezione di esigenze della collettività di natura pubblicistica, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno delle immissioni in ambito civilistico che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concrete dei criteri fissati dalla norma civilistica4, in senso conforme, più recentemente la Cassazione ha statuito che i limiti alle immissioni fissati da norme ambientali pur rappresentando criteri minimi utili alla valutazione dell’intollerabilità delle immissioni che li eccedono non sono vincolanti per il giudice civile che potrà discostarsene secondo il suo prudente apprezzamento pervenendo a un giudizio d’intollerabilità anche ove esse siano contenute in quei limiti. La valutazione del giudice civile risponde alla diversa esigenza di tutela dei diritti dominicali5 Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale sono da ritenersi intollerabili tutte le immissioni che, pur prodotte nel rispetto di una norma posta a tutela dell’ambiente, compromettano illegittimamente la qualità della vita dei proprietari dei fondi confinanti. Ciò avviene perché la norma ambientale è posta a tutela dell’ambiente quale bene di natura pubblicistica mentre la qualità della vita è indice posto a tutela del diritto alla salute che non può mai subire alcun contemperamento nemmeno con interessi di rango costituzionale.
Le azioni esperibili
Analizzati i confini del danno risarcibile che si sostanzia in ogni forma d’immissione che comprometta la qualità della vita degli abitanti del fondo confinante è opportuno interrogarsi in ordine ai rimedi esperibili nella fattispecie d’immissioni ed ai soggetti legittimati ad esperire l’azione.
Un primo rimedio è volto ad ottenere la cessazione delle immissioni intollerabili
L’azione inibitoria trae fondamento direttamente nell’art 844 c.pc., la norma nello statuire che il proprietario non possa impedire le immissioni tollerabili provenienti dal fondo confinante, stabilisce a contrario che il proprietario possa impedire le immissioni intollerabili, tale risultato è raggiungibile attraverso l’azione offerta dal secondo comma dell’articolo 949 c.c. secondo cui il proprietario può agire per far cessare le turbative sul proprio fondo. L’azione inibitoria è volta ad ottenere dal giudice l’illegittimità del presunto diritto del proprietario di un fondo a produrre immissioni nel fondo del vicino. La legittimazione attiva ad agire e art 844 c.c spetta al proprietario del fondo interessato dalle immissioni e qualunque soggetto possa vantare un diritto di godimento sul fondo. la giurisprudenza ha ritenuto infatti che l’azione ex art 844 c.c. è riconosciuta non solo al proprietario ma anche al superficiario, all’enfiteuta, al titolare di usufrutto, del diritto di uso e di abitazione, ed in via analogica al titolare di un diritto personale di godimento sul fondo come il conduttore; per converso, per converso, proprio perché presupposto dell’azione è la titolarità di un diritto reale sul fondo interessato dal fenomeno inquinatorio, la legittimazione ad agire non può essere estesa anche ai parenti o affini dei titolari del diritto reale sul fondo, nella cui sfera giuridica non vi sia una situazione giuridica di carattere reale o personale relativamente al bene esposto alle immissioni6.
Altro tipo di rimedio è costituito dalla classica azione aquiliana ex art 2043 c.c.
Si evidenzia che la domanda di risarcimento da danno ingiusto risulta del tutto autonoma e distinta da quella ex art 844 c.c. ciò per la differenza di petitum che per la differenza di soggetti legittimati a proporla. In ipotesi di immissioni intollerabili è applicabile lo schema classico della tutela aquiliana con la conseguenza che chiunque abbia subito un danno ingiusto ex art 2043 può chiedere la tutela risarcitoria. L’azione di danno può essere volta ad ottenere, tanto il ristoro del danno patrimoniale che il ristoro del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. Il danno patrimoniale risarcibile può comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante.7 In particolare a titolo di danno emergente può considerarsi l’insieme delle spese che il privato ha dovuto patire per approntare i rimedi necessari a far fronte alle immissioni inquinanti sul proprio fondo come ad esempio la necessità di avvalersi regolarmente dell’opera di società di pulizie per ripristinare lo stato dei luoghi a seguito dello spolverio proveniente dall’impresa vicina, a titolo di lucro cessante, quindi di mancato guadagno può risultare emblematico il caso della perdita subita dal proprietario di una masseria che, al momento di rivendere il fondo ha visto un decremento del valore del bene di circa due terzi in ragione delle immissioni odorigene provenienti dal fondo vicino all’interno del quale era stata posta in essere una discarica. Un’altra voce di danno risarcibile in seguito ad immissioni intollerabili è il danno da perdita di chance che si sostanzia nella mancata possibilità di sfruttamento economico del fondo interessato da immissioni. Con riferimento all’ azione di risarcimento del danno non patrimoniale ex art 2059 c.c. a titolo esemplificativo si segnala che la Suprema Corte ha statuito che l’esposizione ad immissioni intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione. La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale era stata proposta dal proprietario di un appartamento limitrofo ad un fondo sul quale veniva effettuata attività di stoccaggio e commercio di carte, cartoni, vetro e plastica, desumendo la ricorrenza del pregiudizio, dalla circostanza che le immissioni interessavano la quasi totalità dei vani dell’appartamento dell’attore ed erano percepibili anche nei giorni festivi nelle ore serali e con gli infissi chiusi.8 In senso conforme con un’altra recente pronuncia ha ritenuto risarcibile anche ai sensi dell’art. 8 della Convenzione Europea Dei Diritti Dell’Uomo la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione nonché la lesione del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane9
In alternativa all’azione negatoria e all’azione ed all’azione risarcitoria chi ritiene di subire un pregiudizio intollerabili dalle immissioni provenienti dal fondo vicino può proporre ricorso ex art 700 c.p.c. per richiedere che il giudice emani un provvedimento cautelare atipico in cui siano indicati i rimedi urgenti e indifferibili per porre rimedio alla turbativa. Presupposti dell’azione sono il fumus boni iuris, il periculum in mora, e l’assenza di una specifica azione cautelare tassativamente prevista dalla norma. Con il provvedimento in esame è rimessa all’apprezzamento del giudice la scelta delle misure da adottare che possono consistere anche nella condanna del soggetto proprietario del fondo che produce le immissioni alla posa in opera di accorgimenti tecnici volte ad eliminare le conseguenze dannose della condotta. Da quanto esposto si evince l’esistenza di una vasta gamma di azioni a disposizione del privato che intende difendersi dai pregiudizi arrecati dai comportamenti inquinatori esse possono essere proposte da soggetti diversi ed hanno un petitum diverso l’una dall’altra: l’azione negatoria che trae fondamento dal combinato disposto dall’art. 844 c,c, e 949 c.c. è volta a negare il diritto di chi inquina a produrre le immissioni ed è esperibile soltanto da chi vanti un diritto reale sul fondo limitrofo; l’azione risarcitoria ex art 2043 c.c. e/o art. 2059 c.c. può essere proposta da chiunque abbia subito un pregiudizio della propria sfera giuridica a seguito d’immissioni intollerabili sul fondo e l’azione ex art 700 c.p.c. può essere proposta da chiunque voglia ottenere dal giudice un provvedimento cautelare ulteriore e diverso da quelli tassativamente previsti volto ad eliminare la turbativa sul fondo.
L’onere della prova
Giova rilevare che tutte le azioni poste a tutela dei diritti lesi da immissioni intollerabili soggiacciono alle normali regole in materia di onere della prova dettata dall’art. 2697 c.c. In altri termini, perché si possa ottenere la tutela giurisdizionale invocata, non è sufficiente che le immissioni inquinanti siano qualificate come intollerabili ma è contemporaneamente necessario che le stesse abbiano cagionato un danno all’attore e che quest’ultimo ne fornisca la prova in giudizio. La Cassazione ha più volte statuito che il danno da immissioni intollerabili non è in re ipsa ma deve essere provato secondo la regola generale secondo la quale chi propone una domanda deve fornire la prova dei fatti su cui la stessa si fonda, l’allegazione deve quindi essere circostanziata, riferirsi a fatti specifici e precisi e non può risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico.10 Invero, la giurisprudenza ha più volte riconosciuto che il danno da immissioni può essere provato per presunzioni11
Una semplificazione dell’onere probatorio in tema d’immissioni può desumersi da una recente pronuncia giurisprudenziale con cui la Cassazione ha statuito che la prova del livello di tollerabilità delle immissioni non deve essere necessariamente di natura tecnica ciò anche in considerazione della circostanza che se così non fosse, nel caso in cui le immissioni cessassero in un momento successivo alla proposizione della domanda giudiziale, per l’attore sarebbe estremamente difficile veder tutelata la propria posizione antecedente12.
Proprio per ovviare alla difficoltà di cristallizzare la prova durante il corso del giudizio, in materia d’immissioni si ricorre sovente all’accertamento tecnico preventivo. L’istituto, disciplinato all’art. 696 c.p.c., pur non essendo annoverato tra i mezzi di prova, consente di chiedere che il giudice, prima dell’instaurazione della litispendenza, disponga, in contraddittorio tra le parti un accertamento tecnico dei luoghi a cura di un proprio consulente e che oggetto dell’accertamento possa comprendere anche valutazioni in ordine alle cause ed i danni relativi all’oggetto della verifica. All’esito della verifica e avuto riguardo alle osservazioni delle parti, il consulente tecnico redige una relazione che farà piena prova nel giudizio che sarà instaurato tra le parti.
4.La nuova azione introdotta dall’art 840 bis c.c.
Il quadro normativo e giurisprudenziale innanzi descritto, è stato innovato dalla l. 12 aprile 2019 n.31 la cui entrata in vigore è stata differita causa covid al 19 maggio 2021 che ha introdotto all’interno del libro quarto del codice di procedura civile il titolo VIII dedicato ai procedimenti collettivi ed in particolare una nuova azione di classe disciplinata dall’art. 840 bis. La nuova norma dispone che i diritti individuali omogenei sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe. A tale fine, un’organizzazione o un’associazione senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti o ciascun componente della classe, può agire nei confronti dell’autore della condotta lesiva per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Ai fini di cui al periodo precedente, ferma la legittimazione di ciascun componente della classe, possono proporre l’azione di classe esclusivamente le organizzazioni e le associazioni iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della giustizia. Con riferimento ai soggetti legittimanti a resistere si evidenzia che l’azione di classe può essere esperita nei confronti di imprese ovvero nei confronti di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività, fatte salve le disposizioni in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, restando in ogni caso impregiudicato il diritto all’azione individuale. Per inquadrare le nuove opportunità d’azione offerte dalla l. 12 aprile 2019 n.31 occorre preliminarmente interrogarsi su quali siano i diritti tutelabili con questa nuova azione di classe ed in particolare sul corretto significato da attribuire alla locuzione di cui al primo comma “ diritti individuali omogenei, l’espressione è stata mutuata dall’art 140 bis del d.lgs. n. 206/2005 c.d. codice del consumo13 che per la prima volta ha introdotto la definizione di diritti individuali omogenei. Secondo la giurisprudenza per ricavare la definizione di diritti individuali omogenei si deve tenere conto della ratio sottesa all’azione di classe così come fu introdotta nel codice del consumo; essa mirava da un lato ad accrescere la fiducia dei consumatori fornendo loro un efficace strumento di tutela, dall’altro si proponeva di rendere edotti gli imprenditori in ordine all’alveo dei danni risarcibili, pertanto l’aggettivo omogenei deve essere utilizzato nel senso di designare fattispecie assimilabili in virtù di tratti comuni ma non identici14. Successivamente, per procedere nell’analisi è opportuno rilevare come, ai sensi del secondo comma dell’art 840 bis c.p.c. sono legittimati a proporre l’azione sia i privati, ed in questo senso risulta decisivo l’inciso “ferma restando la legittimazione di ciascun componente della classe,” ma anche le organizzazioni o le associazioni senza scopo di lucro i cui obbiettivi statutari comprendano interessi collettivi (ed omogenei) ma solo a condizione che queste ultime siano iscritte in un apposito elenco tenuto dal Ministero della giustizia.
Ancora, si evidenzia che il successivo terzo comma prevede che l’azione di classe possa essere esperita nei confronti di imprese ovvero nei confronti di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nelle rispettive attività con i limite che sono fatte salve le disposizioni in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e di concessionari di servizi pubblici. La novità normativa in esame produce l’effetto di estendere una possibilità di azione che precedentemente era limitata a quanto previsto dal codice del consumo allargando ulteriormente la platea di soggetti che saranno legittimati a difendersi dai danni subiti a seguito di comportamenti inquinatori, essendo stata fornita anche alle associazioni, purché iscritte nello specifico elenco la possibilità di ottenere il risarcimento del danno (non a titolo di danno ambientale ma) a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale per il pregiudizio subito dai propri iscritti15.
