Rivista Giuridica – ISSN 2784-8906
LA DEMOCRAZIA INTERNA AI PARTITI POLITICI: UN VECCHIO TEMA ANCORA ATTUALE. Gianluca Trenta* Abstract [It]: Il presente lavoro affronta il tema della democrazia interna dei partiti politici che appare, ancora ai nostri giorni, […]
Diritto Costituzionale Dottrina Enti Locali e P.A. Fascicolo n.3/2023
LA DEMOCRAZIA INTERNA AI PARTITI POLITICI: UN VECCHIO TEMA ANCORA ATTUALE.
Gianluca Trenta*
Abstract [It]: Il presente lavoro affronta il tema della democrazia interna dei partiti politici che appare, ancora ai nostri giorni, un argomento di estrema attualità e di notevole complessità.
Abstract [En]: This work addresses the topic of internal democracy of political parties which still appears to be an extremely topical and highly complex topic today.
Keywords: Political parties; Democratic method in parties; political representation.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La questione della democrazia interna nei partiti politici nell’era dello Stato costituzionale. – 3. Il dibattito sulla democrazia interna dei partiti politici in Assemblea Costituente. – 4. Alcune osservazioni alla luce degli esiti dei lavori dei Costituenti. – 5. Il dibattito in dottrina sul tema della democrazia interna ai partiti politici. –6. Note conclusive.
Premessa.
Il tema della democrazia interna dei partiti politici appare, ancora ad oggi, un argomento attuale in un percorso in itinere. Oggi siamo di fronte ad una crisi della tradizionale rappresentanza politica, congiuntamente ad una crisi della rappresentanza da parte dei partiti politici delle istanze provenienti dalla società civile1.
Nonostante l’avvento di tali crisi, le forze politiche non sono riuscite a trovare una soluzione unanime per un’adozione di una disciplina dei partiti politici con il fine di conseguire l’obiettivo del dialogo tra partiti politici e cittadini2.
Nel contempo, però, i partiti politici non soltanto non hanno avuto un ridimensionamento della loro capacità di rappresentanza nelle istituzioni pubbliche ma continuano ad avere un grado di influenza nel processo decisionale3.
Appare quindi chiaro che le cause della crisi della rappresentanza politica devono essere ricercate nella difficoltà di legittimazione dei partiti politici intesi quali strumenti della rappresentanza4.
Solo attraverso la relazione fra la politica nazionale prodotta dai partiti politici e l’indirizzo politico dello Stato è possibile rafforzare il legame permanente tra il popolo sovrano e l’organizzazione dello Stato quale organo decisionale richiamato proprio nell’art. 1 della Costituzione5.
A tal proposito, i partiti politici nel tempo, soprattutto dopo la seconda metà del novecento, hanno assunto un ruolo fondamentale c.d. di cerniera, tra i cittadini e il potere politico, è quindi palese che le dinamiche della rappresentanza sono fortemente influenzate dal sistema partitico e soprattutto dalla democrazia interna di ogni singolo partito6.
Per tale ragione è possibile ritenere che il livello di organizzazione interna dei partiti sia un elemento essenziale nel valutare il livello della qualità della rappresentanza politica nazionale di uno Stato7.
La maggior parte della dottrina, infatti, sostiene che la democrazia interna dei partiti fa da riferimento a tutte quelle attività finalizzate a coinvolgere i cittadini e, quindi, a tutti gli iscritti, nel processo decisionale interno ai partiti politici8: la selezione della governance interna sia a livello centrale che periferico; i diritti e i doveri degli iscritti al partito; le modalità di accesso ed eventualmente alle procedure di espulsione degli iscritti e la tutela delle minoranze interne9. In ciò si concretizza quel modello di democrazia rappresentativa disposto proprio dall’art. 49 Cost., ossia «associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
Dunque il ruolo che l’art. 49 Cost. assegna ai partiti politici ha anche la finalità di impedire taluni rischi della democrazia rappresentativa come ad esempio il distacco tra gli elettori e gli eletti così da delegare il rappresentante eletto nelle decisioni politiche.
Nel contesto italiano la dimensione privatistica ha prevalso sulla dimensione pubblicistica in relazione alle norme di regolamentazione della vita dei partiti anche se il connubio tra il diritto pubblico e diritto privato concorrono a disegnare la disciplina giuridica dei partiti politici, nello stesso modo con cui l’assetto costituzionale del sistema partitico risente della posizione fatta nell’ordine giuridico ai partiti politici10.
L’art. 49 Cost. se da un lato garantisce il diritto dei cittadini di associarsi in partiti politici dall’altro demanda la libertà di tale diritto alla dimensione privatistica per cui vengono identificati quali associazioni non riconosciute. In tale dimensione, però, viene sacrificata l’organizzazione interna, comprimendo i diritti dei cittadini iscritti ai partiti politici11.
2. La questione della democrazia interna nei partiti politici nell’era dello Stato costituzionale.
La questione della democrazia interna, collocata all’interno della disciplina giuridica dei partiti politici, in origine nello Stato liberale e successivamente nello Stato costituzionale, è stata argomento di discussione.
In principio, soprattutto nelle polis greche e nell’era repubblicana romana, i partiti politici venivano considerati dei gruppi di potere, i quali si trovavano in competizione tra loro per l’esercizio del potere politico12.
Bisogna però attendere la metà del secolo scorso affinché i partiti politici vengano riconosciuti quali fondamentale azione politica all’interno dello Stato costituzionale di democrazia pluralista in cui compaiono nelle istituzioni degli ordinamenti statali13.
Lo sviluppo del ruolo dei partiti politici, in era costituzionale, prende forma intorno agli anni trenta attraverso quattro fasi, ossia quando essi dopo una forte ostilità nei confronti del partito politico tradizionale del tempo mostrano una sostanziale indifferenza del diritto costituzionale, rivendicando un riconoscimento giuridico per essere annessi nell’organizzazione statale14.
In tale momento storico i partiti politici attraversano una profonda trasformazione dai partiti dello Stato liberale in partiti di massa all’interno dello Stato costituzionale di democrazia pluralistica15.
In principio, nello Stato liberale, il modello di rappresentanza esercitato dai partiti politici non prevedeva formazioni politiche ben definite e organizzate per il timore che potessero agire come forze disgreganti all’unità statale e concentravano la loro azione politica prettamente nell’Assemblea parlamentare, trascurando l’assetto nella società che per tale ragione venivano definiti partiti di notabili distinti dal gruppo politico della Destra e in quello della Sinistra16. Sostanzialmente il partito, pur essendo un espressione della libertà di associazione e di opinione, non poteva invadere il campo delle sfere di competenza esercitate dai poteri dello Stato17.
Con la fine dello Stato liberale e con l’avvento del suffragio universale, legata oltretutto alla crisi della rappresentanza, i partiti politici modificano il loro riassetto politico passando da partiti politici di notabili a partiti di massa18.
In tale contesto, i partiti politici si evolvono, modificando i rispettivi assetti organizzativi per coinvolgere maggiormente il corpo elettorale con il fine di aggregare le istanze provenienti dalla società e trasferirle nel circuito decisionale tra il parlamento e l’esecutivo19.
Pertanto sin dall’inizio del secolo scorso vengono poste le basi per un riconoscimento costituzionale dei partiti politici quali soggetti di diritto nella determinazione dell’indirizzo politico del Paese, che con il finire del secondo conflitto mondiale, acquisiranno definitivamente nella carta costituzionale rappresentando quel ruolo centrale in uno Stato di democrazia pluralista20.
Con tale riconoscimento costituzionale i partiti politici modificano profondamente il loro assetto organizzativo, trascurando l’aspetto interno per concentrarsi soprattutto sulla neonata funzione nella mediazione tra la società civile e il potere politico. I partiti, quindi, concentrano la loro attività nel principio democratico delle democrazie rappresentative con una certa continuità temporale radicandosi nel territorio per non ridursi alle semplici tornate elettorali ed è proprio in questo contesto che si pone il quesito del carattere democratico anche nella loro vita interna attraverso regole certe che ne disciplinano il loro funzionamento21.
Ed ancora, con l’affermarsi del pluralismo dei partiti nell’ambito di una democrazia pluralistica e rappresentativa, nascono i primi dibattiti in dottrina se il partito politico debba ricondursi ad un profilo privatistico o se al contrario debba essere di rilievo prettamente pubblicistico22.
Mentre Smith sosteneva che i partiti politici non dovevano avere un chiaro riconoscimento costituzionale in quanto portatori di interessi particolari e non collettivi23, Hans Kelsen sosteneva il contrario, in quanto i partiti politici dovevano mantenere un profilo costituzionale e democratico al fine di formare una volontà generale24.
E’ da questi assunti che inizieranno le prime mosse per un’analisi dell’importanza di una democrazia dei partiti politici e soprattutto dell’organizzazione democratica interna di ogni singolo partito politico.
3. Il dibattito sulla democrazia interna dei partiti politici in Assemblea Costituente.
Il dibattito dei Padri costituenti sul ruolo che avrebbero dovuto assumere i partiti politici nello Stato costituzionale, fu un confronto acceso su due posizioni diametralmente opposte25: la prima più minimalista ossia di disciplinare l’indispensabile con il fine di preservare la libertà di associazione e la seconda, più massimalista, che prediligeva il riconoscimento della personalità giuridica ai partiti politici definendo le norme di funzionamento26.
In tal senso, nella seduta del 19 novembre 1946 della prima Sottocommissione, sia l’On. Merlin27 che l’On. Mancini28, appartenente al gruppo dei socialisti italiani, espressero la loro posizione proponendo la formulazione costituzionale: «i cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di libertà ed eguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare». In tal senso, anche il costituente Basso, appartenente allo stesso gruppo dei Socialisti italiani, proponeva che «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese»29.
Da queste formulazioni è possibile constatate come per la prima volta in Italia si tentava di dare un chiaro riconoscimento costituzionale ai partiti politici collegandolo al diritto di associazione con metodo democratico con la funzione di determinare la politica nazionale.
Invece, ciò che riguardava le regole di funzionamento vengono proposte di rinviarle alla legge ordinaria senza alcuna traccia sul riferimento alla democrazia interna dei partiti, pur se il riferimento al metodo democratico e al diritto di organizzazione democratica dei partiti politici doveva implicitamente includerla.
Il dibattito, infatti, rimase del tutto circoscritto ai partiti politici con un vivace confronto tra i democristiani, comunisti e socialisti. Ma l’acceso dibattito, sviluppatosi nella prima sottocommissione dell’Assemblea Costituente, fu talmente vivace che l’On. Palmiro Togliatti riteneva che la proposta dei socialisti fosse lesiva per la libertà di organizzazione dei partiti politici e che con il tempo avrebbero potuto estromettere il partito Comunista dal Parlamento in quanto quest’ultimo si richiamava alla dittatura del proletariato e della mancanza di metodo democratico nella sua attività politica.
L’On. Togliatti, infatti, affermava che i partiti politici non dovessero avere alcun tipo di riconoscimento costituzionale anche se fosse disponibile a votare eventualmente la proposta dell’on. Basso, purché fosse stata integrata da un puntuale divieto di riorganizzazione del partito fascista.
Ciò, però, portò a un duro scontro politico con il costituente democristiano Giorgio La Pira, il quale riteneva che la proposta fosse troppo semplicistica poiché non sarebbe stato semplice determinare un partito fascista, inoltre, lo stesso La Pira, come anche Dossetti, affermavano che in futuro anche il Partito Comunista poteva ravvisarsi nelle sembianze del fascismo30.
In conclusione del dibattito si trovò quindi una mediazione sulla proposta dell’On. Basso, che con un solo voto contrario, venne approvata nelle Disposizioni transitorie e finali definendo così che: «È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»31.
Sempre lo stesso on. Basso propose nella stessa Commissione un ulteriore articolo con cui «Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti, sono riconosciute, sino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi»32.
Al fine di garantire ai partiti politici un rilevo costituzionale l’on. Moro sosteneva che i partiti politici dovessero avere personalità giuridica.
L’On. Togliatti, invece, in continuità con le posizioni espresse nella precedente seduta riteneva che le funzioni da attribuire ai partiti non avrebbero dovuto avere come conseguenza «una rigidità nella loro organizzazione».
In conclusione dei lavori nella Sottocommissione, si deliberò, a maggioranza, che la Costituzione avrebbe dovuto includere quei principi per il riconoscimento giuridico dei partiti ma ciò poteva avvenire solo attraverso un esame congiunto con la Seconda Sottocommissione. Tuttavia tale decisione non ebbe alcun proseguo in quanto la riunione non ebbe mai luogo. Pertanto il testo licenziato dalla Prima Sottocommissione fu la proposta originaria presentata dall’On. Basso nella seduta del 19 novembre, la quale recitava: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»33.
Bisogna sottolineare che tale processo di formazione dell’art. 47, poi divenuto l’art 49 Cost., venne svolto in un clima totalmente differente rispetto a quello svolto in Assemblea costituente, avvenuto, difatti, alla vigilia della crisi definitiva del terzo Governo De Gasperi che avrebbe condotto all’esclusione delle sinistre dal Governo. In Commissione, pur manifestandosi contrasti molto forti su visioni differenti, il clima di dialogo e di fiducia reciproca era rimasto positivo, tanto da dare l’impressione ad alcuni costituenti come l’on. Basso, Moro e Mortati che l’Assemblea sarebbe riuscita a superare le difficoltà del momento ed approvare un testo sui partiti politici più evoluto di quello elaborato dalla commissione34.
Nel corso della discussione da parte dell’Assemblea, nella seduta del 22 maggio 1947, emerse nel dibattito la questione della democrazia interna dei partiti, che era già stato richiamato in sede di Assemblea nella discussione generale sul progetto di Costituzione, facendo emergere le forti divergenze tra le sinistre e i democristiani35.
Il tema dei partiti politici venne affrontata in via preliminare nella discussione generale sul progetto di Costituzione che si svolse in Assemblea il 4 marzo 1947. Gli Onorevoli Aldo Bozzi e Piero Calamandrei chiedevano una migliore specificazione del significato di «metodo democratico». Nello specifico, Calamandrei riteneva che l’organizzazione democratica all’interno dei partiti fosse un presupposto necessario affinché vi fosse democrazia anche all’esterno dei partiti. In risposta alle parole di Calamandrei, il Presidente della I Sottocommissione, Umberto Tupini, aveva ritenuto essenziale che i partiti, nello svolgimento del loro ruolo costituzionale, attuassero il metodo democratico «a cominciare dal loro interno»36.
Ritornando alla discussione da parte dell’Assemblea, il dibattito si concentrò sull’emendamento presentato da Costantino Mortati, il quale chiedeva di inserire esplicitamente il requisito della democrazia interna, prevedendo che i partiti si uniformassero «al metodo democratico nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla determinazione della politica nazionale»37.
L’intervento dell’On. Mortati, con cui presentò il proprio emendamento, rappresenta, a tutt’oggi, uno degli interventi più lucidi a sostegno di una disciplina sulla democrazia nei partiti, in modo da far emergere «tutto lo spirito della nostra Costituzione» ed era tanto più necessaria nei riguardi dei partiti che rappresentavano, a suo giudizio, la base dello Stato democratico: «È nei partiti, infatti, che si preparano i cittadini alla vita politica e si dà modo ad essi di esprimere organicamente la loro volontà, è nei partiti che si selezionano gli uomini che rappresenteranno la nazione nel Parlamento. Mi pare quindi che non si possa prescindere anche per essi dall’esigere una organizzazione democratica»38.
Tale argomentazione veniva supportata dall’intervento dell’On. Aldo Moro il quale riteneva che, in mancanza di una base di democrazia al loro interno, i partiti non avrebbero potuto trasfondere un indirizzo democratico nella vita politica del Paese.
Peraltro, l’On. Mortati, in risposta ai dubbi relativi al rischio che norme sulla democrazia interna avrebbero potuto limitare la libertà dei partiti osservava che una disciplina che prevedesse l’obbligo di deposito degli statuti non fosse lesiva di tale libertà. Tra l’altro proponeva di affidare il giudizio sulla conformità dei partiti al metodo democratico alla Corte costituzionale o ad organismi composti da rappresentanze degli stessi partiti.
Nella discussione generale Socialisti, Comunisti e liberali “fecero muro” comune contro la proposta dell’On. Mortati. L’obiezione principale riguardava l’assoluta contrarietà ad entrare nella questione dell’organizzazione interna dei partiti per i rischi che tale scelta avrebbe potuto generare in termini di libertà della loro azione.
In particolare, le sinistre paventavano che una previsione costituzionale sull’organizzazione dei partiti e sulla loro democrazia interna potesse divenire uno strumento in mano alle maggioranze parlamentari per estromettere i partiti di minoranza dalla competizione democratica39.
Va sottolineato che per il Partico Comunista (PCI) affrontare il tema della democrazia interna ai partiti politici sarebbe stato veramente problematico in quanto la sua organizzazione interna era fondata sul metodo del centralismo democratico.
L’on. Merlin, relatore dell’articolo approvato dalla Prima Sottocommissione, difese le scelte della Commissione, evidenziando l’importante novità che rappresentava l’introduzione dei partiti in Costituzione. In tale contesto invitava a «non esagerare» e a «cominciare» con l’adozione della formula approvata in Commissione. Lo stesso, difatti, osservava la necessità di una disciplina giuridica di tipo “graduale” dei partiti e si dichiarava favorevole a prevedere in Costituzione che il metodo democratico nei partiti dovesse valere «all’esterno», nel concorrere a determinare la politica nazionale. Nel contempo riconosceva la necessità di una futura legge sul tema e proponeva di rinviare in altra sede la discussione sul metodo democratico interno40.
Sul tema l’On. Mortati replicava che il proprio emendamento aveva un carattere esplicativo secondo un’interpretazione del «metodo democratico» in una formula larga da intenderla sia come democrazia “esterna” che “interna” dei partiti. Comunque, considerate le forti tensioni nella discussione generale in Assemblea nei confronti del suo emendamento, l’On. Mortati lo ritirò, sottolineando la necessità per uno Stato saldamente democratico di non tollerare partiti politici la cui disciplina interna non fosse improntata al metodo democratico.
4. Alcune osservazioni alla luce degli esiti dei lavori dei Costituenti.
A conclusione dei lavori dell’Assemblea Costituente emerse la linea in cui i partiti politici concorrono alla determinazione della politica nazionale tralasciando la questione della personalità giuridica e del metodo democratico nell’organizzazione interna.
Tale risultante fu il frutto di un confronto molto duro dove i partiti di sinistra non erano disponibili ad accettare una disciplina costituzionale sui partiti politici. Tra l’altro, bisogna sottolineare che il dibattito venne affrontato nella seduta del 22 maggio 1947, a ridosso dalla crisi del terzo Governo De Gasperi che avrebbe condotto all’esclusione delle sinistre dal governo.
In tale contesto, il partito Comunista temendo lo spettro futuro di una «democrazia protetta»41, impedì un’elaborazione più approfondita della disciplina costituzionale relativa ai partiti politici42.
Da tale analisi si possono dedurre le ragioni che hanno portato alla stesura dell’art. 49 Cost.. Difatti, in merito alla democrazia interna dei partiti politici, nuove norme avrebbero richiesto forme di controllo esterno sulla loro attività ma ciò poteva solo avvenire in un quadro politico non eccessivamente conflittuale e in cui vi è un’idea sommaria e condivisa sul ruolo dei partiti nel sistema politico-costituzionale43. Tutto ciò, durante i lavori nell’Assemblea Costituente, è venuto a mancare soprattutto per il fatto che il Partito Comunista era fortemente strutturato e considerato un partito “antisistema”44.
Se si guarda il quadro politico-costituzionale dei nostri giorni, emerge un contesto in cui, pur nelle radicali ed evidenti differenze storiche, politiche ed istituzionali rispetto al passato, questi “presupposti” sembrano mancare nuovamente e purtroppo ciò incide sulla qualità della rappresentanza politica.
5. Il dibattito in dottrina sul tema della democrazia interna ai partiti politici.
In dottrina, nel corso del secolo scorso, il tema della democrazia interna nei partiti politici è stato notevolmente discusso. In particolare l’origine del dibattito sulla democrazia interna dei partiti risale al tempo della Repubblica di Weimar, in concomitanza con l’affermarsi del pluralismo dei partiti nell’ambito di una democrazia pluralistica45.
La definizione più appropriata appare, però, quella di Max Weber che immaginava i partiti politici quali associazioni, con lo scopo di assegnare contemporaneamente ai propri capi una posizione rilevante all’interno e ai militanti attivi la possibilità di perseguire i propri obiettivi. Il sociologo tedesco, con tale definizione, tenta di disegnare il partito politico quale organizzazione politica unitaria che nel contempo soddisfa le singole ambizioni personali di ogni iscritto, attraverso i ruoli interni46.
Da quanto detto si può affermare che il partito politico è anche una organizzazione di cittadini, che svolge la funzione di cinghia di trasmissione delle istanze provenienti dalla società civile per dirottarle a livello centrale.
Ma un simile progetto è realizzabile solo tramite una reale democrazia interna ai partiti politici; tale tema è oggi particolarmente sentito, oltre che complesso, a causa della crisi della rappresentanza politica e per la difficoltà di legittimare i partiti politici47.
Questi ultimi, ritenuti quali strumenti della rappresentanza48, hanno una grande difficoltà a carpire le istanze della società civile, avendo perso legittimazione agli occhi dei cittadini, causa della perdita di una fisionomia unitaria dell’organizzazione interna, che li rende molto diversi dai partiti politici che hanno dominato la scena politica nel secolo scorso49.
Appare quindi evidente che, la qualità della rappresentanza politica è notevolmente influenzata dal sistema partitico e conseguentemente dall’organizzazione interna di ogni partito politico50.
Per tali ragioni la democrazia interna dei partiti deve coinvolgere gli iscritti ad ogni livello sia per ciò che riguarda le procedure di deliberazione sia per ciò che è il processo decisionale interno inclusivo. In altre parole, per assicurare la democrazia interna, occorre che il partito si occupi in particolare della selezione delle candidature per le elezioni, dell’elezione delle cariche interne, della partecipazione degli iscritti al processo decisionale, dei diritti e dei doveri dei singoli associati, delle modalità d’iscrizione, delle procedure di espulsione e della tutela delle minoranze interne51.
L’organizzazione interna, per i partiti politici che intendono strutturarsi sul territorio con continuità, non può non rappresentare una variabile essenziale. Per assolvere al meglio il ruolo di cerniera tra società civile e potere politico, il partito deve garantire nel tempo il carattere democratico delle democrazie rappresentative, sia al suo interno che all’esterno, al fine di non ricercarlo nei soli appuntamenti elettorali di turno52.
Scarrow intendeva la democrazia interna ai partiti l’insieme delle pratiche e degli strumenti che potessero garantire la partecipazione degli iscritti ai partiti come in tutte le fasi che vanno dalla consultazione al processo decisionale. Considerata però l’eterogeneità delle organizzazioni e dei diversi contesti politici, non è possibile formulare uno specifico modello integrante le “migliori pratiche per la governance interna dei partiti”53.
6. Note conclusive.
In conclusione, come abbiamo potuto osservare nel paragrafo precedente si può sostenere che se ci limitiamo alla interpretazione letterale dell’art. 49 della Costituzione, è sicuramente inappropriato parlare di attuazione dell’art. 49, in quanto non esiste un vincolo nel dettato costituzionale c.d. certo.
Sarebbe più opportuno soffermarci sul significato di una possibile rilettura della norma costituzionale quale rapporto tra forma di partito e forma di governo, ossia tra la democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti54.
In tale contesto, si può sostenere che se la democrazia dei partiti spiega la stessa origine costituzionale dell’art. 49, la sua interpretazione non può essere fatta sulla base delle sole intenzioni originarie, «a pena di irrigidirne la lettura e di provocarne prima o poi l’obsolescenza»55.
Tuttavia, parte sia della dottrina che della giurisprudenza costituzionale hanno difficoltà nel chiarire il ruolo dei partiti politici nel nostro ordinamento costituzionale, «rigettando la teoria della incorporazione del diritto dei partiti nell’ordinamento giuridico statuale. Prevale in questo orientamento la preoccupazione che l’incorporazione se assunta in forma integrale possa ledere il pluralismo». Si può quindi dedurre che si tratta di una preoccupazione legittima, in particolar modo se si fa riferimento al partito unico. Non si tratta di optare tra alternative estreme: «incorporazione in forma integrale, da un lato, e sregolatezza dei partiti, dall’altro. Occorre che le forme di riconoscimento del fenomeno partitico e la loro disciplina siano funzionali al pluralismo, alla rappresentanza politica e alla partecipazione democratica»56.
Parte della dottrina, infatti, ritiene che i partiti sono elementi costitutivi dello Stato democratico e per la loro influenza sulla forma di governo si configurano anche come istituzioni costituzionalmente rilevanti ed elementi costitutivi del sistema di governo, in particolare di quello parlamentare57.
Le alternative giuridiche sono molteplici ma ciò che deve essere il punto fermo è che la costituzionalizzazione autentica dei partiti politici deve regolamentare gli stessi58. Ciò significa che nel nostro Paese, non avendo avuto una regolamentazione sulla democrazia dei partiti, si è avuta sovrapposizione tra modelli di partito e modelli istituzionali, degenerando in una incorporazione di fatto dei partiti. Ciò ha anche significato una degenerazione in termini di “partitocrazia”, in quanto «le finalità, le attività, l’organizzazione e il funzionamento dei partiti si palesano apertamente in contrasto con i principi organizzativi e il reale funzionamento di una democrazia costituzionale. E nello Stato costituzionale non vi può essere una “sovranità dei partiti”, né una “rappresentanza senza partiti”»59.
Tuttavia, non bisogna sottovalutare l’importanza di una regolazione del partito politico per diverse ragioni: una sicuramente riguardante le finalità e l’azione politica dei partiti antisistema e l’altra per l’affermarsi di partiti personali, anche quando non hanno finalità apertamente antidemocratiche. In questo contesto, bisogna altresì prendere in considerazione che solitamente i partiti: antisistema sono contrari alla regolazione; i partiti personali senza una consolidata evoluzione storica sono poco propensi a farsi regolare.
Note:
1* Dottore di ricerca in Scienze giuridiche e politiche.
G. MOSCHELLA, Crisi della rappresentanza politica e deriva populista, in Consulta online, 2/2019, pp. 249-256.
2 G. MELONI, P. GAMBALE, La regolamentazione dei partiti e la loro democrazia interna in Italia: dal regime di applicazione convenzionale alla prima legge di attuazione dell’art. 49 Cost.?, in Amministrazione in Cammino, 27 settembre 2017, pp. 1-10.
3 A. GREPPI, Il partito che non è un partito. Partecipazione e rappresentanza nel discorso pubblico di Podemos, in Teoria Politica, 8/2018, pp. 275-299.
4V. CRISAFULLI, Stato, Popolo, Governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, Giuffrè,1985, pp. 207 ss.
5 P. RIDOLA, Partiti politici, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1982, pp. 67.
6 P. AVRIL, Saggio sui partiti, in R. Balduzzi, A. Giovannelli (a cura di), Torino, Saggio sui partiti, Giappichelli, 1990, pp. 189 ss.
7 S. STAIANO, La rappresentanza, in AIC, 3/2017, pp. 1-42.
8 A. LANZAFAME, Sui livelli essenziali di democrazia nei partiti, in AIC, 1/2017, pp. 1-21.
9 S. SCARROW, Implementing intra-party democracy, in National democratic Institute for International Affairs, Washington DC, 2005, p. 3 ss. L’autore definisce la democrazia interna come «Intra-party democracy is a very broad term describing a wide range of methods for including party members in Intra-party deliberation and decision making».
10 S. BARTOLE, Partiti politici, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1995, pp. 705 ss.,
11 La normativa di riferimento sulle associazioni non riconosciute è contenuta negli artt. 36, 37 e 38 del codice civile. Per un maggiore approfondimento cfr. P. RESCIGNO, Sindacati e partiti nel diritto privato, In Persona e comunità, Bologna, 1962, pp. 139 ss; Cfr. anche G. SARTORI, Parties and Party systems: A Framework for Analysis, Cambridge, 1976, p. 63; P. MARSOCCI, Sulla funzione costituzionale dei partiti e delle altre formazioni politiche, Napoli, 2012, pp. 84 ss.
12 Sul tema è utile cfr. M. DUVERGER, Partiti politici (1951), trad. it., Milano, 1975, pp. 15 ss.; G. Perticone, Partito politico, in Nss. D.I., XII, 1965, 519 ss.; M. WEBER, Economia e società (1922), trad. it., Milano, 1974, pp. 282 ss.
13 C. ROSSANO, Partiti politici, in Enc. giur., Roma, 1990.
14 H. TRIEPEL, La Costituzione dello Stato e i partiti politici (1930), trad. it. in E. GIANFRANCESCO, G. GRASSO (a cura di), Napoli, Editoriale scientifica, 2015.
15 G. SARTORI, Teoria dei partiti e caso italiano, Milano, Sugarco, 1982.
16 Sul tema dei partiti politici dei notabili è utile cfr. M. DUVERGER, Partiti politici, op. cit., pp. 20 ss.;
17 C. ROSSANO, Partiti e Parlamento nello Stato contemporaneo, Napoli, 1972, pp. 301 ss.;
18 P. BILANCIA, Lo Stato di diritto come valore in una dimensione “spaziale”, in Nomos. Le attualità nel diritto, fasc. n. 1/2012.
19 C. DE FIORES, Dai partiti democratici di massa partiti post-democratici del leader. Profili costituzionali di una metamorfosi, in Costituzionalismo.it, fasc. 1/2018, pp. 219; G. LEIBHOLZ, Strukturprobleme der modernen Demokratie (Vorträge und Aufsätze), Müller, Karlsruhe, 1958, pp. 89 ss.
20 A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, in Forum di quaderni costituzionali, 2008.
21 A. POGGI, La democrazia nei partiti, in Rivista AIC, n. 4/2015.
22 I primi dibattiti in dottrina sul tema, riguardavano Schmitt, Triepel, Leibholz che sostenevano nel limitare il ruolo dei partiti ad una dimensione prettamente associativa al contrario di Kelsen e Radbruch che affermavano che ai partiti politici doveva essere assegnato un rilievo costituzionale. C. PINELLI, Discipline e controllo sulla democrazia interna dei partiti, Padova, Cedam, 1984, pp. 19 ss.
23 C. SCHMITT, Il custode della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1981, pp. 129 ss.
24 H. KELSEN, La democrazia, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 55 ss.,
25 G.E. VIGEVANI, Art. 49, in S. Bartole, R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedem, 2008, pp. 496 ss.
26 S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, in Associazione italiana dei costituzionalisti, Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Atti del XXIII Convegno annuale, svoltosi ad Alessandria il 17-18 ottobre 2008, Napoli, Jovene, pp. 51 ss.
27 L. Merlin fu la prima donna ad essere eletta al Senato della Repubblica e apparteneva al gruppo politico dei Socialisti italiani.
28 Per un maggiore approfondimento cfr. E. ZICARELLI, Pietro Mancini ed il Socialismo in Calabria, Cosenza, Fasano, 1974.
29 S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, op. cit., pp. 62 ss.
30 F. SCUTO, La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione, Torino, Giappichelli, 2017, p. 13.
31 Titolo XII, co. 1 delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione italiana.
32 Art. 4 delle proposte presentate dal deputato Basso nella prima sottocommissione sui principi dei rapporti politici.
33 C. De FIORES, Dai partiti democratici di massa ai partiti post-democratici dei leader. Profili costituzionali di una metamorfosi, op.cit., pp. 238 ss.
34 S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, op.cit., pp. 62 ss.
35 M.R. MAGNOTTA, Costituzione e diritto vivente dei parti politici, in Nomos Le attualità del diritto, 2/2019, pp. 14 ss.
36 E. ROSSI, La democrazia interna nei partiti politici, in AIC, 1/2011, pp. 1-2.
37 Inizialmente l’emendamento presentato conteneva ulteriori novità come ad esempio il rinvio ad una disciplina legislativa sui partiti, l’intervento della Corte costituzionale per la verifica del rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge, l’attribuzione di poteri ai partiti in ordine a funzioni di pubblico interesse e l’obbligo di pubblicazione dei loro bilanci. L’on. Mortati, resosi conto che l’emendamento si spingeva troppo oltre, d’accordo con l’on. Ruggiero, eliminò alcune parti e presentò il testo sopra richiamato.
38 C.E. TRAVERSO, La genesi storico-politica della politica dei partiti nella Costituzione italiana, in Il Politico, vol. 33, no. 2, 1968, pp. 281–300.
39 L’intervento e le considerazioni sul tema della democrazia interna dell’On. Laconi (Partito Comunista) facevano emergere la tensione che si respirava nella discussione generale in Assemblea. Laconi dichiarò sull’ «estrema gravità» degli emendamenti proposti. Sottolineò i rischi di possibili «abusi» ed «interventi illeciti» legati ad interventi futuri della maggioranza parlamentare nella vita interna dei partiti di minoranza. A conclusione del suo intervento, Laconi tenne a far rilevare che l’approvazione di quegli emendamenti avrebbe comportato enormi danni per la democrazia italiana e per la libertà di azione dei partiti.
40 A. CATELANI, Partiti politici e garanzie costituzionali, in Nomos Le attualità del Diritto, 3/2015, pp. 2-7.
41 Il modello delle democrazie protette si affermano sul modello della Costituzione tedesca, in cui venivano affermati i principi democratici e disposizioni finalizzate a difendere i nuovi ordinamenti da eventuali sovvertimenti dopo determinate esperienze autoritarie. S. MERLINI, Democrazia protetta e democrazia conflittuale: i casi dell’Italia e della RFT, in Democrazia Diritto, 1-2/1989, pp. 365 ss.
42 F. LANCHESTER, Vincitori e vinti, veti e imposizioni degli Alleati nel processo di ricostruzione della democrazia in Italia, Germania e Giappone, in S. MERLINI (cura di), P. Calamandrei e la ricostruzione dello Stato democratico. 1944-1948, Bari, Laterza, 2007, pp. 67 ss.
43 S. MERLINI, I partiti politici e la Costituzione (rileggendo Leopoldo Elia), op.cit., pp. 26 ss.
44 Per un maggior approfondimento sul tema dei partiti antisistema cfr A. NICOTRA, Democrazia “convenzionale” e partiti antisistema, Torino, Giappichelli, 2007.
45 V.C. PINELLI, Discipline e controllo sulla democrazia interna dei partiti, op.cit., pp. 19 ss. G. TRENTA. I partiti politici nella concezione europea. Un percorso ancora in itinere, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2023, pp. 89-91.
46 M. WEBER, Economia e società. L’economia, gli ordinamenti e i poteri sociali, op.cit., p. 282. L’autore intende i partiti quali associazioni costituite al fine di “attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un gruppo sociale e ai propri militanti attivi possibilità per il perseguimento di fini oggettivi o per il perseguimento di vantaggi personali, o per tutti e due gli scopi”. Si tratta di una delle pochissime definizioni, sicuramente la prima, che ha provato a riconoscere il partito politico sia come organizzazione politica unitaria, che come un luogo in cui svolgono un ruolo decisivo i comportamenti del singolo e la sua ambizione personale.
47 F. SCUTO, La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione, op.cit., pp. 36 ss.
48 V. CRISAFULLI, Partiti, Parlamento, Governo, in Stato, Popolo e Governo, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 207 ss.
49 A. SAITTA, Partiti politici e dinamiche della forma di Governo. I partiti politici, (paper del convegno del Gruppo di Pisa: Partiti politici e dinamiche della forma di Governo organizzato dall’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, 14-15 giugno 2019), p. 168.
50P. AVRIL, Saggio sui partiti, op.cit., pp. 189 ss.
51 S. SCARROW, Political parties and democracy in theoretical and practical perspectives. Implementing intra-party democracy, in The National Democratic Institute for International Affairs (NDI), Washington DC, 2005, pp. 3 ss.
52 A. POGGI, La democrazia nei partiti, op.cit., pp. 16 ss.
53 M.C. KITTILSON, S.E. SCARROW, Political Parties and the Rhetoric and Realities of Democratization, op.cit.; D. DEL MONTE, Partiti politici. Trasparenza e democrazia, in NIS European National Integrity Systems, 2011, p. 24.
54 L. ELIA, Governo (forme di), in Enc. dir., XIX, Giuffrè, Milano, Giuffrè, 1970, pp. 634 ss
55 C. PINELLI, Il paradosso di una partitocrazia senza partiti. Uno sguardo costituzionale, in Id., Nel lungo andare. Una Costituzione alla prova dell’esperienza. Scritti scelti 1985-2011, Napoli, Jovene, 2012, pp. 646 ss.
56 S. BONFIGLIO, L’art. 49 della Costituzione e la regolazione del partito politico: “rilettura” o “incompiuta” costituzionale?, in Nomos Le attualità del diritto, 2/2017, p. 9.
57 E. GIANFRANCESCO, I partiti politici e l’art. 49 della Costituzione, in Forum dei Quaderni Costituzionali, 2017, pp. 3 ss. S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, op.cit., pp. 51 ss.
58 C. DE FIORES, Dai partiti democratici di massa partiti post-democratici del leader. Profili costituzionali di una metamorfosi, op.cit., pp. 211 ss. L. ELIA, A quando una legge sui partiti?, in S. MERLINI (a cura di), La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, Firenze, Passigli, 2009.
59 S. BONFIGLIO, L’art. 49 della Costituzione e la regolazione del partito politico: “rilettura” o “incompiuta” costituzionale?, op.cit., p. 10.
L’ONERE DI IMPUGNAZIONE DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI SOPRAVVENUTI PROFILI CRITICI Biagio Spampinato Il volume rivisita l’orientamento che impone al ricorrente l’onere di impugnare, a pena di improcedibilità, gli atti sopravvenuti nel corso di un giudizio proposto […]
Amministrativa Diritto Amministrativo Dottrina Enti Locali e P.A. Giurisprudenza Libri Normativa NotizieL’ONERE DI IMPUGNAZIONE DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI SOPRAVVENUTI
PROFILI CRITICI
Biagio Spampinato
Il volume rivisita l’orientamento che impone al ricorrente l’onere di impugnare, a pena di improcedibilità, gli atti sopravvenuti nel corso di un giudizio proposto avverso un atto c. d. presupposto, salvo soltanto il caso eccezionale in cui possa operare quella che la giurisprudenza chiama «invalidità derivata ad efficacia caducante».
Il percorso argomentativo seguito dall’autore per superare tale orientamento si snoda attraverso, innanzitutto, la rivisitazione della fattispecie procedimentale e della invalidità c. d. derivata, per giungere così ad ammettere la caducazione automatica degli atti sopravvenuti, delimitandone nel contempo l’esatta portata, per poi passare a verificare la plausibilità della ricostruzione così proposta rispetto al principio della domanda e di fronte ad altre possibili obiezioni; quindi, ci si sofferma su come garantire l’integrità del contraddittorio, una volta escluso l’onere di impugnazione degli atti sopravvenuti, per chiudere, infine, con la rivisitazione degli orientamenti più significativi alla luce dell’ipotesi ricostruttiva elaborata.
Indice generale
PARTE I:
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
1. La distinzione tra efficacia caducante ed efficacia viziante dell’annullamento o della invalidità nella giurisprudenza amministrativa. 3
2. (segue):…il caso dell’atto sopravvenuto «nuovo» o di «conferma» e quello dell’atto presupposto qualificato come «atto plurimo inscindibile o ad effetti inscindibili». 9
3. (segue):…il caso dell’impugnazione dell’atto presupposto e dell’atto sopravvenuto in sedi diverse (giurisdizionale o straordinaria). 14
4. Una nuova (seppur timida) apertura della giurisprudenza: l’utilizzabilità dello strumento di cui all’art. 28, comma 3, c. p. a. in sostituzione dell’onere di «inseguire» gli atti sopravvenuti. 17
5. Le criticità dell’orientamento giurisprudenziale tradizionale. 24
PARTE II:
I CONDIZIONAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA
6. Il c. d. approccio strutturale al procedimento amministrativo come fattore di condizionamento della giurisprudenza in rassegna. 30
7. Le incertezze teoriche sulla c. d. invalidità (amministrativa) derivata. 40
8. La tesi che fa discendere l’invalidità derivata dell’atto presupponente dall’annullamento dell’atto presupposto. 45
9. (segue):…e le sue criticità. 50
PARTE III:
UNA NUOVA PROSPETTIVA
10. Un tentativo di superare l’approccio c. d. strutturale al procedimento amministrativo: il bene della vita come criterio per delimitare la fattispecie procedimentale. 56
11. Una possibile diversa spiegazione del fenomeno della c. d. invalidità derivata. 68
12. Necessità di tenere distinti il piano della validità/invalidità della fattispecie procedimentale e il piano della efficacia e della lesività degli atti amministrativi che ne fanno parte. 77
13. La questione della rimozione degli atti sopravvenuti e la tesi prospettabile. 87
14. La questione della selezione degli atti sopravvenuti da rimuovere e il criterio del bene della vita controverso. 94
15. (segue):…l’emersione dei limiti dei criteri seguiti dalla giurisprudenza. 100
PARTE IV:
IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA COME POSSIBILE OSTACOLO ALLA SOPPRESSIONE DELL’ONERE DI IMPUGNARE GLI ATTI SOPRAVVENUTI
16. La domanda giudiziale nell’ipotesi di invalidità «derivata» degli atti sopravvenuti. 106
17. L’attenuazione del principio di immutabilità della domanda giudiziale nella giurisprudenza sia amministrativa che civile. 112
18. Attenuazioni del principio della necessaria espressa impugnazione degli atti amministrativi. 115
19. Il potere del giudice amministrativo di modulare gli effetti dell’annullamento e la sua possibile rilevanza. 118
PARTE V:
ALTRE POSSIBILI OBIEZIONI
20. Sulla pretesa stabilità del rapporto amministrativo a cui afferisce il c. d. atto presupposto. 123
21. Sull’irrilevanza dell’art. 43, comma 1, c. p. a.. 126
22. Sull’irrilevanza dell’obbligo di pagamento del contributo unificato tributario in caso di proposizione del ricorso per motivi aggiunti c. d. impropri. 129
PARTE VI:
LA NECESSITÀ DI INTEGRARE IL CONTRADDITTORIO
23. L’onere di «inseguire» gli atti sopravvenuti come strumento (idoneo sì ma) sproporzionato per integrare il contraddittorio: possibile il suo contrasto con il diritto europeo. 132
PARTE VII: 140
RIVISITAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA 140
24. Rivisitazione dell’orientamento giurisprudenziale sulla sopravvenienza dell’atto di conferma o dell’atto nuovo. 141
25. (segue):…dell’orientamento relativo all’annullamento dell’«atto plurimo inscindibile o ad effetti inscindibili» presupposto. 143
26. (segue):…dell’orientamento che dichiara improcedibile il ricorso avverso gli atti sopravvenuti proposto in una sede diversa da quella adita nei confronti dell’atto c. d. presupposto. 155
BIBLIOGRAFIA 158
COMMENTARI 164
MANUALI 165
GIURISPRUDENZA 167
CRITICITA’ IN MATERIA DI RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI Luca BUSICO (Coordinatore Direzione del Personale dell’Università di Pisa) SOMMARIO: 1) La normativa sulla responsabilità disciplinare dei professori universitari. – 2) L’indeterminatezza delle infrazioni. […]
Diritto Amministrativo Dottrina Fascicolo n.3/2023
CRITICITA’ IN MATERIA DI RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI
Luca BUSICO
(Coordinatore Direzione del Personale dell’Università di Pisa)
SOMMARIO: 1) La normativa sulla responsabilità disciplinare dei professori universitari. – 2) L’indeterminatezza delle infrazioni. – 3) La competenza disciplinare. – 4) L’iter procedimentale. – 5) Conclusioni.
La normativa sulla responsabilità disciplinare dei professori universitari
Prima della “riforma Gelmini” di fine 2010 il sistema disciplinare dei professori universitari era regolato dall’art.12 della l. 18 marzo 1958, n. 311, che opera, al comma 1, un rinvio agli articoli 87, 88, 89, 90 e 91 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, approvato con r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, e, al comma 2, agli articoli 85, 91, 96, 97 e 98 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto compatibili con le citate disposizioni del r.d. n. 1592/331. Il richiamo al d.p.r. n. 3/57 era stato ampliato dalla Corte Costituzionale, la quale, al fine di evitare che i procedimenti disciplinari a carico dei professori universitari potessero prolungarsi sine die, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.12, co. 3 della l. n. 311/58 nella parte in cui non richiama l’art.120 del citato d.p.r., che stabilisce l’estinzione del procedimento disciplinare quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto2.
Sul piano procedurale l’art.3 della l. 16 gennaio 2006, n. 18 prevedeva all’interno del Consiglio Universitario Nazionale un collegio di disciplina competente allo svolgimento dei procedimenti disciplinari a carico dei professori e dei ricercatori universitari per i fatti che possano dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura3.
E’ poi intervenuta la l. 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. “legge Gelmini”), il cui art.10 ha riformato il procedimento disciplinare4, abrogando il citato art.3 della l. n. 18/06.
Il vigente sistema disciplinare delineato dalla legge Gelmini presenta diverse criticità, che saranno evidenziate nei successivi paragrafi.
2) L’indeterminatezza delle infrazioni
L’art.10 della l. n. 240/10 (come in precedenza l’art.3 della l. n. 18/06) è intervenuto solo sui profili procedurali della responsabilità disciplinare dei professori e dei ricercatori universitari, ma, per quanto concerne quelli sostanziali, trovano ancora applicazione gli articoli 84-91 del r.d. n. 1592/335. In particolare, l’art.89 contempla le seguenti condotte disciplinarmente rilevanti: a) grave insubordinazione; b) abituale mancanza ai doveri di ufficio; c) abituale irregolarità di condotta; d) atti in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore. Come è stato acutamente osservato6, nel 1933 i motivi di una regolazione a maglie larghissime poteva avere una sua spiegazione nella residualità del sistema disciplinare: il corpo dei docenti, per sua natura elitario, non affidava certo a modelli formali il compito di reprimere eventuali infrazioni rispetto a una costellazione di regole, spesso non scritte, volte a garantire il prestigio della categoria e la compactio membrorum.
L’estrema genericità e indeterminatezza delle condotte contenute nelle disposizioni del r.d. n. 1592/337 hanno spesso causato la proposizione, da parte dei docenti sanzionati, di ricorsi vittoriosi innanzi al giudice amministrativo, che ha applicato il principio di tassatività punitiva.
A tal proposito possono essere ricordate alcune sentenze, secondo le quali:
1) la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un determinato periodo, irrogata a un professore universitario, al quale era stato contestato di aver leso la dignità e l’onorabilità dei colleghi mediante il ricorso a registrazioni occulte di colloqui cui partecipava, per servirsene eventualmente in sede giudiziale, è illegittima, poiché tale condotta non rientra tra le tipologie comportamentali indicate dall’art.89 del r.d. n. 1592/338;
2) la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un determinato periodo, irrogata a un ricercatore universitario, al quale era stata contestata la pubblicazione su una rivista di un articolo critico nei confronti del mondo universitario, è illegittima, poiché tale condotta non rientra tra le tipologie comportamentali indicate dall’art.89 del r.d. n. 1592/339;
3) la sanzione disciplinare della censura, irrogata a un ricercatore universitario, che aveva omesso di comunicare al preside della facoltà la partecipazione a un convegno, è illegittima, poiché tale condotta non risulta tipizzata in alcuna norma di legge o regolamentare10;
4) la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un determinato periodo, irrogata a un professore universitario, al quale era stata contestata la gestione non corretta delle lezioni, è illegittima, poiché tale condotta non rientra tra le tipologie comportamentali indicate dall’art.89 del r.d. 1592/3311;
5) la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un determinato periodo, irrogata a un professore universitario, al quale era stato contestato il mancato controllo delle procedure di pagamento dell’attività prestata conto terzi, è illegittima, poiché tale condotta non rientra tra le tipologie comportamentali indicate dall’art.89 del r.d. 1592/3312.
Il legislatore del 2010 avrebbe potuto rivedere i profili sostanziali della responsabilità disciplinare dei professori e ricercatori universitari, ma ha preferito mantenere la regolamentazione vigente13.
La legge Gelmini contempla, comunque, la possibilità per gli Atenei di intervenire sulla materia. Come è noto, l’art.2, co. 4 della l. n. 240/10 impone a tutte le università l’obbligo di adottare un codice etico, individuando una serie di principi e valori per la redazione: il riconoscimento e il rispetto dei diritti individuali, l’accettazione di doveri e responsabilità nei confronti dell’istituzione di appartenenza, la fissazione delle regole di condotta nell’ambito della comunità, la finalità di evitare ogni forma di discriminazione e di abuso, nonché di regolare i casi di conflitto di interessi o di proprietà intellettuale14. La novità di maggior rilievo è rappresentata dall’obbligo per gli Atenei di prevedere un regime sanzionatorio per le violazioni del codice etico, in relazione alle quali, qualora non ricadano nella competenza del collegio di disciplina, decide, su proposta del Rettore, il senato accademico15. La suddetta previsione consente di attribuire ai codici etici carattere di giuridicità: essi, pertanto, hanno valore non solo etico, ma anche giuridico e definiscono obblighi giuridicamente rilevanti per tutti gli appartenenti alla comunità universitaria, la cui violazione può assumere rilievo disciplinare16.
A tal proposito attenta dottrina aveva sottolineato l’importante funzione dei codici etici come occasione per le università di rimediare alla vaghezza delle norme primarie sulle condotte dei professori universitari e porre le premesse per una maggiore utilizzazione dello strumento disciplinare17. Tuttavia, la maggior parte dei codici etici adottati dagli Atenei risultano ricchi di enunciazioni di principi e di valori generiche e astratte, ma carenti di prescrizioni a carattere concreto.
Permane, pertanto, il regime sostanziale delineato dal legislatore del 1933, la cui eccessiva genericità, evidenziata in precedenza, è foriera di due possibili distorsioni: la non applicazione o applicazioni arbitrarie18.
3) La competenza disciplinare
L’innovazione più rilevante dell’art.10 della l. n. 240/10 è rappresentata dal decentramento del potere disciplinare presso i singoli Atenei.
Il predetto art.10 distingue due tipologie procedimentali:
per i fatti che possano dar luogo all’irrogazione di sanzione non superiore alla censura il Rettore avvia il procedimento disciplinare, ne conduce l’istruttoria e lo conclude con l’archiviazione o l’irrogazione della sanzione;
per i fatti che possano dar luogo all’irrogazione di sanzione più grave della censura il Rettore entro trenta giorni dalla conoscenza degli stessi trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata proposta; il collegio di disciplina, uditi il Rettore o un suo delegato, nonché il professore o il ricercatore sottoposto ad azione disciplinare, entro trenta giorni esprime parere sulla proposta avanzata dal Rettore, sia in relazione alla rilevanza disciplinare dei fatti, sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare, e trasmette gli atti al consiglio di amministrazione, che entro trenta giorni infligge la sanzione o dispone l’archiviazione conformemente al parere espresso dal collegio di disciplina.
Emerge l’attribuzione da parte della legge Gelmini delle competenze in materia disciplinare ad organi interni alla struttura del singolo Ateneo, vale a dire il Rettore, il collegio di disciplina e il consiglio di amministrazione: al Rettore è attribuito il potere di iniziativa del procedimento e di proposta, nonché, limitatamente alle condotte punibili con la censura, anche di irrogazione della sanzione; al collegio di disciplina è demandata (nell’ipotesi di condotte suscettibili di dar luogo all’irrogazione di sanzioni più gravi della censura) l’attività istruttoria del procedimento e consultiva circa l’esito dello stesso, dovendo formulare un parere conclusivo vincolante; il consiglio di amministrazione, infine, è titolare del potere di infliggere la sanzione, o di archiviare il procedimento, conformemente al parere vincolante espresso dal collegio di disciplina.
La giurisprudenza ha ritenuto tale operazione di decentramento disciplinare costituzionalmente legittima, in quanto diretta attuazione del principio di autonomia universitaria enunciato dall’art.33 della Costituzione19.
Dal vigente quadro normativo discende, pertanto, che al Rettore spetta sempre l’avvio del procedimento disciplinare e, limitatamente alle condotte punibili con la censura, la sua competenza ricomprende anche le altre fasi del procedimento fino alla sua conclusione20.
Per quanto concerne il collegio di disciplina, la legge si limita a stabilire che è composto esclusivamente da professori e ricercatori universitari a tempo pieno (art.10, co. 1 della l. n. 240/10), ma non contiene alcuna previsione circa il numero, la durata del mandato e le modalità di individuazione dei componenti. La regolazione di tali profili è demandata dal citato art.10, co. 1 agli statuti degli Atenei.
La dottrina ha espresso critiche e perplessità sul sistema di competenze sinteticamente descritto con riferimento alla dicotomia tra le due tipologie procedimentali, al potere del Rettore e all’immunità di quest’ultimo.
Sotto il primo profilo è stata evidenziata la difficoltà e l’opinabilità di un’anticipazione prognostica circa la sanzione da irrogare21. Il tribunale amministrativo lombardo ha, invece, ritenuto il riparto di competenze dell’art.10 della l. n. 240/10 ragionevole, in quanto rappresenta un punto di equilibrio tra le esigenze di celerità per i fatti che potrebbero condurre all’irrogazione della censura e di maggiore approfondimento per i fatti più gravi22.
Per quanto concerne il secondo profilo, è stato prospettato il rischio di eccessivo rafforzamento del potere del Rettore, in quanto motore di ogni azione disciplinare e gestore dell’intero procedimento per i fatti sanzionabili con la censura23.
La dottrina ha, inoltre, rilevato che l’art.10 della l. n. 240/10 non contempla l’ipotesi in cui il soggetto potenzialmente destinatario dell’azione disciplinare sia proprio il Rettore, che, in quanto esclusivo titolare dell’azione disciplinare, difficilmente instaura e prosegue un procedimento disciplinare nei propri confronti24. Per ovviare a tale lacuna l’Atto d’indirizzo ministeriale del 14 maggio 201825, adottato a seguito dell’aggiornamento 2017 al Piano nazionale anticorruzione 2016, approvato dall’Autorità nazionale anticorruzione con delibera n. 1208 del 22 novembre 201726, ha raccomandato gli Atenei di prevedere nei propri statuti l’attribuzione del potere disciplinare in simili casi al decano.
Circa i collegi disciplina la dottrina ha prospettato due possibili rischi: la fissazione negli statuti di meccanismi di scelta dei componenti, che rendono i collegi medesimi pericolosamente vicini al Rettore e dallo stesso controllabili27; i possibili comportamento collusivi, o comunque benevoli, da parte dei componenti rispetto ai colleghi autori di illeciti disciplinari28. Il citato atto ministeriale del maggio 2018 ha raccomandato, a tal proposito, gli Atenei di prevedere anche la presenza di membri esterni nel collegio di disciplina29.
4) L’iter procedimentale
Delle due tipologie procedimentali ricordate nel paragrafo precedente l’art.10 della l. n. 240/10 non regola la prima (quella relativa ai fatti che possano dar luogo all’irrogazione di sanzione non superiore alla censura), per cui spetta agli statuti e ai regolamenti dei singoli Atenei l’individuazione delle fasi e dei termini.
La seconda tipologia è, invece, normata, ma in modo non troppo puntuale30. Lo studioso (o l’operatore) della materia disciplinare rimane colpito dal fatto che in nessun passaggio del citato art.10 si rinvenga la contestazione degli addebiti, atto di avvio di ogni procedimento disciplinare. Ma è indubbio che essa non possa mancare per due ragioni: 1) è l’atto indispensabile a instaurare il contraddittorio col soggetto incolpato31; 2) l’art.89, co. 6 del r.d. n. 1592/33 (non abrogato dalla legge Gelmini) dispone espressamente che all’incolpato deve essere fatta la contestazione degli addebiti e prefisso un termine per la presentazione delle sue deduzioni.
Ciò posto, sorge l’ulteriore problema di individuare il momento in cui deve essere effettuata, vale a dire se in sede di istruttoria preliminare del Rettore, o davanti al collegio di disciplina. E’ preferibile la prima soluzione32 anche alla luce della previsione dell’art.10, co. 2, secondo cui spetta al Rettore l’avvio del procedimento disciplinare.
Come per ogni normativa in materia disciplinare si pone, inoltre, il problema della natura perentoria, o ordinatoria, dei termini che cadenzano il procedimento.
Sicuramente è perentorio il termine dell’art.10, co. 5, che espressamente dispone l’estinzione del procedimento disciplinare ove entro centottanta giorni dalla data di avvio non intervenga la decisione finale da parte del consiglio di amministrazione33.
Qualche incertezza sussiste per il termine di avvio del procedimento (trenta giorni dalla conoscenza dei fatti da parte del Rettore) previsto dall’art.10, co. 2. E’ condivisibile quella giurisprudenza secondo cui la perentorietà del solo termine conclusivo sarebbe priva di significato se non fosse perentorio anche quello di avvio del procedimento34. In altre parole, ritenere perentorio soltanto il termine finale e non anche quello iniziale esporrebbe ad una tendenziale indeterminatezza l’intero procedimento (e pure lo stesso termine finale).
Devono ritenersi ordinatori i termini infraprocedimentali previsti dall’art.10, commi 2 e 3: trenta giorni per l’emissione del parere da parte del collegio di disciplina; trenta giorni per l’adozione del provvedimento conclusivo da parte del consiglio di amministrazione35.
Conclusioni
Dalle criticità descritte nei paragrafi precedenti emerge la necessità di un intervento del legislatore, che, anzitutto, dovrebbe, ad avviso di chi scrive, riunire nel medesimo testo normativo i profili sostanziali e procedurali della materia.
Per quanto concerne i primi, è indispensabile un’elencazione precisa e dettagliata dei comportamenti sanzionabili, come avviene da tempo nel lavoro privato e nel pubblico impiego privatizzato, nonché nella categoria non privatizzata dei magistrati ordinari36.
La potestà disciplinare, sebbene sia ricondotta nelle sue modalità di esercizio al potere amministrativo o all’autonomia negoziale, si risolve nell’inflizione di provvedimenti sanzionatori riconducibili alle sanzioni punitive propriamente dette, in virtù del carattere afflittivo e al tempo stesso intimidatorio37. Ne consegue che il principio di tassatività, se pur costituzionalizzato per l’illecito penale, va comunque considerato essenziale, in relazione all’affinità delle materie, anche per l’illecito disciplinare38.
Con riferimento ai profili procedurali è auspicabile un’unica tipologia procedimentale regolata in modo più puntuale rispetto all’art.10 della l. n. 240/10.
Non è da escludere, però, che perduri la precisa e costante negli anni volontà di non regolare la materia39.
Note
1 Cfr.: PASINI, Procedimenti disciplinari a carico di professori universitari, in Cons. St., 1982,II,411; TRIPI, I procedimenti disciplinari nei confronti dei docenti universitari, in Il lav. nelle p.a., 2004,967; VIOLA, Il regime disciplinare dei professori e ricercatori universitari, in CARINCI-TENORE-DAPAS-VIOLA, I professori universitari, Milano, 2010,165.
2 Cfr. C. Cost., 22 dicembre 1988 n. 1128, in Foro it., 1989,I,2710. Sulla portata della pronuncia della Corte Costituzionale cfr. TAR Lazio-Roma, sez. III-ter, 8 settembre 2023 n. 13684, in www.giustizia-amministrativa.it.
3 Cfr. MERLONI, L’ennesimo riordino del Consiglio nazionale universitario: un’occasione sprecata?, in Giorn. dir. amm., 2006,849.
4 Cfr.: VIOLA, Il procedimento disciplinare dei docenti universitari dopo la riforma Gelmini, in Il lav. nelle p.a., 2010,995; MAINARDI, Collegio di disciplina, codice etico e incompatibilità, in BROLLO-DE LUCA TAMAJO (a cura di), La riforma dell’Università tra legge e statuti, Milano, 2011,177; CAPECE, Le regole del procedimento disciplinare dei docenti universitari dopo la legge 30 dicembre 2010, n. 240, in www.amministrativamente.com, n. 1/2012; PORTALURI, Note de iure condendo sul procedimento disciplinare nei confronti dei docenti universitari, in www.federalismi.it, n. 1/2013; MATTARELLA, La responsabilità disciplinare dei docenti universitari dopo la legge Gelmini: profili sostanziali, in Giorn. dir. amm., 2013,97; CIMINI, Potere sanzionatorio e competitività nel sistema universitario italiano, in PICOZZA-POLICE (a cura di), Competizione e governance del sistema universitario, Torino, 2013,205; TENORE, Profili ricostruttivi del procedimento disciplinare nei confronti dei professori universitari a cinque anni dalla riforma Gelmini, in Giustamm.it, n. 4/2015; FERLUGA, I doveri dei professori e ricercatori universitari e il regime delle sanzioni tra norme disciplinari e codici etici, in Il lav. nelle p.a., 2016,457; FERLUGA, Riforma universitaria e responsabilità disciplinare dei docenti: problemi e criticità, in Lav. giur., 2021,362; PETTINELLI, Appunti sull’esercizio del potere disciplinare nei confronti del personale docente universitario, in Il lav. nelle p.a., 2022,189; LEGGIO, Responsabilità disciplinare e obblighi di ricerca e insegnamento: il “rendimento accademico” dei docenti universitari, in Giorn. dir. amm., 2023,539.
5 Cfr.: Cass., sez. lav., 25 maggio 2012 n. 8304, in Giust. civ. mass., 2012,5,669; TAR Lombardia-Milano, sez. I, 9 novembre 2021 n. 4282, in www.giustizia-amministrativa.it.
6 Cfr. PORTALURI, cit..
7 Cfr. TAR Campania-Napoli, sez. II, 26 aprile 2021 n. 2682, in www.giustizia-amministrativa.it.
8 Cfr. TAR Lazio-Roma, sez. III, 23 maggio 2006 n. 3754, in Foro amm. Tar, 2006,1726.
9 Cfr. TAR Lazio-Roma, sez. III, 24 giugno 2014 n. 6682, in www.giustizia-amministrativa.it.
10 Cfr. TAR Lazio-Roma, sez. III, 16 aprile 2018 n. 4167, in Lexitalia.it, n. 4/2018.
11 Cfr. TAR Lazio-Roma, sez. III, 13 maggio 2019 n. 5929, in www.giustizia-amministrativa.it.
12 Cfr. TAR Emilia Romagna-Bologna, sez. I, 31 dicembre 2020 n. 888, ivi, confermata da Cons. St., sez. VII, 28 giugno 2022 n. 5389, ivi.
13 Cfr. MAINARDI, cit., 183, il quale osserva che in materia disciplinare la legge Gelmini si è limitata ad un intervento di manutenzione dell’esistente.
14 Cfr.: ASARO-MANNOCCI, Università italiane: un codice etico per la comunità, in www.dirittoeprocesso.com, 2011; MIDIRI, I codici etici universitari dalla riforma Gelmini alla legge anticorruzione, in Jus, 2015,183.
15 Cfr.: TAR Lombardia-Milano, sez. IV, 5 marzo 2015 n. 643, in www.giustizia-amministrativa.it; TAR Campania-Napoli, sez. II, 3 maggio 2017 n. 2350, ivi; TAR Toscana, sez. I, 10 marzo 2022 n. 311, ivi.
16 Cfr.: MAINARDI, cit., 197; FERLUGA, cit., 2016,480.
17 Cfr. MATTARELLA, cit., 100, il quale riporta degli esempi concreti: a) quali situazioni giustificano l’assenza a lezione?; b) un professore può imporre agli studenti lo studio e, quindi, l’acquisto del proprio manuale o di una propria monografia?; c) un professore può ricevere uno studente nel proprio domicilio privato?; d) un professore a tempo definito, che esercita la professione forense, può assumere la difesa di un soggetto in lite col proprio Ateneo?
18 Cfr. TENORE, cit..
19 Cfr. TAR Lombardia-Milano, sez. IV, 18 marzo 2014 n. 692, in www.giustizia-amministrativa.it, confermata da Cons. St., sez. VI, 16 aprile 2015 n. 1968, in Foro amm., 2015,1121.
20 Cfr.: TAR Lombardia-Milano, sez. II, 23 maggio 2016 n. 1039, in www.giustizia-amministrativa.it; TAR Campania-Napoli, sez. II, 8 giugno 2020 n. 2251, ivi; TAR Campania-Napoli, sez. II, 26 aprile 2021 n. 2682, ivi; TAR Lazio-Roma, sez. III-ter, 17 luglio 2023 n. 12032, ivi.
21 Cfr. PORTALURI, cit..
22 Cfr. TAR Lombardia-Milano, sez. II, 23 maggio 2016 n. 1039, in www.giustizia-amministrativa.it.
23 Cfr.: PORTALURI, cit., che definisce il Rettore vero e proprio “signore della censura”; CIMINI, cit., 210; FERLUGA, cit., 2016,465.
24 Cfr.: VIOLA, Spigolature di legislazione universitaria: la sostanziale immunità disciplinare dei Rettori delle Università, in Il lav. nelle p.a., 2011,853; CIMINI, cit., 214; VIOLA, L’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei rettori dopo il nuovo atto di indirizzo del M.I.U.R. in materia di anticorruzione e trasparenza, in www.lavorodirittieuropa.it, n. 2/2018.
25 Cfr. Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Atto d’indirizzo 14 maggio 2018 n. 0000039, in www.miur.gov.it.
26 In www.anticorruzione.it.
27 Cfr. PORTALURI, cit..
28 Cfr.: MAINARDI, cit., 191; CIMINI, cit., 210.
29 Cfr. TAR Sicilia-Catania, sez. IV, 18 marzo 2023 n. 692, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui la presenza di componente esterno non è imposta da norme di legge, ma solo consigliata dall’atto di indirizzo ministeriale.
30 Cfr.: TENORE, cit.; Cons. St., sez. II, 19 giugno 2019 n. 1794, in www.giustizia-amministrativa.it.
31 Cfr. TENORE, Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Milano, 2021,380.
32 Cfr.: VIOLA, cit.; TENORE, cit.; FERLUGA, cit., 2016,468.
33 Cfr.: TAR Sardegna, sez. I, 21 dicembre 2015 n. 1212, in www.giustizia-amministrativa.it, confermata da Cons. St., sez. VI, 30 giugno 2021 n. 4927, ivi; Cons. St., sez. IV, 12 aprile 2019 n. 2379, ivi; TAR Emilia Romagna-Bologna, sez. I, 13 ottobre 2020 n. 612, ivi; TAR Piemonte, sez I, 20 ottobre 2021 n. 924, ivi; TAR Lazio-Roma, sez. III, 13 dicembre 2021 n. 12845, ivi; Cons. St., sez. VII, 9 marzo 2023 n. 2519, ivi.
34 Cfr.: TAR Emilia Romagna-Bologna, sez. I, 7 marzo 2014 n. 268, ivi; TAR Campania-Napoli, sez. II, 12 giugno 2015 n. 3191, ivi; TAR Lombardia-Milano, sez. III, 4 novembre 2016 n. 2024, ivi; TAR Toscana, sez. I, 15 ottobre 2019 n. 1356, ivi; TAR Puglia-Bari, sez. II, 7 luglio 2021 n. 1142, ivi; TAR Lombardia-Brescia, sez. I, 20 gennaio 2022 n. 54, ivi.
35 Cfr.: TAR Umbria, sez. I, 4 novembre 2020 n. 483, ivi; TAR Piemonte, sez I, 20 ottobre 2021 n. 924, in Il lav. nelle p.a., 2022,183 con nota di PETTINELLI; TAR Campania-Napoli, sez. II, 7 dicembre 2021 n. 7845, in www.giustizia-amministrativa.it; TAR Emilia Romagna-Bologna, sez. I, 22 novembre 2022 n. 929, ivi; TAR Lombardia-Brescia, sez. I, 6 febbraio 2023 n. 110, ivi.
36 Cfr.: CAVALLINI, Gli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari prima e dopo la riforma del 2006, Padova, 2011; CAMPANELLI, Riflessioni e criticità sul sistema normativo in materia di responsabilità dei magistrati a poco più di dieci anni dall’entrata in vigore del d.lgs. 109/2016, in www.federalismi.it, n. 24/2017; SALVI, Le ragioni costituzionali dell’ordinamento disciplinare dei magistrati, in Dir. pen. proc., 2022,433.
37 Cfr. STACCA, La giuridificazione dell’etica delle formazioni sociali. Riflessioni sulla c.d. autodisciplina: in particolare il momento normativo e il momento sanzionatorio, in Dir. amm., 2015,537. In giurisprudenza cfr. CGARS, 28 gennaio 2022 n. 42, in www.giustizia-amministrativa.it.
38 In tal senso Cons. St., comm. spec., 5 aprile 2016 n. 864, in Foro amm.,2016,856.
39 Cfr. PORTALURI, cit..
ECONOMIA CIRCOLARE: DALLA MALA GESTIO, ALLA LOTTA AL CRIMINE Francesca Fuscaldo Sommario: 1. Introduzione; 2. Economia circolare; 3. Il ritardo e l’inadeguatezza normativa; 4. La forza della collaborazione; 5. Conclusione. […]
Diritto Ambientale Dottrina Fascicoli Fascicolo n.3/2023
ECONOMIA CIRCOLARE: DALLA MALA GESTIO, ALLA LOTTA AL CRIMINE
Francesca Fuscaldo
Sommario: 1. Introduzione; 2. Economia circolare; 3. Il ritardo e l’inadeguatezza normativa; 4. La forza della collaborazione; 5. Conclusione.
Abstract.This contribution analyzes the circular economy model, with particular reference to the implementation limits in order to identify possible remedies.
Riassunto. Il presente contributo analizza il modello dell’economia circolare, con particolare riferimento ai limiti attuativi al fine di individuare i possibili rimedi.
1. Introduzione
In Italia, e non solo, l’economia circolare si presenta come una stella cadente: bella, luminosa ma che dura giusto il tempo di farti sperare, per poi svanire nel mare magnum del crimine ambientale.
Più facile a dirsi che a farsi sicuramente. Basta pensare agli innumerevoli spuntoni di sigaretta gettati in ogni ove, come fossero dei caduti in guerra abbandonati al loro destino. E dagli spuntoni, alle discariche abusive passa poco. Giusto il tempo di individuare un posticino dimenticato e finalmente ci si libera delle cose superflue, dei materiali cementizi, dei divani, delle reti, di tutto quello che si possiede e che non si sa più gestire. Non serve rivolgere l’attenzione alla criminalità organizzata, che in materia di rifiuti trae la sua manna. Basta pensare in piccolo e guardare dentro le nostre case per capire che qualcosa non funziona. E’ solo che quando si tratta di giudicare gli altri si è sempre pronti a prendere la parola mentre quando siamo noi a sbagliare, la responsabiltà è della raccolta differenziata che non viene gestita bene, della raccolta degli ingombranti che spesso avviene dopo lunghi mesi di attesa, della mancanza dei cestini per la spazzatura. Vige la responsabilità e non l’autoresponsabilità. Rispettare l’ambiente è una questione, prima che giuridica, culturale. Date tali premesse, parlare di economia circolare diventa quasi utopico. Eppure, lo si vuole fare perché, se si ha una possibilità per migliorare, la si deve conoscere e sfruttare.
2. Economia circolare
L’economia circolare1 è un modello di produzione e consumo che si basa sul riutilizzo dei materiali e dei prodotti al fine di ottenere un risparmio in termini, sia di costi di produzione ex novo, sia dei costi legati allo smaltimento dei rifiuti. Inoltre, è funzionale sia alla riduzione dell’inquinamento ambientale (si pensi al processo di estrazione delle materie prime che comporta, necessariamente, consumo di energia e dunque emissioni di anidride carbonica), sia dello spreco delle risorse quantitativamente limitate, a fronte della continua crescita della popolazione a livello mondiale e non da ultimo, si presta ad essere un valido strumento per combattere l’illecito ambientale.
In sostanza, una volta che il prodotto viene introdotto nel mercato consumeristico, dopo aver terminato la sua funzione di medio-lungo termine, quando è possibile, viene scomposto e i materiali recuperati vengono reintrodotti nel ciclo economico2.
L‘economia circolare si realizza attraverso un intervento programmatico scandito in fasi che, vanno da quella preventiva, rivolta a ridurre a monte la possibilità di generare rifiuti, fino al riciclo vero e proprio (riemmissione in commercio per un nuovo utilizzo) e solo quando questo non è possibile, si entra nella fase del recupero (scomposizione del prodotto in altri materiali ad uso diverso). Da ultimo, quando non si può procedere neanche tramite il recupero, i materiali vengono classificati come rifiuti e destinati allo smaltimento.
L’adozione del modello politico e socio-economico dell’economia circolare, è avvenuta a seguito dei ripetuti interventi dell’Unione Europea3. L’Italia, infatti, non può dirsi un Paese modello in tale ambito, basti pensare al ritardo normativo ed organizzativo in materia. Di particolare importanza è la direttiva UE 2018/851, in modifica alla direttiva 2008/98 CE (direttiva rifiuti4), la quale prevede che “la gestione dei rifiuti nell’Unione dovrebbe essere migliorata e trasformata in una gestione sostenibile5 dei materiali per salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente6”. Proprio l’obiettivo della sostenibilità (gestire in maniera efficiente la produzione economica al fine di garantire la qualità, intesa anche come salubrità dell’ambiente, in ordine alla conservazione del pianeta), e i principi di prevenzione e di precauzione7 ( di cui all’art. 191 TFUE) risultano essere rispettati attraverso tale modello.
Il punto centrale, allora, non è l’individuazione di un rimedio efficiente per la riduzione dell’inquinamento ambientale e per la sostenibilità del pianeta, ma la sua realizzazione concreta8.
3. Il ritardo e l’inadeguatezza normativa
Lo Stato italiano, è stato più volte sottoposto a procedura di infrazione9 a causa del mancato o ritardato recepimento delle direttive UE in materia ambientale10. Si pensi che la Direttiva rifiuti del 1975, venne recepita solo 22 anni dopo con il c.d. Decreto Ronchi11, il quale, ha introdotto sia la liberalizzazione dei servizi in materia di gestione dei rifiuti, avendo come obiettivo quello di abbattere le diseconomie di scala prodotte dalla mala gestio pubblica (attuazione del principio di concorrenza), in ordine alla riduzione degli sprechi e all’efficientamento della gestione, sia il concetto stesso di riuso dei materiali, individuato come soluzione alla riduzione della produzione dei rifiuti, considerata il grave problema che impedisce la sostenibilità ambientale a danno delle future generazioni. Con il Decreto Ronchi e le successive modifiche, l’Italia ha attuato una politica ambientale orientata alla prevenzione, alla precauzione e all‘autoresponsabilità (chi inquina paga). La mala gestio in tema di rifiuti, infatti, costituisce il nodo cruciale da sciogliere al fine di concretizzare una politica ambientale che realizzi lo sviluppo sostenibile del territorio, bilanciando la tutela ambientale con le esigenze della produzione (si prevedono l’introduzione di metodi di produzione ecosostenibili).
In materia penale, il deficit di tutela12 nei confronti del bene ambiente è stato parzialmente superato con l’introduzione del Testo unico ambientale13 (poche ipotesi contravvenzionali, che hanno avuto scarsa efficacia deterrente, per lo più impostate sulla tecnica del pericolo astratto) e con la riforma del 2015 (d.lgs n.68)14 che non a caso è intervenuta immediatamente dopo il clamore mediatico scatenato dal caso Eternit15. Infatti, a seguito di tali episodi, data l’inefficacia della tutela penalistica, ridotta al minimo16, considerata l’assenza dell’incriminazione in relazione al disastro ambientale e all’inquinamento ambientale e data la vetustità dell’interpretazione giurisprudenziale, costretta ad applicare, anche in assenza di pericolo per la pubblica incolumità, il c.d. disastro innominato17 ex art. 434 c.p. (divieto di analogia in malam partem, difetto chiarezza della fattispecie), si è finalmente sentita l’esigenza di un intervento punitivo ad ampio respiro.
La legge di riforma del 201518 ha riorganizzato, in ottica sistematica, le poche fattispecie penali presenti nel Testo unico ambientale, ha introdotto ex novo un apposito titolo (VI bis) all’interno del codice penale dedicato, appunto, agli ecoreati e ha inserito tali fattispecie nei reati presupposto per la responsabilità penale degli enti ex art. 25 undecies (si pensi che le attività degli enti sono quelle maggiormente prolifere di rischi legati alla commissione degli illeciti ambientali). La riforma penale si caratterizza per aver introdotto misure prettamente sanzionatorie (passaggio dal pericolo astratto, al modello dei reati di pericolo concreto e di danno) rivolte a punire gli autori degli illeciti (efficacia deterrente). Si pensi alle fattispecie dell’inquinamento ambientale ex art. 452 bis e del disastro ambientale ex art. 452 quater punito anche a titolo di colpa, all’aggravante per il delitto associativo ex art. 452 octies (associazione per delinquere e di stampo mafioso) e a quella generica ex art.452 nonies (applicabile per tutte le fattispecie), all’applicazione della confisca, anche per equivalente (artt. 452 undecies e 452 quaterdecies). Misure finalizzate ad assicurare il recupero dei luoghi inquinati e la risocializzazione dell’autore dell’illecito, attraverso un sistema sanzione-premio. In quest’ottica, ci si riferisce alla valorizzazione delle condotte riparatorie (si pensi al ravvedimento operoso ex art. 452-decies per coloro che collaborano con le autorità prima della definizione del giudizio) e ripristinatorie (si pensi alla pena accessoria del ripristino dello stato dei luoghi ex art. 452 duodecies c.p.e all’ulteriore sanzione per l’omessa bonifica). Misure di prevenzione (art. 301 T.U.A.) rivolte ad analizzare le aree di rischio e ad individuare un tempestivo intervento al fine di paralizzare il possibile inquinamento dei luoghi a queste riconnessi19.
Anche a livello costituzionale, l’ambiente, fino alla riforma del 2022, che ha introdotto modifiche in tal senso agli artt. 9 e 41 (visione ecocentrica), non era considerato un bene tutelato direttamente ma, solo in via intepretativa attraverso, sia la tutela del Paesaggio e del patrimonio artistico (art. 9 Cost.), sia del diritto alla salute (art.32 Cost.), essendo considerato un bene strumentale alla tutela di altri interessi personali costituzionalmente rilevanti: vita, salute (visione antropocentrica20).
Le ragioni del ritardo normativo, sono da rinvenirsi nel deficit organizzativo e di risorse da una parte, e in una “strana” impostazione culturale dall’altra. Ebbene si, adottare una politica ambientale in generale e il sistema dell’economia circolare nello specifico, implica predisporre un’organizzazione reticolare su tutto il territorio e trasmettere all’intera popolazione la cultura della tutela ambientale e del riuso.