Al fine di completare la disamina dei rimedi che l’ordinamento pone a tutela dei privati che subiscano danni da immissioni intollerabili è doveroso analizzare un’ulteriore possibilità di azione disciplinata dall’art 840 sexiesdecies c.p.c.16 che fornisce agli stessi soggetti legittimati ad esperire l’azione collettiva, la possibilità di chiedere l’inibitoria di atti e comportamenti posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti.
5. conclusioni
La disamina fin qui svolta appare tracciare un percorso evolutivo in ordine al modo in cui il legislatore e la giurisprudenza si sono approcciati nel tempo ai comportamenti inquinatori: la prima norma emanata in materia fu l’articolo 844 c.c. entrato in vigore nel periodo antecedente Costituzione e che aveva come fulcro la tutela degli interessi della produzione, successivamente attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, letta in combinato disposto con l’art 32 della costituzione e ,più in generale, aderendo ad un’interpretazione sistematica la giurisprudenza ha attribuito la massima rilevanza al diritto alla salute e più in generale a tutti gli interessi di rango primario, da ultimo anche il legislatore è intervenuto nel senso di prevedere un sempre più vasto ventaglio di rimedi volti da un lato ad offrire la più ampia tutela possibile alla più vasta platea di soggetti possibile ove lesi da comportamenti inquinatori e dall’altro a costringere chi produce immissioni inquinanti ad agire con la massima diligenza e porre in essere tutti gli accorgimenti tecnici secondo le migliori pratiche al fine di azzerare o quanto meno ridurre al minimo le conseguenze dannose della propria condotta.
BIBLIOGRAFIA
Art 844 2°comma c.c.
Corte d’Appello Catania 14.1.1992
Tribunale Bergamo 14.7.2021 n. 1347
Cass. Civ. 1.10.2018 n.23754
Cass. Civ. 24.11.2020 n. 26715
Corte d’Appello Firenze 15.3.2018 n. 591
Le immissioni, Edizioni Simone 21.4.2019
Cass. 13.4.2022 n. 11930
Cass. 28.7.2021 n. 28649
Cass. 18.7.2019 n. 19434
Cass. 4.10.2021 n. 28036
Cass. 28.7.2021 n. 21621
Corte d’Appello Milano 3.3.2014
Art 140 bis d.lgs, n. 206/2005
Art 840 bis c.p.c.
Art. 840 sexiesdecies c.p.c
1 Art 844 2°comma c.c.
2 Corte d’Appello Catania 14.1.1992
3Tribunale Bergamo 14.7.2021 n. 1347
4 Cass. 1.10.2018 n.23754
5 Cass. 24.11.2020 n. 26715
6 Corte d’Appello Firenze 15.3.2018 n. 591
7 Le immissioni, Edizioni Simone 21.4.2019
8 Cass. 13.4.2022 n. 11930
9 Cass. 28.7.2021 n. 28649
10 Cass. 18.7.2019 n. 19434
11 Cfr nota 7 ed in senso conforme Cass. 4.10.2021 n. 28036
12 Cass. 28.7.2021 n. 21621
13 I diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 nonché gli interessi collettivi sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni
14 Corte d’Appello Milano 3.3.2014
15 Trattandosi di novità normativa si riporta l’art 840 bis c.p.c. I diritti individuali omogenei sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le disposizioni del presente titolo.
A tale fine, un’organizzazione o un’associazione senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti o ciascun componente della classe può responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Ai fini di cui al periodo precedente, ferma la legittimazione di ciascun componente della classe, possono proporre l’azione di cui al presente articolo esclusivamente le organizzazioni e le associazioni iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della giustizia.
L’azione di classe può essere esperita nei confronti di imprese ovvero nei confronti di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività. Sono fatte salve le disposizioni in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici.
In ogni caso, resta fermo il diritto all’azione individuale, salvo quanto previsto all’articolo 840 undecies, nono comma.
Non è ammesso l’intervento dei terzi ai sensi dell’articolo 105.
Nel caso in cui, a seguito di accordi transattivi o conciliativi intercorsi tra le parti, vengano a mancare in tutto le parti ricorrenti, il tribunale assegna agli aderenti un termine, non inferiore a sessanta giorni e non superiore a novanta giorni, per la prosecuzione della causa, che deve avvenire con la costituzione in giudizio di almeno uno degli aderenti mediante il ministero di un difensore. Nel caso in cui, decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo, non avvenga la prosecuzione del procedimento, il tribunale ne dichiara l’estinzione. A seguito dell’estinzione, resta comunque salvo il diritto all’azione individuale dei soggetti aderenti oppure all’avvio di una nuova azione di classe.
16 Chiunque abbia interesse alla pronuncia di una inibitoria di atti e comportamenti, posti in essere in pregiudizio di una pluralita’ di individui o enti, puo’ agire per ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva. Le organizzazioni o le associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela degli interessi pregiudicati dalla condotta di cui al primo periodo sono legittimate a proporre l’azione qualora iscritte nell’elenco di cui all’articolo 840-bis, secondo comma. L’azione può essere esperita nei confronti di imprese o di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività. La domanda si propone con le forme del procedimento camerale, regolato dagli articoli 737 e seguenti, in quanto compatibili, esclusivamente dinanzi alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo dove ha sede la parte resistente. Il ricorso e’ notificato al pubblico ministero. Si applica l’articolo 840-quinquies in quanto compatibile. Il tribunale può avvalersi di dati statistici e di presunzioni semplici. Con la condanna alla cessazione della condotta omissiva o commissiva, il tribunale può, su istanza di parte, adottare i provvedimenti di cui all’articolo 614-bis, anche fuori dei casi ivi previsti. Con la condanna alla cessazione della condotta omissiva o commissiva, il tribunale può su richiesta del pubblico ministero o delle parti, ordinare che la parte soccombente adotti le misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate. Il giudice, su istanza di parte, condanna la parte soccombente a dare diffusione del provvedimento, nei modi e nei tempi definiti nello stesso, mediante utilizzo dei mezzi di comunicazione ritenuti piu’ appropriati. Quando l’azione inibitoria collettiva e’ proposta congiuntamente all’azione di classe, il giudice dispone la separazione delle cause. Sono fatte salve le disposizioni previste in materia dalle leggi speciali.
DALL’ORDINE PUBBLICO ALLA SALUBRITÀ AMBIENTALE: L’EVOLUZIONE STORICA DEL BENE SALUTE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA. Giuseppina Ferrara SOMMARIO: 1. Il bene salute nella Costituzione. – 1.1. Nei principi fondamentali. – 2. L’articolo 32 della Costituzione. – 2.1. […]
Diritto Sanitario Dottrina Fascicoli Fascicolo n.4/2022DALL’ORDINE PUBBLICO ALLA SALUBRITÀ AMBIENTALE: L’EVOLUZIONE STORICA DEL BENE SALUTE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA.
Giuseppina Ferrara
SOMMARIO: 1. Il bene salute nella Costituzione. – 1.1. Nei principi fondamentali. – 2. L’articolo 32 della Costituzione. – 2.1. Da norma programmatica. – 2.2. A norma di immediata percettività. – 3. Quale tutela per l’articolo 32 della Costituzione. – 4. La distopica pretesa del suo bilanciamento.
Il bene salute nella Costituzione Italiana ha subìto una evoluzione inevitabile nel corso dell’esperienza repubblicana. Si è passati dalla fase pioneristica che ha visto la salute come mera questione di ordine pubblico, alla fase intermedia nella quale la salute venne qualificata come tipico diritto sociale, per poi giungere, oggigiorno, alla individuazione della stessa come vero e proprio diritto soggettivo.1
In un primo momento, dunque, il bene salute venne inserito nella categoria generale dei c.d. diritti sociali, ragion per cui la dottrina per lungo tempo contrastò l’inserimento del diritto alla salute nella categoria dei diritti fondamentali dell’uomo, ponendosi con reticenza ad affiancandolo al diritto di proprietà ed al diritto della libertà. 2
Oggigiorno, al contrario, è ormai acclarato anche in dottrina che il principio su cui si basano i diritti sociali (e dunque anche il diritto alla salute) è il principio di uguaglianza. Principio non (più) ritenuto in contrasto con l’originario opposto principio di libertà.
Ne è la logica conseguenza il ritenere che la ratio di qualsiasi diritto fondamentale sia rinvenibile esclusivamente nella funzione sociale dello stesso e quindi in una dimensione in cui il suddetto diritto fondamentale venga retto dal rapporto fra eguaglianza e libertà (e non esclusivamente dalla presenza dell’uno o dell’altro).
Quindi, essendo fra i diritti sociali il diritto alla salute, qualificato fondamentale dall’Assemblea Costituente, si colloca a pieno titolo in posizione paritaria rispetto ai “classici” diritti di libertà. In questo quadro, sembra cogliere nel segno chi osserva3 che non può esservi reale antinomia fra i classici diritti di libertà della persona e i diritti sociali, in quanto (alla luce proprio del combinato disposto di cui agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione Italiana) l’atteggiamento dello Stato nei confronti dell’uomo, non può essere caratterizzato da un’indifferenza di tipo garantistico ma al contrario dev’essere un atteggiamento orientato e finalizzato a correggere ed a riequilibrare le distorsioni e le diseguaglianze dei punti di partenza, attraverso interventi e politiche perequative a forte contenuto sociale.4
Facciamo nostro il pensiero per cui “nei moderni e più evoluti ordinamenti costituzionali, i diritti sociali colorano e sostanziano gli stessi diritti di libertà”5 (anche detti “diritti formali” o “libertà a contenuto negativo”). L’Assemblea Costituente, a seguito di un acceso dibattito, giunse ad affermare una tutela forte della salute, quale diritto della persona alla base dell’esplicitazione di ogni attività umana nella sfera morale, intellettuale ed economica. Tale scelta è rinvenibile nel fatto che la salute è il solo bene giuridico, fra i vari beni giuridici della Costituzione, ad essere stato definito “fondamentale” nel testo stesso della Carta. In più, la qualifica di diritto fondamentale, richiama le caratteristiche dell’inalienabilità, intrasmissibilità, irrinunciabilità ed indisponibilità.6 In aggiunta, la tutela della salute non è intesa solamente come bene personale ma anche come bene dell’intera collettività che necessita della salute di tutti i suoi componenti per meglio crescere ed affermare i propri valori. 7 Quando si tratta di salute, emergono necessariamente molteplici definizioni di riferimento: la sua nozione richiama svariati aggettivi. Discernendo di salute, si può far riferimento alla salute fisica o psichica, individuale o collettiva; quale diritto fondamentale dell’individuo o quale interesse della collettività. Si è giunti, per tanto, ad un concetto “relativo” di salute. Infatti, una definizione del concetto di salute cui fa riferimento la nostra Carta Costituzionale è quella che lo considera come una “formula sintetica con la quale si esprime la garanzia di una pluralità di situazioni soggettive assai differenziate fra loro e talvolta da un nesso tutt’altro che diretto” 8. Il diritto alla salute comprende in sé non solo funzioni biologiche in senso stretto ma anche capacità logiche ed affettive: ecco perché all’interno del generico diritto alla salute siano stati inclusi9 anche il diritto all’assistenza sanitaria, il diritto alla salubrità dell’ambiente ed il diritto alla sicurezza e alla salubrità dell’ambiente lavorativo. Le posizioni soggettive 10 rinvenibili all’interno della generica espressione “diritto alla salute” nella cornice della Carta Costituzionale Italiana sono, dunque, svariate; tant’è che ci si può riferire, con una sola espressione: al diritto alla protezione della salute, al diritto al recupero della salute, al diritto degli indigenti a ricevere cure gratuite, al diritto di dover essere curato, al diritto di non dover essere curato, al diritto ad un ambiente salubre. La salute appare, in questi termini, un valore non solo da garantire e conservare ma soprattutto da promuovere ed accrescere per la realizzazione del pieno sviluppo della personalità umana.11 In questo senso è rilevantissimo notare che vi sono una serie di fattori sociali che modellano e definiscono la condizione dell’uomo e dunque il suo stato di salute. Nella Carta Costituzionale Italiana, il bene salute trova il suo riconoscimento all’articolo 32 ma non è il solo articolo ad occuparsi della salute come bene giuridico, tant’è che la pretesa che l’articolo 32 crea in capo all’individuo viene ad aggiungersi a quelle garantite da altre norme costituzionali come gli articoli 35, 36, 37, 41 e 117 al 3°comma della Costituzione Italiana. Norme volte ad assicurare sia che l’attività lavorativa si svolga in condizioni tali da garantire la salute e la dignità del lavoratore da danni provenienti dall’ambiente lavorativo ovvero dalla insufficienza del salario a procurare i mezzi di sussistenza. Ancora, al 2° comma dell’articolo 41 si pone come limite all’attività economica la dignità della persona. In questa accezione, dunque, il richiamo alla tutela della salute, intesa nella sua declinazione concettuale di dignità. Infatti, il paradigma costituzionale rinvenibile all’articolo 41 concatena sicurezza, dignità e libertà della persona. Così ragionando prese corpo la tutela specifica del diritto alla salute del consumatore dalla messa in circolo di prodotti malsani. Infine, al 3° comma dell’articolo 117 è sancito che la tutela della salute rientri fra le materie affidate alla competenza concorrente fra Stato e Regioni. In dottrina, infatti, è pressoché concorde l’interpretazione per cui ogniqualvolta, nella disciplina dei diritti costituzionali, la Carta Costituzionale imputa la titolarità della relativa tutela alla “Repubblica”, essa ritiene che ad apprestare la relativa tutela non sia solo lo Stato ma anche le autonomie regionali e locali12. O meglio, “la totalità dell’assetto costituzionale”, come insegna Mortati. In più, non si può non ricordare che il bene salute ha una rilevanza costituzionale in virtù (anche) del principio generale di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e, dunque, trova la sua fonte legittimante anche all’art. 2 della Costituzione Italiana. A questo è dedicato il paragrafo che segue.1
1.1. Nei principi fondamentali
Al Diritto alla Salute, come diritto fondamentale, appresta fondamento e tutela anche l’articolo 2 della Costituzione Italiana: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Essendo inoltre intimamente connesso al valore della dignità umana rientra nella previsione dell’art. 3 della Costituzione Italiana secondo cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Attraverso l’art. 2, la nostra Costituzione ha quindi accolto questa tesi, ovverosia ha riconosciuto la superiorità dei cd. diritti dell’uomo rispetto a ogni potere pubblico e li ha posti alla base dell’ordinamento giuridico italiano. Questo articolo è stato il frutto di un compromesso tra le posizioni ideologiche delle tre forze politiche che nel 1947 componevano l’Assemblea Costituente, ovvero i cattolici, i socialisti-comunisti e i laici-liberali.13
L’importanza della disposizione contenuta nell’art. 2 della Costituzione Italiana è dimostrabile dal fatto che in essa trovano sintesi ben tre principi fondanti e caratterizzanti la forma di Stato, quali: il principio personalista, quello del pluralismo sociale e quello di solidarietà.14
Ciò che rileva, ai fini della nostra trattazione, è porre l’attenzione alla prima parte della disposizione costituzionale.