E’ proprio la disorganizzazione a livello territoriale che crea delle falle nell’attuazione della politica ambientale. Infatti, in base al principio di prossimità (ex art. 118 Cost.), gli enti che hanno la responsabilità della gestione amministrativa dei rifiuti sono i Comuni (sebbene, la competenza generale in relazione alla tutela ambientale appartenga in modo esclusivo allo Stato ex art. 117 Cost.), i quali, spesso non hanno le capacità finanziarie e strutturali per organizzare e attuare una politica ambientale efficiente e con essa, il modello dell’economia circolare. Si pensi, all’eterno problema delle discariche abusive (un mare di rifiuti abbandonati in ogni angolo dei territori comunali), al ritardo dell’introduzione della raccolta differenziata, all’assenza di isole ecologiche nella maggiorparte dei territori che, per le problematiche sopra evidenziate ne avrebbero più bisogno, alla mancata attuazione di misure preventive e di controllo territoriale, per stanare e combattere le attività criminali21. Proprio in materia di ecoreati, si registrano risultati insoddisfacenti, soprattutto a fronte della riorganizzazione normativa. Basta osservare i dati emersi dal rapporto Ecomafia del 202222, stilato da Legambiente, il quale, ha fatto registrare un notevole incremento del numero degli ecoreati commessi, soprattutto in relazione ai rifiuti, la maggiorparte dei quali si distribuisce, non a caso, nelle Regioni maggiormente colpite dai fenomeni mafiosi (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, che da sole totalizzano circa il 44% dei crimini commessi in materia di rifiuti).
Sono dati che ci invitano al dovere di compiere delle riflessioni sull’evidente inefficienza organizzativa delle Istituzioni pubbliche e sull’ineffettività del sistema penale sanzionatorio. A fronte di tali risultati, ci si deve chiedere quali potrebbero essere i rimedi.
4. La forza della collaborazione
Le difficoltà gestionali in relazione alle politiche ambientali, dovute alle limitate capacità finanziarie, alla carenza di capitale umano e alla c.d. mala gestio provocata dal clientelismo, dai traffici illeciti diffusi a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale, possono essere affrontate solo attraverso la collaborazione23 tra enti e forze politiche. Ci si riferisce in modo particolare ai Comuni di piccole dimensioni, alle zone disagiate, agli enti territoriali soggiogati dalla criminalità organizzata. E’ in queste, tante, realtà che si deve lavorare maggiormente, sia a livello politico che burocratico al fine di “bonificare queste terre” dalle problematiche socio-economiche che le affliggono e che azzerano in partenza ogni possibilità di progresso. Quello dei crimini ambientali, infatti, è un problema radicato sull’intero territorio nazionale ma, che risulta maggiormente diffuso nelle zone in cui le ecomafie la fanno da padrone. La gestione dei rifiuti, in particolar modo, è sempre stata uno dei maggiori interessi della criminalità organizzata e mafiosa. Il perché è presto detto, pochissime risorse da investire a fronte di un ritorno economico cospicuo. La logica è quella di imporre costi di smaltimento minori rispetto a quelli che si dovrebbero affrontare seguendo lo schema legale24. In tal modo, si diffonde la cultura del risparmio economico facile, in grado di attirare un gran numero di imprese, soprattutto se esposte a crisi economiche.
Come coordinare, allora, l’economia circolare e la riduzione del crimine legato ai rifiuti?
Si è già detto, che l’economia circolare è un modello economico-socio-politico che necessita di una stabile organizzazione. Per tale ragione non potrà mai trovare approdo in un contesto territoriale soggiogato dalla mancanza di controllo, dovuta alle scarse ricorse umane ed economiche necessarie per sostenere un simile progetto. Invero, sono tanti i primi cittadini che ne hanno contezza e che si rivolgono alle Istituzioni pubbliche superiori al fine di cercare sostegno economico e organizzativo. Dai loro appelli emerge in modo univoco una certezza: da soli non ce la possiamo fare! Non bastano le riforme, non basta ricorrere alla penalizzazione e all’inasprimento delle sanzioni già previste. Non basta organizzare sulla carta. Serve la c.d. law in action.
L’economia circolare implica un sistema reticolare che deve essere attuato cominciando dalle reti inter-istituzionali. E’ lo stesso principio di sussidiarietà consacrato in Costituzione che ce lo ricorda (artt. 5, 118). Un’azione legale e burocratica che deve essere essa stessa circolare: top-dawn e botton-up! In verità, già vi sono degli strumenti interni che puntano sulla forza della collaborazione, si pensi alle Unioni dei Comuni, alle fusioni (introdotte dalla legge Delrio, n.56/2014) ma, queste tipologie non hanno fatto registrare risultati soddisfacenti. La causa principale, la si rinviene nell’attaccamento identitario che contraddistingue le singole realtà comunali. Per neutralizzare tale problematica, si potrebbe pensare di attuare forme associative25 che siano in grado di rafforzare il controllo e la gestione ambientale di una certa area territoriale, senza minare l’identità degli enti comunali i quali, si ritroverebbero a cooperare per il bene comune e di riflesso per il bene del proprio territorio. Inoltre, per ridurre la predisposizione al crimine, bisognerebbe agire sui punti di forza della criminalità organizzata/mafiosa richiamati sopra, attuando una controspinta verso la legalità. Tale risultato, potrebbe essere raggiunto attraverso la riduzione dei costi legati alla gestione dei rifiuti, rendendo di fatto l’illecito ambientale una scelta poco appetibile(richiamo all’utilitarismo). Ecco allora, che il modello di economia circolare potrebbe rivelarsi un valido strumento per ridurre, in modo considerevole, gli illeciti ambientali legati ai rifiuti. Certo è, che vi è bisogno di un intervento che abbia un importante consistenza economica-organizzativa ma, che potrebbe trovare la sua soluzione proprio nella forza della collaborazione.
5. Conclusione
L’economia circolare è sicuramente un modello di politica ambientale-economica che ha tutti i requisiti per ottenere risultati soddisfacenti in merito agli obbiettivi, sia della sostenibilità ambientale e della riduzione dell’inquinamento, sia della lotta al crimine ambientale, attraverso un’azione diversa e più efficiente basata sull’analisi costi-benefici. Quanto premesso necessità però, di un sistema organizzato a rete in modo da assicurare la collaborazione inter-territoriale e intra-territoriale tra gli enti e le forze politiche. Infatti, i costi da affrontare sono elevati, soprattutto nel breve periodo, sia in termini di capitale monetario/finanziario, sia di capitale umano i quali, possono essere gestiti solo attraverso una grande organizzazione che lavori in maniera coordinata per la realizzazione degli stessi obiettivi. A titolo provocatorio, e anche di più, si potrebbe prendere come modello, proprio l’organizzazione mafiosa, sfruttandone i punti di forza (un grande vertice che decide in linea generale, controlla e sostiene tutte le micro-cellule che operano sulle aree territoriali di competenza e che insieme, gestiscono, sovvenzionano e controllano l’operato dei singoli partecipanti e degli esecutori concreti, la c.d. manovalanza) e diffondendo come fa quest’ultima, una vera e propria cultura: il metodo circolare.
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S. ZIRULIA, Etenit il disastro è prescritto. Le motivazioni della Cassazione, in riv. Diritto Penale Contemporaneo, 24 febbraio 2015.
Note
1C.FELIZIANI, I rifiuti come risorse. L’”anello mancante” per un’economia circolare, in F. De Leonardis (a cura di), Studi in tema di economia circolare, Macerata, 2019, p. 91 ss.
2E’ dalla possibilità di riutilizzo dei materiali che si ricava il concetto di economia circolare.
3Nel settembre del 2014 la Commissione UE invia al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni una comunicazione dal titolo “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti” Tra i punti programmati spicca quello di: “Istituire un quadro strategico che favorisca l’emergere dell’economia circolare, ricorrendo a misure che combinino la regolamentazione intelligente, strumenti basati sul mercato, la ricerca e l’innovazione, incentivi, lo scambio di informazioni e il sostegno a iniziative volontarie. Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni – COM(2014) 398 del 25 settembre 2014.
4G.M.,VAGLIASINDI., La direttiva 2008/99 CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano, in Dir. Comm. intern., 2010
5Il principio della sostenibilità è stato recepito dall’art. 3 quater del T.U.A.
6In Italia, la Direttiva UE 2018/851 è stata attuata con il D.lgs. 116/2020 in modifica al decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, prevedendo in particolare all’articolo 117 l’obiettivo dell’economia circolare e l’attuazione di un Piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale in relazione a quest’ultima.
7Recepiti dall’art. 3 ter del T.U.A.
8In particolare ci si riferisce agli alti costi nel breve periodo, che richiedono la disponibilità di una certa capacità finanziaria, ai problemi legati alla cultura della popolazione di riferimento e alle difficoltà nella gestione del territorio in termini di controllo e dissuasione dall’illecito. Sul tema si prenda visione del rapporto stilato dall’ U.B.A. (agenzia tedesca) The Impossibilities of the Circular Economy, disponibile su file:///C:/Users/France/Downloads/9781000819540.pdf
9Trovi il dato su https://www.openpolis.it/le-infrazioni-europee-allitalia-sullambiente/
10Si ricordi che l’Unione Europea in materia ambientale ha competenza concorrente agli Stati e che proprio in tale ambito, si è delineato l’ampliamento dell’intervento unionale in materia di diritto penale (obblighi di tutela penale attraverso sanzioni deterrenti, dissuasive ed effettive).
11Con il d. lgs n. 22/1997 viene introdotto il metodo dell’economia circolare, individuato come principale strumento per ridurre lo spreco delle risorse ed apportare i criteri dell’efficienza e della razionalità alla gestione del servizio.
12Si pensi al problema del decorso della prescrizione. Sul punto si faccia riferimento alla nota pronuncia della Cassazione, sentenza del 19 novembre 2014, n. 7941, Schmidheiny, in C.E.D. Cassazione, sul caso Eternit proprio in ordine ai rapporti tra l’applicazione del disastro innominato ex art. 434 c.p. e al decorso del termine prescrizionale.
13D. lgs. 152/2006 che ha abrogato e sostituito il Decreto Ronchi, apportando organicità normativa in materia di tutela ambientale.
14F., PALAZZO, I nuovi reati ambientali. Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2018;
C., RUGA RIVA, La disciplina dei rifiuti, in M. Pelissero (a cura di), Reati contro l’ambiente e il territorio, Torino, II ed. 2019, p. 167 ss.
Siracusa, L., La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente, in Dir. Pen. Cont., n. 2/2015; In senso contrario si vedano Padovani T., Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente, in Guida al dir., n. 32/2015, pp. 10 e Patrono P., I nuovi delitti contro l’ambiente: il tradimento di un’attesa riforma, 11 gennaio 2016, in www.lalegislazionepenale.eu.
15G.L., GATTA, Il diritto e la giustizia penale davanti al dramma dell’amianto: riflettendo sull’epilogo del caso Eternit, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2015
16Prima dell’intervento di riforma del 2015, l’unico delitto in materia ambientale era rivolto a punire l’organizzazione del traffico illecito di rifiuti, introdotto dalla legge n.93/2001 e rivolto a contrastare l’attività della criminalità organizzata e non la tutela in via diretta dell’ambiente.
17Sulle problematiche applicative si veda S. ZIRULIA, Etenit il disastro è prescritto. Le motivazioni della Cassazione, in riv. Diritto Penale Contemporaneo, 24 febbraio 2015
18Recepisce la direttiva U.E. 2008/99/CE del 19 novembre 2008, incentrata sulla protezione dell’ambiente mediante il ricorso al diritto penale. Sul punto, si ricorda che l’U.E. non dispone di competenza diretta in materia penale, eccetto per le materie transnazionali ma, può indirizzare gli Stati ad adottare una tutela penalistica effettiva e dissuasiva nelle materie in cui ha interessi.
19Si procederà alla valutazione scientifica del pericolo e della probabilità del suo verificarsi in un particolare contesto (c.d. risk assessment), per poi valutare quali siano i provvedimenti più idonei a ridurre il rischio ad un livello accettabile (c.d. risk management).
20In ottica penalistica, considerare l’ambiente come un bene strumentale alla tutela di altri interessi, significa svilire l’essenza del bene giuridico, relegandolo di fatto, a mera funzione.
21Gli ecoreati, nonostante gli interventi normativi, non scendono di numero, soprattutto nelle Regioni dove la criminalità organizzata la fa da padrone.
22Trovi tutti i dati su https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/ecomafia-2022-presentati-i-dati-sui-reati-ambientali-in-italia/
23La leale collaborazione, insieme al principio di sussidiarietà ad essa funzionale, è un principio espresso dall’art. 3 quinquies del T.U.A. e lo si ricava anche dall’art.118 Cost.
24Conformemente al principio “chi inquina paga”, l’art. 15 della direttiva 2006/12/CE 7 stabilisce che «il costo dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto: a) dal detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore o ad una impresa di cui all’articolo 9; e/o b) dai precedenti detentori o dal produttore del prodotto causa dei rifiuti.
25Per un esempio di associazionismo tra enti comunali in materia di gestione ambientale del territorio si veda https://comunivirtuosi.org/le-nostre-proposte-per-lambiente/
SUL TRASFERIMENTO DELLE SOCIETA’ ITALIANE IN OLANDA Sergio Benedetto Sabetta Vi è in atto una forte migrazione di società all’estero, sia in termini di quotazione che di trasferimento della sede legale, con una possibile varia […]
Diritto Socetario Notizie
Sergio Benedetto Sabetta
Vi è in atto una forte migrazione di società all’estero, sia in termini di quotazione che di trasferimento della sede legale, con una possibile varia combinazione dei due modi.
La crescita del fenomeno in questi ultimi anni ha dato vita ad un dibattito sulla possibile perdita di competitività del sistema Italia sull’accesso al mercato mondiale dei capitali.
Su queste problematiche vi è stato un convegno a Milano il 22 maggio 2023 presso l’Università Cattolica, ad opera del Centro di ricerche finanziarie sulla corporate governance.
Se il fenomeno si era già manifestato nell’ultimo decennio del ‘900, è solo in questi ultimi anni che vi è stata una forte accelerazione. Relativamente per le quotazioni all’estero la raccolta di capitale è stata modesta, con un fenomeno numerico molto contenuto tale da non potersi parlare di svuotamento del sistema Italia.
E’ con i trasferimenti della sede legale all’estero che il fenomeno diventa eclatante, questi è europeo ma in Italia vi è stata la maggiore crescita, con un chiaro vincitore, l’Olanda (9 società italiane su 15 hanno scelto l’Olanda).
Le motivazioni possibile sono di tre tipi:
Strategica, dovuta alla maggiore facilità di espansione attraverso investimenti o acquisizioni;
Fiscale, nella ricerca di una diminuzione della pressione fiscale;
Governance, una legislazione che permetta di aumentare l’efficienza del controllo, blindandolo.
Riguardo all’espansione delle imprese non si sono osservate notevoli acquisizioni o fusioni, né vi sono molti casi di trasferimenti di sedi legali accompagnate dal trasferimento del domicilio fiscale, questo tuttavia non esclude che vi possa essere interesse ad una minore tassazione sui dividendi.
Resta, pertanto, prevalente la motivazione del controllo azionario.
Mentre in Italia si procede con azioni a voto maggioritario, fornito di un moltiplicatore che con il tempo può portare anche a 20 voti per azione, meccanismo che si perde nel momento della vendita, in Olanda si usa il metodo della “fondazione protettiva” , che detiene il pacchetto di azioni con diritto di voto.
Le fondazioni emetteranno propri “depository certificates” privi di diritto di voto, tranne che vengano richiesti espressamente alla fondazione certificati con il diritto di voto, in caso di scalate ostili le fondazioni possono chiedere l’emissione di ulteriori azioni e diritti di voto al valore nominale.
Così, mentre per le società italiane che vanno in Olanda vi è la ricerca del rafforzamento dell’azionista di controllo, per le società olandesi o le altre europee che si trasferiscono in Olanda vi è la ricerca del rafforzamento del “board”, questo attraverso clausole statutarie di maggioranza rafforzata per la nomina o rimozione dei consiglieri d’amministrazione.
La differenza non è di poco conto, perché con il tempo possono nascere conflitti di interesse ed indebolirsi le capacità imprenditoriali dell’azionista di controllo.
IL REGIONALISMO DIFFERENZIATO IN CAMPO CULTURALE. Gianluca Trenta* ABSTRACT: Il lavoro si propone di analizzare le forme particolari di autonomia nella materia dei beni culturali in virtù delle proposte avanzate dalle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna […]
Anno 2023 Diritto Amministrativo Dottrina Enti Locali e P.A. Fascicoli Fascicolo n.3/2023
Gianluca Trenta*
ABSTRACT: Il lavoro si propone di analizzare le forme particolari di autonomia nella materia dei beni culturali in virtù delle proposte avanzate dalle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, secondo quanto normato dall’art. 116, co. 3 Cost..
ABSTRACT: The work aims to analyze the particular forms of autonomy in the field of cultural heritage by virtue of the proposals made by the Lombardy, Emilia-Romagna and Veneto Regions, in accordance with the provisions of art. 116, co. 3 Constitution.
Keywords: Asymmetric Regionalism; Cultural Heritage; Subsidiarity; Differentiation.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il riparto delle competenze tra tutela e valorizzazione dei beni culturali. – 3. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. – 4. Il ruolo delle Regioni sul tema del patrimonio culturale. – 5. Ulteriori forme di autonomia richieste da alcune Regioni. – 5.a. Il caso Lombardia. – 5.b. Il caso Emilia-Romagna. – 4.c. Il caso Veneto. – 6. Tutela e valorizzazione dei beni culturali quali forme particolari di autonomia. – 7. Note conclusive.
1. Premessa.
La definizione di bene culturale, soggetta a un continuo mutamento, proprio per le sue caratteristiche, racchiude al suo interno tutte quelle testimonianze, materiali e immateriali, aventi valore di civiltà1.
Da questa prima definizione si può dedurre che i beni culturali compongono il patrimonio culturale nazionale, nei suoi svariati aspetti: storico, artistico, archeologico, architettonico, ambientale, scientifico2, etno-antropologico3, archivistico, librario4, costituendo testimonianza di valore storico-culturale5. In tale ambito si includono anche le attività culturali, ossia quelle attività rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte6.
Al fine di analizzare il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni, è opportuno partire dalla previsione della tutela del patrimonio storico e artistico e del paesaggio, novellato dall’art. 9 della Cost.7.
L’articolo afferma che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio ed il patrimonio storico artistico della Nazione».
L’Assemblea Costituente, difatti, ha ritenuto necessario inserire la tutela e la conservazione dei beni culturali nella prima parte della Carta Costituzionale, dove sono enunciati i principi fondamentali, in quanto il valore identitario del patrimonio storico e artistico e la possibilità per le persone di fruirne possa permettere alla comunità di identificarsi nella storia e nei valori di quello stesso patrimonio culturale8.
Durante i lavori preparatori è emerso come la materia dei beni culturali dovesse essere di competenze della Repubblica per «lasciare impregiudicata la questione dell’autonomia regionale»9. Ad oggi, l’orientamento prevalente della dottrina è di considerare la Repubblica come uno Stato-ordinamento, ovvero lo Stato inteso con le sue articolazioni territoriali10.
L’articolo in questione, in vario modo, è messo in stretta correlazione con altri principi fondamentali riportati negli artt. 5 e 2 della Costituzione per rafforzare il ruolo delle istituzioni periferiche anche nell’azione di promozione e di tutela della cultura: il primo indica i principi diretti verso un modello di organizzazione dei pubblici poteri in grado di realizzare il pluralismo sociale garantito; il secondo costituisce «sorta di saldatura tra gli obiettivi fissati nell’art. 9 Cost. e quei principi fondamentali che sottendono alla natura policentrica del potere pubblico»11.
Vi è poi l’art. 33 che sancisce che l’insegnamento dell’arte e della scienza è libero. A tal proposito, i costituenti, a completamento di quanto enunciato nell’art. 9, hanno inteso estendere la funzione di protezione del patrimonio culturale anche alle espressioni artistiche.
Con la revisione costituzionale dell’art.117 avvenuta nel 200112, sono state introdotte le “voci” di beni e di attività culturali intese come valorizzazione per i primi e promozione e organizzazione per le seconde. In tal senso sono state gettate le fondamenta per valutare il patrimonio culturale13 nella sua unitarietà, per poi trovare piena attuazione nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004)14.
In particolare, tale riforma assegna la tutela alla competenza legislativa esclusiva dello stato e la valorizzazione alla competenza concorrente di Stato e Regione. La distinzione di competenza ha modificato quella consuetudine di tutela, conservazione, fruizione, gestione, valorizzazione che era riservata allo Stato15.
2. Il riparto delle competenze tra tutela e valorizzazione dei beni culturali.
Originariamente l’art. 117 Cost., attribuiva alle Regioni la titolarità di una competenza concorrente in materia di “musei e biblioteche di enti locali”, ma nella Carta costituzionale non erano previste disposizioni specifiche sulle competenze in materia di beni e attività culturali.
Sul punto, infatti, larga parte della dottrina ha sempre messo in evidenza la disarticolazione delle materie previste nell’art. 117, co. 1, Cost. e le difficoltà di realizzazione di un “funzionale esercizio delle competenze“16. Inoltre, la stessa dottrina, ha espresso forti dubbi interpretativi riguardante la determinazione dei concetti di museo e biblioteca che comunque hanno trovato una prima risposta nelle fonti di rango sub-costituzionale17.
Le recenti modifiche apportate all’art. 9 della Costituzione introducono puntuali riferimenti in materia di tutela dell’ambiente, ponendo la riflessione se possano intendersi come l’effettivo esito di un processo di innovazione capace di dare concreta risposta ai problemi emergenti. Dunque, accanto alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione, richiamata dal secondo comma, si attribuisce alla Repubblica anche la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi18.
Gli effetti prodotti da tale riforma costituzionale si riflettono anche nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Nello specifico, vengono definite le materie di competenza legislativa dello Stato (art. 117, comma 2) e le competenze riservate alle Regioni (art. 117, comma 3). Più in particolare la let. s) dell’art. 117 della Cost. sancisce che lo Stato ha legislazione esclusiva nella tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Sempre lo stesso art. al co. 4, definisce le materie di legislazione concorrente con le Regioni tra cui la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali19.
Per ciò che concerne l’attività di gestione, invece, non viene menzionata in Costituzione, lasciandola in affidamento alla legislazione ordinaria in particolare al D.lgs. n. 112/1998. Parte della dottrina sostiene che la mancata menzione potrebbe avere un senso solamente se «considerata “non come materia-fine, alla pari della tutela e della valorizzazione, da incasellare nel campo della potestà concorrente piuttosto che in quella primaria regionale, bensì – proprio alla luce della sua portata trasversale rispetto a ciascuna delle altre due materie – come materia-funzione, vale a dire un complesso di attività propedeutiche e funzionali, secondo esigenze, sia alla tutela che alla valorizzazione, perciò da non circoscrivere come materia autonoma, sottoposta ai canoni di riparto dell’art. 117 Cost.”»20.
Sulla scorta di tale approccio storico-normativo, la Corte costituzionale sottolinea come la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, nelle normative anteriori all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, siano state considerate attività strettamente connesse ed a volte, ad una lettura non approfondita, sovrapponibili. La Corte, quindi, evidenzia come la riforma del Titolo V abbia raccolto sia le differenze tra tutela e valorizzazione dei beni culturali, già prevista dal D.Lgs del 31 marzo 1998, n.112 che dalla normativa del Codice dei beni culturali e del paesaggio21.
Così l’art. 148 del D.lgs. n. 112 del 1998 annovera, come s’è visto, tra le attività costituenti tutela quella diretta «a conservare i beni culturali e ambientali», mentre include tra quelle in cui si sostanzia la valorizzazione quella diretta a «migliorare le condizioni di conservazione dei beni culturali e ambientali».
La gestione, poi, nella definizione che ne dà il medesimo articolo, è funzionale sia alla tutela sia alla valorizzazione. Difatti, l’art. 152 dello stesso decreto legislativo considera la valorizzazione come compito che Stato, regioni ed enti locali avrebbero dovuto curare ciascuno nel proprio ambito. Tuttavia le espressioni che, isolatamente considerate, non denotano nette differenze tra tutela e valorizzazione, riportate nei loro contesti normativi, dimostrano che la prima è diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale; ed è significativo che la prima attività in cui si sostanzia la tutela è quella del riconoscere il bene culturale come tale22.
Pertanto, la valorizzazione è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest’ultima nei luoghi in cui avviene la fruizione ed ai modi di questa.
Per ciò che attiene le finalità bisogna sottolineare come esse siano in continuità con quanto precedentemente normato dal D.Lgs 112/1998, il quale indica che la funzione è da considerarsi un’attività volta a «riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali». In una medesima ottica interpretativa, la Corte ha specificato che la materia di valorizzazione è diretta soprattutto alla «fruizione del bene culturale», come successivamente ripresa dal novellato Titolo V della Costituzione23.
Quindi, l’interpretazione adottata dalla giurisprudenza costituzionale ha così fugato ogni dubbio sul piano del riparto di competenze, individuando con precisione la potestà legislativa in materia di tutela dei beni culturali, definendola una competenza trasversale la cui finalità principale è di garantire livelli di tutela uniforme sul piano nazionale.
Tuttavia, bisogna sottolineare che malgrado gli sforzi da parte della Corte Costituzionale non si è potuto evitare una sovrapposizione di competenze per via delle finalità trasversali, pur considerando che «nelle materie in cui assume primario rilievo il profilo finalistico della disciplina, la coesistenza di competenze normative rappresenta la generalità dei casi»24.
A conferma di ciò una sentenza della Corte Costituzionale del 2015 indica come la finalità della tutela si sia «intrecciata con la materia concorrente di valorizzazione e promozione nonché con alcune materie di competenza residuale regionale»25.
In tal senso bisogna evidenziare che la nostra Carta Costituzionale non prevede un criterio per fronteggiare le interferenze di competenze ed «è quindi necessaria l’adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticità consente di aver riguardo alla peculiarità delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso, qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre»26.
Si ricorda, tra l’altro, che il principio di leale collaborazione «deve governare i rapporti tra lo Stato e le Regioni nelle materie e in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrono o si intersechino imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi», ponendo lo Stato in una posizione di pari ordinazione e sicuramente non in un rapporto di supremazia negli organi sottostati27. Quest’ultimi sono tenuti a collaborare secondo «una concezione orizzontale – collegiale […] più che a una visione verticale-gerarchica degli stessi»28.
Pertanto, utilizzando il menzionato principio come chiave di lettura dell’art. 9 Cost., si osserva che è alla Repubblica che viene attribuito il compito di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, e ciò può essere raggiunto attraverso l’intento di «promuovere il concorso o la collaborazione, nella sfera di rispettiva competenza, delle strutture centrali e locali»29.
Inoltre, è importante rilevare che il predetto principio è da intendersi come uno strumento da adottare in ultima istanza, utilizzabile dalla Giustizia Costituzionale per interpretare il riparto delle competenze non altrimenti risolvibile attraverso il criterio di prevalenza. Per questa ragione tale principio è una soluzione residuale ed è di carattere eccezionale solo se «non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa»30.
In sostanza «questa norma non postula una riserva statale, ma è intesa a promuovere il concorso o la collaborazione, nella sfera di rispettiva competenza, delle strutture centrali e locali per il migliore perseguimento di un grande obiettivo di civiltà»31.
Gli organi preposti dovranno anzitutto valutare l’ambito materiale «interessato»32 individuando «la ratio dell’intervento legislativo nel suo complesso e nei suoi aspetti fondamentali, non anche aspetti marginali o effetti riflessi dell’applicazione della norma»33.
Ciò significa che «Talvolta la valutazione circa la prevalenza di una materia su tutte le altre può rivelarsi impossibile e avallare l’ipotesi (…) di concorrenza competente che apre la strada all’applicazione del principio di leale collaborazione. In ossequio a tale principio il Legislatore statale deve predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a difesa delle loro competenze»34.
Si ricorda, infine, che l’art. 118, co. 1 sancisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Inoltre, il co. 3 dello stesso articolo ribadisce che la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Per tali ragioni, qualora non vengano definite forme di intesa e di coordinamento per l’esercizio delle funzioni amministrative in un’ottica di leale collaborazione tra lo Stato e gli Enti territoriali, si potrebbero verificare degli ostacoli insuperabili alla conclusione del procedimento35.
Tra l’altro il co. 3 dell’art. 116 della Cost. definisce ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alla lettera s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 11936.
Inoltre, per quanto riguarda le funzioni amministrative, il co. 3 dell’art. 118 della Cost. sancisce che la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali37.
3. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In ottemperanza a quanto previsto, il legislatore nel 2004 ha emanato il Codice dei beni culturali con cui ha definito e circoscritto le materie di tutela e valorizzazione.
L’art. 1, co. 6, del Cod. afferma che «Le attività concernenti la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale indicate ai commi 3, 4 e 5 sono svolte in conformità alla normativa di tutela».
In particolare l’art. 3, co. 1 del predetto Codice, specifica che la «tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione».
Per ciò che, invece, attiene la potestà legislativa concorrente fra Stato e Regioni, l’art. 6, co. 1, prevede che la valorizzazione «consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività̀ dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso».
In relazione, poi, al coordinamento delle diverse materie, l’art. 6, co. 2, afferma che la valorizzazione «è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze»38.
Tuttavia, malgrado lo sforzo da parte del legislatore di attuare una riforma organica e delineare e circoscrivere le materie di competenza, i contenziosi amministrativi tra Stato, Regioni e Autonomie locali, sono stati numerosi. Ciò dovuto essenzialmente alla difficoltà di interpretazione delle norme39.
Quindi, gli artt. 3-8 del Codice ridisegnano l’assetto delle competenze in materia di beni culturali, in funzione dei nuovi criteri di riparto delle funzioni legislative e amministrative previste sia dall’art. 117che dall’art. 118 della Cost..
In particolar modo gli artt. 6-8 del Codice definiscono le competenze della tutela e della valorizzazione secondo quanto previsto proprio dall’art. 117, commi 2 e 3. Nella tutela, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientrano la regolazione, la protezione, la difesa e l’amministrazione giuridica dei beni culturali40. Nella valorizzazione rientrano tutte quelle attività di intervento integrativo e migliorativo finalizzate alla fruizione pubblica dei beni compatibile con la tutela, rivestendo in tal modo “una posizione complementare se non ancillare rispetto alle funzioni di tutela”41.
Bisogna sottolineare che il Codice si allontana da quelle riforme amministrative previste nel 1998 e da questo punto di vista non definisce ulteriori attività diverse dalla tutela e dalla valorizzazione. In tal caso, si evidenzia anche che il Codice supera la gestione dei beni prevista dal D.lgs. n. 112, contribuendo così «ad eliminare le difficoltà che si opponevano ad una chiara individuazione di quali fossero gli ambiti che qualificavano la valorizzazione distinguendola dalla gestione»42.
Dunque, il Codice si occupa di dettare la disciplina legislativa delle funzioni di tutela quale competenza esclusiva dello Stato e i principi fondamentali da osservarsi nella disciplina legislativa della valorizzazione da parte delle Regioni43.
Per ciò che riguarda, invece, il riparto delle funzioni amministrative in materia di tutela previste dagli artt. 4 e 5 del Codice nulla si rinnova rispetto alle precedenti discipline44. In tal senso, difatti, l’art. 118 Cost., superando il principio del parallelismo, dispone che le funzioni amministrative spettino in via primaria al comune, secondo il principio di sussidiarietà, anche se ciò può avvenire in senso contrario ovvero nelle materie di competenza esclusiva dello Stato45. Il Codice, invece, all’art. 4, stabilisce che, al fine di garantire l’esercizio unitario delle funzioni di tutela, secondo quanto previsto dall’art. 118 Cost., tutte le funzioni stesse sono riservate allo Stato e per esso al Ministero dei beni culturali che può conferirle alle regioni. Pertanto, facendo conciliare nuovamente la competenza legislativa con la competenza amministrativa non viene superato il principio del parallelismo. Sul punto, difatti, buona parte della dottrina è critica sostenendo che sia “sconcertante” che il Ministero possa decidere di arrogarsi a sé l’esercizio delle funzioni oppure di demandarle alle Regioni “tramite forme di intesa e coordinamento”, attraverso atti normativi sub-legislativi e previsti con legge come prevede per l’appunto dall’art. 118 della Cost.46.
Per ciò che riguarda, invece, la valorizzazione, il Codice non si discosta dal d.lgs. n. 112 del 1998, caratterizzandosi per essere dirette alla promozione, al sostegno della conoscenza e alla fruizione del patrimonio culturale, escludendo, giustamente, gli ambiti della gestione47. In particolar modo, il Codice non si occupa della valorizzazione assegnato alle Regioni ma la riduce a compito proprio del soggetto che ha la disponibilità del bene, come normato in precedenza dal d.lgs. n.11248.
L’art. 6 del Codice recepisce il criterio dell’attinenza della «valorizzazione alla titolarità del bene (criterio dominicale) e si definiscono le attività di valorizzazione che lo Stato (per i propri beni) e le regioni (per gli altri beni) sono chiamati a porre in essere (comma 1); viene ribadita la subordinazione della valorizzazione alle prioritarie esigenze della tutela (comma 2) la quale “sembra assurgere a parametro e limite, capace di definire l’estensione e le modalità di esercizio degli interventi in materia di beni culturali”; infine, viene recepito, anche per la valorizzazione, quel principio di sussidiarietà orizzontale che l’art. 118, comma 4, Cost., ha elevato a criterio per l’allocazione e l’esercizio delle attività di interesse generale (comma 3)»49.
L’art. 112 del Codice si occupa del riparto di competenze e specifica gli ambiti. Più precisamente nel disciplinare le funzioni e le attività di valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato, ne fa derivare un’integrazione al «principio dominicale per cui lo Stato ha competenza a determinare i principi in tema di valorizzazione, indipendentemente dalla titolarità del bene mentre per i beni ricadenti nella sua disponibilità e presenti negli istituti e nei luoghi di cultura dello Stato stesso, quest’ultimo è competente ad emanare anche la normativa di dettaglio. Ciò stabilito, alle Regioni resta la formulazione di disposizioni per l’attuazione della valorizzazione di beni non di proprietà o non nella disponibilità dello Stato»50.
4. Il ruolo delle Regioni sul tema del patrimonio culturale.
Come si è avuto modo di analizzare, in materia di cultura, non vi era una riserva di competenza statale. Ciò aveva, però, portato ad interpretare le disposizioni costituzionali originarie, affidando alle Regioni le materie dei musei e delle biblioteche di enti locali, nonché la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e naturale51.
Gli Statuti regionali52, a partire dagli inizi degli anni settanta, pur con formule differenziate, regolamentavano il patrimonio culturale sulla base dell’art. 9, designando la cultura, la difesa dell’ambiente e del patrimonio storico-artistico in stretta correlazione con lo sviluppo della persona umana nella società53.
Per definire ruoli e compiti dei Comuni e delle province in ambito culturale viene promulgata la l. n. 142/1990. La nuova legislazione assegna agli enti territoriali le competenze amministrative in materia di valorizzazione dei beni di interesse provinciale presenti nei corrispondenti territori. In tale contesto nascevano organismi e fondazioni per la gestione di beni culturali. Con il D.lgs. n. 112/1998, invece, si avvia la fase di attuazione del decentramento amministrativo regionale, attraverso una puntuale e completa ricognizione delle modalità organizzative54. Con la revisione costituzionale del 2001 le Regioni attuano una serie di riforme in materia di beni e attività culturali in linea con quanto disposto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio:
la Liguria disciplina l’intero settore della cultura nel 2006 con il testo unico (l.r. n. 33/2006);
la Sardegna approva la legge regionale recante norme in materia di beni culturali, istituti e luoghi della cultura (l.r. n. 14/2006);
la Toscana interviene sull’approvazione di un testo unico su beni, istituti e attività culturali (l.r. n. 21/2010);
La Regione Puglia interviene con l’approvazione di una legge regionale (l.r. n. 17/2013);
La Basilicata interviene con legge regionale al fine della valorizzazione, gestione e fruizione dei beni materiali e immateriali della Regione (l.r. n. 27/2015);
Il Friuli Venezia Giulia approva la legge regionale recante norme in materia di beni culturali (l.r. n. 23/2015);
le Marche adottano una legge di riordino in materia di beni e attività culturali (l.r. n. 4 del 2010);
la Lombardia adotta una legge sulle politiche culturali (l.r. n. 25/2016);
il Piemonte detta disposizioni coordinate in materia di cultura (l.r. n. 11/2018),
il Lazio interviene con una legge in materia di servizi culturali e di valorizzazione culturale (l.r. n. 24/2019);
il Veneto approva la legge regionale disciplinando gli interventi regionali in materia di valorizzazione dei beni culturali e di promozione e organizzazione di attività culturali e di spettacolo (l.r. n. 17/2019).
Da tali modifiche regionali si evince la volontà, da parte delle Regioni, di creare dei modelli di collaborazione tra vari Enti, soggetti pubblici, operatori e soggetti privati al fine di perseguire l’omogenea e qualificata distribuzione dell’offerta culturale sui territori regionali55.
Va sottolineato che in molte Regioni sono state attuate normative, anche in modo sperimentale, in materia “ecomusei”56, progetti integrati di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, espressioni di una comunità locale, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile di un determinato territorio57.
Da quanto finora analizzato, si evince la centralità del ruolo delle Regioni lasciando ai margini il ruolo degli enti locali che, salvo alcune eccezioni, non assolvono funzioni autonome58. Pur tentando di superare tale accentramento regionale con leggi ordinarie di carattere non più generali ma con interventi puntuali, ancora alcune Regioni, pur avendo intrapreso un nuovo percorso di modifica del loro ruolo facendosi interpreti «di un modello non solo di amministrazione ma di governo del settore», lasciano agli altri livelli di governo esclusivamente «lo spazio delle scelte locali, senza aprire loro quello delle scelte regionali e della loro attuazione»59.
5. Ulteriori forme di autonomia richieste da alcune Regioni.
Analizzato il ruolo delle Regioni sul tema del patrimonio culturale, è utile ora occuparci delle richieste formulate ai sensi dell’art. 116, co. 3 Cost. dalla Regione Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, in merito alla tutela e valorizzazione dei beni culturali, quali ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Di seguito vengono riportate, divise per funzioni, le richieste avanzate dalle Regioni avente per oggetto l’autonomia legislativa, intesa come potere di disciplinare con legge la materia «tutela dei beni culturali» nonché le correlate funzioni amministrative.
5.a. Il caso Lombardia.
La Regione Lombardia, all’art. 49 della bozze di intesa per la richiesta di attribuzioni di ulteriori funzioni, chiedeva la competenza legislativa e amministrativa nella materia “tutela dei beni culturali” presenti sul territorio regionale, inclusi i beni culturali statali dei quali sono contestualmente attribuite alla Regione stessa la titolarità e la gestione. Detta richiesta, però, non è stata ancora accolta o non ancora definita.
In merito al Patrimonio librario, all’art. 53, la Lombardia ha richiesto le attribuzioni per le funzioni legislative e amministrative in materia di tutela e valorizzazione che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni, non appartenenti allo Stato.