Alla luce di ciò, il diritto alla salute si configura, quindi, quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’articolo 2 della Costituzione con rilevanti conseguenze anche sul piano del riparto delle competenze fra Stato e Regioni. Ciò perché esso deve essere considerato come un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale.15
Il diritto alla salute letto alla luce dell’articolo 2 della Costituzione mostra un proprio “nocciolo duro” per cui esso, di fatto, oltre ad assumere la qualifica di diritto soggettivo, di diritto fondamentale e di diritto assoluto, assume anche i caratteri dell’intangibilità. Il suddetto “nocciolo duro” è imposto dal principio di solidarietà sociale di cui all’articolo 2 della Carta Costituzionale che non può in alcun modo essere soppresso, qualsiasi siano le esigenze della società nella quale il Diritto alla Salute viene ad applicarsi.
La connessione dell’articolo 32 con l’articolo 2 della Costituzione Italiana attribuisce al diritto alla salute un contenuto di socialità, sicurezza e reciproco condizionamento. Ed ancora, il pieno sviluppo della persona sancito dall’articolo 3 della Costituzione è una vera e propria modalità concreta di attuazione di questi valori. 16
La generalità dei principi rinvenibili all’articolo 2 ed all’articolo 3 della Costituzione è tale per cui nessuna branca giuridica può dirsi scevra dalla loro applicazione. Lo studio dei diritti fondamentali della persona costituisce la basa di partenza di qualsiasi ambito di studio giuridico.
Il significato giuridico che questa norma assume è sicuramente di clausola generale di tutela della persona umana. È merito della sua portata se l’interpretazione giurisprudenziale ha potuto evolversi, muovendo da detta clausola e riconoscendo “nuovi”17 diritti della persona. Dunque, la tutela della persona e quindi i suoi diritti fondamentali sono oggetto di trattazione in termini giustamente assolutistici all’interno del nostro ordinamento giuridico. I diritti della personalità, nella classificazione tradizionale, sono “diritti assoluti” così come i diritti reali: essi valgono erga omnes.
Si occupano di aspetti fondamentali della personalità dell’uomo, rispondono ad interessi di natura non patrimoniale del loro titolare.
Ancora, si tratta di diritti personalissimi poiché i loro effetti sono collegati in modo inscindibile con la persona e sono inalienabili; infatti, non è possibile una cessione, un trasferimento, una rinunzia o una transazione su detti diritti.
Si acquisiscono alla nascita per il solo fatto che la persona viene ad esistere, per questa ragione vengono definiti diritti originari. L’articolo 2 della Costituzione Italiana è dunque quella clausola generale da cui partire per costruire il riconoscimento di diritti sempre nuovi, rispetto a quelli tradizionalmente espressi a chiari lettere nel testo costituzionale; detta qualità di fonte come fondamento giuridico dell’articolo 2 della Costituzione è data dal fatto che esso si occupa del primo diritto, propedeutico logicamente a tutti: il diritto alla vita. Esso è così radicato nel nostro testo costituzionale che non è stato sancito espressamente18. Rappresenta lo spirito della Costituzione Italiana.
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Ciò che rileva ai fini della nostra trattazione è il primo comma del suddetto articolo.
Da una prima lettura dell’articolo 32 della Costituzione Italiana emerge chiaramente che la tutela del bene “salute”, inteso quale complessiva situazione di benessere psico-fisico, è innanzitutto un diritto fondamentale dell’individuo.
Detto principio costituzionale ha attivato nell’ordinamento giuridico una numerosa serie di pretese giuridiche a determinati comportamenti pubblici. Vi sono infatti due livelli fondamentali di garanzia, un primo di “garanzia negativa o passiva”, che si risolve nella pretesa a che terzi si astengano da qualsiasi comportamento pregiudizievole, predisponendo mezzi inibitori, ripristinatori e risarcitori nel caso di lesione; un secondo livello di c.d. “garanzia attiva”, a cui si collega la pretesa positiva dell’individuo alla esistenza ed utilizzabilità dei mezzi necessari per la tutela della salute.
Nel primo rientrano sicuramente la tutela della salute sottospecie della tutela dell’’integrità psico-fisica e della salubrità dell’ambiente; nel secondo invece gli aspetti relativi alle scelte terapeutiche riassumibili nel concetto di cure.19
Ai fini della nostra ricerca è dunque ampiamente soddisfacente fermarsi all’analisi del primo livello fondamentale di garanzia che mira, in sintesi, a tutelare la salubrità dell’ambiente e (consequenzialmente?) l’integrità psico-fisica. La Costituzione ha sancito che la salute è un bene della persona, oggetto tanto di un diritto fondamentale che di interesse pubblico.
Per tanto, questa disposizione è oggetto di un insieme “multi-dimensionale” di diritti ed interessi che sono da attribuire alla persona umana considerata nel suo complesso (sfera psichica, fisica ma anche sociale). Quindi è lecito ritenere che salute ed integrità siano in un rapporto di genus e species; in cui la priorità del bene salute sta ad indicare che qualsiasi aspetto della seconda gode delle caratteristiche proprie della prima.20
Ne è conseguenza logica che se la salute rappresenta un valore dinamico e dunque anche l’integrità dovrà essere riconosciuta in questi termini. Quindi, se la salute si riferisce non solo all’aspetto fisico ma anche all’aspetto psichico, anche per l’integrità sarà così. È sulla scorta di quanto detto finora che si è sviluppata una linea evolutiva di straordinario rilievo che, prendendo le mosse dalla radice costituzionale del diritto alla salute, ha presentato lo stretto legame che intercorre fra la tutela costituzionale dell’ambiente e quella della salute.21
Sia in dottrina che in giurisprudenza è pacifico che dal diritto alla salute si ricavi22 sia il diritto soggettivo della persona che l’interesse della collettività ad un ambiente salubre.23
Facciamo nostra la visione di quella parte della dottrina che ritiene che la c.d. equazione salute-integrità fisica24 sia da superare mediante una interpretazione evolutiva della Costituzione del 1947. È infatti superata, nella realtà fattuale, l’idea che la salute sia legata esclusivamente all’integrità fisica. Facendo, al contrario, parte della consapevolezza comune che la salute di un organismo sia indissolubilmente legato al contesto in cui esso viva.25
La degradazione dell’ambiente incide notevolmente sulla salute, provocandone danni irreversibili; di convesso è evidente che la conservazione dell’ambiente contribuisce alla promozione della salute umana.26
La reciproca interazione fra questi due beni è molto forte; salute ed ambiente sono indissolubilmente legati.
Infatti, il diritto all’ambiente, sotto la specie della tutela della salute, assume le vesti di diritto soggettivo, ciò comporta che non può essere compromesso da alcun rapporto giuridico pubblico o privato.
È evidente, al contempo, che l’oggetto di una tutela costituzionale così ampia in termini di diritti assoluti, pone dei problemi di relazione con altri diritti e libertà costituzionalmente garantiti. La contemporanea affermazione al 1° comma dell’articolo 32 della Costituzione di un diritto dell’individuo e di un interesse della collettività esprime efficacemente la multi-direzionalità delle forme di tutela giuridica del bene “salute”. Quando viene in rilievo l’articolo 32 come “diritto dell’individuo”, esso funge da “contro-limite” rispetto ad altri che potrebbero coinvolgere la persona; ovvero, quando l’articolo 32 sia considerato nel suo versante di “interesse collettivo”, esso fungerà da limite o da “restrittore” rispetto ad altre libertà o diritti costituzionalmente garantiti.27
Il raccordo fra il bene “salute” e la promozione della persona a tutto tondo attuata dall’articolo 2 della Costituzione, ha reso possibile far emergere una vera e propria posizione soggettiva (privata), provvista di immediata operatività giuridica. Questa previsione è stata affiancata, nella stessa disposizione testuale, al riconoscimento di un interesse (pubblico) della collettività.28
In questo modo, “si insiste sulla duplice valenza, programmatica e precettiva, dell’articolo 32 della Costituzione e sulla complessità della figura giuridica delineata sul piano individuale, che attribuisce al soggetto sia una pretesa positiva (la titolarità del diritto sociale) alle prestazioni in materia sanitaria, sia una pretesa all’astensione (sub specie di diritto di libertà) da ogni legittima interferenza nella propria sfera di autodeterminazione”.29
Come disse Calamandrei30, “i giuristi vengono, buoni ultimi, a mettere i loro cartellini, le loro definizioni su una realtà sociale che vive già per suo conto”. Detta affermazione ci appare molto consona per esser posta all’inizio di questo nuovo paragrafo, che si occupa della “programmaticità” dell’articolo 32 della Costituzione del 1947.
C’è da dire, fin da subito, che durante i lavori dell’Assemblea Costituente, il nostro articolo 32 venne pensato e ragionato come una norma “dal carattere non attuale ma preparatore del futuro”31 in ragione del fatto che non si voleva formalmente proclamare un diritto per poi essere, come Repubblica, incapace di dare efficace seguito sostanziale a quanto sancito.
La volontà dei Costituenti era quella di evitare che “nel leggere questa nostra Costituzione gli italiani dicano: <<non è vero nulla!>>”32.
Questo perché lo scenario socio-economico del tempo in cui si riunì ed operò l’Assemblea Costituzionale era quello dell’Italia all’indomani delle due grandi guerre, dove forti erano i segni negativi del loro effetto distruttivo .
Per questa ragione si volle ritenere la nostra Carta Costituzionale “presbite”33, in grado, cioè, di veder bene da lontano, nel futuro, scontato anche non fosse riuscita (rectius non avesse potuto) veder bene nel presente, da vicino.
Dal punto di vista strettamente grammaticale, infatti, gran parte dei Costituenti riteneva che non si dovessero spendere verbi al tempo presente che presentassero come soggetto “La Repubblica” (come ad esempio, i verbi “assicura” ed ancora “promuove”)34, proprio al fine di evitare falsi proclami perché non in grado di essere attuati concretamente, sempre nel segno della mancata disponibilità di strumenti congrui alla loro esecuzione.