Per ciò che riguarda, invece, la funzione di valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, la proposta dell’art. 51 non è stata accettata. L’articolo in questione prevedeva che nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 nonché dei livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di appartenenza pubblica, adottati ai sensi dell’articolo 114 del medesimo decreto legislativo, alla Regione venissero attribuite la potestà legislativa e le funzioni amministrative in materia di valorizzazione di istituti e luoghi della cultura appartenenti allo Stato e dei beni culturali ivi presenti con l’attribuzione delle relative risorse umane, finanziarie e strumentali.
Al fine di assicurare l’esercizio delle competenze di cui al comma 1, si proponeva il trasferimento alla Regione Lombardia delle funzioni esercitate dalle Soprintendenze archeologiche, belle arti e paesaggio e la Soprintendenza archivistica e bibliografica, presenti sul territorio regionale, con l’attribuzione delle relative risorse umane, finanziarie e strumentali.
5.b. Il caso Emilia-Romagna.
La Regione Emilia-Romagna, all’art 61 della bozza di intesa tra Stato e Regione, chiedeva ulteriori competenze legislative ed amministrative nella materia della tutela dei beni culturali, della valorizzazione dei beni culturali nonché della promozione e organizzazione di attività culturali, di cui all’articolo 117, co. 2, lettera s), e co. 3 Cost. ma ancora non è stata accolta o non definita.
Le finalità della Regione erano quelle di ricomporre il sistema delle competenze in materia di tutela e valorizzazione dei beni librai, anche mediante un’azione di supporto agli enti locali ed ai titolari dei medesimi beni; costituire un sistema museale regionale integrato, finalizzato a rendere maggiormente efficaci ed efficienti gli interventi di valorizzazione dei musei presenti sul territorio regionale, ivi compresi quelli di proprietà statale, allo scopo di potenziare le condizioni di conservazione integrata, conoscenza e fruizione delle collezioni museali emiliano-romagnole; garantire un governo unitario e coordinato delle risorse nazionali, regionali e comunali in materia di spettacolo dal vivo e cinema, attraverso maggiori competenze di tipo programmatorio e gestionale concernenti il Fondo Unico per lo Spettacolo e il Fondo per lo sviluppo e gli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo.
Come l’articolo precedente, anche l’art. 62 riguardante la tutela e valorizzazione dei beni librari non appartenenti allo Stato non è stato accolto o ancora non definita. L’Emilia-Romagna chiedeva le attribuzioni delle funzioni amministrative di tutela e valorizzazione disciplinate dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni, non appartenenti allo Stato.
Inoltre, la Regione chiedeva ulteriori competenze legislative connesse all’esercizio delle predette funzioni.
Per ciò che riguarda, invece, la funzione di valorizzazione del patrimonio museale presente nel territorio regionale, l’art. 63 è stato accolto. In particolare si prevede che nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dei livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di appartenenza pubblica, adottati ai sensi dell’articolo 114 del medesimo decreto legislativo, alla Regione siano attribuite la potestà legislativa e le funzioni amministrative in materia di valorizzazione degli istituti e luoghi di cultura appartenenti allo Stato e dei beni culturali ivi presenti sul territorio reginale.
Alla Regione sono altresì attribuite le funzioni amministrative, da esercitare in maniera congiunta con lo Stato, in materia di valorizzazione degli istituti e luoghi di cultura appartenenti allo Stato e dei beni culturali ivi presenti.
La Regione Emilia-Romagna e il Ministero hanno definito con appositi accordi le modalità della gestione congiunta concernente la valorizzazione dei beni culturali di cui al comma 2. La tutela dei beni culturali e delle collezioni museali presenti negli istituti e luoghi della cultura di cui ai commi 1 e 2; le determinazioni afferenti al prestito delle opere d’arte e la concessione in uso, continuano a essere esercitate dal Ministero.
Con riferimento agli istituti e luoghi della cultura di cui al comma 1, la Regione assicura il rispetto dei livelli minimi uniformi di qualità adottati ai sensi dell’articolo 114, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Al fine di assicurare l’esercizio delle funzioni previste, sono trasferite alla Regione Emilia-Romagna le funzioni esercitate dalle Soprintendenze archeologiche belle arti e paesaggio e la Soprintendenza archivistica e bibliografica, presenti sul territorio regionale, con l’attribuzione delle relative risorse umane, finanziarie e strumentali.
4.c. Il caso Veneto.
La Regione Veneto, con l’art. 45 in materia dei beni culturali chiedeva l’attribuzione della competenza legislativa nella materia “Tutela dei beni culturali”, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, con riferimento ai beni culturali, immobili e mobili, presenti sul territorio regionale, nonché la relativa competenza amministrativa. Tra l’altro al co 2 veniva rinnovato il principio di leale collaborazione con lo Stato ma l’articolo in questione non veniva accolto o non definito.
Per ciò che riguarda, invece, la funzione di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e promozione e organizzazione di attività culturali di cui all’art. 46 della bozza la richiesta non è stata accolta.
L’articolo in questione prevedeva di attribuire alla Regione Veneto la competenza legislativa in materia di “Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”, ai sensi dell’articoli 117 della Costituzione.
La competenza legislativa di cui al comma 1 ha ad oggetto la valorizzazione di tutti i beni presenti sul territorio regionale e l’organizzazione di attività culturali e di spettacolo, nonché la disciplina degli interventi a favore del patrimonio culturale di origine veneta che si trova all’estero.
Alla Regione Veneto è attribuita la competenza amministrativa di valorizzazione in relazione a tutti i beni, anche paesaggistici, presenti sul territorio regionale, oltre che la competenza amministrativa in relazione alla promozione e organizzazione di attività culturali e di spettacolo, inclusa la gestione del Fondo Unico per lo Spettacolo.
Al fine di assicurare l’esercizio delle funzioni di cui ai commi sono trasferite alla Regione Veneto le funzioni alla stessa assegnate dalle Soprintendenze archeologiche belle arti e paesaggio e la Soprintendenza archivistica e bibliografica con le attribuzioni delle relative risorse.
6. Tutela e valorizzazione dei beni culturali quali forme particolari di autonomia.
Le proposte in merito alla tutela e la valorizzazione dei beni culturali quali ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, possono essere ricondotte all’interno di uno dei seguenti tipi di competenze, ossia: legislativa concorrente; legislativa primaria; integrativa istituzionalizzata o di tipo «tendenzialmente esclusivo»60.
A primo impatto, ricondurre la tutela dei beni culturali tra le materie di competenza concorrente sembrerebbe la soluzione migliore, in quanto l’appartenenza originaria della materia rientra nell’elenco di cui all’art. 117, co. 2, Cost. In tal caso il legislatore nazionale fisserebbe dei principi, lasciando alla Regione l’adozione delle norme di dettaglio.
Bisogna, però, sottolineare che tale ricostruzione sembra apparire illogica sotto il profilo sistematico. In effetti le Regioni, oltre alla richiesta di «competenze legislative e amministrative nella materia de quo, hanno avanzato ulteriori forme di autonomia con riferimento alla materia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, di cui già detengono la competenza legislativa concorrente. È chiaro che le Regioni, con riguardo a tale ultima materia, aspirino ad ottenere una competenza più ampia rispetto a quella che già detengono. Ammettere però che l’esclusività in materia di valorizzazione possa coesistere con una competenza concorrente in materia di tutela, appare non in linea, sul piano logico, con la manifesta volontà delle Regioni di ottenere maggiori spazi di autonomia: semmai appare più utile ottenere l’esclusività in ambedue le materia, al fine di limitare al minimo le ingerenze dello Stato»61.
Alla stregua di quanto di competenza delle Regioni a Statuto speciale è possibile valutare una competenza legislativa ti tipo primario. In tal caso sarebbe necessario il rigoso rispetto dei principi generali dell’ordinamento e non dei principi fondamentali da cui è limitata la concorrenza concorrente62.
Altra valutazione potrebbe essere quella di ricondurre la competenza a integrativa istituzionalizzata. Ciò troverebbe attuazione a prescindere dalla delega da parte del legislatore nazionale, in quanto materia prevista dalla normativa statutaria. Il legislatore regionale, quindi, «sarebbe sottoposto al rispetto degli atti legislativi statali incidenti sulla materia, ma resterebbe affrancato da qualsiasi intervento statale specifico ed operante sul solo territorio regionale»63.
Altra valutazione è la competenza di tipo «tendenzialmente esclusivo». Parte della dottrina ha inteso definire la natura della competenza residuale delle Regioni ex art. 117, co. 4 Cost., contrapponendola alla competenza esclusiva delle Regioni ad autonomia speciale. La potestà legislativa regionale, quindi, incontrerebbe i limiti imposti dal co. 1 dell’art. 117 Cost. e cioè il «rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» nonché dei casi di attrazione in sussidiarietà ad opera del legislatore statale64.
Pertanto, la soluzione più opportuna sarebbe quella di competenza integrativa istituzionalizzata per analoghe esperienze rinvenibili negli Statuti speciali, che ammettono, al fianco di competenze integrative, l’esistenza di competenze primarie piene.
A tal proposito le richieste delle Regioni Lombardia e Veneto non sembrano adattarsi in questo senso, anzi, sembrerebbero piuttosto rivolte a costituire una sorte di “neocentralismo regionale” facendo traslare la competenza nazionale a quella regionale che in tal caso si verrebbero a configurare «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia»65.
Per ciò che attiene, invece, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, le Regioni a statuto ordinarie già sono investite delle competenze previste nell’art. 117, co. 3 Cost.66.
Tali funzioni, assieme alla relativa competenza amministrativa, è ripartita in base al principio dominicale. In effetti, come accennato in precedenza, la sentenza della Corte Cost. 26/2004 ha introdotto il principio secondo il quale ognuno di questi enti è competente ad espletare tale funzione nei riguardi di quei beni culturali di cui è titolare. In altre parole, anche se lo Stato in materia di valorizzazione è tenuto esclusivamente a dettare i principi fondamentali, può, secondo la Corte, legittimamente dettare una normativa di dettaglio, nonché svolgere le relative funzioni amministrative fintantoché il bene culturale permane nelle sue disponibilità
Tra l’altro il co. 3 dell’art. 116 della Cost. definisce ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alla s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 11967.
Inoltre, per quanto riguarda le funzioni amministrative, il co. 3 dell’art. 118 della Cost. sancisce che la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali68.
Al riguardo, per ciò che attiene la competenza amministrativa, è intervenuta la Corte Cost. 26/2004 che ha introdotto il principio dominicale secondo il quale ognuno di questi enti è competente ad espletare tale funzione nei riguardi di quei beni culturali di cui è titolare. Lo Stato, quindi, in tema di valorizzazione, pur indicando i principi fondamentali, può legittimamente dettare una normativa di dettaglio e svolgere le corrispondenti funzioni amministrative fintantoché il bene culturale permane nelle sue disponibilità69.
Pertanto, la richiesta avanzata dalla Regione Lombardia, in merito al trasferimento della titolarità dei beni culturali dallo Stato alla Regione, si identifica nel limitare l’ambito di intervento statale in materia di valorizzazione altrimenti accordato dall’interpretazione della giurisprudenza costituzionale.
Tale attribuzione è configurata in termini di competenza legislativa integrativa istituzionalizzata ovvero piena (o primaria), posto che le Regioni sono già competenti in via concorrente (e nel modo che si è visto) in materia di valorizzazione70.
In tale direzione le richieste dalle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia hanno come incipit: «Nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dei livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di appartenenza pubblica, adottati ai sensi dell’articolo 114 del medesimo decreto legislativo».
La formula espressa, quindi, indica il carattere legislativo integrativo istituzionalizzato. Di visione opposta è quella della Regione Veneto che all’art. 46 lascia propendere per una configurazione in termini di autonomia legislativa piena, non essendo la Regione vincolata al rispetto dei principi fondamentali della materia.
La richiesta della Regione Emilia-Romagna (art. 63) pur non definita nei dettagli, sembra piuttosto propensa in una dialettica equilibrata con lo Stato secondo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo de quo, in cui le funzioni amministrative affidate alla Regione devono essere svolte «in maniera congiunta con lo Stato» ed ancora, al comma 3 si prevede la stipula di «appositi accordi» al fine di definire le modalità della gestione congiunta concernente la valorizzazione dei beni culturali71.
La richiesta avanzata dalla Regione Lombardia, di prevedere il passaggio di titolarità della proprietà dei beni culturali statali e di ridefinire l’apparato amministrativo, risulta in contrasto con il concetto stesso di bene o istituto di «rilevante interesse nazionale». In tale contesto, quindi, l’intento della Lombardia è quello di un «“pluralismo operativo” in cui il bene culturale è sempre legato al territorio in cui è collocato e rispetto al quale, soltanto una politica di “conservazione programmata” contestualizzata su una dimensione specifica, consentirà di promuoverlo e di valorizzarlo nel modo più efficace»72. Per raggiungere tale scopo non è necessario il mero passaggio di proprietà bensì predisporre forme di decisione partecipate, che riconoscano alle Regioni la possibilità di intervenire con il meccanismo dell’intesa, più che con quello della «autonomia differenziata ovvero della legislazione concorrente, nelle decisioni inerenti il patrimonio culturale presente sul proprio territorio»73.
7. Note conclusive
Analizzando le proposte di differenziazione in materia di beni culturali delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto si percepisce come quest’ultime due sviluppino maggiori criticità rispetto a quella della Regione Emilia-Romagna, che appare perseguire una più equilibrata collaborazione tra Stato-Regione. Le proposte avanzate dalla Lombardia e dal Veneto, invece, si configurano come un nuovo centralismo74.
Da un punto di vista sostanziale, è utile interrogarsi se le richieste avanzate dalle tre Regioni possano essere regolate da meccanismi già fissati nella disciplina dei beni culturali o nell’art. 116, co. 3, Cost.75. Quest’ultimo articolo, difatti, diviene “strumento di rifinitura e di messa a punto di quote di decisione e di funzioni aggiuntive ritagliate su misura per le specifiche esigenze di singole realtà regionali in una sorta di nuova fase di regionalizzazione“76.
A tal proposito, è necessario ricordare che l’art. 5, co. 3 del Codice dei beni culturali prevede che «sulla base di specifici accordi o intese […], le Regioni possono esercitare le funzioni di tutela su manoscritti, autografi etc.», e il comma successivo afferma che «nelle forme previste dal comma 3 e sulla base dei princìpi di differenziazione ed adeguatezza, possono essere individuate ulteriori forme di coordinamento in materia di tutela con le regioni che ne facciano richiesta».
Peraltro, l’art 112, co. 4 del Codice dei beni culturali stabilisce che «lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica».
L’art. 5 e l’art. 112 del Codice dei beni culturali prevedono che le Regioni, tramite intese e accordi, possono esercitare tanto funzioni di tutela quanto funzioni di valorizzazione.
Dunque, le Regioni Lombardia e Veneto, per avere una maggiore autonomia, hanno scelto la strada più complicata e non hanno sicuramente tentato di implementare maggiormente il ricorso a strumenti presenti già nella normativa di settore77.
A tal proposito, l’art. 102, co. 5 dello stesso Codice, prevede: «Mediante gli accordi di cui al comma 4 il Ministero può altresì trasferire alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, la disponibilità di istituti e luoghi della cultura, al fine di assicurare un’adeguata fruizione e valorizzazione dei beni ivi presenti».
Tra l’atro bisogna ulteriormente sottolineare che l’accordo Stato-Regione risulta perfettamente in linea con quanto previsto dall’art. 118, co. 3 Cost., il quale prevede che «la legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali».
L’art. 119, co. 5 Cost. sancisce che: «Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni». Tra gli «interventi speciali» possono, quindi, rientrare quelle particolari esigenze di tutela del patrimonio storico e artistico78.
Alla luce di quanto finora analizzato si può dedurre che, pur essendo presenti nel nostro ordinamento puntuali riferimenti in merito alla tutela e valorizzazione del Beni culturali, le tre Regioni hanno omesso (in parte) di prenderli in considerazione.
In conclusione, considerato che l’art. 9 Cost. si dedica alla cultura e che si trova nella prima parte della Costituzione in cui sono espressi i Principi Fondamentali, ciò «offre una indicazione importante sulla “missione” della nostra Patria, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo, dobbiamo essere fedeli. La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni»79.
Note
1* Dottore di ricerca in Scienze Giuridiche e Politiche.
F. MORANTE, I beni culturali, in arteweb.eu, 2012, pp. 2-3.
2 Si tratta di beni pertinenti alla natura (flora, fauna, minerali) e creati dall’uomo per dimostrazioni scientifiche che, spesso raccolti in collezioni e musei, hanno assolto funzione didattica e dimostrativa e conservano valore intrinseco assoluto e storico.
3 Beni di pertinenza delle arti e tradizioni popolari e della cultura materiale, in stretta connessione con il contesto di provenienza.
4 Raccolte di biblioteche, archivi, singoli documenti pubblici e quelli privati se di notevole interesse storico.
5 Vi sono poi delle altre categorie considerate residuali a prescindere dalla loro specifica inclusione in quelle sopramenzionate, come affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli e altri ornamenti di edifici, esposti o meno alla pubblica via; studi d’artista individuati con decreto ministeriale; aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale; fotografie ed esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o sequenze di immagini in movimento o comunque registrate, nonché documentazioni di manifestazioni sonore o verbali, comunque registrate, la cui produzione risalga a oltre 25 anni; mezzi di trasporto aventi più di 75 anni; beni e strumenti aventi interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di 50 anni. La legge può individuare in ogni caso altri beni da assoggettare alla disciplina dei beni culturali in quanto rappresentano testimonianza avente valore di civiltà. Sul tema cfr L. CASINI, Todo es peregrino Y Raro: Massimo Severo Giannini e i beni culturali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 3/2015, PP. 987-1005.
6 Beni culturali e ambientali, in Enciclopedia online Treccani, pp. 1-2.
7 G. TRENTA, Qualche riflessione sulla recente modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione e la valorizzazione dell’ambiente, in D.C.C. DI PAOLA, G. TRENTA (a cura di), La valorizzazione costituzionale dell’Ambiente. (Articoli 9 e 41 Costituzione), AmbienteDiritto, 2023, pp. 2-35.
8 P. BILANCIA, Diritto alla cultura. Un osservatorio sulla sostenibilità culturale, Diritti culturali e nuovi modelli di sviluppo. La nascita dell’Osservatorio sulla sostenibilità culturale, ESI, Napoli, 2016. M. BARBATO, Il riparto di competenze tra Stato e Regioni nella valorizzazione dei beni culturali, in De Iustitia, giugno 2023, pp. 2 ss.
9 F. MERUSI, Articolo 9, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione. Art. 1-12. Principi fondamentali, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1975, pp.455-456. L’autore si sofferma sul termine «Repubblica» che viene impiegato nella Costituzione per indicare sia lo Stato-persona inteso come Stato apparato centrale contrapposto alle autonomie territoriali che Stato-ordinamento con le sue articolazioni territoriali.
10 A tal proposito anche la giurisprudenza costituzionale è intervenuta nel merito affermando con la sentenza n. 359/ 1985 che il termine Repubblica menzionato nell’art. 9 è inteso e comprensivo “di tutte le istituzioni pubbliche”, concetto ribadito poi con la decisione n. 307/2004 nella quale si sostiene che il perseguimento dello sviluppo della cultura “fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione) anche al di là del riparto delle competenze fra Stato e Regioni di cui all’art. 117 della Costituzione”.
11 D. NARDELLA, I beni culturali tra Stato e regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, in Dir. pubbl., 2/2002, 674.
12 Legge Costituzionale del 18 ottobre 2001, n.3, riforma del Titolo V che ridisegna il riparto di competenze.
13 Inteso sia come materiale che intangibile.
14 S. MABELLINI, Beni culturali (Valorizzazione dei), in G. GUZZETTA, F.S. MARINI E D. MORANA, Le materie di competenza regionale. Commentario, Napoli, ESI, 2015, pp. 67 ss.
15 G. FAMIGLIETTI, M. NISTICO’, N. PIGNATELLI, Codice dei beni culturali ragionato, Molfetta (BA), Nel diritto, 2020.
16 A. D’ATENA, Regione (in generale), in Enc. dir., XXXIX, Milano, Giuffrè, 1988, pp. 334 ss.
17 Sul punto occorre ricordare la prima regionalizzazione approvata con la legge delega n. 281/1970 e attuata nel D.P.R. n. 3/1972. VOLPE, Tutela del patrimonio storico-artistico nella problematica della definizione delle materie regionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2/1971, pp. 383 ss. Successivamente con il D.P.R. n. 616/1977 venivano estese ulteriori competenze regionali. A. BARBERA, F. BASSANINI (a cura di), I nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali, Milano, Giuffrè, 1978. Con il D.lgs. n. 112 del 1998, sempre a Costituzione invariata, vengono trasferite ulteriori competenze dallo Stato alle Regioni. Per i beni culturali venne definita la riserva statale delle funzioni e dei compiti di tutela e la gestione dei musei statali, secondo il principio di sussidiarietà, trasferita alle regioni, alle province o ai comuni. M. STIPO (a cura di), Commento al d.lgs. n. 112/1998. Il nuovo modello di autonomie territoriali. S. AMOROSINO, Beni e attività culturali, in M. STIPO (a cura di), Il nuovo modello di autonomie territoriali. Commento al d.lgs. n. 112/1998, Rimini, Maggioli, 1998, pp. 623 ss.
18 Nella seduta dell’8 febbraio 2022 la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva, in seconda deliberazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, la proposta di legge costituzionale A.C. 3156-B recante “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente”. La proposta di legge costituzionale era stata approvata, in seconda deliberazione, dal Senato della Repubblica il 3 novembre 2021, approvata, in prima deliberazione, dal Senato, in un testo unificato, il 9 giugno 2021 e dalla Camera il 12 ottobre 2021
19 A. PAPA, Strumenti e procedimenti della valorizzazione dei beni culturali. Ruolo dei livelli di governo e promozione delle identità̀, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006.
20 A.G. ARABIA, Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali, in Rivista giuridica on-line, ISSiRFA, CNR, 3/2020, p. 10.
21 Sentenza n. 9 del 13 gennaio 2004 della Corte costituzionale. Sulla scorta di tale approccio storico-normativo, la Corte costituzionale sottolinea come la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, nelle normative anteriori all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, siano state considerate attività strettamente connesse ed a volte, ad una lettura non approfondita, sovrapponibili. Così l’art. 148 del D.lgs n. 112 del 1998 annovera, come s’è visto, tra le attività costituenti tutela quella diretta «a conservare i beni culturali e ambientali», mentre include tra quelle in cui si sostanzia la valorizzazione quella diretta a «migliorare le condizioni di conservazione dei beni culturali e ambientali».
22 M. BARBATO, Il riparto di competenze tra Stato e Regioni nella valorizzazione dei beni culturali, op.cit, pp. 3 ss.
23 Sentenza n. 9 del 13 gennaio 2004 della Corte costituzionale.
24 Sentenza n. 232 del 16 giugno 2005 della Corte costituzionale.
25 Sentenza n. 140 del 9 luglio 2015 della Corte Costituzionale.
26 Sentenza n. 50 del 28 gennaio 2005 della Corte Costituzionale.
27 Sentenza n. 242 del 18 luglio 1997 della Corte Costituzionale.
28 Sentenza n. 31 del 27 ottobre 2006 della Corte Costituzionale. Per un maggiore approfondimento sul testa del principio della leale collaborazione cfr R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, Giappichelli, 2022, pp. 300 ss.
29 Sentenza n. 921 del 28 luglio 1988 della Corte Costituzionale.
30 Sentenze nn. 50 del 13 gennaio 2005 e 133 del 31 marzo 2006 della Corte costituzionale.
31 Sentenza n. 921 del 28 luglio 1988 della Corte Costituzionale.
32 Sentenza n. 422 del 19 dicembre 2006 della Corte Costituzionale.
33 Sentenza n. 30 del 26 gennaio 2005 della Corte Costituzionale.
34 Sentenza n. 251 del 25 novembre 2016 della Corte Cost.
35 In tal senso l’art. 118, co. 1 della Cost. sancisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Inoltre, il co. 3 La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
36 D. MONE, Autonomia differenziata come mezzo di unità statale: la lettura dell’art. 116, comma 3, Cost., conforme a Costituzione, in AIC, 1/2019, pp. 329-350.
37 A. POGGI, La difficile attuazione del Titolo V: il caso dei beni culturali, in federalismi.it, 8/2003, pp. 1-10.
38 In tal senso già l’art. 1, co. 6, del Codice prevede «Le attività concernenti la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale indicate ai commi 3, 4 e 5 sono svolte in conformità alla normativa di tutela».
39 S. BUDELLI, La tutela dei beni culturali e la resurrezione dell’interesse nazionale, in AmbienteDiritto, 1/2018, pp. 1-12. M. BARBATO, Il riparto di competenze tra Stato e Regioni nella valorizzazione dei beni culturali, op.cit., p. 3.
40 Sentenza n. 9 del 2004 della Corte Costituzionale.
41 G. PASTORI, Le funzioni dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale (art. 4), in Rivista di arti e diritto online Aedon, 1/2004, pp. 1 ss.
42 C. BARBATI, La valorizzazione del patrimonio culturale (art. 6), in Rivista di arti e diritto online Aedon, 1/2004, pp. 1 ss.
43 A.G. ARABIA, Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali, op.cit., p. 14.
44 G. SCIULLO, I beni culturali quali risorsa collettiva da tutelare – una spesa, un investimento, in Rivista di arti e diritto online Aedon, n. 3/2017, pp. 1-6.
45 Ibidem, p. 14.
46 G. PASTORI, Le funzioni dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale (art. 4), op.cit., pp. 2 ss.
47 G. CLEMENTE DI SAN LUCA, L’attuazione dell’art. 118 della Costituzione in materia di beni culturali, in C. BARBATI, G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), Cultura e governi territoriali, Napoli, Jovene, 2015, p. 39.
48 Sul punto, difatti, il Codice rimane coerente con quanto la Corte costituzionale riteneva che anche dopo l’entrata in vigore del Titolo V debbano valere i criteri che, in merito all’esercizio dell’attività di valorizzazione, aveva dettato il d.lgs. n. 112, vale a dire che essa spetti al soggetto cui compete la titolarità del bene. Per un maggior approfondimento cfr D. NARDELLA, Un nuovo indirizzo giurisprudenziale per superare le difficoltà nell’attuazione del Titolo V in materia di beni culturali?, in Rivista di arti e diritto online Aedon, 2/2004.
49 A.G. ARABIA, Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali, op.cit., p. 15.
50 Ibidem.
51 A. D’ATENA, Regione (in generale), op.cit., pp. 334 ss; VOLPE, Tutela del patrimonio storico-artistico nella problematica della definizione delle materie regionali, op.cit., pp. 383 ss.
52 A. BARBERA, F. BASSANINI (a cura di), I nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali, op.cit.
53 art.4 legge n. 480/1971 (Statuto Abruzzo); art. 5 legge n. 350/1971 (Statuto Basilicata); art. 56 legge n. 519/1971(Statuto Calabria); artt. 5 e 6 legge n. 348/1971 (Statuto Campania); art. 3 legge n. 342/1971 (Statuto Emilia-Romagna); art. 45 legge n. 346/1971 (Statuto Lazio); art. 4 legge n. 341/1971 (Statuto Liguria); art. 3 legge n. 339/1971 (Statuto Lombardia); art. 5 legge n. 345/1971 (Statuto Marche); art. 4 legge n. 347/1971 (Statuto Molise); art. 5 legge n. 338/1971 (Statuto Piemonte); art. 8 legge n. 349/1971 (Statuto Puglia); art. 4 legge n. 343/1971 (Statuto Toscana); artt. 8 e 9 legge n. 344/1971 (Statuto Umbria); art. 4 legge n. 340/1971 (Statuto Veneto). Per le specialità: artt. 4 e 6 legge cost. n. 1/1963 (Statuto Friuli Venezia Giulia); art.3, 4 e 5 legge cost. n. 3/1948 (Statuto Sardegna); art. 14 legge cost. n. 2/1948 (Statuto Sicilia); art. 8 legge cost. n. 5/1948 (Statuto Trentino-Alto Adige); artt. 2 e 3 legge cost. n. 4/1948 (Statuto Valle d’Aosta). A.G. ARABIA, Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali, op.cit., p. 23.
54 Le Regioni compiono una ricognizione delle funzioni. Alcuni esempi sono riconducibili nelle leggi regionali della: Basilicata (l.r. n. 7/1999, artt. 86-92); Calabria (l.r. n. 34/2002, artt. 143-145); Lazio (l.r. n. 14/1999, artt. 165-172); Lombardia (l.r. n. 1/2000, art. 4, commi 130-148); Molise (l.r. n. 34/1999, artt. 106-108); Piemonte (testo coordinato delle ll.rr. nn. 44/2000 e 5/2001, artt. 124-130); Puglia (l.r. n. 24/2000, artt. 19-22); Toscana (l.r. n. 85/1998, artt. 33-35) e Veneto (l.r. n. 11/2001, artt. 143-144).
55 C. BERTOLINI, I musei nel nuovo quadro costituzionale: gli obiettivi comuni dei musei pubblici e privati e lo sviluppo dei sistemi museali nella normativa regionale, in Osservatoriosullefonti.it, 2/2008, pp. 5 ss. A. GARLANDINI, L’intervento delle regioni a favore dei musei: uno scenario in profondo cambiamento, in Rivista di arti e diritto online Aedon, 2/2006, pp. 1-5.
56 Alcune delle leggi sperimentali in materia di ecomusei cfr l.r. Piemonte n. 13 del 2018 (che ha abrogato la l.r. n. 31 del 1995), l.r. Basilicata n. 36 del 2018, l.r. Lazio n. 3 del 2017 (abrogata dalla l.r. n. 24 del 2019 che prevede la disciplina degli ecomusei all’art. 21), l.r. Calabria n. 62 del 2012, l.r. Veneto n. 30 del 2012 (abrogata dalla l.r. n. 17 del 2019 che disciplina gli ecomusei all’art. 27), l.r. Puglia n. 15 del 2011, l.r. Toscana n. 21 del 2010 (artt. 19-23), l.r. Molise n. 11 del 2008, l.r. Umbria n. 34 del 2007, l.r. Lombardia n. 13 del 2007 (abrogata dalla l.r. n. 25 del 2016 che disciplina gli ecomusei all’art.19), l. Sicilia n. 16 del 2014, l.p. Trento n. 15 del 2007 (art. 20). A.G. ARABIA, Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali, op.cit., p. 27.
57 G. TRENTA, Lo sviluppo sostenibile nella tutela e valorizzazione dei beni culturali nell’era digitale, in Quotidiano Legale, n. 3/2023, pp. 1-14.
58 A. SAU, Il ruolo delle autonomie locali nel settore cinematografico: un bilancio a 15 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione, in C. BARBATI, G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), Cultura e governi territoriali, op.cit., pp. 101 ss.
59 C. BARBATI, Regioni e attività culturali, in C. BARBATI, G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), Cultura e governi territoriali, op.cit., pp. 32 ss.; A.G. ARABIA, Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali, op.cit., p. 33.
60 A. D’ATENA, Diritto regionale, Torino, Giappichelli, 2017, pp. 149-199.
61 L. DE POLI, Il regionalismo differenziato dei beni culturali, in Pausania, 15 Luglio 2019, p. 21.
62 A. D’ATENA, Diritto regionale, op.cit., pp. 146 ss.
63 L. DE POLI, Il regionalismo differenziato dei beni culturali, op.cit., p. 21.
64 A. D’ATENA, Diritto regionale, op.cit., pp.140 ss.
65 L. GENINATTI SATE’, Profili problematici dell’integrazione fra principi, regole e canoni scientifici nella gestione dei beni culturali (a proposito del tentativo di conferire l’esercizio delle funzioni di tutela in materia di archivi), in Rivista di arti e diritto online Aedon, 1/2013, pp. 1-5.
66 G. TRENTA, Riflessioni sulla valorizzazione e tutela dei beni culturali nel riparto delle competenze, in Quotidiano Legale, 2/2023, pp. 5-6.
67 D. MONE, Autonomia differenziata come mezzo di unità statale: la lettura dell’art. 116, comma 3, Cost., conforme a Costituzione, op.cit., pp. 329-350.
68 A. POGGI, La difficile attuazione del Titolo V: il caso dei beni culturali, op.cit., pp. 1-10.
69 L. DE POLI, Il regionalismo differenziato dei beni culturali, op.cit., p. 32.
70 Ibidem, pp. 32 ss.
71 G. SEVERINI, Commento all’articolo 112, in SANDULLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè, 2012.
72 G. FAMIGLIETTI, M. NISTICO’, N. PIGNATELLI, Codice dei beni culturali ragionato, op.cit., pp. 585 ss.
73 L. DE POLI, Il regionalismo differenziato dei beni culturali, op.cit., p. 35.
74 F. PALLANTE, Nel merito del regionalismo differenziato: quali «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna?, in federalismi.it, 6/2019, pp. 8 ss.
75 G. SCIULLO, Art. 116, comma 3, Cost. e beni culturali, in Le Istituzioni del Federalismo, 1/2008, pp. 98-99.
76 M. CAMMELLI, Regionalismo differenziato e patrimonio culturale: quello che resta, in Rivista di arti e diritto online Aedon, 3/2019, par. 3
77 A.G. ARABIA, Valorizzazione dei beni culturali e promozione e organizzazione di attività culturali, op.cit., p. 39.
78 G. ACCIOTTA, L’attuazione del quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione. Commento all’articolo 16 della legge n. 42 del 2009, in Commentario ANCI sulla legge delega sul federalismo fiscale, 2009, pp. 1-6.
79 Parole espresse dal Presidente della Repubblica C. A. CIAMPI in occasione della consegna della medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, Palazzo del Quirinale il 5 maggio 2003. L. DE POLI, Il regionalismo differenziato dei beni culturali, op.cit., p. 41.
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Diritto Amministrativo Dottrina Enti Locali e P.A. Fascicolo n.3/2023
Riassunto
Scopo di questa breve nota è quello di “semplificare”, anche attraverso una significativa pronuncia, la tematica dei controlli nel diritto amministrativo e quella, strettamente connessa, dell’esaurimento e/o riesercizio del potere amministrativo.
Abstract
This short research paper wants to reach the goal to make clear two particular and interesting themes concerning the administrative law, passing through the principles of law of an important italian decision.
SOMMARIO: Riassunto/Abstract; 1. Premessa: il regime dei controlli nel diritto amministrativo; 2. La riedizione del potere: focus su Consiglio di Stato, Sez. VII, n. 9757 del 7 Novembre 2022; 3. Conclusioni.
1. Premessa: il regime dei controlli nel diritto amministrativo.
I controlli si manifestano, in alcuni casi, come forme di contatto tra pubblica amministrazione e organi politici, in altri casi come forme di controllo da parte di organi indipendenti. La predetta distinzione sommaria non esaurisce neppure lontanamente la tematica, poiché la suddivisione proposta richiede anche di considerare che l’attività di controllo può esplicarsi sia nella fase precedente l’emanazione degli atti amministrativi sia nella fase immediatamente successiva. Più precisamente, in questi casi si fa riferimento ai cd. “controlli antecedenti” i quali vengano contrapposti ai “controlli susseguenti”, ovvero ai controlli posteriori all’emanazione dell’atto. I primi controlli si inseriscono nella fase procedimentale e rappresentano una forma di cd. “controllo preventivo”. I secondi, per contro, sono stati oggetto di maggiore attenzione dottrinale e giurisprudenziale, in quanto si manifestano come forme di controllo su un atto amministrativo già formato ed impongono delle riflessioni in ordine alle conseguenze sull’efficacia dell’atto a seguito del controllo nonché sul potere che residua in capo all’organo nell’ipotesi di esito negativo del controllo. Più precisamente, i controlli susseguenti possono essere confermativi e quindi confermare e garantire l’efficacia del provvedimento all’esito della comunicazione, oppure negativi o demolitori e, dunque, rimuovere l’efficacia all’atto esaminato. L’esito negativo dovrebbe, pertanto, automaticamente produrre come conseguenza una riespansione del potere dell’organo emanante l’atto, con la conseguenza che questi potrebbe essere legittimato alla riedizione del potere anche in caso di plurimi esiti negativi nell’espletamento dell’attività di controllo, la quale potrebbe essere ripetuta infinite volte, con conseguente aggravio delle procedure amministrative. Al fine di evitare tali inconvenienti, si è ritenuto opportuno limitare la possibilità di riedizione ad una sola emanazione di un successivo provvedimento.
2. La riedizione del potere: focus su Consiglio di Stato, Sez. VII, n. 9757 del 7 Novembre 2022.
Ricollegandoci alla tematica poc’anzi esposta (la quale, in verità, meriterebbe una trattazione molto più approfondita e capillare, rispetto a quella sommaria offerta, dettata dalla natura di “nota breve” dello scritto), appare evidente che:
a. il “riesercizio” del potere e, dunque, il mancato esaurimento del potere di incisione della PA nella sfera giuridica dei destinatari, costituisca logica conseguenza del totale inadempimento (con conseguente assenza di esercizio del potere anche in forma tacita);
b. lo stesso debba trovare un argine nel sistema dei controlli, onde evitare reiterazioni eccessive e ripetute in grado di generare forme di instabilità delle situazioni giuridiche soggettive.
Tenere presenti i poc’anzi indicati dati consente di comprendere con più facilità i passaggi della pronuncia in esame (par. 16.2; 16.3 e 16.4). “[…] 16.2 Il Collegio, inoltre, non ignora gli approdi della giurisprudenza della Corte di cassazione che è pervenuta a significative applicazioni dell’istituto della “Verwirkung” di matrice germanica, che si colloca nell’alveo della teorica dell’abuso del diritto e che integrerebbe una rinuncia tacita all’azione ovvero una forma di decadenza dall’esercizio di un diritto soggettivo. Travalicando i limiti di un’applicazione di detto istituto circoscritta all’ambito processuale (quale consumazione dell’azione), infatti, si è giunti ad affermare, in relazione ai rapporti contrattuali di durata, che in presenza non già di una qualsivoglia inerzia nell’esercizio del diritto di credito ma di un contegno omissivo prolungato, associato ad altre circostanze da valutare in concreto, sarebbe ravvisabile un affidamento dell’altra parte nell’abbandono della relativa pretesa, idoneo, come tale, a determinare la perdita della situazione soggettiva nella misura in cui il suo esercizio si riveli un abuso (cfr. C. Cass., Sez. Terza, 14 giugno 2021, n. 16743 e la giurisprudenza ivi richiamata). 16.3. Il quadro sinteticamente tracciato non consente, tuttavia, nella vicenda in esame, di addivenire alla conclusione dell’illegittimità del provvedimento adottato dall’amministrazione, nonostante lo stigmatizzabile ritardo con il quale ha proceduto all’espletamento dei controlli previsti in relazione al riconoscimento dell’agevolazione che viene in rilievo. 16.4. Nella fattispecie, infatti, a venire in rilievo è la situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo pretensivo della società appellante al riconoscimento della spettanza di un beneficio economico con riferimento alla quale, in esito ai controlli espletati, è emersa la carenza dei relativi presupposti. Non è in contestazione l’automatismo che ha caratterizzato la prima fase di comunicazione dell’ammissibilità della domanda, improntata su di un vaglio non sostanziale bensì estrinseco e formale, in un periodo temporale nel quale, come riconosciuto dalla stessa appellante (cfr. pag. 4 del ricorso in appello, punti 20 ss.), ancora non erano stati introdotti più penetranti obblighi di allegazione documentale funzionali a consentire all’amministrazione un più incisivo e immediato vaglio dell’istanza quanto ai profili di merito e sostanziali. Tale circostanza assume precipuo rilievo al fine di escludere la sussistenza di un legittimo affidamento meritevole di tutela, a ciò associandosi la considerazione che, come già evidenziato, non si è in presenza di un rapporto di durata in corso di svolgimento e, inoltre, la sussistenza di problematiche correlate alla posizione del laboratorio del quale si è avvalsa l’appellante non solo è stata rilevata dall’amministrazione ma è stata anche comunicata alla società. Dal raffronto tra la documentazione richiesta dall’amministrazione con la nota del 18 dicembre 2009 e quella prodotta, in riscontro, dalla società con nota del 26 febbraio 2010, emerge, peraltro, che non tutti gli elementi informativi sollecitati sono stati forniti con adeguato livello di dettaglio ed anche a voler considerare i giustificativi addotti dall’appellante che si appuntano sull’assenza, all’epoca, di linee guida esplicative e modelli di schede o formulari predisposti dall’amministrazione, le carenze emergenti in atti non possono essere ritenute irrilevanti ai fini in esame, alla luce dei puntuali contenuti della suddetta richiesta. […]
3. Conclusioni.
In conclusione, volendo chiudere il cerchio, appare evidente come il potere di riedizione sia subordinato al mancato esercizio in forma tacita del potere amministrativo ed alla esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche soggettive, ben nota anche in territorio estero.