Per questa ragione, dal punto di vista strettamente di architettura giuridica del testo costituzionale, alcuni Costituenti proposero di stilare un preambolo preliminare nel quale riassumere in forma di propositi programmatici le direttive sociali e politiche alle quali avrebbe dovuto nel futuro ispirarsi la legislazione italiana.
Da come possiamo vedere leggendo il testo che venne licenziato nel 1947, questa strada non venne percorsa, tant’è che non venne predisposto alcun preambolo e tutti i 139 articoli vennero stilati coniugando i verbi al tempo indicativo. Ed addirittura, quel testo presbite, prevedeva Enti Locali ed Istituzioni di cui nulla si sapeva al tempo.35
Così facendo, si ritenne, per diversi anni a seguire, che alcune norme fossero etichettate come “programmatiche” ed altre come “ad immediata percettività”. Questo distinguo d’etichette si spiega con riferimento alla natura ed agli effetti che l’appartenenza all’una o all’altra categoria ne determina.
Tant’è che si è, nel corso di svariati anni, ritenuto che alcune norme costituzionali fossero non delle vere e proprie norme nel senso giuridico del termine ma dei meri precetti oppure riconducibili a delle disposizioni meramente programmatiche.
La fondamentalità del Diritto alla Salute ha scontato inizialmente le titubanze anche della giurisprudenza costituzionale nel riconoscergli un’immediata natura precettiva e non solo programmatica. Rimane traccia di questa scelta, seppur iniziale della Consulta, in diverse pronunce36. Questa fase primaria della sua giurisprudenza però mutò parallelamente alla maturazione della coscienza costituzionale dei giudici comuni37. Questo cambio di rotta ha fatto prevalere la risoluzione di questioni cruciali in ordine al diritto alla salute anche sottolineandone la sua immediata applicabilità. Di questo si occuperà il paragrafo che segue.
2.2. A norma di immediata percettività
Mentre i diritti di libertà sono per definizione self executing, poiché sotto il profilo strutturale si risolvono in un agere licere e rappresentano situazioni giuridiche che per essere realizzate postulano un atteggiamento di astensione da parte dei poteri pubblici (quanto meno in seno ad un’idea tradizionale che ha connotato per anni diversi ordinamenti giuridici alla luce della quale, per l’appunto, i diritti di libertà vengono liquidati connettendo loro un semplice atteggiamento di astensione).
D’altro canto, invece, c’è chi sostiene38 che tutti i diritti impongano alle finanze pubbliche oneri economicamente quantificabili; dunque, a detta di questa fazione di studiosi, si sta levando l’idea per cui anche i diritti di libertà, al pari dei diritti sociali, “costino”.
C’è da sottolineare, però, come anche alcuni diritti sociali di libertà (definiti “incondizionati”) presentano tale caratteristica; al contrario, si pongono in contrapposizione quei diritti sociali c.d. “condizionati”, sotto il profilo della loro attuazione, dall’intervento del legislatore. Mentre i diritti incondizionati sono immediatamente operanti, (sia nei rapporti fra privati sia in quelli col potere pubblico), i diritti condizionati, invece, necessitano di una struttura organizzativa, di una erogazione, attuata dal legislatore.39
Gli interventi legislativi che si sono susseguiti nel corso del tempo hanno confermato una visione del diritto alla salute sotto il profilo pretensivo, come diritto condizionato dalla necessità di interpositio legislatoris, ai fini di una concreta attuazione ed azionabilità.
Al contrario, il diritto all’integrità psico-fisica è stato interpretato come un diritto soggettivo immediatamente precettivo.40
Questa impostazione rispecchia la tradizione giurisprudenziale e legislativa italiana.
Possiamo seguire la produzione della giurisprudenza italiana per comprendere meglio questo iter. Infatti, come scrive Principato41: “le incertezze della dottrina trovano preciso riscontro anche sul piano della giurisprudenza, sia di merito, sia di legittimità, sia costituzionale. Forse anche in questo caso perché i giudici, ciascuno occupandosi di una cosa in apparenza diversa (ora il diritto all’integrità psico-fisica, ora il diritto alle prestazioni sanitarie), hanno riunito tutto nel grande calderone del diritto alla salute”.
Dal punto di vista della dottrina, è stato ben chiaro fin da subito l’ambiguità caratterizzante l’articolo 32 della Costituzione; così che diversi autori42 hanno ricondotto all’integrità psico-fisica il diritto soggettivo (e dunque prevedendo la sua tutela innanzi al giudice ordinario sia in sede cautelare che in quella risarcitoria) ponendo, l’articolo 32, sotto l’alveo delle norme precettive; per poi, al contrario, ritenere che le prestazioni sanitari fossero qualificate come un diritto pubblico soggettivo di natura sociale (interesse legittimo?) sottolineando come sia necessaria l’interposizione del legislatore, la sua attivazione, affinché detto disposto costituzione venga ad essere attuato. Nel quadro, sempre dottrinale, del tentativo di conciliare i diritti sociali ed i diritti di libertà, Luciani43 afferma che “in ambedue i casi sono presenti sia un momento individualistico (di diritto soggettivo), che un momento pubblicistico (di fattore d’integrazione), anche se negli uni [diritti di libertà] è prevalente il primo e negli altri [diritti sociali] il secondo”.
Dal punto di vista della giurisprudenza ordinaria, prendendo le mosse dalla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, si è affermata, parallelamente alle pronunce dei giudici ordinari, l’esistenza di un diritto soggettivo alla salute, fondato sull’articolo 32 della Costituzione.
La Cassazione ritenne, nella pronuncia n. 1463 del 1979 che la salute fosse un diritto soggettivo fondamentale “protetto in via primaria, incondizionata ed assoluta come modo di essere della persona umana”. Questa affermazione attestò che qualora la Pubblica Amministrazione avesse svolto un’attività lesiva di detta norma, quell’azione si doveva considerare svolta in difetto di potere e che tale vizio si poteva sollevare innanzi al giudice ordinario.
Oltre a riconoscere la natura oppositiva di tale diritto, la Corte di Cassazione ha fatto un ulteriore passo in avanti con la Sentenza n. 2092 del 1992 riconoscendo tale diritto soggettivo anche in situazioni pretensive.
Tant’è che si pronunciò in questi termini: “il diritto alla salute, cioè il diritto di star bene, fondamentale per natura costituzionale e dalla tutela completa […] è esso sovrastante all’Amministrazione, di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo […], ma neanche di pregiudicarlo nel fatto, indirettamente. È un diritto primario […] ed assoluto dell’individuo, nei cui riguardi l’Amministrazione, spoglia delle prerogative pubblicistiche, non soltanto non ha potere ablatorio, ma può essere passibile di provvedimento inibitorio da parte del giudice naturale dei diritti”.
Da questa impostazione, alla quale seguono varie pronunce44 conformi a questo orientamento, traiamo che il diritto alla salute sia un diritto soggettivo fondato su di una norma costituzionale di natura precettiva. In più, che nella species di diritto all’integrità psico-fisica, la stessa Pubblica Amministrazione, anche agendo per conseguire interessi pubblici, può essere destinataria di situazioni giuridiche pretensive dei cittadini.
Dal punto di vista della giurisprudenza costituzionale, la Consulta ha assunto una impostazione che si direziona sulla stessa traiettoria della Cassazione; tant’è che con la Sentenza n. 88 del 1979 la Consulta ha, nel considerato in diritto, sostenuto che la salute è tutelata all’articolo 32 della Costituzione “non solo come interesse della collettività ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicché si configura come diritto primario assoluto, pienamente operante anche nei rapporti fra privati”; Proseguendo, “la salute è certamente da comprendere fra le situazioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione”.
Quindi, tanto per la Corte di Cassazione che per la Corte Costituzionale esiste un diritto soggettivo all’integrità psico-fisica, fondato sull’articolo 32 della Costituzione, direttamente azionabile anche fra privati la cui lesione determina il diritto al risarcimento del danno.
3. Quale tutela per l’articolo 32 della Costituzione Italiana?
L’aver inteso l’articolo 32, mediante una evoluzione interpretativa a cui hanno apportato il loro contributo tanto la dottrina quanto la giurisprudenza, una norma ad immediata percettività per quanto concerne il diritto soggettivo all’integrità psico-fisica di ogni individuo, ha permesso di definire, tale diritto, direttamente azionabile45 dinanzi al giudice ordinario.
Così, dunque, anche la species “diritto a vivere in un ambiente salubre” appartenente al genus46 “integrità psico-fisica” si presenta come un diritto primario assoluto. Detta definizione non è solo il frutto di una ricostruzione logica ma l’espressione utilizzata dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 641 del 1987.47
Si deve alla pronuncia, nella veste di sentenza, della Corte Costituzionale dell’anno prima, del 1986, n. 184, il riconoscimento di una tutela piena al bene “salute”.
Facendo nostra la considerazione di Alpa48, l’articolo 2 della Costituzione “involge una nozione di persona non tanto intesa come soggetto di cui si deve garantire il risarcimento della lesione all’integrità fisica ma piuttosto come centro di interessi e titolare di diritti”. Posta questa considerazione, a parere di chi scrive, la connessione fra l’articolo 32 e l’articolo 2 della Costituzione ha permesso di realizzare un sistema organico di tutela all’uomo, in quanto tale, titolare di diritti.
Il Codice Civile Italiano del 1942 ha fatto propria una nozione di danno “normativa” cioè ha previsto che il danno è tale, in senso giuridico, solo in quanto ricorrono i presupposti, stabiliti dalla legge, che consentono di considerare la lesione quale danno. Il giudizio sull’esistenza e sul contenuto del danno è basato su elementi giuridici, per questo riferendosi all’esperienza italiana si parla di un concetto “normativo” di danno.49
La disciplina giuridica italiana è stata costruita attorno al dualismo (o anche bipolarismo) fra danno patrimoniale e danno non patrimoniale. Il danno patrimoniale è regolato dall’articolo 2043 ed il danno non patrimoniale ricondotto all’articolo 2059.
“Il danno ingiusto è identificato con il danno patrimoniale, nel senso che la valutazione circa l’ingiustizia del fatto lesivo concerne solo fatti che abbiano determinato una perdita economica o un mancato guadagno della vittima: l’articolo 1223 concorre con gli altri articoli 1218 e 2043 a definire la coppia danno-risarcimento, con riferimento, rispettivamente, alla responsabilità contrattuale e a quella extracontrattuale. Il danno non patrimoniale di cui all’articolo 2059 è identificato con il danno morale-soggettivo della tradizione, e quindi il dolore fisico o psichico. Non si dubita che [anche] qui il risarcimento possa intervenire solo nei casi espressamente determinati dalla legge”.50
Trattando in questo elaborato, nello specifico, il danno alla persona, non possiamo non considerare ben quattro51 tipi differenti di danno; raggruppati come seguono: a) danni alla salute psico-fisica con risvolti pecuniari; b) danni alla salute psico-fisica slegati da riflessi pecuniari; c) danni da sofferenze (indipendenti dalle lesioni in sé alla salute psico-fisica) con riflessi pecuniari; d) danni da sofferenze (indipendenti dalle lesioni in sé alla salute psico-fisica) slegati da riflessi pecuniari.
Le categorie sub a) e sub c) rientrano nella categoria dei danni patrimoniali risarcibili alla luce degli articoli 2043 e ss, 1223 e 1226 del Codice Civile.
Mentre, la categoria sud d) rappresenta quell’area di danni risarcibili ex articolo 205952 c.c. ora riportato sotto l’etichetta di matrice tedesca “danno non patrimoniale” ora chiamato sotto l’etichetta di matrice francese “danno morale”.
Infine, la categoria che maggiormente ha presentato caratteri di peculiarità è senza dubbio alcuno la sub b), rappresentante un’area di danni a lungo trascurata.
Il motivo di tale esclusione è dettato dalla impossibilità di collocare tali danni tanto nella categoria di quelli patrimoniali quanto in quella dei danni non patrimoniali. Questi danni, quindi, non vennero considerati autonomamente53 come tali poiché sussisteva una visione bipartitica (apparentemente esaustiva) fortemente radicata in dottrina.
Sta di fatto, però, che nel corso dell’esperienza giuridica italiana la dottrina prima e poi la giurisprudenza, nel seguire le suggestioni della prima, giunsero a ritenere la incapacità della visione bipartitica nella materia dei danni alla persona.
Dopo una laboriosa evoluzione, oggigiorno si è giunti a ritenere che per la categoria dei danni di cui sopra al sub b) sussista il risarcimento fuori dai limiti dettati dal testo dell’articolo 2059 del Codice Civile.