***
Bibliografia essenziale
P. FAVA, L’impugnazione degli atti di controllo – Gli orientamenti della giurisprudenza e le relative giustificazioni di teoria generale, in Rassegna Avvocatura dello Stato n. 2/2010;
S. VILASI, I controlli amministrativi ed, in particolare, il controllo esterno della Corte dei Conti: – il controllo preventivo di legittimità sugli atti ed il controllo successivo sulla gestione (risorsa in rete);
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VII, n. 9757 del 7 Novembre 2022, in Riv. Foro Italiano, www.foroitaliano.it, con nota di Luigi D’Angelo e, full text, in www.giustizia-amministrativa.it.
Focus PROPOSTE DI MODIFICA DEL PNRR – DEFINANZIAMENTO DI ALCUNI INTERVENTI DI COMPETENZA DEI COMUNI di Carlo Rapicavoli Tra le proposte di revisione del PNRR, presentate il 7 agosto alla Commissione […]
Diritto Amministrativo Dottrina Enti Locali e P.A. Fascicolo n.3/2023Focus
PROPOSTE DI MODIFICA DEL PNRR – DEFINANZIAMENTO DI ALCUNI INTERVENTI DI COMPETENZA DEI COMUNI
di Carlo Rapicavoli
Tra le proposte di revisione del PNRR, presentate il 7 agosto alla Commissione Europea, emerge quella “di definanziare dal PNRR e di salvaguardare attraverso la copertura con altre fonti di finanziamento” alcune misure per un ammontare totale di 15,9 miliardi di euro.
(Ministro per gli Affari Europei – “Proposte per la revisione del PNRR e capitolo REPowerEU” pag. 150 – 27 luglio 2023)
Secondo il Ministro “si tratta per lo più di progetti in essere che sono confluiti nel PNRR e che in sede di attuazione e rendicontazione hanno scontato rilevanti criticità (…). La maggior parte di questi interventi è stata avviata precedentemente al Piano e all’emanazione delle sue disposizioni attuative: ciò costituisce una criticità significativa che genera il rischio di non ammissibilità. Un ulteriore profilo problematico riguarda la parcellizzazione degli interventi che, pur essendo incardinati nella titolarità di poche Amministrazioni centrali, ricadono nella competenza di moltissimi soggetti attuatori, diversi per dimensione, capacità amministrativa e solidità finanziaria. Tale circostanza ha comportato per i soggetti attuatori una concentrazione degli adempimenti e delle scadenze nel medesimo periodo temporale, determinando un carico amministrativo di difficile gestione, nonostante i numerosi strumenti di supporto messi a disposizione delle Amministrazioni titolari e attuatrici. Per taluni interventi si è riscontrato, infine, un ritardo nella fase di avvio quanto a tempi di selezione dei progetti e delle autorizzazioni, dovuto tra l’altro all’incremento dei costi dei lavori trainato dall’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia verificatosi nel corso del 2022”.
Ebbene tali misure riguardano in particolare i Comuni.
Dalla relazione non emergono alcuni dati fondamentali:
1) La terza relazione dello stato di attuazione del PNRR trasmessa al Parlamento il 31 maggio 2023 e il conseguente dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati datato giugno 2023 attestano il significativo stato di avanzamento delle misure oggetto di definanziamento rilevando, ad esempio, che nella misura “Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni”, alla data del 28 febbraio 2023, era stata già effettivamente sostenuta una spesa pari al 27,42% del totale assegnato (6 miliardi), una percentuale questa superiore alla media di tutti gli altri interventi di competenza ministeriale.
2) Non si fa cenno alle difficoltà che derivano agli Enti Locali dai ritardi da parte dei Ministeri competenti nella pubblicazione dei bandi, nella redazione degli atti di concessione, dalla complessità delle procedure imposte per la verifica e controllo, dai ritardi o, peggio, dalla mancata risposta ai quesiti o alle richieste di chiarimento;
3) Non vengono fornite indicazioni certe sulle modalità e tempi di rifinanziamento di tali misure.
A questo punto è forte la preoccupazione dei Comuni e l’urgenza di avere chiarimenti.
– Il definanziamento comporta il venir meno degli obblighi sui tempi di affidamento, esecuzione e ultimazione dei lavori previsti dal PNRR?
– Come bisogna procedere con i cantieri in corso? Chi e come garantisce la copertura finanziaria?
– Le gare in fase di espletamento vanno ultimate o sospese in attesa del nuovo finanziamento?
– Si applicano le norme di semplificazione previste per le gare con fondi PNRR o adesso bisogna applicare le procedure ordinarie?
– Quando si potrà considerare effettiva la proposta di revisione del PNRR anticipata ieri? E nel periodo intermedio, da oggi fino all’approvazione, come bisogna procedere?
I quesiti potrebbero continuare a lungo.
E’ evidente che la concertazione con Regioni, Province e Comuni non può risolversi in una mera informativa sulle proposte, per quanto valide e argomentate, ma deve essere effettiva affinché sul tavolo della discussione vengano poste tutte le criticità, non solo viste nell’ottica delle strutture centrali, ma anche di quelle locali che in questi mesi, malgrado le enormi difficoltà operative, hanno dimostrato capacità di programmazione, progettazione, e cantierizzazione degli interventi, in percentuale superiore alla media complessiva.
Lo hanno fatto i Comuni.
Lo hanno fatto le Province che già nel mese di maggio per l’attuazione dei progetti PNRR assegnati alle Province finanziati dalla Missione4 – C3 PNRR, relativi alla messa in sicurezza, l’efficientamento energetico e la costruzione di edifici delle scuole secondarie superiori, avevano già aggiudicato le gare per un importo pari al 69% del finanziamento totale assegnato – di cui un 9% si è tradotto in opere completate e consegnate alle comunità – e il restante 31% delle gare era già in fase avanzata, con aggiudicazioni previste entro l’estate.
Non si può non tenere conto di tale capacità degli Enti Locali.
Nel corso del recente incontro con Regioni, Province e Comuni, svolto il 9 agosto, il Ministro Fitto ha confermato che “nessun intervento sarà definanziato e che tutte le opere continueranno ad essere realizzate senza nessuna interruzione in quanto la proposta trasmessa oggi alla Commissione dovrà essere esaminata e solo dopo la sua approvazione si provvederà alla sostituzione della fonte di finanziamento”.
Le rassicurazioni del Ministro sono certamente una buona notizia, soprattutto per i Comuni interessati dal definanziamento per circa 13 miliardi di interventi inseriti nel PNRR e che dovrebbero trovare una nuova fonte di risorse finanziarie.
La preoccupazione permane per l’assenza di certezze sui tempi e modalità di tale sostituzione dei finanziamenti.
È essenziale assicurare la continuità; non possono esserci vuoti nella copertura finanziaria, per il rispetto delle norme sulla contabilità pubblica cui i Comuni devono ottemperare.
Nelle prossime settimane sono previste ulteriori scadenze rispetto alla tempistica PNRR che i Comuni devono necessariamente rispettare, visto che la proposta di revisione non è ancora efficace.
Sarebbe stato più opportuno fornire indicazioni certe su tempi e procedure.
Contestualmente all’approvazione definitiva, il Governo – ha affermato il Ministro – indicherà, d’intesa con il MEF, la nuova fonte di finanziamento.
Su tale aspetto fondamentale, il Ministro ha fatto riferimento al FSC – il Fondo per lo sviluppo e la coesione che, congiuntamente ai Fondi strutturali europei, è lo strumento finanziario principale attraverso cui vengono attuate le politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali in attuazione e che, com’è noto, è destinato per l’80% al Sud e per il 20% al Centro Nord. In passato, ha ricordato il Ministro, si è ampiamente derogato a tale ripartizione. Si farà allo stesso modo per rifinanziare tutti i “progetti in essere” che saranno definanziati dal PNRR?
“Le opere continueranno ad essere realizzate senza nessuna interruzione” è l’indicazione ufficiale del Ministro.
I Comuni certamente lo faranno, confidando nel “confronto costante per individuare le più opportune soluzioni in grado di assicurare la piena realizzazione del PNRR”.
Ma serve urgente chiarezza.
LA RIFORMA DELLE PROVINCE E IL SUPERAMENTO DELLA LEGGE DELRIO. di Carlo Rapicavoli Su molti quotidiani in edicola oggi 12 agosto 2023, riportando gli esiti di uno dei tanti incontri politici agostani, sono pubblicati commenti […]
Enti Locali e P.A. Notiziedi Carlo Rapicavoli
Su molti quotidiani in edicola oggi 12 agosto 2023, riportando gli esiti di uno dei tanti incontri politici agostani, sono pubblicati commenti sulla riforma delle Province in discussione al Senato, con al centro la reintroduzione dell’elezione diretta degli organi.
La Prima Commissione Permanente del Senato ha elaborato un testo unificato dei nove progetti di legge presentati da tutte le forze politiche e avviato la discussione generale con l’esame degli emendamenti, che probabilmente sarà ultimato alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa di agosto.
Come accade quasi ineluttabilmente, gran parte dei commentatori non riescono a sottrarsi alla tentazione di riportare l’attenzione esclusivamente sul “ceto politico” e sui relativi costi oppure sull’interesse politico-elettorale del momento che giustificherebbe accelerazioni o rallentamenti, trattative e scambi, per indirizzare verso la direzione più favorevole la scelta finale comunque ormai obiettivo pressoché unanimemente riconosciuto come necessario.
Da più parti – inascoltati – abbiamo segnalato l’incoerenza e la dannosità della scelta operata nel 2014, sostenuta soltanto dal tanto sbandierato taglio delle poltrone, peraltro ampiamente compensato dal proliferare di enti e agenzie intermedie, sconosciute ai più e sottratti al controllo dei cittadini elettori proprio per sopperire, in parte, al vuoto lasciato dal trasferimento delle funzioni di competenza regionale dalle Province ad altri Enti.
Ciò a dimostrazione appunto dei danni provocato dalla Legge Delrio, che non ha comportato alcun risparmio, ma soltanto inefficienza e conseguenze negative soprattutto nella gestione del patrimonio pubblico, in particolare strade e scuole.
Con l’esperienza di chi ha vissuto dall’interno gli esiti di tutto questo processo, almeno negli ultimi 25 anni, non mi stanco di segnalare che l’attenzione va posta innanzitutto sulle funzioni svolte a livello provinciale.
Un approfondimento serio su questo aspetto, sempre trascurato nel dibattito pubblico tutto concentrato sulle “poltrone”, porterebbe certamente a fare tesoro dell’esperienza, degli errori fatti cui rimediare, e dell’obiettivo reale di evitare che si ripetano con il “copia incolla”, non auspicato in primo luogo da chi opera all’interno delle Province e dalla stessa UPI che le rappresenta.
Un’analisi su quanto hanno continuato a fare le Province nell’ultimo decennio, malgrado i dissennati interventi “riformatori” del legislatore, aiuterebbe a comprendere bene l’urgenza di una riforma seria e compiuta. Le Province, malgrado ancora oggi non tutti sembrano averlo compreso, non sono state soppresse e, con difficoltà enormi, hanno continuato ad operare senza interruzioni, seppure con i tagli dissennati operati dalla Legge di Bilancio 2015 sul personale, ridotto del 50%, e su un prelievo forzoso sulle entrate proprie, che permane in parte ancora oggi, che si è tradotto nell’impossibilità di garantire anche minimi interventi sul territorio.
Con l’inversione di tendenza finalmente compresa ed avviata a partire dal 2018, si sta recuperando tutto il tempo perduto grazie alle tante professionalità che, con spirito di servizio, hanno rinunciato a trasferirsi, approfittando dalla mobilità “agevolata”, in altri Enti più sicuri e allettanti. E grazie ai Sindaci e agli amministratori comunali che, a titolo gratuito (l’indennità per il Presidente è stata ripristinata finalmente soltanto da pochi mesi) hanno assicurato il governo delle Province.
E con i finanziamenti PNRR sull’edilizia scolastica, le Province hanno dimostrato grande capacità di programmazione, progettazione e investimento. Già nel mese di maggio per l’attuazione dei progetti PNRR assegnati alle Province finanziati dalla Missione4 – C3 PNRR, relativi alla messa in sicurezza, l’efficientamento energetico e la costruzione di edifici delle scuole secondarie superiori, avevano già aggiudicato le gare per un importo pari al 69% del finanziamento totale assegnato – di cui un 9% si è tradotto in opere completate e consegnate alle comunità – e il restante 31% delle gare era già in fase avanzata, con aggiudicazioni previste entro l’estate.
Mi piacerebbe molto un confronto su questi temi, per definire finalmente un assetto ordinamentale che eviti sovrapposizioni di competenze e il proliferare di enti, che concentri su Comuni e Province le funzioni amministrative in modo chiaro, che faccia delle Province un ente ad alta specializzazione, che gestisca gli interventi sul territorio – strade, scuole, ambiente, trasporti, difesa del suolo, gestione faunistica, pianificazione territoriale di area vasta ecc. – non esercitabili a livello comunale, oltre ai servizi per i Comuni, soprattutto quelli di minore dimensione, come le stazioni uniche appaltanti o i concorsi territoriali per la selezione del personale. Mi piacerebbe che venisse definito seriamente senso e ruolo delle Città Metropolitane, create dalla Legge Delrio ma sostanzialmente identiche alle Province cui sono subentrate.
È auspicabile in questo senso che finalmente si possa procedere alla revisione dell’Ordinamento degli Enti Locali, già all’esame del Consiglio dei Ministri dell’8 agosto scorso, ormai risalente al Testo Unico del 2000 (D. Lgs. 267/2000) a sua volta frutto delle disposizioni della Legge 142/1990 e che ha visto negli anni il sovrapporsi di norme, spesso non coordinate, che necessitano di aggiornamento e semplificazione, per eliminare sovrapposizioni in particolare nell’individuazione ed esercizio delle funzioni fondamentali di Comuni e Province, risorse finanziarie certe e riconoscimento dell’autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria, sancita dalla Costituzione ma molto spesso non attuata dalla legislazione ordinaria. Auspicabile altresì che il processo di riforma tenga conto dei contenuti della delega fiscale approvata definitivamente dalla Camera e che prevede all’art. 14 “Princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema fiscale dei Comuni, delle Città Metropolitane e delle Province”, per dare finalmente riisorse certe agli Enti Locali ed attuare l’autonomia finanziaria sancita dalla Costituzione e mai attuata.
La scelta sulla elettività degli organi è una conseguenza logica del ruolo di governo del territorio di area vasta che non può che essere svolto a livello provinciale (si pensi ad esempio alla pianificazione territoriale e strategica o alla gestione dei servizi pubblici locali), evitando assemblee pletoriche. Servono Consigli Provinciali snelli e concretamente rappresentativi del territorio (l’attuale sistema non garantisce alcuna rappresentanza) e Giunte con pochi assessori che affianchino il Presidente eletto che rappresenta l’intero territorio.
Nessun ritorno al passato ma per una volta, superando la sterile ricerca di facili consensi, si ponga rimedio ad errori gravi che hanno pesato molto sui territori e si faccia davvero una “piccola” riforma, che, in quanto tale, possa essere veramente utile.
I RECENTI ARRESTI GIURISPRUDENZIALI SULLA VICENDA DEI BIODIGESTORI TRA LACUNE ORDINAMENTALI E ASSERITE VIOLAZIONI DELLA VAS. Damiano Carmelo Paternò Abstract: la vicenda dei biodigestori è al centro di un animato dibattito. Ad un certo […]
Diritto Ambientale Dottrina Enti Locali e P.A. Fascicolo n.3/2023
Damiano Carmelo Paternò
Abstract: la vicenda dei biodigestori è al centro di un animato dibattito. Ad un certo ineliminabile scetticismo manifestato da comunità ed Enti locali circa i potenziali benefici socio-ambientali connessi ai processi di digestione anaerobica dei rifiuti, si contrappone l’importanza strategica di tali infrastutture, per la cui realizzazione sono anche stati stanziati cospicui finanziamenti del PNRR. La giurisprudenza amministrativa è stata chiamata, tra l’altro, a sopperire al vulnus normativo in tema di localizzazione degli impianti in questione, nonché alle criticità emerse in sede di effettuazione delle VAS. Non mancano, infine, doglianze sul tema della carenza di potere in capo agli organi che dispongono la localizzazione di un biodigestore, come di recente accaduto nel caso paradigmatico di un Commissario straordinario chiamato, in via eccezionale, ad esercitare le competenze regionali in tema di gestione dei rifiuti.
Principali fonti normative: D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Principale appendice giurisprudenziale: Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 1072 del 31 gennaio 2023 (pubblicata il 7 marzo 2023); Tar del Lazio, Sez. V, 5 luglio 2023 n. 12163, (pubblicata il 19/07/2023).
Biodigestori; localizzazione; pianificazione rifiuti; investimenti PNRR; VAS e PAUR.
Introduzione
Negli ultimi anni, l’avvertita necessità di avviare un’economia davvero circolare ha portato alla proliferazione dei biodigestori, espressamente qualificati dal legislatore come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente» (art. 35, comma 1 del d.l. 133/2014, conv. con modif. dalla l. 164/2014).
La loro implementazione, sempre più spesso contemplata tra i macro-obiettivi definiti dal Ministero dell’ambiente in sede di Programma nazionale per la gestione dei rifiuti di cui all’art. 198-bis del d.lgs. n. 152/2006 (T.U. in materia ambientale), risponde anche ad una strategia di tendenziale autosufficienza energetica regionale. Ciò in quanto il processo di digestione anaerobica avente luogo all’interno di questi impianti di termotrattamento riesce a trasformare i rifiuti organici in compost e biogas, da cui, a seguito di un’articolata fase di purificazione e rimozione dell’anidride carbonica (nota come “upgrading”), può ricavarsi biometano.
Nell’attuale scenario, l’accresciuta importanza dei biodigestori è da ricollegare altresì alle logiche di attuazione del PNRR, essendo stati previsti per essi appositi investimenti nell’ambito della Missione 2 (“Rivoluzione verde e transizione ecologica”), Componente 1 (“Economia circolare e agricoltura sostenibile”), Misura M2C1.1.I.1.1, Linea di Intervento B, rubricata “Realizzazione nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di impianti esistenti”.
Per la precisione, per ciascuna proposta progettuale afferente alle infrastrutture strategiche in questione è erogabile un contributo a fondo perduto di importo complessivo di 40 milioni di euro, sempre che l’intervento non abbia già ottenuto, nell’ultimo ciclo di programmazione, un finanziamento a valere su fondi strutturali di investimento europeo. Tra le condizioni di ammissibilità del finanziamento de quo, meritano menzione anche l’osservanza del principio DNSH sancito dall’art. 17 del regolamento (UE) 2020/852 – che si risolve nel “non arrecare un danno significativo” contro l’ambiente – e la necessaria coerenza con gli strumenti di pianificazione di cui al d.lgs. n. 152/2006, ivi inclusi i PRGR di riferimento. Se, di converso, l’intervento non è previsto nel PRGR, il soggetto destinatario rimane onerato a corredare la proposta con un nulla osta rilasciato dal competente organo regionale, che attesti la coerenza dell’intervento con gli obiettivi del PRGR.
Il vulnus normativo e l’opera suppletiva della giurisprudenza amministrativa.
La vicenda dei ha sollevato in giurisprudenza un tormentato nodo problematico con riguardo alla problematica dell’individuazione dell’ente cui demandare, nel silenzio del legislatore, la competenza a localizzare l’impianto.
L’imprescindibile opera ermeneutica e suppletiva dei giudici amministrativi non può che essere assunta a punto di partenza, dovendosi ormai dare per assodata l’intelaiatura formale di un diritto dell’ambiente quale sistema normativo multilivello integrato dal sostanziale apporto della giurisprudenza1. A ciò si aggiunga che anche la materia ambientale è oggi costantemente oggetto di riforme amministrative2, aventi spesso la loro matrice nelle indicazioni di Corti eurounitarie e sovranazionali3.
Sulla summenzionata questione si innesta, poi, il diverso ma complementare tema della necessità di stabilire congrue modalità di effettuazione della valutazione ambientale strategica (VAS).
La VAS è obbligatoria4 nel campo di cui si discute, stante la prioritaria esigenza di assicurare un elevato livello di tutela ambientale, attraverso l’integrazione delle previsioni pianificatorie e programmatiche con valutazioni di carattere strategico che involgono le “ragionevoli alternative” (art. 13, comma 4 d.lgs. n. 152/2006) sulle destinazioni di un dato territorio5.
Nel settore in esame, le incertezze applicative sull’istituto della localizzazione appaiono, perciò, strettamente compenetrate alla tematica del corretto espletamento degli adempimenti istruttori relativi alla VAS, la cui asserita violazione risulta di frequente denunciata da comitati e associazioni ambientaliste, cui è accordata una legittima facoltà di esprimersi in ordine ai potenziali sacrifici ambientali6.
Tali denunce, nella casistica concernente i biodigestori anaerobici, vengono presentate per lo più durante le prime battute dell’iter procedimentale della valutazione ambientale strategica, e soprattutto nel corso di quella fase preliminare alla redazione del rapporto ambientale nota come “scoping”. È questo, invero, un momento caratterizzato da una preminente attività consultiva, avviata su input dell’Autorità procedente e destinata a coinvolgere tutti i «soggetti competenti in materia ambientale, al fine di definire la portata ed il livello di dettaglio delle informazioni da includere nel rapporto ambientale» (art. 13, comma 1 d.lgs. 152/2006). Si tratta di una fase obbligatoria rispetto alla VAS e meramente facoltativa per la VIA.
Sembra, pertanto, ragionevole ipotizzare che, anche in futuro, le principali riserve di quanti avversano i progetti per la realizzazione di un biodigestore continueranno a manifestarsi principalmente nel corso di tale fase, essendo questa la sede naturale in cui rivendicare il rigoroso rispetto del principio del confronto sull’individuazione delle “ragionevoli alternative” (in termini di siti, tipologia degli impianti e caratteristiche dimensionionali), nonché del principio dell’unitarietà e cumulatività dei progetti ai fini della redazione della VAS7.
Le soluzioni emerse nella casistica giurisprudenziale.
Per una più compiuta delucidazione delle problematiche cui si accennava, sembra opportuno muovere dal recente approdo cui è addivenuto il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sent. n. 1072 del 31 gennaio 2023 (pubblicata il 7 marzo 2023).
La vicenda giurisprudenziale prende le mosse dai ricorsi presentati in primo grado dai Comuni di Santo Stefano Magra e Vezzano Ligure (SP), avverso il PAUR (provvedimento autorizzatorio unico regionale in materia ambientale) della Regione Liguria, n. 2286 del 17 aprile 2021. Con tale provvedimento, la società appellante Recos S.p.A. veniva autorizzata al ripristino della piena operatività del TBM nel sito di Saliceti (impianto già esistente dal 2009, e per il cui affidamento in gestione e manutenzione era stato avviato nel 2016 un Project financing8) e alla realizzazione di un digestore anaerobico nel sito di Boscalino.
Preso atto che, in materia di gestione dei rifiuti, il d.lgs. n. 152/2006 elenca dettagliatamente (agli artt. da 195 a 198) competenze distinte per lo Stato, le Regioni, le Province ed i Comuni, si rileva, al riguardo, una manifesta lacuna normativa: a nessuno degli enti anzidetti la richiamata normativa attribuisce una specifica competenza a localizzare i singoli impianti di trattamento dei rifiuti.
Nell’attuale sistema della pianificazione dei rifiuti, risultano pacifici soltanto l’assenza di una qualsivoglia competenza dei Comuni e il fatto che lo strumento di vertice debba essere rappresentato dal Piano regionale dei rifiuti, cui le Province sono tenute a conformarsi nella predisposizione dei rispettivi piani d’area.
Per il resto, appare infelice la formulazione legislativa (art. 197, co. 1, lett. d del d.lgs. n. 152/2006) che si limita ad annoverare tra le funzioni amministrative delle Province una generica attività programmatoria in ordine all’individuazione delle zone idonee e di quelle non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, senza null’altro aggiungere. Parimenti, neppure gli artt. 195, comma 1, lett. p e 196 del cit. d.lgs. del 2006, offrono spunti normativi dirimenti quanto alla puntuale localizzazione dei singoli impianti, limitandosi a dettare criteri generali per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione (criteri la cui fissazione è di competenza, rispettivamente dello Stato e delle Regioni).
La vigente normativa si astiene, dunque, dal designare in via cogente un preciso livello territoriale cui riconoscere il potere di adottare le scelte di merito relative alla localizzazione dei biodigestori.
Rilevato il predetto vulnus normativo, il Consiglio di Stato risolve il caso sottoposto al suo sindacato osservando come il PAUR non abbia in concreto violato una presunta localizzazione imperativa prevista dagli atti di pianificazione, così dissentendo dalle conclusioni del giudice di prime cure, secondo cui la pianificazione in materia consentiva già di individuare i siti in cui localizzare gli impianti senza possibilità di deroga.
Inoltre, nella segnalata pronuncia, il Collegio ha modo di precisare che il PAUR, allorché (come accaduto nel caso di specie) non si identifichi con un decreto del dirigente regionale, ma con la determinazione motivata di conclusione della Conferenza di servizi (convocata in modalità sincrona a norma dell’art. 14-ter l. 241/1990), risulta comunque espressione di un’autonoma competenza regionale che supera e trascende le diverse competenze dei diversi enti intervenuti in sede di conferenza. A questi ultimi, pertanto, non può esser riconosciuto un contraddittorio per esporre le eventuali diverse valutazioni, in primis in sede di VAS (in tal senso, si aderisce alla statuizione della Corte cost., sent. 198/2018, recepita anche da Cons. St., Sez. II, n. 6195/2021 e 6248/2021).
È poi il caso di avvertire che, per la realizzazione degli impianti programmati di produzione di biometano ottenuti da digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti (di cui all’allegato VIII alla parte seconda del d.lgs. n. 152/2006), è indispensabile, a norma dell’art. 6, comma 13 d.lgs. 152/2006, l’AIA (autorizzazione integrata ambientale)9. E molteplici doglianze, registratesi nel settore dei biodigestori, vertono proprio sul supposto riscontro di vizi procedurali nella procedura di rilascio della medesima, spesso originati dall’ambiguo rapporto procedimentale che intercorre tra VAS e/o VIA da una parte e AIA dall’altra.
A tal proposito, una condivisibile soluzione è stata di recente elaborata dalla giurisprudenza amministrativa con specifico riguardo alla VIA (Tar del Lazio, sent. del 20 marzo 2023 n. 483010), ma non v’è dubbio che il relativo principio di diritto possa essere applicato analogicamente anche alla VAS: l’esito negativo di una VIA (o di una VAS) preclude senz’altro il rilascio dell’AIA, assurgendo la prima ad imprescindibile condizione di procedibilità della seconda.
Da ultimo, giova ricordare che, inevitabilmente, le denunce dei comitati di protezione ambientale si traducono in ricorsi al Tar (con conseguente accrescimento del contenzioso giudiziario) laddove la carente istruttoria sia imputabile all’azione amministrativa di un’Autorità procedente sospettata di incompetenza e carenza di potere.
Ciò è emblematicamente accaduto, con riferimento alla VAS relativa al Piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale, rispetto ad un caso-limite che vedeva i processi decisionali provvisoriamente rimessi ad un soggetto chiamato ad esercitare, in via eccezionale, poteri straordinari di programmazione in materia di gestione di rifiuti, una materia questa normalmente di pertinenza delle Regioni11.
Segnatamente, i comitati ed i consorzi ricorrenti chiedevano, a norma dell’art. 21-octies della l. 241/1990, l’annullamento della VAS, nonché dell’ordinanza del Commissario straordinario per il Giubileo 2025, che ha deliberato la localizzazione di un biodigestore di 100 mila tonnellate di rifiuti/anno a Cesano, adducendone l’incompetenza, l’eccesso di potere, nonché il difetto di istruttoria e motivazione.
Il Tar del Lazio (Sez. V, 5 luglio 2023 n. 12163, pubblicata il 19/07/2023), però, rigetta il ricorso, riconoscendo la piena legittimità di una normativa che, in situazioni di natura emergenziale, dispone l’allocazione temporanea, in capo ad un Commissario straordinario di nomina governativa (di cui all’art. 1, comma 421 della l. 234/2021), dei poteri relativi alla gestione dei rifiuti ordinariamente assegnati alla competenza delle Regioni, ai sensi degli artt. 196 e 208 del d.lgs. n. 152/2006.
L’anzidetta pronuncia ha altresì il merito di rammentare che, qualora la realizzazione di un biodigestore avvenga, anche parzialmente, con l’utilizzazione di fondi del PNRR, il rito che si instaura è quello abbreviato ex art. 12-bis del d.l. 68/2022.
Note:
1 Sul punto, si rinvia al pregevole contributo di L. SALVEMINI, Un sistema multilivello alle origini del diritto ambientale, in Il costituzionalismo multilivello nel terzo millennio: Scritti in onore di Paola Bilancia, editoriale a cura di A. Papa, F. Pizzetti e F. Scuto Editoriale, su Federalismi.it, n. 4/2022, 15 ss.
2 Per meglio comprendere la genesi di ogni riforma amministrativa in generale e la consustanziale connessione con la questione dei controlli sull’uso delle risorse pubbliche, si rinvia alle tuttora attuali disamine di E. D’ALTERIO, La riforma della pubblica amministrazione e la sua attuazione, con B.G. Mattarella, in La riforma della pubblica amministrazione. Commento alla legge n. 124 del 2015 (Madia) e ai decreti attuativi, a cura di B.G. Mattarella e E. D’Alterio, Milano, Il Sole24 ore, 2017, 1-20; S. CASSESE, L’età delle riforme amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 79 ss., che cita V. Wright, Reshaping the State: the Implications for Public Administrations, in 3 West Eur Pol (1994), 104; M.CECCHETTI, Prospettive per una razionalizzazione della “normazione tecnica” a tutela dell’ambiente nell’ordinamento italiano, in S. GRASSI, M. CECCHETTI (a cura di), Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche, Milano, Giuffrè, 2006, 41 ss. In una prospettiva comparata, si segnala l’apporto di S. KUHLMANN e H. WOLLMANN, Introduction to Comparative Public Administration: Administrative Systems and Reforms in Europe, Cheltenham, Edward Elgar, 2014, 56 ss.
3 Da ultimo, anche sulla scorta dei gravosi impegni assunti in sede di Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, COM(2020) 380 final, approvata dalla Commissione europea a Bruxelles il 20.5.2020, l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia per la mancata attuazione di varie disposizioni del Regolamento (UE) n. 1143/2014.
4 Si prescinde, infatti, da una previa verifica di assoggettabilità a VAS ex art. 12 d.lgs. n. 152/2006, trattandosi di progetti elencati, a norma dell’art. 6, comma 2, lett. a) d.lgs. 152/2006, nell’allegato IV (impianti di smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento).
5 In tal senso, la VAS si distingue dalla VIA (valutazione di impatto ambientale), che si focalizza, invece, preminentemente sulle mere alternative tecniche in seno al quadro progettuale presentato (ad esempio, le tecniche di disinquinamento o di monitoraggio degli impianti), fermo restando che anche la VIA non può risolversi in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera programmata, dovendo sostanziarsi «in un giudizio sintetico globale di comparazione tra il sacrificio ambientale imposto e l’utilità socio-economica procurata dall’opera medesima, tenendo conto anche delle alternative possibili e dei riflessi della c.d. opzione zero», anche perché non si tratta di un mero atto tecnico di gestione, bensì di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo (sul punto, si rinvia a Cons. St., Sez. IV, 23 giugno 2023, n. 6190).
6 Non può sottacersi della legittimità di tali denunce, posto che la stessa Direttiva comunitaria 2001/42/CE, introduttiva della VAS, riconosce esplicitamente l’obbligo di mettere a disposizione del pubblico la bozza del piano o programma, con l’evidente scopo di consentire ad associazioni portatrici di interessi collettivi e diffusi la possibilità di rendere, entro una tempistica adeguata, tutti i pareri del caso. Si v., al riguardo, l’art. 6 ed il Considerando (15) della cit. Direttiva.
7 Quest’ultimo è un principio di elaborazione giurisprudenziale. Si v., da ultimo Tar Piemonte, Sez. II, sent. del 23 marzo 2020 n. 210, per tutte le procedure di valutazione degli impatti sull’ambiente (V.I.A., V.A.S., VIncA), è necessario considerare i progetti nella loro unitarietà e cumulativamente ad altre opere connesse già esistenti. Occorre cioè aver riguardo alle dimensioni dell’opera finale, risultante dalla sommatoria delle opere esistenti con quelle nuove, giacché è l’opera finale complessivamente considerata che, incidendo sull’ambiente, deve essere sottoposta a valutazione. Sul punto, si rinvia anche a Corte di Giustizia CE, Sez. III, 25 luglio 2008, n. 142; Corte di Giustizia CE, Sez. II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07; Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36; Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2004, n. 4163; T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 febbraio 2012, n. 427; Trib. Sup. Acquepubbliche, 14 ottobre 2015, n. 263.
8 L’impianto di Saliceti fu originariamente realizzato da ACAM S.p.A. in attuazione al “Piano per l’organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU nella Provincia della Spezia”, per permettere di trattare il residuo indifferenziato ai fini di una valorizzazione energetica. Per una più completa disamina della genesi di tale impianto, si consulti la delibera del Consiglio Comunale del Comune di Santo Stefano di Magra, n. 29 del 30.03.2017, p. 14 s. Oggetto della pianificazione è oggi un upgrading impiantistico, che prevede l’introduzione, nell’attuale processo, anche della fase di digestione anaerobica.
9 L’AIA, essendo un provvedimento che incide specificamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, non può certamente conglobare la VIA (che investe profili propriamente localizzativi e strutturali), né, tantomeno, la VAS (ex plurimis, TAR Calabria, Sez. I, 8 novembre 2011, n. 1345).
10 La pronuncia in questione, tra l’altro, ha il pregio di spiegare come l’AIA, ancorché cronologicamente successiva alla VIA, sia suscettibile di condizionarne l’oggetto, in virtù del maggior livello di approfondimento e della maggior discrezionalità tecnica che essa produce sulla VIA. Così, è come se si operasse una sorta di retroazione delle prescrizioni e raccomandazioni proprie dell’AIA al momento della predisposizione della VIA.
11 Sul punto, si rinvia alla recente sentenza del Tar del Lazio, Sez. V, 5 luglio 2023 n. 12163 (pubblicata il 19/07/2023).
NOTE MINIME INTORNO ALLA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE Nota a Ordinanza della Corte di cassazione, sez. III, 6 luglio 2023, n. 19202; Pres. Graziosi, Rel. Gianniti Micaela Lopinto Riassunto Con questo scritto si coglie l’occasione […]
Civile Diritto Civile Dottrina Fascicolo n.3/2023 GiurisprudenzaNOTE MINIME INTORNO ALLA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
Nota a Ordinanza della Corte di cassazione, sez. III, 6 luglio 2023, n. 19202; Pres. Graziosi, Rel. Gianniti
Micaela Lopinto
Riassunto Con questo scritto si coglie l’occasione per ribadire un principio consolidato in materia di risarcibilità del danno da responsabilità precontrattuale.
Abstract The following paper aims at reaching the goal to underline one of the most important principles of law concerning the article 1337 of the Italian Civil Code.
SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Segue: i principi di diritto espressi dalla pronuncia; 3. Conclusioni. Testo Ordinanza
SUMMARY: 1. Introduction; 2. The principles of law of the Court of Cassation; 3. Conclusion. Full Text
Introduzione.
La responsabilità precontrattuale, al di fuori del dibattito inerente alla sua natura giuridica, se autonoma, se contrattuale da contatto sociale o ancora extracontrattuale, mira a ristorare la “futura” parte contrattuale dei danni derivanti dal tempo perso in trattative improduttive ed inutili. Ragion per cui, una volta concluso il contratto, seppur a condizioni tali da rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 1440 cc., si tende a ritenere che questa sia “assorbita” dalla responsabilità contrattuale tout court, senza che, pur in prospettiva di inquadramento della responsabilità precontrattuale come forma di responsabilità contrattuale da contatto sociale, la stessa possa essere ancora considerata invocabile. Resta, dunque, da comprendere quali siano le poste risarcitorie effettivamente chiedibili in giudizio ai sensi dell’art. 1337 cc.
Segue: i principi di diritto espressi dalla pronuncia.
Riprendendo alcuni orientamenti storici (cfr. n. 2973/1993), la Corte di cassazione ha ritenuto di dover ribadire un principio consolidato, che qui si riporta:
La responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 cod. civ., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 cod. civ., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse (sulla stessa linea Cass. 15172/2003 e Cass. 4718/2016);
Ne consegue, quale logico corollario, che il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale si riduce “[allo] stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate … sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte” (così, ex multis, Cass. 19883/2005; cfr. pure la più recente Cass. 24625/2015).
Conclusioni.
L’ordinanza qui riportata non si presta a particolari considerazioni critiche, essendosi limitata a ribadire alcuni principi fondamentali che sorreggono il diritto civile dei contratti e delle obbligazioni. Si può pertanto affermare che la responsabilità precontrattuale, al di là di una significativa pronuncia del 2016 che l’aveva imbottigliata nelle maglie della responsabilità contrattuale da contatto sociale, sottraendola all’ambito operativo ed alle regole della responsabilità extracontrattuale, sotto il profilo dei criteri risarcitori applicabili, sembra esser rimasta tuttora invariata.
Testo Ordinanza/Full Text
Rilevato che:
1. Con sentenza n. 206 del 2022 la Corte di appello di Perugia, rigettando l’appello principale proposto da A. S., titolare di omonima ditta individuale, e rigettando l’appello incidentale proposto dagli originari convenuti, i coniugi P. B. e M. D., ha confermato la sentenza del giudice di primo grado che, dopo aver dichiarato il S. responsabile delle inadempienze precontrattuali per cui era causa, in accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dai convenuti, lo aveva condannato al risarcimento dei danni da loro subiti, quantificandoli danni in euro 21.000 oltre interessi di legge dal gennaio 2011 al saldo, previa compensazione delle somme reciprocamente dovute alla data del dicembre 2010 nella misura di euro 51.000, il tutto in relazione ad una trattativa per l’acquisto di un terreno edificabile sito in Cortaccione di Spoleto.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il S. Hanno resistito con controricorso i coniugi B. e D. Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1. Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e comunque per motivazione apparente per non avere la corte territoriale proceduto a verificare se la ricostruzione effettuata dal giudice di primo grado fosse stata conforme o meno alle risultanze processuali, limitandosi invece a richiamare la motivazione del giudice di primo grado senza alcun esame critico in base ai motivi di gravame, così incorrendo in una erronea ricognizione della fattispecie concreta in ragione anche dell’erronea percezione delle risultanze di causa. Si sostiene che la corte territoriale è incorsa nello stesso errore del giudice di primo grado nella parte in cui ha ritenuto come fatto storico che “un preliminare” sarebbe stato inviato dai coniugi con email del 12 ottobre 2010, mentre questa era costituita esclusivamente da un foglio senza alcun allegato, nonché nella parte in cui ha ritenuto che il S., dopo aver ricevuto il suddetto (inesistente) “preliminare”, aveva pagato in data 20 dicembre 2010 l’ultima tranche della somma di euro 51.000, traendo da ciò la presunzione secondo la quale il S. avrebbe con ciò approvato il suddetto inesistente preliminare.
Invece le trattative si erano interrotte sia per la determinazione della somma da pagarsi (euro 51.000 o 55.000) sia per la determinazione di quando stipulare l’atto pubblico di trasferimento (se subito a semplice richiesta, come voleva il S., ovvero a lavori ultimati e collaudo positivo avvenuto, come volevano i coniugi).
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo e controverso nella parte in cui la corte territoriale non avrebbe considerato che:
a) alla email del 12 ottobre 2010 non era allegato alcun preliminare;
b) l’unico preliminare inviato dai coniugi era quello allegato a email del 22 marzo 2012;
c) il momento in cui si sarebbe dovuto stipulare l’atto e la differenza della somma pretesa (e non un mero suo ripensamento) non avevano consentito la conclusione della trattativa;
d) il S. non aveva disconosciuto la dichiarazione sostitutiva di notorietà del 30 gennaio 2012 (peraltro non recante la firma dell’addetto a ricevere la predetta dichiarazione e neppure la firma del dichiarante), ma ciò non significava che ne abbia riconosciuto la data (che era scritta con una diversa grafia e che era posteriore al conferimento dell’incarico da parte dei coniugi D. e B. alla ditta che avrebbe dovuto svolgere i lavori, già a lui affidati in appalto);
e) i coniugi B. e D., nel mentre trattavano con lui e ricevevano da lui la somma di euro 51.000, avevano conferito i lavori in appalto ad altra ditta ed offerto in vendita ad altro soggetto il terreno edificabile.
Si sostiene che detti fatti storici, se debitamente esaminati, avrebbero condotto al rigetto della domanda riconvenzionale proposta dai coniugi e conseguentemente all’accoglimento della domanda di restituzione della somma di euro 51.000, pagata ai suddetti.
1.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione e comunque per motivazione apparente nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di elementi, sulla base dei quali si era formato l’affidamento dei coniugi alla conclusione del contratto, ed ha posto a giustificazione del recesso la presunta attribuzione dei lavori a ditta terza in sostituzione della ditta S. prima della interruzione dei lavori.
Si lamenta che la corte territoriale, anziché porsi il problema dell’attendibilità e della credibilità oggettiva e soggettiva dei testi escussi, da considerarsi in uno alla documentazione acquisita, avrebbe omesso di esaminare le censure svolte nell’atto di appello, limitandosi ad un richiamo per relationem alla sentenza di primo grado.
1.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia falsa applicazione degli artt. 1337 e 1223 c.c. nella parte in cui la corte territoriale ha confermato la determinazione del danno da pretesa responsabilità precontrattuale, già effettuata in primo grado in euro 72.000 complessivi.
Si lamenta che entrambi i giudici di merito, pur affermando di liquidare il danno nei limiti del c.d. interesse negativo (spese inutilmente sopportate e perdita di ulteriori occasioni), avrebbero poi proceduto alla sua liquidazione come se lo stesso fosse correlabile all’interesse positivo e, quindi, comprendesse anche il lucro cessante, come accade in caso di inadempimento contrattuale.
2. Nella sentenza impugnata la corte territoriale preliminarmente dà atto che contro la sentenza di primo grado il S. aveva proposto appello, lamentando che:
a) il giudice di primo grado aveva ricostruito i fatti in maniera non conforme ai documenti ed alle prove orali;
b) aveva applicato a suo danno l’art. 1337 c.c.., in difetto dei presupposti;
c) aveva determinato il danno da pretesa responsabilità precontrattuale nella misura di euro 72.000 senza tener conto del reale accadimento dei fatti.
Ciò posto, la corte territoriale, quanto al primo ed al secondo motivo del gravame, ha spiegato le ragioni per le quali le parti, nel corso delle trattative, pur non avendo raggiunto la sottoscrizione di un preliminare, avevano raggiunto un reciproco significativo affidamento per la conclusione dell’accordo, suffragato dalla significativa entità dell’acconto versato (che rappresentava circa un terzo dell’intero importo della compravendita che si voleva realizzare); ha dato atto che era stata prospettata per la prima volta in appello la tesi secondo cui la interruzione delle trattative era stata giustificata da divergenze tra le proposte scambiate ed ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto che la ditta S. aveva ingiustificatamente interrotto le trattative. Quanto poi al terzo motivo d’appello, concernente il quantum debeatur, la corte territoriale ha confermato la quantificazione che dell’interesse negativo era stata riconosciuta dal primo giudice.
3. I primi tre motivi – che in quanto tutti relativi all’an debeatur ed attinenti all’impianto motivazionale della sentenza impugnata – sono qui trattati congiuntamente – sono infondati.
In primo luogo, per il secondo motivo occorre osservare che, in caso di doppia conforme, è preclusa la possibilità di proporre in sede di legittimità la censura di omesso esame di fatti decisivi e controversi (alla quale sono riconducibili le censure in concreto mosse con i motivi in esame), salvo che il ricorrente non indichi le ragioni di fatto poste a base rispettivamente della sentenza di primo e di secondo grado, dimostrando che esse sono tra di loro diverse. Orbene, nel caso di specie, ricorre proprio la violazione dell’art. 348 ter, ult. co. c.p.c., avendo la corte territoriale rigettato il gravame proposto dagli odierni ricorrenti per le stesse ragioni già indicate dal giudice di primo grado.
Riguardo poi all’effettivo contenuto di tutti i tre motivi, a prescindere anche da quel che si è appena evidenziato per il secondo, devesi osservare che la corte territoriale, ad esito della valutazione dell’acquisita documentazione e delle circostanze riferite dai testi escussi, ha ritenuto, con evidente valutazione in fatto, e quindi non sindacabile in questa sede:
– da un lato, che “nel corso delle trattative, pur non avendo raggiunto la sottoscrizione di un preliminare, tra le parti si era costituito un significativo affidamento per la conclusione dell’accordo, suffragato dalla significativa entità dell’acconto versato che rappresenta quasi un terzo dell’intero importo complessivo della compravendita che si voleva realizzare”;
– e, dall’altro, che non era risultato provato che l’interruzione delle trattative fosse stata giustificata “da divergenza tra le proposte scambiate”.
E’ evidente che il ricorrente inammissibilmente sollecita una nuova valutazione del materiale probatorio, preclusa in questa sede. Né è sostenibile una carenza motivazionale – primo e terzo motivo – giacché il giudice d’appello ha raggiunto con evidenza il minimo costituzionalmente necessario, e quindi non è incorso nella violazione della corrispondente norma codicistica.
3. Non merita accoglimento neppure il quarto motivo. Nella impugnata sentenza, la Corte Territoriale – dopo aver rilevato che dall’espletata attività istruttoria era risultato provato, nel periodo della trattativa (da cui era receduto il S.), i convenuti appellati avevano ricevuto altre offerte per prezzo vicino a quello su cui si articolava la trattativa tra le parti – ha ritenuto: “Nella determinazione dell’interesse negativo da risarcire, che può essere liquidato anche in via equitativa, sono emersi dei criteri obiettivi che consentono di individuare la perdita in rapporto alle concrete occasioni per la stipulazione con altri”.
Tanto affermando, la corte territoriale si è attenuta al principio di diritto ormai da tempo affermato da questa Suprema Corte (cfr. n. 2973/1993), secondo il quale “la responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 cod. civ., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 cod. civ., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse” (sulla stessa linea Cass. 15172/2003 e Cass. 4718/2016); e si è altresì affermato che il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale consiste “nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate … sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte” (così, ex multis, Cass. 19883/2005; cfr. pure la più recente Cass. 24625/2015). La corte territoriale fornisce dunque una impostazione di diritto corretta; la concretizzazione, in termini fattuali, dell’interesse negativo in cui poi si inoltra presenta peraltro anche argomentazioni non agevolmente comprensibili, ma non è stato denunciato il vizio motivazionale, bensì la violazione, assente come si è visto, della impostazione giuridica della identificazione del danno risarcibile, riferendosi ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., a falsa applicazione degli artt. 1337 e 1223 c.c.
4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali liquidate come in dispositivo, compensandole di un quarto per la effettiva criticità (come si è detto, non correttamente denunciata peraltro) della sentenza impugnata in ordine alla determinazione risarcitoria. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
compensa tra le parti nella misura di un quarto le spese processuali e condanna parte ricorrente al pagamento dei residui tre quarti, che liquida in euro 1.650 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 7 giugno 2023
***
Bibliografia Essenziale
Cass., sez. III, Ord. 6 luglio 2023, n. 19202, in sito ufficiale Corte di cassazione, www.cortedicassazione.it;
C. M. Bianca, Diritto Civile – il contratto, Giuffrè, 2000, Ed. II, pp. 155 e ss.;
Corte di cassazione civile, sez. I, sentenza 12/07/2016, n. 14188.
LO SVILUPPO SOSTENIBILE NELLA TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI NELL’ERA DIGITALE. Gianluca Trenta* ABSTRACT: Il presente lavoro analizza come le nuove tecnologie impattano sulla valorizzazione del patrimonio culturale attraverso l’applicazione dello sviluppo sostenibile. ABSTRACT: […]
Diritto Ambientale Dottrina Fascicolo n.3/2023
LO SVILUPPO SOSTENIBILE NELLA TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI NELL’ERA DIGITALE.
Gianluca Trenta*
ABSTRACT: Il presente lavoro analizza come le nuove tecnologie impattano sulla valorizzazione del patrimonio culturale attraverso l’applicazione dello sviluppo sostenibile.
ABSTRACT: This work analyzes how new technologies impact on the enhancement of cultural heritage through the application of sustainable development.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Sostenibilità per i beni culturali mediate le tecnologie digitali. – 3. PNRR e opportunità di valorizzazione del patrimonio culturale. – 4. Le tecnologie digitali quale strumento per lo sviluppo sostenibile. – 5. Note conclusive.
1. Premessa.
Oggi, il tema dello sviluppo sostenibile è un argomento molto dibattuto soprattutto dai governi, dalle organizzazioni ambientali e dai media, che lo definiscono questione di vitale importanza per il bene del nostro Pianeta.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) definisce lo sviluppo economico e sociale sostenibile come quella forma di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità di soddisfare quelli delle generazioni future1.
Pur essendo una forma di sviluppo economico senza guardare al profitto, lo sviluppo sostenibile valuta la qualità della vita dei cittadini, in termini di sanità e cultura.
Le sfide più importanti sono la povertà, la disuguaglianza, il cambiamento climatico, il degrado ambientale, la pace e la giustizia. Pertanto l’argomento coinvolge trasversalmente l’ambientale, l’economia, la politica e negli ultimi tempi la cultura, quest’ultima intesa anche come l’insieme delle istituzioni che operano nel contesto della sostenibilità e la loro rispettiva governance.
Gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile2 sono riassumibili nei 17 punti fissati dall’Assemblea Generale dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel programma d’azione Agenda 20303 ed entrati in vigore a livello internazionale il 1° gennaio 20164.
In tale contesto anche l’Unione europea (UE) sta prendendo provvedimenti d’avanguardia, cercando di diventare il primo continente a impatto climatico zero e ciò è da intendersi anche per quel che riguarda il patrimonio culturale. La cultura e il patrimonio culturale, quindi, possono contribuire al conseguimento di uno sviluppo inclusivo e sostenibile.
In ambito comunicatorio, tale condotta, comprende tre gruppi di azioni per rigenerare città e regioni attraverso il patrimonio culturale; promuovere il riutilizzo adattativo di edifici appartenenti al patrimonio culturale e bilanciare l’accesso al patrimonio culturale con un turismo culturale sostenibile e il patrimonio naturale5.
In particolare lo sviluppo sostenibile, in ambito europeo, è codificato come principio all’art. 3, par. 3, TUE2, all’art. 3-quater del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 1523 ed in ambito nazionale richiamato nell’art. 9, co. 3 della Costituzione6.
Considerando che le risorse non sono inesauribili è necessario non soltanto soddisfare i reali bisogni dell’attuale generazione ma anche agire senza pregiudicare quelle future. Ciò significa guidare un processo di cambiamento coerente con i bisogni attuali e futuri, secondo il principio solidaristico. Inoltre, occorre che tale obiettivo sia realizzato coerentemente con ogni Paese. Ed è in tale visione intergenerazionale che la governance di ogni singola nazione si deve adoperare nelle scelte razionali e comuni, proiettandosi verso una dimensione di attuazione dell’interesse generale7.
In riferimento al nostro Paese, si può affermare che l’azione amministrativa è volta a porgere lo sguardo verso le generazioni future soprattutto quando le scelte sono di tipo discrezionale e coinvolgono interessi di tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.
In tal senso, alcuni esempi di strumenti usati dalla nostra Pubblica Amministrazione sono: la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA)8; la Valutazione Ambientale Strategica (VAS)9; l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)10; l’Integrated Pollution Prevention and Control (IPPC)11.
A tali strumenti si aggiungono particolari norme che rappresentano le massime espressioni concrete dello sviluppo sostenibile e in particolar modo riguardano il governo del territorio12, tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale13 e contratti pubblici14.
Definire i concetti quali ambiente, paesaggio e territorio, è sempre molto difficile per i molteplici punti di sovrapposizione tra loro e, comunque, tutti oggetto di regolamentazione giuridica, «così come lo è differenziare gli interessi coinvolti in materie che da ben definite risultano oggi dai contorni sfumati e difficilmente delimitabili». Tra l’altro, in ragione della interdisciplinarietà delle questioni sottese, si preferisce usare il termine più generale di ambiente come contenitore vastissimo nel quale inserire l’attuazione del principio in argomento15.
Quindi, per conseguire lo scopo pocanzi menzionato è necessario ed inevitabile che le pubbliche amministrazioni agiscano facendosi carico della questione ambientale come problema di interesse generale, posto che qualunque azione o omissione può costituire per esso una minaccia, un pericolo, un danno16.
Nella cornice appena delineata, le innovazioni tecnologiche possono ricoprire un ruolo importante nella valutazione e tutela dei beni culturali tanto da determinarsi in ordine alle potenzialità offerte dall’ordinamento per la realizzazione di un patrimonio culturale dove la sostenibilità possa rappresentare il presupposto dell’applicazione degli strumenti digitali.
Pertanto, considerato il carattere trasversale e interdisciplinare delle materie prese in esame, le tecnologie digitali possono essere il mezzo più idoneo al raccordo della tutela e valorizzazione dei beni culturali con il paesaggio.
2. Sostenibilità per i beni culturali mediate le tecnologie digitali.
Premesso che il principio dello sviluppo sostenibile si identifica con tutto ciò che attinente con l’ambiente, gli ecosistemi, la biosfera e il paesaggio, il rapporto tra natura e beni culturali è inscindibile.
Quest’ultima relazione è insita all’intero del Codice dei beni culturali e del paesaggio17, è rievocata nel Codice dell’ambiente ed è uno dei criteri dell’Unesco per la scelta dei siti da tutelare18.
Ciò è desumibile da talune disposizioni in materia di conservazione, come le norme in tema di prevenzione intesa come limitazione delle «situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto»19, tra cui la facoltà di cui dispone il Ministero di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro20; l’individuazione, da parte del Ministero, delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione, quale compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali21.
Il Codice assicura, nell’ambito degli accordi di valorizzazione dei beni culturali tra lo Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, il rispetto dei principi fondamentali fissati dal legislatore22.
Nel rispetto dei principi richiamati, la legislazione regionale disciplina le funzioni e le attività di valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente. La valorizzazione dei beni culturali pubblici al di fuori degli istituti e dei luoghi di cui all’articolo 101 è assicurata compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali cui detti beni sono destinati.
Inoltre, lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. In assenza di accordi, ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni di cui ha comunque la disponibilità. Con decreto del Ministro sono definiti modalità e criteri in base ai quali il Ministero costituisce i soggetti giuridici23.
Nell’ambito dei possibili accordi è fondamentale che si osservino le finalità di sviluppo territoriale sostenibile. In particolare il Ministero e le regioni definiscono d’intesa le politiche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio tenendo conto anche degli studi, delle analisi e delle proposte formulati dall’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio, istituito con decreto del Ministro, nonché dagli Osservatori istituiti in ogni regione con le medesime finalità. Inoltre, il Ministero e le regioni cooperano per la definizione di indirizzi e criteri riguardanti l’attività di pianificazione territoriale, nonché la gestione dei conseguenti interventi, al fine di assicurare la conservazione, il recupero e la valorizzazione degli aspetti e caratteri del paesaggio. Nel rispetto delle esigenze della tutela, i detti indirizzi e criteri considerano anche finalità di sviluppo territoriale sostenibile24.
Le regioni, il Ministero ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare possono stipulare intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici. L’elaborazione del piano paesaggistico comprende anche l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate25.
L’individuazione, da parte del Ministero, delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali. I piani paesaggistici possono prevedere misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico26.
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 dicembre 2019, n. 169, regola l’organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell’Organismo indipendente di valutazione della performance. Al riguardo la Direzione generale e della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio precisa che il merito all’organizzazione «si evince un approccio al patrimonio storico, artistico, architettonico, etnoantropologico, paesaggistico e archeologico italiano, globale, integrato sul piano disciplinare, “territorialista” (nel senso di teso a cogliere nello studio come nella tutela la complessità del territorio)»27.
Per ciò che attiene il criterio di scelta per l’inserimento nella lista dei siti da proteggere, il rapporto tra beni culturali e natura è indicata nella Convenzione Unesco del 1972. Per ciò che, invece, attiene l’interdipendenza tra beni culturali e sviluppo sostenibile è evidenziata sia nella dichiarazione di Hangzhou del 201328 che nelle Conclusioni del Consiglio d’Europa del 21 maggio 2014.
Inoltre, l’intreccio tra patrimonio culturale e ambiente è rappresentato dalla relazione di reciprocità ovvero la tutela dell’uno è funzionale a quella dell’altro29. Bisogna però sottolineare come tale approccio integrato al patrimonio, anche se previsto, appare ancora nella fase embrionale30.
L’innovazione tecnologica, in tale contesto, ricopre una notevole importanza sia per fruizioni delle immagini ricostruite del patrimonio culturale e sia per la ricostruzione virtuale dei beni non più esistenti31.
L’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), nel 2015, ha approvato la Risoluzione Trasformare il nostro mondo c.d. Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Tale risoluzione è un programma di azione per le persone, il pianeta e la prosperità ed individua nella lotta alla povertà attraverso la sostenibilità e la resilienza lo scopo del documento32.
Nel paragrafo inerente il Pianeta è inquadrato il principio dello sviluppo sostenibile, il quale deve «protetto dalla degradazione, attraverso un consumo ed una produzione consapevoli delle risorse naturali ed una loro gestione sostenibile, mediante l’adozione di misure urgenti riguardo il cambiamento climatico, così che possa soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere quelli delle generazioni future»33.
Il documento risulta essere di particolare interesse in quanto i principi e gli obiettivi richiamati afferiscono tutti ai beni culturali, al paesaggio e alla cultura. Tra l’altro, il paragrafo riguardante la Prosperità, si concentra sul tema del raggiungimento del godimento di vite prosperose e soddisfacenti per tutti gli esseri umani e ad un progresso economico, sociale e tecnologico in armonia con la natura34.
In accordo con il Quadro d’azione europeo sul patrimonio culturale e con la Convenzione di Faro35, l’UE ha avviato un propulsivo insieme di riforme e investimenti comunitario in grado di aumentare il potenziale di crescita degli Stati membri36.
Nel documento finale viene definito il patrimonio culturale quale «insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione», dove vengono intesi «tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi». Tra l’altro viene definito il senso di comunità di patrimonio come «un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future».
Per tali ragioni si può ritenere che l’uso delle nuove tecnologie per lo sviluppo sostenibile e la tutela dei beni culturali e del paesaggio diventa una priorità nell’ambito dei progetti finanziati dal PNRR.
3. PNRR e opportunità di valorizzazione del patrimonio culturale.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) dedica diversi investimenti alla tutela e alla valorizzazione dell’immenso patrimonio artistico, architettonico e culturale del nostro Paese, che, oltre a rappresentare un’importante fonte di arricchimento umano, contribuisce in maniera significativa alla crescita economica italiana37.
Il rilancio del settore culturale, uno dei più colpiti dalla pandemia, è strategico ed è uno dei principali protagonisti degli interventi finanziati dal Piano.
Nello specifico, le risorse destinate alla cultura finanziano investimenti presenti nella Missione 138, nell’ambito della Componente 339 del Piano e vengono stanziate, a seconda dei casi, allo Stato e, più specificamente, al Ministero della cultura (che si articola in amministrazione centrale e periferica), agli enti locali e alle imprese.
A favore degli interventi appena menzionati sono inoltre stanziate somme con un ulteriore fondo complementare al PNRR, destinate a un Piano di investimenti strategici su siti del patrimonio culturale, edifici e aree naturali40.
In tale contesto, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo “Invitalia” supporta il Governo nella realizzazione degli obiettivi del PNRR, collaborando con le principali Amministrazioni centrali e locali nel pianificare e attuare gli interventi strategici e mettendo a disposizione le competenze necessarie all’accelerazione degli investimenti pubblici.
Invitalia, quindi, supporta anche il Ministero della Cultura nelle procedure di gara per la digitalizzazione del patrimonio culturale41 e l’attuazione del “Piano di investimenti strategici sui siti del patrimonio culturale, edifici e aree naturali”42.
Per il MIC l’Agenzia gestisce l’incentivo “Transizione digitale organismi culturali e creativi” (TOCC), che favorisce l’innovazione e la digitalizzazione delle micro e piccole imprese, enti del terzo settore e organizzazioni profit e no profit.
Le misure della M1C3 in cui si articola il programma predisposto dal Ministero della Cultura sono tre: Patrimonio culturale per la prossima generazione; Rigenerazione di piccoli siti culturali43, patrimonio culturale religioso44 e rurale e Industria culturale e creativa 4.045.
Tuttavia, è evidente che i processi riscontrano notevoli difficoltà del Ministero della cultura con le strutture periferiche in termini di relazioni e di coordinamento e la non fluida esperienza della cooperazione con regioni e sistemi locali.
4. Le tecnologie digitali quale strumento per lo sviluppo sostenibile.
I progressi tecnologici hanno aperto nuove prospettive nella conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale. La digitalizzazione consente di documentare, analizzare e monitorare in modo non invasivo i beni culturali, contribuendo alla loro conoscenza e conservazione. Metodi di analisi scientifica innovativi, combinati con lo sviluppo delle tecnologie digitali, consentono di preservare e restaurare opere d’arte, manufatti archeologici e documenti storici con una precisione e sensibilità senza precedenti. Inoltre, la digitalizzazione offre la possibilità di ricostruire virtualmente oggetti frammentari o invisibili, aprendo nuove prospettive per la divulgazione al grande pubblico e la creazione di nuovi patrimoni46.
Già Neelie Kroes, nel 2011, parlava di messa in rete di contenuti culturali di elevata qualità per le diverse generazioni47. Qualche anno più tardi, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBACT) ha istituito il laboratorio per il turismo digitale (TDLab) finalizzato a definire e favorire una strategia digitale per il turismo. Nel 2016, Il detto Ministero in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) e L’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), hanno sottoscritto un protocollo di intesa per la creazione di nuovi servizi digitali per il turismo capaci di agevolare a cittadini e visitatori l’accesso al patrimonio artistico, culturale e naturale.
Il Piano strategico sottoscritto, però, pur ancora attuale, non ha portato i risultati sperati, benché abbia evidenziato come «l’innovazione tecnologica […] permeare anche settori fondamentali per il turismo italiano come quello dei beni culturali che purtroppo sconta un forte ritardo sui modelli di offerta e che si trova alle prese con diffusi ed urgenti problemi di conservazione e tutela del patrimonio» e sottolineato l’importanza di uno sviluppo che ponga al centro il paesaggio come elemento fondamentale e di un contenimento di fenomeni distorcenti quali il «consumo di suolo e l’abbandono progressivo dei territori rurali e montani che minano la sostenibilità futura del turismo».
In tal senso, al fine di curare il coordinamento e promuovere i programmi di digitalizzazione del patrimonio culturale di competenza ministeriale, valorizzando le potenzialità della trasformazione digitale anche per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e della sua memoria, nel 2019 è stato istituito l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale-Digital library48.
Malgrado, però, i buoni propositi del legislatore di tenere il passo con la velocità della tecnologia bisogna evidenziare che l’impianto normativo attuale non risulta essere all’altezza di tale compito49.
Tra l’altro, bisogna ulteriormente sottolineare che la materia del paesaggio, pur normata dal d.lgs. 42/2004 è fortemente condizionata dalle fonti comunitarie50. Occorre, altresì, ricordare che l’Assemblea Costituente, nel momento di stesura della nostra Carta Costituzionale, ritenne necessario inserire la tutela e la conservazione dei beni culturali, nella prima parte della Carta Costituzionale dove sono enunciati i principi fondamentali, in quanto il valore identitario del patrimonio storico e artistico e la possibilità per le persone di fruirne permettesse alla comunità di identificarsi nella storia e nei valori di quello stesso patrimonio culturale51.
Tali valori identitari risiedono come dimensione di testimonianza avente valore di civiltà e rappresentano un ponte intergenerazionale da tutelare e valorizzare. In tale contesto è utile ricordare che i beni culturali compongono il patrimonio culturale nazionale, nei suoi svariati aspetti: storico, artistico, archeologico, architettonico, ambientale, scientifici52, etno-antropologico53, archivistico, librario54, storico-culturale55. In tale ambito si includono anche le attività culturali, ossia quelle attività rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte56.
Tutto ciò può essere possibile anche attraverso la nuova tecnologia ma non bisogna sottovalutare i rischi collegati al loro utilizzo, come quelli in materia di impatto ambientale o la compromissione di alcuni diritti57.
Le azioni sopradescritte, siano esse di valorizzazione o di tutela, rappresentano nel contempo sia le tecnologie digitali che lo sviluppo sostenibile. Ciò significa che mentre da un lato potenziano lo scambio interculturale e favoriscono la diffusione di conoscenze di rapida divulgazione, dall’altro consentono di accrescere le attività di pianificazione58.
Infine, attraverso la valorizzazione delle tecnologie digitali è possibile perseguire maggiormente i principi di pubblicità e partecipazione in un’ottica di facilitazione e di attuazione dello sviluppo sostenibile59.
5. Note conclusive.
Come abbiamo avuto modo di analizzare, il principio dello «sviluppo sostenibile», motivo concettuale intimamente legato alle politiche mondiali nella ricerca della soluzione alla «questione ambientale», è stato inizialmente elaborato in ambito internazionale e lentamente recepito anche dalle varie legislazioni nazionali: esso è intrinseco al concetto che comprende l’insieme d’idee scaturite dalla presa di coscienza dell’uomo a livello planetario, connessa alla propria sopravvivenza, di un uso razionale delle risorse della natura60.
Il concetto di sviluppo sostenibile è stato introdotto nel rapporto Brundtland del 1987 della commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, intitolato «Il nostro futuro comune», come «uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri». Esso è volto a conciliare lo sviluppo economico e la salvaguardia degli equilibri sociali e ambientali.
Nell’era odierna, è indispensabile più che mai, avere un approccio integrato del patrimonio culturale con lo sviluppo sostenibile in maniera che diventi imprescindibile principio da seguire soprattutto ora con l’evolversi delle tecnologie digitali.
Quindi, in tale contesto, occorre pensare ad un impianto normativo nuovo che possa coniugare uno sviluppo sostenibile con una valorizzazione delle tecnologie digitali, in quanto il patrimonio culturale è unico e appartiene a tutti e tutti devono poterne godere secondo l’attuazione della funzione culturale di cui al rinnovato art. 9 Cost.
Note:
1* Dottore di ricerca in Scienze Giuridiche e Politiche.
Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’ONU, 1987. Inoltre tale azione e rinvenibile in ulteriori accordi internazionali quali ad esempio Accordo di Parigi, sui cambiamenti climatici, Rapporto ILO 2018, Strategia Europa 2020, Piano d’azione per l’economia circolare (2015).
2 Sustainable Development Goals (SDG).
3 Sul tema Agendo 2030 cfr M. COCCONI, La traiettoria della Circular Economy nel quadro del Green New Deal europeo, in Orizzonti del diritto pubblico, 2021.
4 I 17 punti sono così definiti: Zero povertà: porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo; Zero fame: porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione, promuovere un’agricoltura sostenibile; Salute e benessere: assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età; Istruzione di qualità: fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento permanente per tutti; Parità di genere: raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment (maggiore forza, autostima e consapevolezza) di tutte le donne e le ragazze; Acqua pulita e igiene: garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie; Energia pulita e accessibile: assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni; Lavoro dignitoso e crescita economica: incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti; Imprese, innovazione e infrastrutture: costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile; Ridurre le disuguaglianze: ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni; Città e comunità sostenibili: rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili; Consumo e produzione responsabili: garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo; Lotta contro il cambiamento climatico: promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico; Vita sott’acqua: conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile; Vita sulla terra: proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica; Pace e giustizia: promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile; offrire l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficienti, responsabili e inclusivi a tutti i livelli; Partnership per gli obiettivi: rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare le partnership mondiali per lo sviluppo sostenibile.
5 Per un maggiore approfondimento cfr il sito istituzionale dell’UE, Culture and Creativity, reperibile online https://culture.ec.europa.eu/it/cultural-heritage/cultural-heritage-in-eu-policies/sustainability-and-cultural-heritage.
6 M. RENNA, I principi in materia di tutela dell’ambiente, in Riv. quadri. di diritto dell’ambiente, 1-2/2012, pp. 73 ss. B. TONOLETTI, I cambiamenti climatici come problema di diritto pubblico universale, in Riv. giuridica dell’ambiente, 1/2021, pp. 37-51.
7 M. COCCONI, La traiettoria della Circular Economy nel quadro del Green New Deal europeo, op.cit..
8 Procedura introdotta, per i Paesi europei, dalla direttiva 1985/337/CEE, successivamente modificata dalla direttiva 1997/11/CE, che si applica ai progetti pubblici e privati suscettibili di avere rilevanti impatti sull’ambiente. Sul tema cfr D. D’ALESSANDRO, La procedura di V.I.A.: alla ricerca della qualificazione delle prerogative partecipative, in Il diritto dell’economia, 2/2021, pp. 149-201.
9 E’ uno strumento, previsto per legge, volto a proteggere e tutelare l’ambiente dai possibili impatti dovuti a piani e programmi. Per un maggior approfondimento cfr. F. FRACCHIA, F. MATTASSOGLIO, Lo sviluppo sostenibile alla prova: la disciplina di Via e Vas alla luce del d.lgs. 152/2006, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1/2008, pp. 121-158.
10 E’ richiesta ad alcune tipologie di aziende per autorizzare, a determinate condizioni, l’esercizio di un impianto o di parte di esso. V. DI CAPUA, Ambiente, complessità sistemica e semplificazione, in Diritto amministrativo, 4/2020, pp. 965-981.
11 E’ la strategia europea di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento che mira alla diminuzione del livello delle emissioni per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente e per migliorare le prestazioni ambientali dei complessi industriali soggetti ad autorizzazione ambientale. L’IPPC è stato previsto dalla Direttiva 96/61/CE ed è stato recepito nel nostro ordinamento con il D. Lgs. 372/1999. In particolare si segnalano gli artt. 4 e seguenti del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
12 A tal proposito Sentenza del TAR Toscana, I, n. 567/2015 e, sulla scia, TAR Emilia-Romagna, II, Bologna, n. 790/2017 e n. 233/2018. Direttiva 2001/42/CE del 27 giugno 2001; Consiglio d’Europa, Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultura Heritage for Society (Convenzione di Faro), 2005.
13 In particolare cfr gli artt. 115 (gestione dei beni culturali) e 131, 133 e 143 (su tutela e valorizzazione del paesaggio) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. G. TRENTA, Riflessioni sulla valorizzazione e tutela dei beni culturali nel riparto delle competenza, in Quotidiano Legale, 2/2023, pp. 5-17.
14 Codice dei contratti istituito dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. In particolar modo il gli artt. 3, 30, 34, 68, 95 e 96.
15 G.M. PALAMONI, Lo sviluppo sostenibile del patrimonio culturale tra emergenze e tecnologie digitali, in Rivista Italiana di Informatica e diritto, 1/2022, pp. 261-272.
16 M. RENNA, I principi in materia di tutela dell’ambiente, op. cit., pp. 73 ss.
17 D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
18 Per un maggior approfondimento riguardante la protezione di taluni siti come il riconoscimento dell’interesse culturale delle acque e vietare alle grandi navi da crociera la laguna di Venezia cfr L. CASINI, La salvaguardia di Venezia “città acquatica”: dall’utopia alla realtà, in Aedon, 2/2021, pp. 145-148.
19 Quanto sancisce l’art. 29, co. 2. del Codice dei beni culturali e del paesaggio. L’articolo in questione è uno dei temi più importanti del Codice quello relativo alla conservazione del patrimonio culturale dove sono indicati i contenuti essenziali e tracciate le relative attività costituite dallo studio, prevenzione, manutenzione e restauro dei beni vincolati. Questo articolo è composto da 11 commi: sono i commi 2, 3 e 4 a spiegare con chiarezza cosa si intende per “prevenzione”, “manutenzione” e “restauro”: Per prevenzione si intende il complesso di attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto; per manutenzione si intende il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti; per restauro si intende l’intervento diretto sul bene culturale attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale e al recupero del bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali. Nel caso di beni immobili situati nelle zone dichiarate a rischio sismico in base alla normativa vigente, il restauro comprende l’intervento di miglioramento strutturale.
20 Art. 45, co. 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
21 Art. 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
22 S. GARDINI, La valorizzazione integrata dei beni culturali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2/2016, pp. 403-425.
23 Art. 112 Codice dei beni culturali e del paesaggio.
24 Art. 133 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
25 Art. 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
26 Art. 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio
27 Sul tema cfr G. SCIULLO, Il completamento della riforma organizzativa del Mibact. Direzione generale “unica” e soprintendenze “uniche”, in Aedon, 1/2016.
28 Il 17 maggio a Hangzhou, nella provincia dello Zhejiang, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura(UNESCO) ha pubblicato la “Dichiarazione di Hangzhou”, facendo appello ai vari paesi del mondo affinché pongano la “cultura” nella posizione principale della politica sullo sviluppo sostenibile. Tra il 15 e il 17 maggio a Hangzhou l’UNESCO ha tenuto il forum intitolato “Cultura: la chiave dello sviluppo sostenibile“. Lo stesso giorno si è tenuta la cerimonia di chiusura del forum, durante la quale oltre 400 ospiti provenienti da più di 80 paesi e regioni del mondo hanno approvato, dopo la votazione, la “Dichiarazione di Hangzhou“. Tale dichiarazione sottolinea il valore strategico del recupero del patrimonio culturale e della ripresa delle attività culturali nelle aree colpite da violenti conflitti o da catastrofi naturali per consentire alle popolazioni di rinnovare la propria identità e di ritrovare una normalità.
29 P. CAPRIOTTI, Per un approccio integrato al patrimonio culturale, in Aedon, 1/2017.
30 Il diretto richiamo all’ambiente, come si è avuto modo di analizzare, è previsto dal d.lgs. n. 42/2004 che definisce il patrimonio culturale come l’insieme dei valori culturali e paesaggistici anche se era già prevista dalla l. Galasso del 1985.
31 A tal proposito cfr il sito online del Ministero per i beni e le attività culturali, Piano triennale per la digitalizzazione e l’innovazione dei musei 2019-2021.
32 Il Documento rappresenta i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile e 169 sub-obiettivi.
33 G.M. PALAMONI, Lo sviluppo sostenibile del patrimonio culturale tra emergenze e tecnologie digitali, op.cit., pp. 262 ss.
34 Ibidem, p. 263.
35 Sul tema cfr. A. PAPA, Le prospettive di un cambio di paradigma nella definizione del patrimonio culturale “europeo”, 2022. G. SEVERINI, P. CARPENTIERI, La ratifica della Convenzione di Faro sul “valore del patrimonio culturale per la società: politically correct vs tutela dei beni culturali, in federalismi.it, 2021.
36 G. GALLI, F.NERI, Il PNRR e le riforme, in Osservatorio dei conti pubblici italiani, 2023.
37 Per un ulteriore indagine sul tema in ambito comunitario cfr A. PAPA, Le prospettive di un cambio di paradigma nella definizione del patrimonio culturale “europeo”, in federalismi.it, 4/2022, pp. 732-745.
38 La missione prevede digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo.
39 La componente prevede Turismo e cultura.
40 Istituito dal D.L. 59/2021 convertito, con modificazioni, dalla legge 101 del 2021.
41 Si tratta del progetto di digitalizzazione del fondo dei microfilm di manoscritti più grande d’Italia, del valore complessivo di 9,2 milioni di euro e che costituisce uno degli interventi più significativi mai condotti prima nel settore dei manoscritti, per rendere accessibile e fruibile a tutti il patrimonio delle biblioteche italiane per mezzo di riproduzioni digitali.
42 Sono previste 6 procedure di gara per accordi quadro del valore di 865 milioni di euro.
43 Il programma prevede l’accrescimento degli investimenti per la digitalizzazione del patrimonio culturale e favorirne la fruizione e i servizi legati al settore culturale e creativo. Inoltre prevede misura per interventi dedicati migliorativi all’accessibilità dei luoghi della cultura e la loro efficienza energetica.
44 Il programma punta ad agire sulla forte polarizzazione dei flussi turistici che confluiscono principalmente solo su alcuni luoghi culturali, con il conseguente rischio di usura e impoverimento nel lungo periodo.
45 Tali misure intervengono nel settore cinematografico e audiovisivo per accrescerne la competitività e si articola ulteriormente in: Piattaforme e strategie digitali per l’accesso al patrimonio culturale; Rimozione delle barriere cognitive in musei, biblioteche e archivi per consentire un più ampio accesso e partecipazione alla cultura; Migliorare l’efficienza energetica in cinema, teatri e musei.