Infatti, a giudizio di chi scrive, si ritiene che “il danno alla salute non si limita al danno biologico definito come lesione dell’integrità fisica in sé per sé considerata ma riguarda anche il danno psichico in sé considerato. Il danno alla salute ha per oggetto la lesione della salute (intesa nel suo ampio significato costituzionale) ed è questo concetto che la giurisprudenza è venuta delineando, pur se gli viene spesso attribuito il nome di danno biologico”.54
L’iter che ha permesso di superare la visione bipartitica in seno alle categorie di danno e fatto emergere il danno alla salute (anche detto danno biologico) è stato lungo e laborioso. La dottrina civilistica55 preparò il terreno per la risarcibilità del danno biologico; fu, infatti, essa a presentare un quadro elaborato che fece da base alla decisione della Corte di Cassazione di assumere l’impostazione studiata dalla dottrina civilistica per la maggiore unita nelle sue molteplici voci e già sperimentata, questa soluzione, presso alcune corti minori italiane.
La Sentenza della Corte di Cassazione n. 3675 del 1981 rappresentò il punto di svolta per la disciplina del danno biologico inteso come categoria a sé stante. Poiché, “in esso la Cassazione stabilì che il bene della salute costituisce come tale oggetto di un autonomo diritto primario ed assoluto, e che, pertanto, in caso di lesione alla persona, il risarcimento deve tenere conto anche del danno biologico inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica della persona in sé considerata. Il danno biologico fu visto come una species del genus del danno ingiusto previsto dall’articolo 2043 c.c., che si affianca alla species del danno patrimoniale e a quella del danno non patrimoniale, inteso come insieme di sofferenze psichiche e morali provenienti dal soggetto per il torto subito e risarcibile solo nei limiti dell’articolo 2059.”56
Questa impostazione venne ribadita, dalla Suprema Corte, in altre tre pronunce del 1984.57
Un ulteriore passo avanti è rappresentato dalla Sentenza, sempre ad opera della Suprema Corte, n. 1130 del 1985 nella quale si riconosce come punto di partenza che il danno alla salute sia da risarcire ed in più si giunge ad affermare che il danno biologico rientri a pieno titolo nella categoria dei danni patrimoniali!58 Questa decisione ha significato che il danno patrimoniale “si estende a tutti gli effetti negativi incidenti sul bene primario della salute in sé considerato, tenuto conto che tale bene fa parte integrante del patrimonio del soggetto. […] L’impostazione contenuta in questa pronuncia può apparire assurda a chi segua rigidamente e incrollabilmente l’equiparazione stretta <<patrimoniale-pecuniario>>. […] Qui si può solo osservare che comunque la ratio decidendi di tali casi appare uniforme: se di fatto si sono prodotte lesioni alla salute, esse vanno risarcite, e lo devono essere senza sottostare alla limitazione imposta dall’articolo 2059 c.c.” .
La scelta operata dalla Cassazione di fondare il risarcimento del danno biologico sull’articolo 32 della Costituzione ha trovato il bene placito della stessa Corte Costituzionale nel 1986.59 Quest’ultima, si è trovata ad affrontare (e sbrogliare) due problemi: “quello dell’interpretazione dell’articolo 2059 c.c., su cui era stata espressamente interpellata, e quello del fondamento della risarcibilità del danno della salute. Essa risolve il primo quesito osservando come, secondo il diritto <<vivente>>, e secondo i lavori preparatori, la locuzione <<non patrimoniale>> di cui all’articolo 2059 c.c. debba essere intesa con riferimento ai soli danni morali puri da pena e sofferenza.
La Corte risolve il secondo problema ritrovando il fondamento del diritto alla salute nell’articolo 32 della Costituzione”.60
Così facendo, con la pronuncia n. 184 del 1986, la Corte Costituzionale superò quella visione bipartitica propria della materia del risarcimento danno fino a quel tempo operante e, al tempo stesso, superò anche il mero confinamento del danno alla salute nel dato normativo dell’articolo 2059 c.c. Infatti, la tutela risarcitoria del bene salute fu riferita direttamente dal combinato disposto degli articoli 2043 c.c. e 32 della Costituzione. Sostenendo che “la Costituzione, garantendo principalmente valori personali, svela che l’articolo 2043 c.c. deve essere posto in correlazione agli articoli della Carta fondamentale (che tutelano i predetti valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idoneo a compensare il sacrificio degli stessi valori subiti a causa dell’illecito.”61
La giurisprudenza degli anni successivi affinò questo orientamento; esemplare fu la sentenza n. 356 del 1991 dove la Consulta decise di stilare una definizione più “ampia” di danno biologico, identificandolo nel danno alla persona “nell’integrità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vota […] , e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana”.62
Continuando nell’analisi63 dell’iter storico delle pronunce rilevanti alla elaborazione della materia così come si presenta a noi oggigiorno, non si può non far riferimento alle pronunce stilate fra il 2002 ed il 2003.
Da esse, emerge a chiari lettere che nella tutela risarcitoria del danno non patrimoniale sono compresi “sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.64
Ciò che maggiormente ci interessa, ai fini di questo elaborato è che la Cassazione prima e la Corte Costituzionale poi, hanno ricondotto la lesione degli interessi di rango costituzionale inerenti la persona, tutti sotto la previsione normativa dell’articolo 2059 c.c. Ed è per questo che alcuni autori hanno sottolineato come “la norma può evolvere non solo attraverso un ampliamento degli illeciti tipizzati, ma anche con la tutela in via diretta di interessi, la cui disciplina legale imponga, per la forza che è implicita nell’inviolabilità dei diritti della persona, la tutela minima ed essenziale del risarcimento del danno, esteso anche ai pregiudizi non patrimoniali”.65
Alla luce di quanto scritto finora, facciamo nostra l’impostazione dottrinale per cui “la sussunzione della protezione (legislativa) della integrità (psico)fisica, nel più ampio e dinamico ambito della tutela (costituzionale) della salute, ha permesso un notevole arricchimento del contenuto di tale principio, ampliandone potenzialmente le potenzialità e possibilità d’azione.”66
Punto attestante detta evoluzione anche nella giurisprudenza di merito è rappresentato dalla Sentenza n. 10606 del 1996 della Sezione Civile della Corte di Cassazione. In essa, infatti, è sancito che “l’ambito di operatività dell’articolo 2059 c.c. va considerato rapportando anche questa norma ai principi costituzionali e superando l’inadeguata interpretazione tradizionale. Nella quantificazione del danno di cui all’articolo 2059 c.c. occorre valutare la gravità del reato nella sua antigiuridicità, tenendo conto della tavola dei valori che la Costituzione offre ai Giudici”.67
4. La distopica pretesa del suo bilanciamento
Il diritto alla salute è un diritto assoluto, come tale non potrà mai affievolirsi e degradare ad interesse legittimo, cedendo così alle esigenze collettive contrastanti con esso.68
Viene difficile immaginare una esigenza collettiva o un singolo diritto individuale contrastante col diritto alla salute, quanto meno se assumiamo come falsa l’affermazione “non di sola salute vive l’uomo”69.
Eppure, nonostante il nostro articolo 32 possa vantare la qualifica “fondamentale” al pari di nessun altro diritto sancito nella Costituzione Italiana, si è trovato, più volte, a dover gareggiare il suo primariato sul piatto della bilancia.
Il suo esser fondamentale gli ha fatto guadagnare negativamente l’appellativo di diritto costituzionale “tiranno”70.
Nonostante i vari tentativi di ledere alle fondamenta la natura di tale diritto, si è giunti comunque alla considerazione per cui, quantomeno nei rapporti fra privati, la norma costituzionale è precettiva. Quindi, sulla scorta di una evoluzione dottrinale e giurisprudenziale di cui si è provato a dar conto nei paragrafi di cui sopra, si può pacificamente sostenere che ogni persona dispone di un proprio diritto fondamentale a che la propria salute non venga pregiudicata da altri privati. Tuttavia, parte della norma costituzionale ha un contenuto programmatico che necessita, per forza di elementi oggettivi e secondo la consolidata giurisprudenza, di un intervento legislativo per attuare concretamente la previsione costituzionale.
Riassunto ciò, intendiamo arrivare a mettere in mostra il nucleo essenziale, irrinunciabile ed irriducibile71 che compone il diritto alla salute (ricordiamo, diritto sancito espressamente come fondamentale dai Costituenti stessi).
Di pari passo alla evoluzione attuata dal cammino laborioso della dottrina e della giurisprudenza, che ha permesso di raggiungere forme di tutela forti72, si è man mano levata, ahinoi, una corrente avversa che ha voluto porre sul piano dei rapporti di forza, al fine di bilanciare, il diritto alla salute con valori attinenti a diritti o libertà di volta in volta differenti; ponendo sui piatti della bilancia da un lato il diritto primario ed assoluto (diritto alla salute) e sull’altro, un qualsiasi altro diritto (funzionale a qualche esigenza del caso).
La stessa Corte Costituzionale ha spiegato questo fenomeno scrivendo che “occorre […] tenere presente che i diritti inviolabili, siano essi esplicitamente previsti o desunti per implicito dalla Costituzione, rappresentano una vera e propria manifestazione del “principio personalistico”: tale principio invita ad una considerazione del soggetto non quale monade isolata e avulsa dal mondo, bensì appunto come “persona”, tale proprio in quei rapporti sociali di relazione che soli la sostanziano. È solo in tale modo che, d’altronde, prende corpo la realtà della moderna società personalistica, con i suoi tipici fenomeni di interessi, bisogni, valori spesso in conflitto tra loro.
Ed è proprio in quest’ambito che si inserisce uno dei più delicati compiti cui è chiamata la Corte: essa deve operare un complesso bilanciamento di valori costituzionali affinché l’esercizio di un diritto fondamentale non venga a confliggere con altri interessi e diritti di pari rilievo. Giova al riguardo sottolineare che, già all’inizio della sua attività, la Corte ebbe modo di ricordare (sentenza n. 1 del 1956) che il concetto di “limite” è insito nel concetto stesso di diritto, e che nell’ambito dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono sottostare di necessità ad una reciproca limitazione, proprio ai fini di un’armonica ed ordinata coesistenza civile”73.
Quanto scritto dalla Corte Costituzionale è, a parere di chi scrive, pacifico quando, al fine di rendere armonica la convivenza civile, è necessario bilanciare interessi di cui è titolare un unico soggetto ovvero quando attengono ad un livello gerarchico pariordinato.
Al contrario, non riteniamo ammissibile che un diritto come quello alla salute (sulla scorta di quanto detto in seno al suo carattere di diritto assoluto), possa essere posto in bilanciamento con un qualsiasi altro elemento (rectius diritto) di paragone.
La Consulta, per converso, più volte si è concentrata sulla “identificazione dei limiti esterni del diritto fondamentale alla salute (il limite tecnico-scientifico; il limite economico-finanziario; il limite organizzativo); degli strumenti di controllo della discrezionalità legislativa (tecniche del “bilanciamento” e del giudizio di ragionevolezza); dei parametri da utilizzare nello svolgere tale controllo (il contenuto minimo essenziale o nucleo incomprimibile o irriducibile del diritto alla salute)”74.
Da ciò, dunque, apprendiamo come la Corte Costituzionale abbia sancito tre ordini di limiti al diritto alla salute.
Ciò che ci preme sottolineare, al fine del tema trattato in questo elaborato, è la volontà di soffermarsi principalmente (ed esclusivamente) su quella tecnica di controllo della discrezionalità legislativa che è rappresentata dal bilanciamento.
Alcuni autori sono dell’opinione per cui neppure la tesi del contenuto essenziale del diritto alla salute offra soddisfacenti livelli di tutela.
Poiché “quello italiano è un ordinamento costituzionale in cui non è possibile costruire una gerarchia tra diritti e interessi costituzionalmente rilevanti. Ciò detto, non è possibile utilizzare, nel sindacato di costituzionalità, una concezione assolutistica del contenuto essenziale. Si dovrà, quindi, necessariamente, offrire una visione relativistica del contenuto essenziale”75.
Questa corrente di pensiero ritiene dunque che il contenuto essenziale sia da ricercare “volta per volta come risultante di uno scontro pluralistico di interessi”76.