46 V. Abergel, E. Demetrescu, E. Siotto, L. De Luca, Patrimonio culturale e transizione digitale. Sfide ed opportunità per la scienza, la tecnologia e la società, in Atti del Convegno tenutosi nel Palazzo Farnese di Roma, 14 giugno 2023.
47 Già membro della Commissione europea e responsabile dell’Agenda digitale nel 2011.
48 Art. 35 del DPCM. 2 dicembre 2019, n. 169.
49 G.M. PALAMONI, Lo sviluppo sostenibile del patrimonio culturale tra emergenze e tecnologie digitali, op.cit., pp. 262 ss. Un esempio è il ritardo nel recepimento dei decreti previsti nel d.lgs. 18 maggio 2015, n. 102 e della direttiva UE in materia di diritto d’autore. C. BARBATI, M. CAMMELLI, L. CASINI, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 2020, pp. 221 ss.
50 Un esempio è la Convenzione europea del paesaggio (Firenze, 2000) ratificata con la l. 9 gennaio 2006, n. 14.
51 P. BILANCIA, Diritto alla cultura. Un osservatorio sulla sostenibilità culturale, Diritti culturali e nuovi modelli di sviluppo. La nascita dell’Osservatorio sulla sostenibilità culturale, ESI, Napoli, 2016
52 Si tratta di beni pertinenti alla natura (flora, fauna, minerali) e creati dall’uomo per dimostrazioni scientifiche che, spesso raccolti in collezioni e musei, hanno assolto funzione didattica e dimostrativa e conservano valore intrinseco assoluto e storico.
53 Beni di pertinenza delle arti e tradizioni popolari e della cultura materiale, in stretta connessione con il contesto di provenienza.
54 Raccolte di biblioteche, archivi, singoli documenti pubblici e quelli privati se di notevole interesse storico.
55 Vi sono poi delle altre categorie considerate residuali a prescindere dalla loro specifica inclusione in quelle sopramenzionate, come affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli e altri ornamenti di edifici, esposti o meno alla pubblica via; studi d’artista individuati con decreto ministeriale; aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale; fotografie ed esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o sequenze di immagini in movimento o comunque registrate, nonché documentazioni di manifestazioni sonore o verbali, comunque registrate, la cui produzione risalga a oltre 25 anni; mezzi di trasporto aventi più di 75 anni; beni e strumenti aventi interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di 50 anni. La legge può individuare in ogni caso altri beni da assoggettare alla disciplina dei beni culturali in quanto rappresentano testimonianza avente valore di civiltà. Sul tema cfr L. CASINI, Todo es peregrino Y Raro: Massimo Severo Giannini e i beni culturali, in Rivista trimestrale i diritto pubblico, 3/2015, PP. 987-1005.
56 Beni culturali e ambientali, in Enciclopedia online Treccani, pp. 1-2.
57 A. SIMONCINI, Il diritto alla tecnologia e le nuove diseguaglianze, in F.S. MARINI, G. SCACCIA (a cura di), Emergenza Covid-19 e ordinamento costituzionale, Torino, Giappichelli, 2020, pp. 191 ss.
58 Come previsto dall’art. 135 Codice dei Beni culturali e del paesaggio.
59 Sul tema cfr art. 144 Codice dei Beni culturali e del paesaggio.
60 M. MANCARELLA, Il principio dello sviluppo sostenibile: tra politiche mondiali, diritto internazionale e Costituzioni nazionali, in Giuristi ambientali. Il contributo costituisce una voce dell’Enciclopedia di Bioetica e Scienza giuridica, Università Cattolica di Roma – Università di Lecce, ESI Napoli.
DEMANIO MARITTIMO & PORTUALE 21 luglio 2023 – Porto di Tropea dalle 17 alle 20 TROPEA Indirizzi di Saluto Avv. Angelo RUBERTO Presidente Rete Nazionale Forense Avv. Francesco De LUCA Presidente Ordine Avvocati Vibo Valentia […]
Convegni e Master21 luglio 2023 – Porto di Tropea dalle 17 alle 20
TROPEA
Indirizzi di Saluto
Avv. Angelo RUBERTO Presidente Rete Nazionale Forense
Avv. Francesco De LUCA Presidente Ordine Avvocati Vibo Valentia
Avv. Giovanni MACRI’ Sindaco di Tropea
Avv. Corrado L’ANDOLINA Presidente Provincia di Vibo Valentia
Avv. Sandro D’AGOSTINO Presidente Porto di Tropea
C.F. (CP) Luigi SPALLUTO Comandante della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia
Avv Carmen REINA Presidente RNF Sicilia
Avv. Antonio BUFALARI Segretario Generale Assonautica nazionale
Introduce
Avv. Alfredo MERCATANTE Presidente Sezione Territoriale Calabria RNF
Moderano
Nico De LUCA ed Agostino PANTANO Giornalisti “LaCTv”
RELATORI 1° Sessione: 17.00 -18.30
Avv. Morena LUCHETTI Responsabile Dipartimento Diritto Amministrativo RNF
Dr. Ivo CORREALE Presidente 24 Sezione TAR Calabria
Prof. Diego DE CAROLIS Professore dell’Università degli Studi di Teramo
Dr. Massimo PROVINCIALI già Direttore Generale del Demanio Marittimo del Mit
Dr. Giuseppe NUCERA Presidente Assobalneari Confindustria Calabria
RELATORI 2° Sessione: 18.30 – 19.30
Amm. Andrea AGOSTINELLI Presidente AdSP dei Mari Tirreno Meridionale e Jonio
Dr. Angelo SICLARI Presidente Assormeggi Italia
STV (CP) Antonio MENNA Capo Sezione Demanio della Capitaneria di Porto di Vibo Val.
Avv. Leandro PARODI Dipart. Diritto Amministrativo Fondazione Aiga “T Bucciarelli”
DIBATTITO: 19.30 – 20.00
Conclusioni
On. Paolo RIPAMONTI Esperto Mappatura arenili demaniali tavolo tecnico Presidenza CAM
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Vedi Locandina: CONVEGNO DEMANIO MARITMO E PORTUALE_21.07.2023
IL PROBLEMA ETICO NEI SISTEMI SOCIALI Sergio Benedetto Sabetta “ E’ forse anche per questo che negli ultimi anni, proprio mentre l’America è avvertita in declino, le università cinesi stanno attivando corsi di filosofia occidentale: […]
Notizie
Sergio Benedetto Sabetta
“ E’ forse anche per questo che negli ultimi anni, proprio mentre l’America è avvertita in declino, le università cinesi stanno attivando corsi di filosofia occidentale: Adam Smith, Immanuel Kant, Jean Jacques Rousseau e persino Carl Schmitt vengono inseriti nei << manuali per una nuova nazione >>, con l’obiettivo dichiarato di << conoscere il nemico e strapparne il buono >>” ( G. De Ruvo, 79).
Anche Platone viene studiato ed inserito nel confucianesimo per accrescere razionalità ed astrazione, così da rendere il concetto confuciano di “armonia” universale, mentre una “sempre minore importanza … viene assegnata alla storia e alla filosofia in America, soprattutto nella formazione di giovani diplomatici e futuri decisori geopolitici” (G. De Ruvo, 79).
Si deve osservare che i fenomeni antropologici non possono essere valutati settorialmente ma bensì organicamente come si presentano nella realtà, superando quindi le vecchie cesure interdisciplinari (Malinowski).
Si è pertanto elaborato il concetto di “personalità di base” quale rapporto tra le capacità ed esigenze della persona e l’aggregato sociale con le sue regole, norme e riti, vi è pertanto una esigenza di adattamento dell’individuo (Kardiner).
La “coazione sociale” esercita un’azione completa sui comportamenti psico-antropologici dei singoli e induce alla costituzione di una serie di valori e miti collettivi, in cui non deve comunque essere assolutizzato il fattore economico (Durkheim).
Lévy-Bruhl si pone il problema della frammentazione dell’umanità in sistemi sociali plurimi, per cui l’individuo acquista il suo significato solo se inserito in un determinato sistema di rapporti culturali codificati, da ciò deduce l’inesistenza di leggi e valori universali insiti nell’essere umano.
Vi è, tuttavia, il rischio di confondere i due piani, quello dei valori dell’essere e quello della loro formulazione sociale che Parsons definisce come “azione sociale”, la quale non è altro che il risultato di una interiorizzazione nel corso del processo di socializzazione di un insieme di credenze, valori e regole di condotta necessarie a mediare il rapporto tra egoismi individuali e il contesto relazionale.
Parsons parla di “prerequisiti funzionali” alle azioni di sistema rivolte alla soddisfazione dei bisogni di sopravvivenza, integrazione interna ed equilibrio esterno, queste sono: adattamento dei rapporti con l’ambiente esterno, per l’acquisizione delle risorse necessarie alla sopravvivenza, e stabilizzazione, integrazione del sistema mediante il controllo delle devianze.
L’equilibrio svolto da questi “prerequisiti funzionali” tende a mantenere in omeostasi, ossia in equilibrio, il sistema, tuttavia due elementi vengono ad incidere l’attività e l’apprendimento, i quali creano nuovi processi di differenziazione a cui seguono processi di integrazione, fino agli atti rivoluzionari di rottura sia in termini di valori che sociali.
In questa analisi Parsons perfeziona i concetti di “status” e “ruolo” quali elementi che forniscono valori e aspettative comportamentali sociali, venendo a incidere sull’agire dei singoli.
Searle nella sua “Teoria sulla creazione del mondo sociale e istituzionale” considera i nuovi ruoli e modi di agire come funzioni di status accettati collettivamente e implicanti una propria deontologia, i poteri che ne nascono, “poteri deontici”, costituiscono ragioni per l’azione indipendentemente dai singoli desideri.
Si comprime pertanto la rilevanza degli stati psicologici nel formarsi delle strutture normative, senza che questo tuttavia possa comprimere qualsiasi spazio di libertà, si è infatti osservato che vi è necessità comunque di valutare l’aspetto psicologico individuale in quanto, come osservato da Ferraris, la normativa esiste solo se è nella testa delle persone.
La mancanza di valori e chiare aspettative comportamentali portano alla dissoluzione istituzionale, come avvenne nel passaggio dai Comuni alle Signorie nel XIV – XV secolo in Italia, quando si formarono le Signorie dei Visconti – Sforza a Milano, Da Polenta a Padova, Della Scala a Verona, dei Medici a Firenze, dei Malatesta a Rimini, dei Gonzaga a Mantova e degli Este a Ferrara, per citarne solo alcuni.
L’economia comportamentale ha evidenziato l’esistenza di una miscela di cooperazione e competizione nella specie umana, condivisa con i primati, che possa garantire il successo evoluzionista sia del singolo che del gruppo in cui si identifica (de Waal), vi è infatti la necessità di competere per risorse limitate e proprio la tipologia e le modalità di distribuzione delle stesse viene ad incidere sulla evoluzione e, quindi, sulla delimitazione dei gruppi sociali nonché della loro morale (Chase).
Dobbiamo considerare che il pensiero simbolico, il linguaggio e la trasmissione di informazioni può realizzarsi validamente solo in presenza di una affidabilità tra individui, questo dovrebbe favorire evolutivamente la selezione del gruppo tra competitori. Una circostanza che impone il controllo della competizione interna al gruppo, peraltro utile se contenuta entro limiti non distruttivi, al fine dell’evoluzione del gruppo in termini di fitness rispetto agli altri gruppi, si ha pertanto una “selezione multilivello” (SML) (D. S. Wilson – E. O. Wilson).
In questa competizione multilivello vi è un intreccio fra altruismo e localismo che determina una selezione di tipo sociale, infatti vengono ad essere più efficienti e quindi prevalere i gruppi dotati di un “altruismo localistico”, tanto che si è osservato, anche in altri primati, che l’altruismo è direttamente proporzionale al grado di competizione fra gruppi.
Parallelamente lo stesso sentimento della “vergogna” , tanto vituperato nell’attuale momento storico, acquista una propria funzione di collante sociale, tanto da indurre a sottolineare che la capacità di formulare giudizi morali emerge dall’empatia che si forma tra membri del gruppo, la morale risulta pertanto come il risultato dell’evoluzione di una pluralità di fattori biologici e culturali a più livelli, in una successione di transazioni in nicchie mutevoli (Pievani).
Quando l’evoluzione economica e sociale porta al limite di rottura il sistema può esservi o una implosione o un’esplosione, l’atto rivoluzionario da cui dovrebbe emergere la nuova organizzazione comporta una rottura dell’etica, così che nel caos che si determina vi è un progressivo sperimentare fino all’estremismo possibile, basti pensare alle varie rivoluzioni che hanno percorso la Storia.
Solo successivamente, sperimentata la massima pressione sostenibile, la stabilizzazione nascente dal coagularsi degli interessi di nuove forze crea la nuova etica e si avrà il passaggio dal magma della Genesi, fondato sull’etica di una leadership mistica, ad una istituzionalizzazione e stratificazione etica (Alberoni).
La visione etica viene ad influire non solo la lettura degli eventi sociali ma anche l’interpretazione delle misurazioni matematiche, dando e fornendo ad esse coerenza con la nostra storia etica, quello che non risulta per noi coerente viene a perdersi nel prosieguo della nostra storia (Lloyd), così che anche un aspetto puramente contabile quale l’inflazione acquista una lettura etica per il sistema sociale.
D’altronde la mancanza di vincoli esterni determinati da minacce al sistema del gruppo determina un rilassamento nei rapporti operativi ed il prevalere di interessi esclusivamente individualistici, favoriti da un senso di sicurezza che frantuma il gruppo proiettando all’interno le minacce e i conflitti venuti meno dall’esterno, ad una prima fase euforica e anarcoide nella quale prevarrà come modello vincente il comportamento truffaldino e prettamente individualista, subentrerà una progressiva implosione che avrà come possibile reazione o un irrigidimento etico della leadership o lo sgretolamento del sistema (Etica descrittiva), una situazione che si è manifestata anche negli attuali rapporti geopolitici.
Quanto detto fa inserire l’etica negli aspetti naturalistici della specie umana, senza che questo possa appiattirla esclusivamente su stati mentali di carattere non cognitivo quali emozioni e attitudini (Teorie non cognitiviste), piuttosto vi è una simbiosi tra la sensibilità degli agenti con le loro reazioni affettive derivanti dalle proprietà naturali del mondo (Naturalismo scientifico e Teorie della sensibilità) con la riflessione culturale ed esperienziale (Teorie non realiste).
Precisa Railton che le proprietà morali sono qualcosa di oggettivo riducibili alle proprietà naturali o in termini analitici (Lewis) o secondo un giudizio sintetico di identità (Railton), nel qual caso si vengono ad identificare i giudizi di valore con la normazione sociale convenuta o all’estremo con le disposizioni valutative del singolo.
La morale potrebbe essere quindi un cristallo poliedrico dove le immagini sopra descritte sono semplicemente frammenti provenienti dalla stessa fonte, la necessità della creazione che spinge l’individuo nella ricerca diventa da bisogno naturale originario e necessario per la sopravvivenza una necessità etica per l’individuo, che si riflette sul gruppo quale necessità per la comunicazione e la sua ricezione, un principio che permette di superare la conflittualità intergruppo e nel gruppo una volta superato il pericolo proveniente da una Natura esterna.
BIBLIOGRAFIA
F. Alberoni, Genesi, Garzanti 1989;
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Il Fascicolo n.2/2023 della Rivista Giuridica di Diritto QUOTIDIANO LEGALE è in preparazione. Fascicolo 2023_2. QL Quotidiano Legale
Fascicoli Fascicolo n.2/2023
Il Fascicolo n.2/2023 della Rivista Giuridica di Diritto QUOTIDIANO LEGALE è in preparazione.
Demolizione opere abusive: assegnazione di contributi ai Comuni. MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 27 aprile 2023 Assegnazione di contributi ai comuni per gli interventi di demolizione delle opere abusive a valere sulle […]
Enti Locali e P.A. Nazionale NotizieDemolizione opere abusive: assegnazione di contributi ai Comuni.
DECRETO 27 aprile 2023
Assegnazione di contributi ai comuni per gli interventi di demolizione delle opere abusive a valere sulle risorse di cui all'articolo 1, comma 26, della legge 27 dicembre 2017, n. 205. (23A03507)
(GU n.143 del 21-6-2023)
IL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri» e successive modificazioni; Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, recante «Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59» e successive modificazioni; Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» e successive modificazioni; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia» (testo A) e successive modificazioni; Visto l'art. 34 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, che al comma 2 stabilisce che «L'impegno puo' essere assunto solo in presenza, sulle pertinenti unita' elementari di bilancio, di disponibilita' finanziarie sufficienti, in termini di competenza, a far fronte in ciascun anno alla spesa imputata in bilancio e, in termini di cassa, a farvi fronte almeno nel primo anno, garantendo comunque il rispetto del piano finanziario dei pagamenti (Cronoprogramma), anche mediante l'utilizzo degli strumenti di flessibilita' stabiliti dalla legislazione vigente in fase gestionale o in sede di formazione del disegno di legge di bilancio»; Visto l'art. 34-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196, che al comma 3 stabilisce che «Le somme stanziate per spese in conto capitale non impegnate alla chiusura dell'esercizio possono essere mantenute in bilancio, quali residui, non oltre l'esercizio successivo a quello di iscrizione in bilancio, salvo che questa non avvenga in forza di disposizioni legislative entrate in vigore nell'ultimo quadrimestre dell'esercizio precedente»; Visto l'art. 4-quater, comma 1, lettera b) del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55, ai sensi del quale, con riferimento agli anni 2019, 2020 e 2021, per le spese in conto capitale, i termini di conservazione in bilancio dei residui di stanziamento di cui al comma 3 dell'art. 34-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196, sono prolungati di un ulteriore esercizio; Visto l'art. 265 del decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77; Vista la legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020»; Visto, in particolare, l'art. 1, comma 26, della citata legge n. 205 del 2017, con il quale e' stato istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo finalizzato all'erogazione di contributi ai comuni per l'integrazione delle risorse necessarie agli interventi di demolizione di opere abusive, con una dotazione di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019 ed e' stata, altresi', demandata a un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministro per i beni e le attivita' culturali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la definizione dei criteri per l'utilizzazione e per la ripartizione del fondo; Visto il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, art. 46-ter, convertito dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, con cui il fondo di cui all'art. 1, comma 26, della citata legge, n. 205 del 2017 e' stato incrementato di un milione di euro per l'anno 2020; Vista la legge 30 dicembre 2021, n. 234, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024», che all'art. 1, comma 873, ha previsto che «Il Fondo di cui all'art. 1, comma 26, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, e' incrementato di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023»; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 2020, n. 190, «Regolamento recante l'organizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti», come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 giugno 2021, n. 115; Visto il decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilita' sostenibili n. 481 del 30 novembre 2021 di riorganizzazione degli Uffici di II livello del Ministero, ammesso a registrazione in data 19 dicembre 2021 al n. 3089; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 2022 con cui, all'art. 5, il sen. Matteo Salvini e' stato nominato Ministro delle infrastrutture e della mobilita' sostenibili; Visto il decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, art. 5, ai sensi del quale «1. Il Ministero delle infrastrutture e della mobilita' sostenibili assume la denominazione di Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. 2. Le denominazioni "Ministro delle infrastrutture e dei trasporti" e "Ministero delle infrastrutture e dei trasporti" sostituiscono, a ogni effetto e ovunque presenti, le denominazioni "Ministro delle infrastrutture e della mobilita' sostenibili" e "Ministero delle infrastrutture e della mobilita' sostenibili". 3. L'art. 5 del decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 aprile 2021, n. 55, e' abrogato.»; Visto il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il Ministro per i beni e le attivita' culturali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, n. 254 del 23 giugno 2020, registrato alla Corte dei conti il 24 luglio 2020 n. 3150, con cui sono stati definiti i criteri per l'utilizzazione e per la ripartizione del fondo; Visto l'art. 2 (Finalita' e criteri di utilizzazione del fondo) del predetto decreto interministeriale n. 254 del 23 giugno 2020; Visto, in particolare, l'art. 3 (Criteri di ripartizione delle risorse attribuite al fondo), che ai commi 2, 3 e 5 prevede «2. La ripartizione delle risorse assicura la realizzazione di almeno un intervento di demolizione in ciascuna Regione, individuato a partire dalla maggiore volumetria dello stesso, fermo restando quanto indicato all'art. 2 del presente decreto. Per gli interventi di pari cubatura, i Comuni ne indicano l'ordine prioritario. 3. Le somme assegnate ai Comuni per ciascun intervento sono pari al 50% del costo totale dello stesso, indicato al momento della presentazione della domanda e risultante dal quadro tecnico economico. [...] 5. Entro 3 mesi dal termine per la presentazione delle domande di contributo, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e' approvato l'elenco degli interventi ammessi al contributo ai sensi dell'art. 1, comma 26, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e del presente decreto, con indicazione delle relative somme assegnate poste a carico del "Fondo demolizioni".»; Visto, in particolare, il comma 1 dell'art. 6 (Modalita' di presentazione delle domande di contributo), ai sensi del quale «Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rende disponibile, su dedicata sezione del proprio sito internet, apposito sistema informatico per la presentazione delle domande di contributo poste a carico del "Fondo demolizioni". Nel sistema sono altresi' resi noti i termini per la presentazione delle domande e gli elementi amministrativi e contabili da indicare»; Visto l'avviso pubblico prot. 20149 del 24 ottobre 2022 del direttore generale per l'edilizia statale, le politiche abitative, la riqualificazione urbana e gli interventi speciali; Visto il decreto prot. 20148 del 24 ottobre 2023, con cui la dirigente della Divisione 10 della Direzione generale per l'edilizia statale, le politiche abitative, la riqualificazione urbana e gli interventi speciali, nomina il responsabile del procedimento per la fase di cui all'art. 6 del decreto interministeriale n. 254 del 23 giugno 2020, attinente alla presentazione delle istanze di contributo da parte dei comuni; Visto il decreto del 15 dicembre 2022, assunto a prot. 4520 del 14 febbraio 2023, con cui la dirigente della Divisione 10 della Direzione generale per l'edilizia statale, le politiche abitative, la riqualificazione urbana e gli interventi speciali, ha nominato un nuovo responsabile del procedimento per la prosecuzione delle attivita' connesse all'avviso pubblico prot. 20149 del 24 ottobre 2022; Visti i termini per la presentazione delle istanze da parte dei comuni indicati sul sito internet e sull'apposito sistema informativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dalle ore 12,00 del 14 novembre 2022 alle ore 12,00 del 14 dicembre 2022; Viste le quarantuno schede intervento proposte dai comuni attraverso l'apposito sistema informativo per la presentazione delle domande di contributo; Visti i due verbali di istruttoria del responsabile del procedimento prot. n. 7525 del 17 marzo 2023 e prot. n. 8948 del 30 marzo 2023; Visto l'elenco degli interventi con i relativi importi ammessi al contributo, proposto con il verbale n. 2 del responsabile del procedimento prot. n. 8948 del 30 marzo 2023 dal quale emergono quaranta interventi istruiti positivamente in quindici comuni, ubicati in sei regioni, per una volumetria complessiva di 62.467,03 metri cubi, un importo complessivo degli interventi pari ad euro 4.468.784,26 e un ammontare di contributi da porre a carico del fondo di cui all'art. 1, comma 26, della legge 27 dicembre 2017 n. 205 pari ad euro 2.233.899,71; Vista la relazione illustrativa del presente decreto; Considerato che l'elenco degli interventi ammessi al contributo assicura, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del decreto interministeriale n. 254 del 23 giugno 2020, la realizzazione di almeno un intervento di demolizione in ciascuna regione, individuato a partire dalla maggiore volumetria dello stesso; Visto che le risorse previste dall'art. 1, comma 26, della citata legge n. 205 del 2017 per l'esercizio finanziario 2023, come successivamente integrate, sono iscritte sul capitolo 7446 «Fondo per l'integrazione delle risorse necessarie agli interventi di demolizione di opere abusive», piano gestionale 1, dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; Considerato che sul capitolo 7446 «Fondo per l'integrazione delle risorse necessarie agli interventi di demolizione di opere abusive», piano gestionale 1, vi e' la capienza necessaria per procedere all'assegnazione ai comuni di risorse complessivamente pari ad euro 2.233.899,71; Ritenuto di dover approvare, come previsto dall'art. 3, comma 5, del decreto interministeriale n. 254 del 23 giugno 2020, l'elenco degli interventi di demolizione delle opere abusive e le relative somme assegnate ai comuni a valere sulle risorse di cui all'art. 1, comma 26, della legge 27 dicembre 2017, n. 205; Ritenuto necessario procedere all'assegnazione dei contributi ai comuni di cui alla legge n. 205 del 2017, art. 1, comma 26; Decreta: Art. 1 1. Ai sensi dell'art. 3, comma 5, del decreto interministeriale n. 254 del 23 giugno 2020, e' approvato l'allegato «Elenco interventi di demolizione delle opere abusive e contributi assegnati - risorse art. 1, comma 26, legge n. 205/2017», con i relativi importi ammessi al contributo a valere sulle risorse di cui all'art. 1, comma 26, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, che costituisce parte integrante del presente decreto. 2. Gli importi ammessi al contributo indicati nell'elenco allegato sono assegnati ai comuni ad integrazione delle risorse necessarie alla realizzazione degli interventi di demolizione delle opere abusive approvati con il presente decreto.
Art. 2 Gli oneri derivanti dal presente decreto, pari complessivamente ad euro 2.233.899,71, sono posti a carico delle risorse di cui all'art. 1, comma 26, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, iscritte sul capitolo 7446, piano gestionale 1, per un importo di euro 1.381.675,00 a valere sui residui di lettera f) provenienti dall'esercizio finanziario 2022 e per un importo di euro 852.224,71, a valere sullo stanziamento di competenza per l'anno 2023. Il presente decreto e' trasmesso ai competenti organi di controllo e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sul sito internet del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Roma, 27 aprile 2023 Il Ministro: Salvini Registrato alla Corte dei conti il 24 maggio 2023 Ufficio di controllo sugli atti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, n. 1833
Allegato Elenco interventi di demolizione delle opere abusive e contributi assegnati - risorse art. 1, comma 26, legge n. 205/2017 Parte di provvedimento in formato grafico
LA DISCIPLINA E LA GESTIONE DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA Giovanni Modafferi1 Sintesi: La ricerca scientifica è il punto di partenza per i nuovi servizi e prodotti che l’Unione Europea vuole offrire […]
Diritto Amministrativo Dottrina Enti Locali e P.A. Fascicolo n.2/2023
LA DISCIPLINA E LA GESTIONE DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA
Giovanni Modafferi1
Sintesi:
La ricerca scientifica è il punto di partenza per i nuovi servizi e prodotti che l’Unione Europea vuole offrire ai suoi cittadini e in uno spirito di crescita e rispetto reciproco al mondo. A tal fine è necessario promuovere il lavoro dei ricercatori e degli enti di ricerca creando un contesto normativo basato sull’autonomia, la semplificazione e l’armonizzazione dei sistemi contabili, per favorire l’attività, l’innovazione e i partenariati internazionali.
Abstract:
Scientific research is the starting point for the new services and products that the European Union wants to offer its citizens and in a spirit of growth and mutual respect to the world. To this end it is necessary to promote the work of researchers and research organisations by creating a regulatory environment based on autonomy, simplification and harmonisation of accounting systems, in order to foster activity, innovation and international partnerships.
Sommario: 1. La disciplina degli enti pubblici di ricerca. – 1.1 Autonomia statutaria e regolamentare. – 1.2 Piani triennali di attività e assunzioni. – 1.3 Permanenza del personale di ruolo nella prima sede, congedi, portabilità dei progetti e valorizzazione del merito. – 1.4 Semplificazione delle attività amministrative. – 1.5 La funzione consultiva degli Organismi della ricerca. 2. La gestione degli enti pubblici di ricerca. – 2.1 Il processo di armonizzazione dei sistemi contabili. – 2.2 La contabilità economico-patrimoniale. – 2.3 Il ruolo del direttore generale. – 2.4 Il ruolo degli organi consultivi. – 2.5 La valutazione dei risultati. – 3. Una riforma necessaria: la semplificazione amministrativa. – Brevi conclusioni
1. La disciplina degli enti pubblici di ricerca
Il d.lgs. 218/2016 adottato sulla base della delega recata dalla L. 124/2015 cd. legge Madia ha definito per la prima volta alcune regole comuni a tutti gli enti pubblici di ricerca allo scopo di semplificarne le attività, ferme restando, per quanto non previsto, le disposizioni specifiche relative ai singoli enti.
Lo scopo della normativa è stato quello di innovare la disciplina degli enti pubblici di ricerca, differenziandola ulteriormente da quella prevista per la maggior parte delle pubbliche amministrazioni, al fine di allineare maggiormente la stessa al sistema delle autonomie universitarie2.
In base all’art. 2 del d.lgs. 218/2016 molti tra questi enti hanno conseguentemente adeguato i propri Statuti per renderli espressamente conformi alla riforma.
1.1 Autonomia statutaria e regolamentare
Il d.lgs. 218/2016 ha riconosciuto agli enti pubblici di ricerca piena autonomia statutaria e regolamentare disponendo altresì che gli Statuti e i relativi regolamenti siano sottoposti al controllo di legittimità e di merito dal Ministero vigilante (artt. 3 e 4).
Il rafforzamento che deriva da queste previsioni è tale da far configurare lo Statuto come una vera e propria “carta costituzionale” dell’ente.
In precedenza l’art. 8 della L. 168/1989 – abrogato dal d.lgs. 218/2016 – aveva previsto l’autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile soltanto per il CNR, l’INFN, gli Osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano (oggi, INAF), nonché per enti e istituzioni pubbliche nazionali di ricerca a carattere non strumentale. Successivamente il d.lgs. 213/2009 aveva allargato tale riconoscimento agli enti pubblici di ricerca vigilati dal MIUR, ora MUR3.
In particolare gli Statuti e i regolamenti devono recepire la Raccomandazione della Commissione europea 11 marzo 2005 riguardante la Carta europea dei ricercatori e il Codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori e tener conto delle indicazioni contenute nel documento European Framework for Research Careers4.
Statuti e regolamenti, ai sensi del d.lgs. 218/2016, devono dunque assicurare ai ricercatori e ai tecnologi: “la libertà di ricerca; la portabilità dei progetti; la diffusione e la valorizzazione delle ricerche; le attività di perfezionamento ed aggiornamento; la valorizzazione professionale; l’idoneità degli ambienti di ricerca; la flessibilità lavorativa funzionale all’adeguato svolgimento delle attività di ricerca; la mobilita geografica, intersettoriale e quella tra un ente e un altro; la tutela della proprietà intellettuale; la possibilità di svolgere specifiche attività di insegnamento in quanto compatibili con le attività di ricerca; adeguati sistemi di valutazione” e – last but not least – “la rappresentanza elettiva di ricercatori e tecnologi negli organi scientifici e di governo degli enti” (art. 2).
Si noti che la rappresentanza elettiva dei ricercatori, oggi esplicitamente prevista dalla riforma in commento, rappresenta un significativo “passo in avanti” in materia di riconoscimento dei diritti dei ricercatori e dei tecnologi5.
Per gli enti non vigilati dal MUR è stato previsto l’adeguamento degli Statuti e dei regolamenti anche all’atto di indirizzo e coordinamento, rivolto al singolo ente, con il quale il Ministero vigilante recepisce le linee guida dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) in tema di metodologie per la valutazione dei risultati della ricerca6.
Il d.lgs. 218/2016 ha infatti esteso la valutazione della ricerca – in precedenza prevista obbligatoriamente solo per gli enti pubblici di ricerca vigilati dal Ministero dell’Università e della Ricerca – a tutti gli enti pubblici di ricerca (art. 17).
Al comma 2 dell’art. 3 d.lgs. 218/2016 vengono quindi esplicitati i contenuti minimi degli Statuti (lett. a e b) nonché le ulteriori forme di collaborazione che gli enti pubblici di ricerca sono “chiamati” ad instaurare con i settori dell’Università e delle Imprese e di cooperazione con Istituzioni ed enti di altri Paesi e di collaborazione con le Regioni, a ulteriore conferma della reale importanza di queste forme di apertura e collaborazione.
1.2 Piani triennali di attività e assunzioni
In base al d.lgs. 218/2016 ogni ente adotta, in conformità con le linee guida enunciate nel Programma nazionale della ricerca o PNR7, un Piano triennale di attività (PTA) aggiornato annualmente e approvato dal Ministero vigilante con il quale determina autonomamente, oltre all’attività scientifica, la consistenza e le variazioni dell’organico e la programmazione per il reclutamento, nel rispetto dei limiti in materia di spesa per il personale (artt. 7 e 9)8.
Gli enti, in particolare, che al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento riportano un valore dell’indicatore delle spese di personale pari o superiore all’80% – calcolato rapportando le spese complessive di personale nell’anno di riferimento alla media delle entrate complessive dell’ente nell’ultimo triennio – non possono procedere all’assunzione di personale (art. 9, co. 6, lett. a).
Il calcolo delle spese complessive di personale è dato dalla somma delle spese per il personale nell’anno di riferimento, comprensive degli oneri a carico dell’amministrazione, al netto di quelle sostenute per personale con contratto a tempo determinato la cui copertura sia stata assicurata da finanziamenti esterni di soggetti pubblici o privati.
Gli enti che riportano alla stessa data un valore dell’indicatore inferiore all’80% possono procedere ad assunzioni, con oneri a carico del proprio bilancio, per una spesa media annua pari a non più del margine a disposizione rispetto al limite dell’80% (art. 9, co. 6, lett. b).
Nella nuova disciplina, dunque, non vi è più differenza tra i limiti applicabili a ricercatori e tecnologi e quelli riferiti al rimanente personale.
Ai fini delle assunzioni (nonché ai fini del monitoraggio), il Ministro vigilante definisce per ciascuna qualifica un costo medio annuo, prendendo come riferimento il costo medio della qualifica di dirigente di ricerca, c.d. “punto organico” (art. 9, co. 6, lett. c).
Non sono più richiesti la preventiva autorizzazione né, per i ricercatori e tecnologi, il previo esperimento di procedure di mobilità per l’immissione in ruolo di dipendenti provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, che facciano domanda di trasferimento.
Le determinazioni relative all’avvio delle procedure di reclutamento e alle relative assunzioni sono comunicate al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri (artt. 11, co. 1, e 12, co. 1 e 2)9.
In riferimento al Piano triennale di attività (PTA) va dunque chiarito che lo stesso costituisca attualmente il documento di programmazione a breve e medio termine dell’ente, che definisce gli obiettivi strategici (per il periodo di riferimento) sia dal punto di vista scientifico, sia da quello gestionale. Per realizzare ciò il PTA si rapporta quindi, per esplicita previsione normativa, in modo diretto con gli indirizzi contenuti nel PNR.
La programmazione e la strategia in esso contenuti si correlano inoltre con le ulteriori politiche di ricerca nazionali e internazionali e con le strategie dei Programmi europei di finanziamento in materia.
Uno degli elementi portanti del PTA è dunque l’individuazione di aree strategiche, intese come macro ambiti di attività, che guideranno le scelte scientifiche dell’ente e la conseguente allocazione di risorse finanziarie, umane e infrastrutturali, a loro volta individuate con la metodologia introdotta ab origine dalla legge Madia.
In materia è infatti intervenuto il d.lgs. 75/2017 che, in attuazione della legge Madia, ha novellato in più punti le norme generali previste nel d.lgs. 165/2001. In particolare ha modificato e integrato gli art. 6 e 6 bis, e ha introdotto l’art. 6 ter, apportando sostanziali modifiche alla materia dei fabbisogni di personale, con lo scopo di innovare logica e metodologia per la loro determinazione da parte delle singole amministrazioni10.
Specifiche previsioni riguardano infine le assunzioni con contratto a tempo indeterminato per chiamata diretta di ricercatori o tecnologi italiani o stranieri dotati di altissima qualificazione scientifica, che si sono distinti per merito eccezionale o che siano stati insigniti di alti riconoscimenti scientifici in ambito internazionale (art. 16).
Tali assunzioni sono effettuate, previa valutazione del merito eccezionale da parte di apposite commissioni e previo nulla osta del Ministro vigilante11, nell’ambito del 5% dell’organico dei ricercatori e dei tecnologi e nel limite del numero di assunzioni effettuate nel medesimo anno per concorso, a condizione che a ciò siano destinate entrate, ulteriori e apposite, che possono provenire anche annualmente dai Ministeri vigilanti.
Gli enti devono comunque dimostrare di non aver superato il limite per l’indicatore di spese per il personale.
1.3 Permanenza del personale di ruolo nella prima sede, congedi, portabilità dei progetti e valorizzazione del merito
In base al d.lgs. 218/2016 il personale di ruolo deve permanere nella sede di prima destinazione per tre anni invece dei cinque previsti in linea generale dall’art. 35, co. 5-bis, del d.lgs. 165/2001.
Ai ricercatori e tecnologi l’ente di appartenenza può concedere congedi per motivi di studio o di ricerca scientifica e tecnologica presso istituzioni, istituti o laboratori esteri, fino ad un massimo di cinque anni ogni dieci di servizio.
In caso di cambiamento di ente o sede – anche temporaneo – i ricercatori e tecnologi responsabili di progetti finanziati da soggetti diversi dall’ente di appartenenza, conservano la titolarità dei progetti e dei relativi finanziamenti, ove scientificamente possibile, previo accordo dell’ente ricevente e del committente della ricerca (art. 11, co. 2-5).
Per valorizzare il merito gli enti possono istituire, nei limiti dello 0,5% della spesa complessiva di personale, premi biennali per i ricercatori e i tecnologi che abbiano conseguito risultati di eccellenza, nel limite massimo annuale del 20% del trattamento retributivo.
Le procedure per l’assegnazione dei premi sono disciplinate dal Consiglio di amministrazione di ogni ente, in conformità con i principi di trasparenza, imparzialità, oggettività (art. 15).
1.4 Semplificazione delle attività amministrative
Il d.lgs. 218/2016 ha svincolato gli enti pubblici di ricerca dal ricorso obbligatorio al mercato elettronico della Pubblica amministrazione (art. 1, co. 450, L. 296/2006) per gli acquisti di beni e servizi funzionalmente destinati all’attività di ricerca (art. 10, co. 3).
Inoltre, ha fissato i seguenti criteri per il rimborso delle spese di missione: il rimborso può avvenire a piè di lista oppure, per le spese diverse da quelle di viaggio, forfettariamente sulla base di una indennità giornaliera onnicomprensiva.
Nel caso di missioni in luoghi o condizioni particolarmente disagiati, o di motivata impossibilità a presentare i documenti di spesa, questi possono essere comprovati mediante autocertificazione. Le norme sul rimborso delle spese di missione si estendono al personale italiano o straniero che partecipa al progetto di ricerca sui cui finanziamenti grava il costo della missione (art. 13).
Ha previsto, altresì, che gli atti e i contratti relativi al conferimento di incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti esterni all’ente (art. 7, co. 6, d.lgs. 165/2001) non siano soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti.
Infine, ha previsto che gli enti pubblici di ricerca adottino sistemi di contabilità economico-patrimoniale per il controllo analitico della spesa per centri di costo (art. 10, co. 1). Viene confermato, invece, il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria (art. 14).