Per questi autori, dunque, lo stesso “contenuto essenziale” del diritto nulla può nei confronti dell’approccio casistico, quantomeno a detta loro, al tema della garanzia costituzionale dei diritti fondamentali, “con conseguente imprevedibilità degli esiti del controllo e variabilità dei bilanciamenti costituzionali”. Questo effetto “potrebbe essere determinato, da un lato, dalla assenza di una gerarchia dei principi e dei diritti costituzionali e , dall’altro, dalla maggiore o minore precisione con la quale il testo costituzionale identifica principi o beni giuridici di rilievo costituzionale da bilanciare con il diritto riconosciuto e garantito dalla Costituzione. Non a caso la giurisprudenza sul contenuto essenziale sembra recepire una visione anti-formalista della Carta che non può non determinare questo effetto casistico ed aperto al fatto nell’esercizio del controllo di ragionevolezza”77.
Dato conto di quest’impostazione dottrinale, riteniamo, al contrario, che ogni qualsivoglia conflitto debba essere sempre risolto a favore della salute.
In fin dei conti, è la stessa Corte di Cassazione a far riferimento ad un “nocciolo duro”78 proprio del diritto alla salute, sottolineando che il diritto alla salute oltre ad essere un diritto soggettivo assoluto, assume anche i caratteri dell’intangibilità e che qualora si accerti un fumus di compromissione della salute, la tutela giudiziaria del diritto può essere accordata alla luce di pronunce inibitorie79.
Siamo dell’idea che il diritto alla salute presenti un “nocciolo duro” “imposto dal principio di solidarietà sociale ex articolo 2 della Costituzione e che non può in alcun modo essere soppresso quali che siano le ipotetiche confliggenti esigenze della società”80.
In conclusione, riteniamo foriero di errori il solo pensare che il diritto alla salute (nel nostro ordinamento agente anche nella veste di diritto alla vita) possa trovarsi come termine di riferimento in un bilanciamento con altri diritti che logicamente sono susseguenti.
Infine, “l’attuale concetto di salute non può prescindere dal fatto che sussiste uno stretto legame tra ambiente e salute tale da far affermare che il contenimento dell’inquinamento ambientale rappresenti uno strumento necessario per la tutela della salute. In tale contesto si inserisce la disciplina della sanità che apporta alla più generale tutela della protezione dell’ambiente, inteso come ambiente salubre, criteri e valori di ordine generale tra i quali spicca il c.d. principio di precauzione, il quale si rivela come il più importante e risolutivo principio (teorico e pratico-operativo) capace di tenere insieme, come un collante trasversale di unificazione funzionale, tutti i segmenti che oggi concorrono a plasmare e formare il concetto di sanità”81.
1 FERRARA, Salute (diritto alla), in Digesto pubbl., XIII, Torino 1997, 513 ss;
2 PALAMONI, L’evoluzione del diritto alla salute: riflessi giurisprudenziali ed organizzativi, in www.ildirittoamministrativo.it;
3 CARLASSARE, Forma di Stato e diritti fondamentali, in Quad. Cost., 1995, 33 ss;
4 FERRARA, Salute (diritto alla), in Digesto della Discipline Pubblicistiche, Utet Giuridica, 2000, 517;
5 FERRARA, op. cit.;
6 GRECO, Il “nocciolo duro del diritto alla salute”, in La Responsabilità civile, aprile 2007, 299 ss;
7 SACCO, Art. 32 della Costituzione Italiana: diritto alla salute, su Centro studi diritto sanitario, www.dirittosanitario.net;
8 LUCIANI, Salute – I. Diritto alla salute – dir. Cost. in Enc. Giur., XXVII, Roma, 1991, 1.
9 Cass. Civile, Sez. Un., 6 ottobre 1979 n. 5172;
10 CASELLA, Il diritto alla salute. Tutela multilivello nei sistemi giurisdizionali nazionale, internazionale e sovranazionale, in http://www.antoniocasella.eu/salute/Foti_2013.pdf;
11 LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, in Dir. soc., 1980, 769 ss;
12 SICLARI, L’articolo 32, primo comma, della Costituzione Italiana, IX Convegno nazionale di Diritto sanitario sul tema Sanità e salute nella giurisprudenza costituzione, 2011;
13 CASELLA, op.cit.;
14 ROSSI, Principi fondamentali, in Commentario alla Costituzione, Utet Giuridica 2006, 38 e ss;
15 LUCIANI, I livelli sanitari delle prestazioni in materia sanitaria tra Stato e Regioni, in CATELANI-CERRINI FERONI – GRISOLIA (a cura di), Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione – Modelli di organizzazione sanitaria a confronti, Giappichelli Editore, Torino, 2011, 20 e ss;
16 BOBBIO G .– MORINO M. (a cura di), Lineamenti di Diritto Sanitario, CEDAM, 2010, 24 e ss;
17 Sull’argomento, vi è un corposo dibattito in dottrina riguardante l’estensione della “categoria” diritti inviolabili oltre quelli esplicitamente o implicitamente riconosciuti dalla Costituzione; quindi un dibattito che mira a comprendere se si tratta di una fattispecie chiusa o che permetta delle interpretazioni di tipo estensivo;
18 La Corte Costituzionale ha affermato in diverse pronunce che sono da considerare inviolabili tutta una serie di diritti non espressamente sanciti nel testo costituzionale. Uno per (e propedeutico a) tutti è il diritto alla vita nelle pronunce n°54 del 1979 e n°223 del 1996;
19 Per un maggiore approfondimento si rimanda a LONGO, Principi fondamentali, in Commentario alla Costituzione, Utet Giuridica 2006, 658;
20 Per un maggiore approfondimento si rimanda a LONGO, op.cit., 659;
21 Per un maggiore approfondimento si rimanda a CARAVITA, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2001, 15;
22 GIAMPIETRO, Diritto alla salubrità dell’ambiente, Milano, 1980, 106;
23 Per un maggiore approfondimento si rimanda a SIMONCINI, Ambiente e protezione della natura, Padova, 1996, 109;
24 LUCIANI, op.cit., 792;
25 Oltre ad essere un assioma scientifico dell’ecologia;
26 COMPORTI, Tutela dell’ambiente e tutela della salute, in Riv. Giuri. Ambiente, 1990, 192;
27 Per un maggiore approfondimento si rimanda ad SIMONCINI A., Principi fondamentali, in Commentario alla Costituzione, Utet Giuridica 2006, 671;
28 Per l’approfondimento del tema si rimanda ad ALPA G., Il danno biologico, Padova, 1993, 57 e ss;
29 TULLINI P., Salute nel diritto della sicurezza sociale, in Digesto delle Discipline Privatistiche Sezione Commerciale, Utet Giuridica, 2000, 70;
30 CALAMANDREI, Chiarezza nella costituzione, Discorso pronunciato all’assemblea costituente nella seduta del 4 marzo 1947, Tipografia della Camera dei Deputati, 8;
31 CALAMANDREI, op.cit.;
32 CALAMANDREI, op.cit., 19;
33 CALAMANDREI, op.cit;
34 CALAMANDREI, op.cit., 16;
35 Facciamo riferimento, a titolo d’esempio, alle Elezioni dei Consigli Regionali avvenute per la prima volta solamente nel 1970 ed alla Corte Costituzionale che si rese operativa solo dal 1955.
36 Come, ad esempio, la sent. n°112 del 1975 in tema di rimborso delle spese di ospedalità;
37 A partire dalla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.796 del 1973;
38 HOLMES S. e SUSTEIN C.: “tutti i diritti impongono alle finanze pubbliche oneri economicamente quantificabili, sia i diritti sociali sia il diritto di proprietà; la tutela della libertà negoziale comporta costi pubblici non meno della tutela del diritto all’assistenza sanitaria; il diritto alla libera manifestazione del pensiero non meno del diritto ad un’abitazione decente”, in The Costs of Rights. Why Liberty Depends on Taxes, W.W. Norton, New York 1999, trad. it. Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, Il Mulino, Bologna 2000, 246;
39 BALDASSARE, voce Diritti sociali, in Enc. Giur. Treccani, XII, Roma 1989, 31;
40 PRINCIPATO L:, La immediata percettività dei diritti sociali ed il “contenuto minimo del diritto fondamentale alla salute”, commento alla sent. 26 maggio 1998 n.185 della Corte Cost., in Giur. Cost. fasc.4 1998, 3871;
41 PRINCIPATO L., op.cit., 3860;
42 PACE A., PEZZINI B., LUCIANI M.;
43 LUCIANI M., Il diritto costituzionale alla salute, in Dir. soc. 1980, 772;
44 Per citarne una, conforme è la Sent. n. 2999 del 1989 delle Sez. Un. della Corte di Cassazione.
45 Nel 1979 con la Sent. della Corte Costituzionale n. 88 il diritto alla salute è stato inequivocabilmente riconosciuto come “diritto primario ed assoluto […] da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione”;
46 Rapporto genus-species così studiato da COMPORTI M., Tutela dell’ambiente e tutela della salute, in Riv. Giuri. Ambiente, 1990;
47 Contra in dottrina MODUGNO F., “sembra piuttosto che gli aspetti collettivistici del diritto prevalgano su quelli individualistici, per cui l’esigenza di tutela della salubrità dell’ambiente può riguardarsi come interesse diffuso della collettività”;
48 ALPA G., Il danno biologico, Padova, 1993, 57;
49 PATTI S., Danno Patrimoniale, in Digesto delle Discipline Privatistiche Sezione Civile, Utet Giuridica, 2000, 96;
50 SALVI C., Danno, in Digesto delle Discipline Privatistiche Sezione Civile, Utet Giuridica, 2000, 66-67;
51 MONATERI P.G., Danno alla persona, in Digesto delle Discipline Privatistiche Sezione Civile, Utet Giuridica, 2000, 75;
52 Dato il loro carattere alcuni autori in dottrina preferiscono parlare più che di indennizzo, di pena;
53 Come scrisse MONATERI P.G.: “Essi dovevano a forza rientrare nell’una o nell’altra classe, e se non v’erano ripercussioni sul reddito di essi – per così dire veri e propri danni da membra rupta in sé considerati – dovevano venir equiparati alle afflizioni e ai patemi d’animo, e risarciti per conseguenza nei limiti dell’articolo 2059 cc”, in Danno alla persona, in Digesto delle Discipline Privatistiche Sezione Civile, Utet Giuridica, 2000, 75.
54 MONATERI P.G., op.cit., 75;
55 GERIN, La valutazione medico-legale del danno alla persona, in Resp. Civ., Milano 1987;
56 MONATERI P.G., op.cit., 76;
57 Cass. Civ. n.2422 del 1984; Cass. Civ. n.4661 del 1984; Cass. Civ. n.3344 del 1984;
58 Per un maggiore approfondimento vedi A. GIULIANI, Il danno biologico è, dunque, patrimoniale, CeI, 1986, II, 47 ss;
59 Facciamo riferimento alla pronuncia Repetto contra AMT di Genova e Saporito contra Manzo, entrambe del 1986;
60 MONATERI P.G., op.cit., 77;
61 Cfr. C. Cost. n.184 del 1986;
62 Cfr. C. Cost. n.356 del 1991, punto n. 8 del considerate in diritto;
63 Per un maggiore approfondimento vedi LONGO E., Principi fondamentali, in Commentario alla Costituzione, Utet Giuridica 2006, 661;
64 Corte Cost. n.233 del 2003, in Foro.it, I, 2202, con commento di NAVARRETTA E., La Corte costituzionale e il danno alla persona;
65 NAVARRETTA E., op. cit.;
66 LONGO E., Principi fondamentali, in Commentario alla Costituzione, Utet Giuridica 2006, 661;
67 NAVARRETTA E., La quantificazione del danno non patrimoniale e la tavola dei valori costituzionali, in Responsabilità civile e previdenza, 1997, 393;
68 Per un maggiore approfondimento si rimanda a G. M. PALAMONI, L’evoluzione del diritto alla salute: riflessi giurisprudenziali ed organizzativi, in www.ildirittoamministrativo.it;
69 Titolo del contributo di CENDON P., Non di sola salute vive l’uomo, pubblicato in Riv. crit. dir. priv., 1999, p.567;
70 Espressione utilizzata dai giudici costituzionali nella Sent. n. 85 del 2013 in merito al fatto che il diritto alla salute non dovesse essere “tiranno” su altri diritti fondamentali (fra i quali, il diritto al lavoro).
71 Espressione impiegata dalla Sent. n. 252 del 2001 della Corte Costituzionale.
72 Quanto meno per quel “nocciolo duro” di cui si è ampiamente trattato nei paragrafi di cui sopra.
73 Relazione predisposta in occasione dell’incontro della delegazione della Corte costituzionale con il Tribunale costituzionale della Repubblica di Polonia dal titolo I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, Varsavia, 30-31 marzo 2006. Rinvenibile al sito www.cortecostituzionale.it.
74 CAVASINO E., La flessibilità del diritto alla salute, in I Quaderni di Nuove Autonomie, monografie 4, Editoriale Scientifica Napoli, 2012, 90.
75 CAVASINO E., op. cit., 105.
76 SCACCIA G., Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, in Giurisprudenza Costituzionale, n. 6/1998, 3993;
77 CAVASINO E., op. cit., 106.
78 Cass. Civ., SS.UU., n.2092 del 1992.
79 Cass. Civ., n. 9893 del 2000.
80 PALAMONI G.M., L’evoluzione del diritto alla salute: riflessi giurisprudenziali ed organizzativi, in www.ildirittoamministrativo.it, 19.
81 PALAMONI G.M., L’evoluzione del diritto alla salute: riflessi giurisprudenziali ed organizzativi, in www.ildirittoamministrativo.it, 21.
“STRATEGIE MISTE” E INTERPRETAZIONE GIURIDICA. Sergio Benedetto Sabetta “ I problemi che sorgono a causa di un fraintendimento delle nostre forme linguistiche hanno il carattere della profondità. Sono inquietudini profonde;…” ( Wittgenstein, Ricerche […]
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“STRATEGIE MISTE” E INTERPRETAZIONE GIURIDICA.
Sergio Benedetto Sabetta
“ I problemi che sorgono a causa di un fraintendimento delle nostre forme linguistiche hanno il carattere della profondità. Sono inquietudini profonde;…”
( Wittgenstein, Ricerche filosofiche- Parte prima)
Il fine delle parole è per definizione la descrizione, ossia la differenziazione nella caoticità dell’esistente. Ogni termine giuridico può indicare un bene materiale o un preciso diritto su tale bene:
nel primo caso vi è concordanza sull’oggetto indicato come da tutti individuato e definito;
nella seconda ipotesi necessita una concordanza nel contenuto del giudizio.
In altri termini nel primo caso l’oggetto è per se stesso quello individuato, un “assioma”, nel secondo caso vi è la necessità di concordare il contenuto e l’estensione del giudizio, come nell’ipotesi inversa della definizione di un bene immateriale.
Wittgenstein afferma nelle “Ricerche filosofiche” che “Una spiegazione serve a eliminare o a prevenire un fraintendimento dunque un fraintendimento che potrebbe sopravvenire in assenza della spiegazione; non ogni fraintendimento ch’io possa immaginare. Può facilmente sembrare che ogni dubbio indichi soltanto l’esistenza di una lacuna nei fondamenti; cosicché una comprensione sicura è possibile soltanto quando mettiamo in dubbio tutto ciò che può essere oggetto di dubbio, e poi rimuoviamo tutti questi dubbi.”.
Nell’eliminare il più possibile i fraintendimenti vi è una sostituzione di espressioni, una analisi attraverso quella che Wittgenstein chiama “scomposizione”, si tende ad una completa esattezza in realtà presunta.
Il linguaggio espressione del pensiero ha una sua logica che “rappresenta un ordine, e precisamente l’ordine a priori del mondo, vale a dire l’ordine delle possibilità che devono essere comuni al mondo e al pensiero” ma in realtà “ci sentiamo insoddisfatti di ciò che nella vita quotidiana si chiama “proposizione”, “parola”, “segno” (Wittgenstein).
Noi non guardiamo i fenomeni, ma attraverso i fenomeni le “possibilità” dei fenomeni, in altre parole richiamiamo alla mente “il tipo di enunciati che facciamo intorno ai fenomeni” (Wittgenstein).
Nasce il problema della definizione dei giudizi quali la colpa, da quanto finora descritto ne deriva l’impossibilità di quella che Wittgenstein definisce la “completa esattezza” proprio per la mancanza di quella che viene indicata come concordanza di giudizi a seguito di un comune ordine a priori del mondo; ne consegue che la descrizione normativa dei giudizi è una indicazione di via, una traccia che solo successivamente verrà precisata e riempita attraverso “strategie miste”, ma prima che attraverso la strategia mista dell’interpretazione si definisca il giudizio dovranno definirsi le scale di valore degli interpreti.
Ogni giocatore ha una propria strategia pura che nel considerare l’insieme lo valuta secondo una propria o più scale di valori, si tratta di un primo livello, solo in un secondo livello vi è un compenetrarsi di scale di valori e una razionalità derivante dal punto di vista del gioco nella sua interezza, emerge che “i processi inconsci sono quelli pienamente razionali, mentre è il pensiero conscio a non esserlo completamente”( Méro).
Il procedimento logico-deduttivo con cui si vuole definire un giudizio normativo è di per sé stesso insufficiente in quanto nel procedimento logico vengono a negarsi le scale di valori legate alle emozioni secondarie, manifestazioni relative ad un immaginario, che originano i marcatori somatici, solo il ripetersi dei giochi attraverso la probabilità crea il vissuto razionale, infatti scrive Méro “non esiste una sola e ben definita strada verso la razionalità”.
La razionalità è uno strumento di comunicazione efficace del linguaggio che permette di differenziare per catalogare e ordinare la complessità dell’esistere in un ambito definito di spazio/tempo, tuttavia essa di per sé stessa non è sufficiente come strumento generale di pensiero per acquisire e definire una conoscenza del mondo; la razionalità funziona in termini probabilistici considerando che le nostre decisioni sono influenzate da stati di animo e sentimenti mutevoli, su scale di valori differenti, circostanza che conduce a numerosi concetti di razionalità ( Méro).
Il tentativo di definire in termini linguistici i più circoscritti possibili un giudizio, nonché le procedure adottate per interpretare, non eliminano l’irrazionalità della strategia pura del singolo in termini di conservazione e riproduzione del gruppo, solo l’intervento di una strategia mista collettiva attraverso la probabilità statistica delle strategie determina la razionalità del giudizio negli argini culturali del sistema sociale del gruppo e l’accresciuta possibilità dello stesso di sopravvivere secondo il proprio modello culturale.
Il ripetersi delle interpretazioni fa sì che il sistema giuridico tenda dalla semplicità causale alla complessità dell’interagire, fino alla caoticità secondo il modello dell’albero di Feigenbaum , con una accelerazione progressiva ad ogni nuova interpretazione. L’intervento delle giurisdizioni collegiali ha l’effetto di impedire la caoticità, stabilizzando il sistema secondo una “strategia mista”, ossia ottenendo la possibile migliore razionalità di sopravvivenza del sistema nel contesto culturale attuale, espressione delle forze economiche e sociali relative ai gruppi in campo.
Bibliografia
L. Méro, Calcoli morali. Teoria dei giochi, logica e fragilità umana, ed. Dedalo 2005;
J. Monod, Il caso e la necessità, Mondadori 1997;
P. Roger, Ombre nella mente. Alla ricerca della coscienza, Rizzoli 1996;
L. Wittgenstein, Osservazioni filosofiche, Einaudi 1976;
L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, di Armando Massarenti, ed. Il Sole 24 ORE 2007.
LE COMUNITÀ ENERGETICHE Andreina IACOVIELLO – Barbara PIRELLI Massimo STANZIONE Giuseppe VERRE Abstract. Le Comunità Energetiche sono insiemi di persone o enti che condividono lo sfruttamento di una stessa fonte di energia rinnovabile. Associazioni di […]
Diritto Ambientale Dottrina Fascicoli Fascicolo n.4/2022
Andreina IACOVIELLO – Barbara PIRELLI Massimo STANZIONE Giuseppe VERRE
Abstract. Le Comunità Energetiche sono insiemi di persone o enti che condividono lo sfruttamento di una stessa fonte di energia rinnovabile. Associazioni di quartiere, aziende e singole famiglie scelgono quindi la via della produzione di energia dal sole e la condividono all’interno dello stesso territorio. In questo modo riducono la dipendenza dalla rete elettrica e dalle fluttuazioni del mercato internazionale dell’energia, il tutto sfruttando una fonte gratuita e infinita: il sole. Si tratta quindi di innovativa concezione di consumo e sviluppo , che combatte gli sprechi e favorisce la creazione di plusvalore sociale. La cultura delle Comunita’ Energetiche si sta sviluppando velocemente anche in Italia e nella nostra Regione Puglia; un bel esempio di Comunita’ Energetica è quella che si realizzerà nella città di Brindisi.
Abstract. Energy Communities are groups of people or entities that share the exploitation of the same renewable energy source. Neighborhood associations, companies and individual families therefore choose the way of producing energy from the sun and share it within the same territory. In this way they reduce dependence on the electricity grid and on the fluctuations of the international energy market, all by exploiting a free and infinite source: the sun. It is therefore an innovative concept of consumption and development, which fights waste and favors the creation of social surplus value. The culture of the Energy Communities is developing rapidly also in Italy and in our Puglia Region; a good example of an Energy Community is the one that will be built in the city of Brindisi.
Sommario: 1.La dimensione legale: la regolamentazione europea ed italiana. La Regolamentazione Italiana: l’articolo 42-bis del Decreto Milleproroghe; 2. La dimensione tecnologica.;2.1 Tecnologie per l’accumulo; 2.2 La famiglia dei dispositivi tecnologici: dallo smart meter all’energy box. 3. La dimensione sociale e politica della comunità energetica; 4. Risparmi economici e benefici ambientali delle comunità energetiche; 4.1 La povertà energetica; 4.2 Il risparmio energetico; 4.3 Economia collaborativa; 5. Le Comunità energetiche in Puglia 5.1 Legge Regionale Pugliese sulle Comunità Energetiche; 5.2 Esempi di Comunità Energetiche in Puglia; 5.3 Le fasi di sviluppo di una CER tipica; 5.4 Gli obiettivi sociali ed ambientali di una Comunità Energetica; 5.5 Aspetti Giuridici; 5.6 Il responsabile della Comunità Energetica
1.La dimensione legale: la regolamentazione europea ed italiana.
Nel 2019, l’Unione Europea ha concluso la approvazione del pacchetto legislativo “Energia pulita per tutti gli europei” (CEP – Clean Energy Package), composto da otto Direttive che regolavano temi energetici, tra cui: prestazioni energetiche negli edifici, efficienza energetica, energie rinnovabili, mercato elettrico.
Le Direttive UE, stabilite dal CEP, cercano di mettere in atto quadri giuridici adeguati a consentire la transizione energetica e dare un ruolo di primo piano ai cittadini nel settore dell’energia. Le direttive dovrebbero essere seguite dalle leggi nazionali sui rispettivi temi. Il termine per il recepimento delle direttive da parte degli Stati membri dell’UE e, di conseguenza, per la stesura di legislazioni nazionali, è giugno 2021. Tra i diversi temi di interesse, esamineremo qui soltanto due delle direttive del CEP:
• la Direttiva sulle energie rinnovabili (Direttiva UE 2018/2001), in cui sono riportate le definizioni di autoconsumo collettivo e di Comunità di Energia Rinnovabile (CER),
• la Direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica (Direttiva UE 2019/944) che definisce la Comunità Energetica dei Cittadini (CEC).
L’articolo 21 della Direttiva sulle energie rinnovabili (2018/2001) definisce l’autoconsumo collettivo realizzato all’interno di un edificio, grazie ad un sistema che fornisce elettricità a più di un consumatore (“uno a molti”). L’esempio classico è quello di un edificio multi-unità con un sistema nell’area comune, in grado di soddisfare il fabbisogno di energia sia per le utenze condominiali che per quelle delle unità autonome. Quando l’autoconsumo collettivo trascende l’ambito di un unico edificio o condominio, siamo di fronte ad una comunità energetica.
Le Direttive, sebbene presentino definizioni diverse tra loro, definiscono entrambe la comunità energetica come “un soggetto giuridico” fondato sulla “partecipazione aperta e volontaria”, il cui scopo prioritario non è la generazione di profitti finanziari, ma il raggiungimento di benefici ambientali, economici e sociali per i suoi membri o soci o al territorio in cui opera.
Per garantire il carattere no profit delle comunità energetiche, non è ammessa la partecipazione, in qualità di membri della comunità, di aziende del settore energetico (fornitori e ESCO) che possono, invece, prestare servizi di fornitura e di infrastruttura.
Le principali differenze tra le CER e CEC sono:
a) la CER si basa sul principio di autonomia tra i membri e sulla necessità di prossimità con gli impianti di generazione. La CER può gestire l’energia in diverse forme (elettricità, calore, gas) a patto che siano generate da una fonte rinnovabile.
b) La CEC non prevede i principi di autonomia e prossimità e può gestire solo l’elettricità, prodotta sia da fonte rinnovabile, sia fossile.
Inoltre, è importante notare che le due direttive stabiliscono periodi diversi per il recepimento da parte degli stati membri. Nel caso della Direttiva sull’energia elettrica 2019/944, che ha istituito la CEC, il termine di recepimento è il 31 dicembre 2020; mentre per la Direttiva sulle energie rinnovabili 2018/2001, che istituisce la CER, il termine di recepimento è il 30 giugno 2021. Questa discrepanza, tuttavia, non impedisce che le direttive non possano essere recepite dagli Stati membri in un’unica legge sul tema delle comunità energetiche.
La nuova legge nazionale dovrà, inoltre, consentire alle comunità energetiche di agire come aggregatori, creando una nuova attività nel campo energetico. Lo schema di aggregazione consente di coordinare diverse unità per controllare la produzione di generazione e la domanda, sfruttando la flessibilità.
L’aggregazione permetterà anche ai piccoli utenti di unirsi per partecipare al mercato dell’energia all’ingrosso.
1.1 La Regolamentazione Italiana: l’articolo 42-bis del Decreto Milleproroghe.
Nonostante l’Italia non abbia ancora promulgato la legge nazionale per il recepimento della Direttiva sulle energie rinnovabili (Direttiva UE 2018/2001) e della Direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica (Direttiva UE 2019/944), ha avviato una fase di sperimentazione sulla prima.
Ad oggi, la regolamentazione italiana in materia di autoconsumo collettivo e comunità energetiche rinnovabile consiste nell’articolo 42-bis, inserito nel Decreto Milleproroghe (convertito nella legge n. 8/2020 in 29 febbraio 2020). La regolamentazione attuale cerca di collettare dati ed elementi utili all’attuazione delle Direttive, oltre a consentire investimenti visti gli obiettivi stabiliti nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC).
D’accordo con le disposizioni del Decreto Milleproroghe, l’autoconsumo collettivo è fatto da una pluralità di consumatori ubicati all’interno di un edificio in cui è presente uno o più impianti alimentati
esclusivamente da fonti rinnovabili. Gli impianti possono essere di proprietà di soggetti terzi (come ESCO) e usufruire di specifici benefici, come le detrazioni fiscali.
La disposizione relativa alle comunità energetiche prevede che i soggetti che partecipano devono produrre energia destinata al proprio consumo con impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza complessiva non superiore a 200 kW. Per condividere l’energia prodotta, gli utenti possono utilizzare le reti di distribuzione già esistenti e utilizzare forme di autoconsumo virtuale.
2. La Dimensione tecnologica.
L’adozione di nuove tecnologie (per la generazione di energia rinnovabile, la rete di distribuzione intelligente, l’utilizzo dell’accumulo e la risposta alla domanda di alta qualità) è un fattore importante che contribuisce al cambiamento. A supporto di una comunità energetica esistono molte tecnologie che facilitano il monitoraggio dei consumi e aiutano gli utenti della comunità a risparmiare e a consumare energia in modo più efficiente e intelligente. Si tratta di tecnologie legate all’accumulo e di dispositivi tecnologici intelligenti (smart home e energy box).
2.1 Tecnologie per l’accumulo.
Un sistema di accumulo ha la capacità di immagazzinare una quantità di energia elettrica per poi restituirla alle unità di consumo nei momenti più opportuni. Per questo motivo, installare un sistema di accumulo a supporto di un impianto di generazione di energia locale può costituire un vantaggio sia per il prosumer che per la rete alla quale viene interfacciato l’impianto.
Le fonti rinnovabili utilizzate per la produzione locale di energia elettrica come quella fotovoltaica appartengono principalmente alla categoria di fonti non programmabili. Una risorsa energetica non programmabile non può essere dispacciata sulla base della richiesta energetica a causa della sua natura intermittente e aleatoria: tale intermittenza è casuale nel tempo, cioè non è prevedibile con certezza in anticipo. Inoltre, molto spesso la massima produzione energetica da fonti rinnovabili si verifica durante periodi di bassa richiesta energetica da parte delle utenze domestiche come nel caso della produzione fotovoltaica. Di conseguenza, l’utilizzo di piccoli impianti di produzione da fonti rinnovabili è affetto principalmente da due problematiche: la difficile integrazione in rete e l’impossibilità sfruttare al massimo le fonti rinnovabili di cui si dispone. In particolare, nel contesto di una transizione energetica basata sul promuovere produzione e consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili e sull’incentivare la diffusione di impianti locali di generazione di energia distribuita, nasce da una parte l’esigenza di massimizzare lo sfruttamento delle risorse rinnovabili a nostra disposizione e dall’altra di facilitare l’integrazione di tali impianti in rete. A fronte di tali necessità, i sistemi di accumulo hanno un ruolo fondamentale.
Le tecnologie di sistemi di accumulo sono svariate e possono essere più o meno idonee alle diverse applicazioni nelle reti elettriche. Le tecnologie applicate nell’integrazione di impianti di generazione da fonti rinnovabili sono due: l’accumulo elettrochimico tramite le batterie e quello idroelettrico tramite centrali di pompaggio rispettivamente per impianti di piccola- media e grande taglia. Pertanto, in tale contesto, gli unici sistemi di accumulo in grado di interfacciarsi con i piccoli impianti di produzione locale e di fungere da supporto per la gestione e lo stoccaggio di energia da fonte rinnovabile sono le batterie.
I generatori elettrochimici (o batterie secondarie), detti comunemente batterie, sono generatori di energia elettrica che sfruttano l’energia potenziale immagazzinata all’interno di legami elettrochimici. Gli accumulatori elettrochimici generano energia elettrica ma sono anche ricaricabili, e quindi utilizzabili più volte per i cicli di carica e scarica, con rendimenti anche superiori al 90%. Un accumulatore è composto da più celle connesse in diverse combinazioni serie-parallelo in modo da ottenere i valori desiderati di tensione e di capacità. La tecnologia più utilizzata per le moderne applicazioni di accumulo è la batteria agli ioni di litio. Una batteria litio-ioni è composta da sottili strati costituenti il catodo, il separatore e l’anodo, immersi in un elettrolita che permette il trasporto degli ioni litio. Le prestazioni delle celle litio-ioni dipendono dalla tipologia dei materiali elettrodici/elettroliti utilizzati. La stessa tipologia di cella può essere realizzata per applicazioni in potenza oppure in energia. L’efficienza energetica di carica e scarica dei moderni accumulatori è circa pari al 95% mentre la vita attesa dipende dalla tipologia della cella e può arrivare a superare i 10.000 cicli.
I vantaggi che le batterie a supporto degli impianti di generazione distribuita possono apportare sono: – Maggiore sfruttamento e migliore gestione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili: la batteria permette di accumulare l’energia prodotta in eccesso e di erogarla quando la produzione non riesce a soddisfare la richiesta di carico. – Riduzione dei picchi di potenza immessa in rete e degli squilibri dovuti all’aleatorietà delle fonti rinnovabili: l’accumulo distribuito permette anche di livellare i profili di potenza immessi in rete che spesso sono causa di squilibri. Questo rende più semplice l’integrazione della generazione distribuita nella rete elettrica.
2.2 La famiglia dei dispositivi tecnologici: dallo smart meter all’energy box.
Tra i dispositivi tecnologici intelligenti, vi sono le smart home. All’interno di una comunità energetica si può realizzare una rete di Smart Homes.
Il componente fondamentale dell’architettura tecnologica è l’energy box, ovvero un dispositivo domestico che consente di integrare differenti sensori per facilitare la gestione dell’abitazione, visualizzare graficamente gli andamenti di ogni dispositivo, creare delle App e quindi dei servizi aggiuntivi da offrire agli utenti finali. Inoltre consente di sfruttare il cloud come aggregatore. In tal modo l’utente finale ha la possibilità di monitorare e controllare la sua abitazione da remoto con la stessa interfaccia locale, rendendo il sistema complessivamente più scalabile. I requisiti per il funzionamento dell’ energy box sono una alimentazione elettrica 5V e una connessione con rete (Lan o Wifi).
Gli utenti per potersi interfacciare con il sistema possono utilizzare sia il proprio pc che lo smartphone, infatti i servizi vengono esposti come WEB APP. Si tratta di installare e configurare nella rete domestica dei sensori che visualizzano tutte le grandezze misurate. I dati monitorati a livello di abitazione dai sensori presenti vengono trasmessi, tramite l’ energy box, alla piattaforma cloud di aggregazione, dove i dati acquisiti sono immagazzinati in un database ed organizzati per effettuare analisi ed elaborazioni successive, in particolare sincronizzazione e diagnostica. A livello di piattaforma sono disponibili due interfacce per la visualizzazione dei dati acquisiti utili a fornire feedback differenti in funzione del tipo di destinatario.
L’interfaccia per l’utente fornisce una serie di feedback. L’obiettivo è quello di aiutare gli utenti a capire quanta energia stanno utilizzando nelle loro attività quotidiane, consentendo in questo modo di utilizzare l’energia nel modo desiderato, sia riducendolo che spostando l’uso in momenti diversi della giornata. Rendere gli utenti consapevoli del loro consumo di energia, può favorire un cambiamento del loro comportamento legato all’energia, aiutando al tempo stesso a ridurre i picchi di potenza indesiderati e spostare il consumo nelle ore in cui, ad esempio c’è maggiore disponibilità di energia da fonti rinnovabili. Come conseguenza gli utenti dotati di energy box possono ottenere vantaggi derivati dal risparmio energetico, riducendo l’impatto ambientale e risparmiando nelle bollette.
L’interfaccia dell’utente aggregatore permette di avere una vista generale dell’aggregato delle Smart Homes monitorate. Il consumo di energia giornaliero o orario della somma delle abitazioni monitorate. In questo modo è possibile monitorare la richiesta energetica dell’aggregato ora per ora ed individuare gli intervalli temporali in cui si ha la maggiore richiesta di energia. L’utente aggregatore ha la possibilità di trasmettere la comunicazione di informazioni aggregate al livello superiore, che potrebbe essere quello del gestore della Comunità Energetica.
Le comunità energetiche possono sperimentare ruoli innovativi in ambito sociale, etico e civico, strutturandosi attraverso una governance locale a responsabilità diretta, alla base della quale, cittadini, associazioni e realtà imprenditoriali, condividono un insieme di principi, regole e procedure che riguardano la gestione e il governo della comunità, verso obiettivi di autogestione e condivisione delle risorse (sharing resources).
Solitamente la governance nasce dai portatori di interesse, siano essi associazioni, amministratori di condomini, gruppi di imprese o un gruppo di cittadini. Caratteristica della governance è quella di avere una organizzazione socio-tecnologica per sviluppare a pieno una comunità energetica. La governance si attiva sperimentando nuove tecnologie per il risparmio energetico in strutture residenziali. Questo modello si può poi allargare al condominio e al quartiere circostante. La governance può portare alla creazione di un ente collettivo, una cooperativa, o un’associazione di comunità per la governance stessa.
Come risultato, si crea una entità di governance o si rinnova una già esistente integrando i propri obiettivi con quelli di una governance comunitaria. Per questo motivo è fondamentale prevedere la figura del facilitatore di comunità energetica il quale può sostenere lo sviluppo delle comunità energetiche favorendo l’attivazione di governance ai vari livelli organizzativi già presenti in una comunità o favorendo in tal senso, la nascita di nuove parti attive. Molte politiche di sostenibilità nazionali e europee invitano a convergere i ruoli del cittadino verso la figura del prosumer o di collettivizzare le risorse energetiche rinnovabili, così da influenzare e ottimizzare la loro produzione e il loro consumo, promuovendo una transizione verso una comunità che diventa risorsa interna collettiva.
Tra le più rilevanti azioni promosse a livello europeo per delineare il meccanismo di governance con ricadute a livello nazionale di ogni stato membro vi sono il Green New Deal e l’Agenda 2030.
Green New Deal. La Commissione Europe prevede che l’UE complessivamente dovrà ridurre le emissioni climalteranti del 40% entro il 2030, per giungere alla carbon neutrality entro il 2050, rendendo sostenibile l’economia dell’UE. Il Green New Deal è il “nuovo patto verde”, una legge vincolante per tutti i Paesi UE, che si propone di intervenire su molti aspetti della vita economica e sociale tra cui la lotta al cambiamento climatico, la transizione energetica, trasformazioni del tessuto produttivo verso l’economia circolare, mobilità smart e sostenibile, agricoltura e protezione della biodiversità.
Agenda 2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nell’Agenda 2030 sono stati individuati 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Tra questi vi sono alcuni obiettivi che sono collegati ai temi delle comunità energetiche, questi obiettivi definiscono una visione attraverso le quali le comunità stesse possono modificare la loro organizzazione e le loro relazioni per divenire sistemi sinergici e sostenibili.