1.5 La funzione consultiva degli Organismi della ricerca
Il d.lgs. 218/2006 ha previsto l’istituzione di tre nuovi organismi competenti in materia di ricerca (art. 8).
Si tratta della Consulta dei Presidenti degli enti di ricerca, chiamata, in particolare, con chiare funzioni consultive nei confronti del Governo, a formulare proposte per la redazione, l’attuazione e l’aggiornamento del Programma nazionale della ricerca o PNR; del Comitato o Comitato di esperti, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, formato da esperti di alta qualificazione, rappresentanti della suddetta Consulta dei Presidenti degli enti di ricerca e della Conferenza dei rettori delle università (CRUI), con compiti consultivi e di monitoraggio inerenti il PNR; e del Consiglio nazionale dei ricercatori e dei tecnologi, istituito presso il MUR, chiamato a formulare pareri e proposte ai Ministeri vigilanti e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri su tematiche attinenti la ricerca.
Ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 218/2016 il ruolo di coordinamento fra tutti gli enti pubblici di ricerca presenti sul territorio nazionale è assicurato – in via esclusiva – dalla Consulta dei Presidenti degli enti di ricerca.
Il ruolo di coordinamento si rinviene nella previsione di cui al comma 3 dello stesso articolo, laddove è previsto che la Consulta venga convocata dal suo Presidente, ogni qual volta lo stesso lo ritenga necessario, e almeno una volta all’inizio e alla fine di ogni anno per la “condivisione” e la “verifica” delle scelte programmatiche annuali generali di ciascun ente e della loro coerenza con il PNR.
La funzione propositiva non è di scarsa importanza: aver individuato un “luogo” istituzionale dove si riuniscono tutti gli enti pubblici di ricerca permette agli stessi di poter elaborare formalmente delle proposte unitarie su tutti gli argomenti ritenuti “vitali” per gli enti stessi: dalla programmazione nazionale, all’eventuale razionalizzazione del settore ed ancora in tema di finanziamenti o di sviluppo di ulteriore forme di partenariati.
Fra i compiti assegnati alla Consulta dei Presidenti vi è anche quello di affiancare l’ANVUR nella redazione delle Linee guida per la definizione delle metodologie di valutazione dei risultati della ricerca, organizzativi ed individuali (art. 17, co. 1).
Infine la Consulta dei Presidenti ha anche il compito di relazionare periodicamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ai Ministeri vigilanti, sullo “stato di attuazione” della Carta europea dei ricercatori e del codice di condotta per l’assunzione degli stessi, favorendo così l’applicazione concreta dei principi comunitari in materia (art. 8, co. 5).
2. La gestione degli Enti pubblici di ricerca
L’attività di gestione negli enti di ricerca è regolata dal d.lgs. 218/2016 agli articoli 10 e 14 e dai principi generali validi per tutto il pubblico impiego previsti dal d.lgs. 165/2001 agli articoli 4, 14 e 18.
Il rinvio a ulteriori norme, schemi e principi completano ulteriormente il quadro all’interno della “cornice” sopra delineata.
In questo contesto vi sono un paio di cambiamenti che incidono profondamente in materia: la riforma della contabilità e il conseguente processo di “armonizzazione” della stessa.
A fare luce sull’intero sistema di gestione e controllo della spesa, le disposizioni di cui gli artt. 97 e 100 Cost.12 e il principio di trasparenza della normativa comunitaria.
Nello specifico la riforma di cui al d.lgs. 218/2016 prevede che gli enti adottino sistemi di contabilità economico-patrimoniale (art. 10). Il d.lgs. 218/2016 prevede inoltre, come già accennato, che gli atti e i contratti relativi al conferimento di incarichi individuali con contratti di lavoro autonomo ad esperti esterni all’ente non siano soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, a cui viene per il resto confermato il controllo sulla gestione finanziaria (art. 14).
Nel processo di programmazione e controllo generale della Amministrazioni pubbliche valgono inoltre i principi previsti dal d.lgs. 165/2001 ossia la separazione dei compiti di direzione politica da quelli di direzione amministrativa (art. 4, d.lgs. 165/2001), il potere propositivo di obiettivi e programmi operativi da parte dei dirigenti (art. 14, d.lgs. 165/2001) e la titolarità di autonomi poteri di gestione dei dirigenti (art. 18, d.lgs. 165/2001).
2.1 Il processo di armonizzazione dei sistemi contabili
L’art.10 d. lgs. 218/2016 prevede espressamente che gli enti pubblici di ricerca debbano adottare sistemi di contabilità economico-patrimoniale anche per il controllo analitico della spesa per centri di costo allo scopo di migliorare pianificazione strategica, e misurazione e valutazione dei risultati gestionali13.
Questa misura si inserisce nel più ampio quadro di armonizzazione dei sistemi contabili della Pubblica amministrazione.
Il nuovo sistema di regole – che presiedono la redazione dei bilanci pubblici con l’introduzione di criteri omogenei volti a migliorare la trasparenza, l’attendibilità e, soprattutto, la “confrontabilità” delle scritture contabili di tutte le amministrazioni pubbliche – costituisce uno strumento essenziale per la definizione di un quadro normativo che concorra alla sostenibilità delle finanze pubbliche.
Infatti, oltre a dispiegare la sua azione sul piano dell’autonomia normativa contabile degli enti pubblici, l’armonizzazione contabile è una “funzione” che estende, in concreto, i sui effetti anche sul piano finanziario in base al presupposto che una maggiore uniformità nella predisposizione degli strumenti di bilancio assicuri, in prospettiva, un miglior uso delle risorse pubbliche stesse.
In materia è intervenuta precisamente la direttiva 2011/85/UE che, da una parte, ha richiesto l’adozione in sede di programmazione di bilancio, di meccanismi di coordinamento tra tutti i sotto settori dell’Amministrazione statale e, dall’altro, ha evidenziato la necessità di uniformità delle regole e delle procedure contabili.
La disciplina dell’armonizzazione contabile nel nostro ordinamento si è quindi sviluppata in coerenza con le nuove regole e finalità nel frattempo intervenute in sede europea.
Il legislatore nazionale, che già aveva previsto un’ampia riforma in materia, ha quindi dato attuazione anche alle suddette indicazioni comunitarie.
Due decreti legislativi delegati in particolare, il d.lgs. 91/2011 e il d.lgs. 118/2011 hanno introdotto norme volte all’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio, rispettivamente, delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, della legge n. 196/2009 tra le quali vengono ricompresi gli enti pubblici di ricerca14, nonché delle amministrazioni pubbliche territoriali tra le quali Regioni, enti locali ed enti del Servizio sanitario nazionale15.
Tale sistema non risulta però ancora definitivamente a regime mancando, ad esempio, l’emanazione di importanti provvedimenti, quali quelli contenenti le istruzioni tecniche ed i modelli da utilizzare per la predisposizione del “Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio” previsto al Titolo V del suddetto d.lgs. 91/201116.
Risulta invece a regime l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Università di cui alla delega prevista dall’art. 5 della legge n. 240/201017 poi attuata con il d.lgs. 18/2012, volto all’introduzione del sistema di contabilità economico-patrimoniale e analitica, del bilancio unico e del bilancio consolidato nelle Università18.
2.2 La contabilità economico-patrimoniale
Il sistema di contabilità economico patrimoniale ha due finalità generali: valutare i ricavi derivanti dallo svolgimento di determinate attività, che comportano il sostenimento di relativi costi; e valutare le variazioni nella consistenza patrimoniale dell’organizzazione.
In quest’ottica, quindi, i ricavi costituiscono il valore creato dalla realizzazione (vendita) di determinati beni/servizi mentre i costi costituiscono l’utilizzo di risorse per la realizzazione di determinati beni/servizi.
Emerge pertanto una relazione tra i costi sostenuti ed i ricavi realizzati per un certo bene/servizio, tale che è possibile dedurre che la differenza fra ricavi e costi costituisca sostanzialmente il “risultato”.
Inoltre, il nuovo sistema, sostituendo al concetto di spesa il concetto di costo, ha il pregio di poter quantificare le risorse assorbite dalle varie attività e di far dunque conoscere la reale destinazione delle “energie” impiegate.
In tale prospettiva, quindi, l’obiettivo, non è l’equilibrio finanziario bensì quello economico.
Le principali differenze tra contabilità finanziaria e contabilità economico-patrimoniale sono, sinteticamente: 1) la contabilità economica guarda anche all’aspetto patrimoniale (assente nella contabilità finanziaria); 2) la contabilità economica mira a determinare il risultato d’esercizio, il capitale di funzionamento – patrimonio, gli effetti sulla cassa delle operazioni di gestione, mentre la contabilità finanziaria si limita alla determinazione dell’utilizzo delle risorse; 3) la contabilità economica rileva i costi “non monetari” legati all’utilizzo di risorse che apportano valore in un’ottica pluriennale (ammortamenti)19.
La contabilità economica-patrimoniale dovrebbe dunque consentire di dare maggiore trasparenza di comunicazione sulle risorse acquisite, e sul loro impiego rispetto al soddisfacimento dei bisogni pubblici20.
2.3 Il ruolo del direttore generale
L’attività di gestione, secondo il legislatore, implica un ruolo apicale a sé, non solo per quanto previsto nel d.lgs. 165/2001 ma anche per la competenza necessaria a ricoprire il ruolo di direttore generale.
Ciò, per inciso, si avvalora in considerazione del fatto che nel caso degli enti pubblici di ricerca, tali amministrazioni godono di un’autonomia particolare chiaramente riconosciuta dall’ordinamento, e possono pertanto vedersi applicare tutta una serie di deroghe fra istituti contrattuali e non.
Il ruolo del direttore generale è un ruolo esecutivo che non ha nulla di “politico” e che per essere compiutamente svolto, presuppone una qualificata esperienza sia della Pubblica amministrazione (con particolare riferimento agli aspetti pubblicistici, poiché potrebbe non bastare una formazione benché “professionale” di tipo privatistico-economica) sia della Ricerca.
In materia valgono i principi espressi dall’art. 4 del d.lgs. 165/2016 che prevede che ai dirigenti spettino “la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. Le attribuzioni suindicate possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative (co. 2 e 3).
L’art. 4 prevede che le amministrazioni pubbliche, i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, adeguino, comunque, i propri ordinamenti “al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall’altro” (co. 4).
L’attività di gestione viene solitamente suddivisa in autonome funzioni dirigenziali e affidata alle articolazioni dell’Amministrazione, a cui sono quindi preposti dirigenti con profilo amministrativo di secondo livello ovvero per gli enti di ricerca – anche in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 19, d.lgs. 165/2001 e nell’art. 22 del D.P.R. 171/1991 – personale con profilo di tecnologo o ricercatore.
Coordina tutte le suddette funzioni il direttore generale. In particolare, nel rispetto delle direttive stabilite dagli organi di indirizzo e delle prerogative di questi ultimi, il direttore generale, assicura: a) il coordinamento delle attività amministrative e la loro unitarietà operativa e d’indirizzo; elabora b) i regolamenti di amministrazione, finanza e contabilità e di organizzazione. Agli stessi organi formula proposte in materia di bilancio e ripartizione delle risorse umane, indentificando risorse e profili professionali necessari al fine dell’elaborazione del documento di programmazione che include il fabbisogno di personale (PTA)21.
Il direttore generale cura pertanto l’esecuzione delle delibere pianificando opportunamente l’attività amministrativa. Adotta inoltre gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercita i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti. Resiste alle liti ed ha il potere di conciliare e di transigere. Richiede direttamente pareri agli organi consultivi dell’Amministrazione e risponde ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di competenza.
Cura i rapporti con gli uffici dell’Unione europea e degli organismi internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive dell’organo di direzione politica, sempreché tali rapporti non siano espressamente affidati ad apposito ufficio o organo.
Esercita infine ogni altra funzione conferita dai regolamenti, dal Consiglio di amministrazione e dal Presidente ossia dagli organi di indirizzo dell’ente.
Il d.lgs. 165/2001 delinea dunque con estrema chiarezza distinte funzioni spettanti rispettivamente agli organi di governo e ai dirigenti22. Alla base c’è il principio di distinzione funzionale tra politica e amministrazione che stabilisce una netta separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione finanziaria, tecnica e amministrativa23.
Gli organi di indirizzo, secondo tale principio, esercitano funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi e i programmi da attuare. Adottano altri atti rientranti nello svolgimento delle stesse funzioni e verificano che i risultati dell’attività amministrativa e della gestione, siano rispondenti agli indirizzi impartiti.
Agli organi di gestione ossia ai dirigenti spetta invece l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che rendono effettivamente possibile il raggiungimento degli obiettivi24.
Per gli organi di indirizzo degli enti di ricerca, c’è un elemento in più da considerare: la qualificata esperienza, precedentemente richiamata anche per l’individuazione dei direttori generali, è ben più di un semplice presupposto dei relativi atti di nomina, poiché qualifica specificamente la motivazione che sta alla base degli stessi. In generale non è possibile assimilare gli organi di governo agli organi di gestione, ma ciò vale soprattutto in riferimento agli enti di ricerca. Gli organi di indirizzo degli enti di ricerca formano le attività in maniera circolare. Come mirabilmente chiarito da autorevolissimi Autori, nella ricerca l’attività di indirizzo politico è tutt’una con quella scientifica: è “circolare” perché dalla base della ricerca vengono gli input per progettare e programmare.
Di conseguenza la revoca o la decadenza di tali nomine non si ricollega esclusivamente, o almeno non si dovrebbe collegare, alla fiducia politica ma anche a quella scientifica25. Per essere legittimamente dichiarati revocati o deceduti, tali organi devono aver demeritato sul piano scientifico e non solo sul piano politico. Nei fatti, invece, ad una selezione che fonda la propria valutazione anche sul carattere “scientifico” in entrata (all’atto della valutazione dei curricula) non corrisponde parimenti una valutazione scientifica in uscita, all’atto dell’eventuale revoca.
Forse sarebbe opportuno un intervento del legislatore che dirimesse la suesposta questione, equilibrando il peso del “carattere scientifico” delle nomine, sia in entrata sia in uscita.
Con specifico riferimento alle istituzioni e agli enti di ricerca e sperimentazione il d.lgs. 165/2001 ha previsto che le attribuzioni della dirigenza amministrativa non debbano estendersi alla “gestione della ricerca” (art. 15 co.2). Il disposto è fondamentale per quegli enti all’interno dei quali il primo livello professionale acquisisce la “qualifica” di dirigente di ricerca o di dirigente tecnologo.
L’equilibrio fra le citate disposizioni si basa sulla previsione del ruolo apicale del direttore generale previsto nel d.lgs. 165/2011 a cui deve seguire chiarezza nei regolamenti di organizzazione degli enti.
Occorre infine rilevare, come in generale, la suddivisione fra organi di indirizzo e organi di gestione, comporti inevitabilmente una sostanziale impossibilità ad accorpare in un unico soggetto le due funzioni.
D’altronde la suddivisione indicata dal legislatore risponde anche, con i limiti su esposti, a criteri di competenza, che permettono a diverse professionalità di implementarsi a vicenda nella governance dell’ente.
Organo di indirizzo politico e organo di vertice della gestione amministrativa, d’altronde, hanno il dovere di collaborare nell’interesse comune e della Pubblica amministrazione.
2.4 Il ruolo degli organi consultivi
L’esigenza di tenere distinti gli indirizzi politici dall’attività di gestione dell’ente si ravvisa maggiormente nelle ipotesi distorsive, soprattutto nel caso in cui la “componente politica” dovesse in qualche modo prevalere, in sostanziale violazione dei suesposti principi, anche di carattere costituzionale.
Per questo motivo sarebbe auspicabile un maggior “peso scientifico” degli organi consultivi a carattere tipicamente scientifico (tra i quali si individua solitamente il Consiglio scientifico degli enti), volendo perseguire in tal modo una maggiore collaborazione fra gli organi di indirizzo politico e quelli a carattere scientifico. Questi ultimi dovrebbero sostenere, in particolare, l’attività di programmazione, in stretta sinergia con il consiglio di amministrazione.
Mai questa auspicata maggiore collaborazione dovrebbe tradursi in un aggravio delle decisioni, perché la stessa ha il compito di sostenere sia, come detto, la programmazione, sia la scelta di nuovi investimenti (ad esempio, aperture delle attività a nuove linee di ricerca, partecipazione a progetti internazionali o nuove infrastrutture di ricerca).
Il tutto nella cornice delle direttive impartite dalla politica nella programmazione nazionale e comunitaria in materia di ricerca. Aumentare il peso scientifico negli enti pubblici di ricerca senza con ciò “ingessare” la governance è di fatto una sfida per il “sistema ricerca”26.
A tal fine è auspicabile, innanzitutto, un intervento del legislatore che attribuisca agli organi consultivi maggior peso, nel senso sopra delineato, coinvolgendo esplicitamente, pertanto, gli organi consultivi scientifici nella fase di approvazione della programmazione triennale (se non a tutti i livelli di programmazione), andando ad esempio oltre i compiti attribuiti attualmente al Consiglio scientifico27.
In questo senso si potrebbe azzardare addirittura un’ipotesi, da riferire solo agli enti pubblici cd. “a struttura complessa”, che realizzi una più stretta correlazione fra organi consultivi scientifici e organi di indirizzo, adottando come “paradigma” la struttura (statutaria) prevista dall’INFN, che prevede, in buona sostanza, sia nella composizione degli organi di indirizzo, sia in riferimento ai compiti a loro assegnati, una forte “componente scientifica” costituita dalla rappresentanza di ricercatori e tecnologi dell’Istituto, e dall’intervento degli organismi consultivi negli atti di programmazione ed indirizzo dell’ente28.
Un esempio altamente virtuoso della collaborazione fra organi di indirizzo politico-amministrativo e organi consultivi a carattere scientifico, che ha anticipato le norme della riforma del d.lgs. 218/2016 e che ancora oggi costituisce un modello per l’intera comunità scientifica.
Per gli enti pubblici di ricerca più piccoli o meglio non a struttura complessa, invece potrebbe rimanere l’attuale assetto con la suddivisione degli organi di indirizzo fra Presidente e Consiglio di amministrazione.
Sarebbe comunque auspicabile una maggiore definizione della governance di tali enti, chiaramente suddivisa fra i propri organi, secondo quanto previsto dal d.lgs. 165/2001 e dai principi di “buon andamento” e di “imparzialità” della nostra Costituzione.
2.5 La valutazione dei risultati
La valutazione dei risultati è divenuta, negli ultimi decenni, uno strumento più o meno utile per analizzare l’efficacia delle attività svolte da un ente o da un organismo di diritto pubblico o privato, nel corso di un determinato periodo di tempo.
Una valutazione accurata dei risultati conseguiti può costituire un’analisi addirittura imprescindibile per valutare concretamente il corretto sviluppo – nel tempo – delle attività poste in essere ed il raggiungimento dei risultati programmati, e perciò costituire uno strumento di sviluppo delle attività dell’ente. In senso opposto una valutazione non-oggettiva potrebbe sicuramente falsare la valutazione finale dei risultati.
E’ quindi un’attività potenzialmente fondamentale che va seriamente posta in essere all’unico fine di migliorare le attività istituzionali o la cd. mission e, perciò, i conseguenti risultati perseguiti.
La valutazione negli enti pubblici di ricerca in particolare, come già detto precedentemente, è stata oggetto di rivisitazione da parte del d.lgs. 218/2016.
L’ANVUR ha il mandato per predisporre e redigere, all’interno di apposite Linee guida, i parametri e gli indicatori di riferimento, che andranno ad incidere sulla valutazione della ricerca effettuata (VQR) e, quindi, su parte dell’assegnazione del finanziamento statale e di eventuali specifici fondi premiali29. Le Linee guida, in particolare, vanno dalla valutazione della qualità dei processi, dei risultati e dei prodotti delle attività di ricerca, alla valutazione della qualità di “disseminazione” della ricerca ed, infine, alla valutazione delle cd. attività di “Terza missione”.
A modesto avviso, la proporzione andrebbe invertita ossia l’ANVUR dovrebbe valutare, con esclusiva finalità incentivante, (soprattutto in chiave “premiale” dei finanziamenti) le attività di cd. “Terza missione” al fine di dare ulteriore importanza a queste particolari attività che fondono, in un’unica prospettiva, alcune delle aspettative riposte dal legislatore costituzionale negli artt. 9 e 33 della Costituzione, e solo successivamente determinare, sebbene in via indiretta con parametri “oggettivi” e indicatori “qualitativi”, una quota parte del finanziamento statale degli enti pubblici di ricerca.
Altro tipo di valutazione è invece quello svolto dagli Organismi di Valutazione delle Performance (OIV), presenti in tutte le amministrazioni, cardine centrale del “Piano della performance”30 nonché responsabili, tra le altre cose, della corretta applicazione delle Linee guida, delle metodologie e degli strumenti, predisposte in materia di organizzazione dal Dipartimento della Funzione pubblica, oltre a proporre, sulla base del sistema di misurazione e valutazione, all’organo di indirizzo, la valutazione annuale dei dirigenti di vertice e l’attribuzione ad essi dei premi.
L’OIV e il sistema della performance organizzativa è stato recentemente oggetto di un’importante riforma (art. 60-bis, d.lgs.165/2001).
Una prima parte della riforma ha avuto obiettivo quello di rendere maggiormente efficiente l’azione della Pubblica amministrazione, intervenendo direttamente sullo “stato dell’arte” degli obiettivi indicati in sede di programmazione, attraverso l’istituzione di un Nucleo esterno (il cd. “Nucleo della concretezza”) che ha il compito di rispettare un ulteriore Piano triennale (“Piano triennale delle azioni concrete per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni”) predisposto dal Dipartimento della Funzione pubblica. Per realizzare la sua funzione, il suddetto Nucleo si avvarrà di personale addetto e lavorerà in collaborazione con l’Ispettorato di cui all’art. 60, d.lgs. 165/2001.
Di certo abbiamo sufficienti strumenti di misurazione, ora forse è il caso di intervenire direttamente sulla “macchina”.
3. Una riforma necessaria: la semplificazione amministrativa
E’ chiaro che gli enti pubblici di ricerca da una parte hanno la loro peculiarità dettata dalla funzione istituzionale cui sono preposti, dall’altra, però, soffrono, in quanto Pubblica amministrazione delle debolezze recondite della stessa, che si possono innanzitutto rappresentare in un eccesso di burocrazia e in soventi appesantimenti del procedimento amministrativo31.
A questo occorre aggiungere l’eccesso di norme che crea impedimenti e non riesce ad accompagnare lo sviluppo dell’economia, o le note difficoltà nel programmare e spendere adeguatamente i fondi UE.
Gli enti pubblici di ricerca nonostante la riforma del d.lgs. 218/2016 dunque, attendono un miglioramento di “contesto” così come, d’altronde, era stato immaginato dalla legge Madia.
Altro tema fondamentale è quello della dirigenza ovvero del reclutamento e della preparazione professionale dei nostri dirigenti pubblici32.
Nei tentativi di riforma passati ci si è spesso concentrati sul primo di questi due aspetti, poiché il tema della preparazione professionale sembra assorbito dalla volontà di creare un “management pubblico” all’altezza delle sfide dei tempi. Il rischio però è quello di formare dirigenti “molto privati e poco pubblici” che sanno molto di management e poco di funzioni e principi costituzionali.
D’altronde chi scrive si trova profondamente d’accordo con un’affermazione, frequentemente citata, di John Maynard Keynes che affermò che gli economisti “così come i dentisti” dovrebbero guardare con modestia al proprio mestiere poiché nessun dentista si sogna di spiegare ogni mistero della vita attraverso le proprie competenze specialistiche33.
Certo il tema della preparazione dei nostri dirigenti è fondamentale ma non può essere colmata esclusivamente con una preparazione di tipo economico poiché il buon andamento della Pubblica amministrazione è in primis dettato dall’esatta comprensione della funzione pubblica e delle disposizioni di legge specifiche del “settore” che qualsiasi ruolo dirigenziale sottintende34.
Il riferimento alla normativa di settore non è casuale. Non si vuole minimamente mettere in dubbio l’unitarietà della Pubblica amministrazione, l’indivisibilità dei beni pubblici né benché mai sottintendere una particolare teoria economica.
Ci si intende però schierare dalla parte del dibattito e quindi della necessità di confrontarsi per migliorare la “nostra” Pubblica amministrazione, rendendola innanzitutto trasparente, autonoma ed efficiente, in esecuzione dei principi costituzionali e dei dettami che derivano dall’appartenenza all’Unione europea35.
Per fare ciò bisognerà rivedere profondamente le regole che solo apparentemente sono finalizzate al funzionamento degli apparati, ma che al contrario, sottoposte a prova di efficienza ed efficacia, si rivelano prive di ogni relazione con realtà oggettiva e finalità stesse dell’attività amministrativa.
Brevi conclusioni
L’attesa esigente di nuove idee per sfide inattese è una domanda che interpella in modo particolare proprio gli enti di ricerca che devono raccogliere questo monito e lavorare in modo coordinato36.
Solo unendo gli sforzi e coordinando il lavoro dei ricercatori, si potrà davvero dare senso al dovere di ciascuno, di porsi “al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.).
La Pubblica amministrazione non trova però collocazione solo ed esclusivamente nella sezione II del Titolo III della nostra Costituzione.
Altre norme sono troppo spesso poco citate, quantomeno tra i non addetti ai lavori, e tra queste, il principio dell’accesso ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza (art. 51); il dovere per i pubblici impiegati di adempiere con onore alle proprie funzioni (artt. 54); la riserva di legge inerente l’organizzazione dei pubblici uffici (art. 97, co. 2); la responsabilità diretta dei dipendenti pubblici (art. 28).
Tutti hanno un ruolo chiave nella realizzazione delle riforme e dei molteplici investimenti previsti (nei settori dell’energia, dell’agricoltura, della rigenerazione urbana, della cultura, ecc.)37.
La credibilità delle nostre istituzioni e il futuro della nostra economia dipendono dalla capacità di spendere bene e con onestà le risorse pubbliche e le risorse comunitarie, con specifico riferimento al PNRR. Una sfida fondamentale da vincere seguendo le regole.
Note
1 Giovanni Modafferi lavora all’ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Ha collaborato a lungo con la cattedra di diritto amministrativo titolare Prof. Eugenio Picozza, ora Professore Emerito della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Ha svolto attività congressuale e di docenza in materia di appalti, diritto comunitario e contratti della Pubblica amministrazione. E´ autore di diverse pubblicazioni e monografie, tra le quali ”Soluzioni comunitarie alle patologie degli appalti pubblici” ed ”Enti pubblici di ricerca: storia, regime giuridico e prospettive”, G. Giappichelli Editore Torino.
2 Cfr. F. MERLONI, L’autonomia delle università e degli enti di ricerca, in Foro it., vol. CXII, par. V, 1989. Dello stesso autore, Ricerca scientifica (organizzazione e attività), in Enc. dir., vol. XXXIX, Giuffrè, Milano, 1988 e La ricerca scientifica tra autonomia e indirizzo politico, tra uniformità e differenziazione, in “Istituzioni del Federalismo”, Maggioli, Bologna, 2002.
Più di recente, Gli Enti pubblici di ricerca nell’era digitale, Atti del Convegno, CNR Edizioni, maggio 2021.
3 Decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213 recante “Riordino degli enti di ricerca in attuazione dell’articolo 1 della legge 27 settembre 2007, n. 165”.
4 V. Raccomandazione della Commissione dell’11 marzo 2005 riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori (2005/251/CE). V. inoltre “Framework for Research Careers” del 21 luglio 2011, della Commissione europea
5 Per quasi tutti gli enti, infatti, il d. lgs. 213/2009 si limitava a prevedere forme generiche di rappresentanza rimandando allo statuto dell’ente la definizione delle stesse (cfr. art. 11, co. 3 e 4). Facevano eccezione le norme previste per CNR, ASI e INFN che già prevedevano forme di rappresentanza elettiva dei ricercatori.
6 Cfr. Linee guida ANVUR approvate con Delibera del Presidente n.11 del 9 giugno 2017. Le Linee guida sono dirette alla valutazione della qualità dei processi, dei risultati e dei prodotti delle attività di ricerca, alla valutazione della qualità di “disseminazione” della ricerca e alla valutazione delle cd. attività di “Terza missione”. Il sistema di valutazione previsto dal comma 5 dell’art. 17 del d.lgs. 218/2016 pone in capo all’ANVUR un potere, ampiamente criticato, che arriva fino a determinare la “allocazione dei finanziamenti statali agli Enti”.
7 V. art. 1 del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204 recante “Disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione della politica nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica, a norma dell’articolo 11, comma 1, lettera d), della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
8 In particolare, il Piano triennale di attività viene approvato dal Ministero vigilante entro sessanta giorni dalla sua ricezione decorsi i quali, senza che siano state formulate osservazioni, lo stesso si intende approvato (art. 7 co. 2, d. lgs. 218/2016).
9 In merito, si segnala la recente previsione, di cui all’art. 1 co. 149 della cd. Legge di bilancio 2020, che modifica l’efficacia generale delle graduatorie dei concorsi delle Pubbliche amministrazioni, stabilendo la validità in due anni dalla loro approvazione (art. 35 comma 5-ter d.lgs. 165/2001).
10 Il sistema introdotto dal d. lgs. 75/2017 prevede una forte innovazione rispetto al precedente sistema di reclutamento del personale: la dotazione organica permane, ma viene fortemente depotenziata, mentre viene consolidato il ruolo assegnato ai piani di fabbisogno del personale.
Secondo il nuovo dettato normativo, la determinazione delle dotazioni organiche è una conseguenza della formulazione dei piani dei fabbisogni, che si distinguono dalle prime in quanto il piano dei fabbisogni può essere definito come lo strumento che individua, in termini qualitativi (per profilo) e quantitativi (per ore nel triennio), le risorse umane necessarie a porre in essere le prestazioni che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad erogare indipendentemente dalla tipologia di rapporto di lavoro e dagli altri istituti utilizzati.
La dotazione organica può invece essere definita come lo strumento che, facendo riferimento al piano triennale dei fabbisogni, individua, in termini qualitativi (per profilo) e quantitativi (per numero di teste), il personale con rapporto di lavoro dipendente che le singole amministrazioni ritengono necessario per garantire le prestazioni che sono tenute ad erogare.
11 In materia è intervenuta la legge di bilancio 2019, L. 145/2018 che ha sostituito il comma 3 dell’art. 16, d. lgs. 218/2016, ridefinendo modalità di nomina e disciplina per il funzionamento di tali commissioni (art. 1, co. 402).
12 La contabilità pubblica implica naturalmente un sistema pubblico di controlli per garantire “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” secondo quanto previsto all’art. 97 co. 2 Cost.
13 V. art. 10 co. 1, d. lgs. 218/2016, che testualmente dispone: “Gli Enti adottano con proprio regolamento, anche ai sensi della normativa generale vigente in materia di contabilità pubblica di cui al decreto legislativo 31 maggio 2011 n. 91, sistemi di contabilità economico-patrimoniale anche per il controllo analitico della spesa per centri di costo”.
14 V. art. 1, co. 2, d.lgs. 91/2011 ai sensi del quale per amministrazioni pubbliche si intendono enti e soggetti indicati a fini statistici negli elenchi pubblicati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), Autorità indipendenti e amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. 165/2001 e s.m.i.
15 Emanati entrambi ai sensi di due diverse deleghe, costituite rispettivamente dall’art. 2 della legge di contabilità pubblica, legge n. 196/2009 e dell’art. 2 della cd. legge sul federalismo fiscale, legge n. 42/2009.
16 V. in particolare l’art. 19 (“Principi generali”), nel Titolo V (“Sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi di bilancio”) del d. lgs. 91/2011.
Nel “periodo transitorio” vengono solitamente utilizzati, per quanto concerne gli schemi di bilancio, quelli di cui al D.P.R. n. 97/2003 “Regolamento concernente l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70”.
17 V. Legge 30 dicembre 2010, n. 240 “Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché di delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”, che ha delineato il passaggio del sistema contabile verso una contabilità di tipo economico-patrimoniale.
18 Sulla base di tale provvedimento sono intervenuti i decreti del MIUR finalizzati a rendere omogenea e univoca l’applicazione dei criteri di valutazione da parte degli atenei e, in tal modo, rendere più conformi e comparabili i relativi bilanci.
V. D.I. n. 394 del 08 giugno 2017 “Revisione principi contabili e schemi di bilancio di cui al D.I. 19 del 2014”; D.I. n. 248 del 11 aprile 2016 “Schemi di bilancio consolidato delle Università”; D.I. n. 925 del 10 dicembre 2015 “Schemi di budget economico e budget degli investimenti”; D.I. n. 21 del 19 gennaio 2014 “Classificazione della spesa delle università per missioni e programmi”; D.I. n. 19 del 14 gennaio 2014 “Principi contabili e schemi di bilancio in contabilità economico-patrimoniale per le università”.
Si veda inoltre il “Manuale tecnico-operativo”, 30 Maggio 2019, terza ed., MIUR.
19 Sul punto, ex multis, F.G. GRANDIS, G. MATTEI, L’armonizzazione delle amministrazioni pubbliche in contabilità civilistica, Giuffrè, Milano, 2014.
20 Cfr. D. PREITE, La contabilità pubblica come sistema di governo, Cedam, Milano, 2015.
21 Il PTA a sua volta è ricompreso nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO), documento unico di programmazione e governance, che assorbe molti dei Piani che le amministrazioni pubbliche erano finora tenute a predisporre annualmente: performance, fabbisogno del personale, parità di genere, anticorruzione e infine lavoro agile. Cfr. art. 6 del decreto legge 80/2021 convertito con legge 6 agosto 2021, n. 113.
22 In particolare, l’art. 4, d. lgs. 165/2001 dispone che “gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti”.
In tal modo la disposizione esclude dall’ambito di tali competenze le attività di gestione amministrativa, non potendo l’organo di governo revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti.
Parallelamente il testo demanda ai dirigenti “l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”, ulteriormente specificando che gli stessi “sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati” (art. 4 co. 2).
23 In questo senso va l’art. 95 Cost. nella parte in cui enuncia l’esigenza di mantenere un’unità di indirizzo politico e amministrativo, e il principio di responsabilità dei singoli Ministri. Sempre in questo senso, nella sezione successiva della Carta costituzionale, il comma 2 dell’art. 97 che esplicita i principi di “buon andamento” e di “imparzialità” della Pubblica amministrazione.
La Corte Costituzionale ha chiaramente affermato che la separazione tra politica e amministrazione è un “principio di carattere generale” che ha il suo fondamento nell’art. 97 della Costituzione e in particolare nel principio costituzionale di “imparzialità”. Cfr. ad esempio, la sentenza n. 81/2013 che interviene sul riparto fra funzioni di indirizzo politico affidate agli organi politici e funzioni di gestione amministrativa spettanti ai dirigenti, in particolare sull’art. 48 comma 3 della Legge regionale Sardegna n. 9/2006.
24 Per gli enti pubblici di ricerca vigilati dal MUR è tuttora vigente l’art. 12 del d. lgs. 213/2009 che dettagliando compiti e funzioni (comma 1), separa programmazione e indirizzo strategico dalle responsabilità gestionali (comma 2), richiamando esplicitamente il “legame” esistente con l’art. 4 d.lgs. 165/2001 e con i principi ivi contenuti. Lo stesso articolo prevede inoltre che gli enti di ricerca nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare “adeguano i propri ordinamenti ai principi dell’articolo 4 e del capo II del titolo II del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
25 Cfr. A. CAROSI, La ricerca al servizio della civiltà, ed E. PICOZZA, Autonomia degli Enti pubblici di ricerca e norme costituzionali a rischio?, in Gli Enti pubblici di ricerca nell’era digitale, Atti del Convegno, CNR Edizioni, maggio 2021.
26 In questo senso, assume importanza la previsione sulla composizione del “consiglio di amministrazione” in relazione alla rappresentanza elettiva di ricercatori e tecnologi, prevista dall’art. 2, comma 1 lett. n) del d. lgs. 218/2016, che ha di fatto ha aumentato il “peso scientifico” all’interno stesso dei consigli di amministrazione.
27 Si tratta sostanzialmente delle funzioni già previste dal vigente art. 10 co. 1 d.lgs. 213/2009.
28 Si veda in particolare l’art. 4 (“La Programmazione”) commi 2 e 3 dello Statuto INFN, che prevede: “L’Istituto basa la propria attività di ricerca sulle proposte elaborate da componenti della comunità scientifica di riferimento e la organizza, di norma, in linee scientifiche. Per ciascuna linea scientifica è costituita una Commissione Scientifica Nazionale consultiva, la cui composizione e il cui funzionamento sono definiti all’articolo 17. Nella pianificazione delle iniziative con maggiore impatto economico, di personale e di infrastrutture, l’Istituto si avvale del parere di congruità del Consiglio Tecnico-Scientifico, la cui composizione e il cui funzionamento sono definiti all’articolo 18. I pareri sullo sviluppo delle linee scientifiche forniti dalle Commissioni Scientifiche Nazionali e quelli di congruità sulle iniziative con maggiore impatto forniti dal Consiglio Tecnico-Scientifico, sono acquisiti dal Consiglio Direttivo ai fini della elaborazione del Piano Triennale di Attività e del Documento di Visione Strategica Decennale”.
29 Si vedano in particolare i commi 3 e 4 dell’art. 17 del d.lgs. 218/2016.
30 Si veda in particolare l’art. 10 (“Piano della performance e Relazione sulla performance”), comma 1, lett. a) del d.lgs. 150/2009. Il “Piano della performance” a sua volta, per espressa previsione di legge, considera sia la “performance organizzativa” che la “performance individuale”, recependo al suo interno gli indicatori e, soprattutto, i singoli “target”, per la misurazione della “performance” dell’amministrazione nel suo complesso, delle singole strutture e dei relativi responsabili.
31 Tutto questo a fronte del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo, enunciato dal comma 2 dell’art. 1 (“Principi generali dell’attività amministrativa”) della L. n. 241/90 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, ripreso in varie parti della stessa legge. Rientrano in questo principio: l’obbligo di accertamento d’ufficio (art. 6, lett. b); l’obbligo di acquisire d’ufficio i documenti (art. 18, comma 2 e 3); il richiamo all’applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione (art. 18, comma 1).
Altro principio innovativo concatenato è contenuto nell’art. 2 della L. n. 241/90, in base al quale la Pubblica amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento finale, ma stabilisce anche un termine entro cui il procedimento deve concludersi. Tale termine, se non diversamente regolamentato è di 30 giorni (con l’ultima riforma della legge, contenuta nel D.L. Competitività cd. “decreto legge Bersani”, tale termine è stato portato a 90 giorni). La presenza di un termine e il principio di non aggravamento del procedimento a. risponde ad un duplice interesse; da una parte, soddisfa l’interesse particolare del cittadino utente (o cittadino-cliente) che propone una domanda alla P.A. di ottenere entro un determinato tempi predeterminati il provvedimento dell’amministrazione; dall’altra parte, consente all’amministrazione di svolgere un’azione amministrativa improntata ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità a tutto vantaggio dell’interesse pubblico.
32 Il sistema di assunzione e di promozione della dirigenza, a dispetto dell’art. 97 della Costituzione (“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge”), è stato negli anni costituito da deroghe. Da questo punto di vista, negli ultimi anni si sono susseguite tre leggi delega, ad oggi, ciascuna per motivi diversi, ancora inattuate.
Le ultime disposizioni normative, volte a modificare, in primo luogo, la disciplina dell’accesso alla dirigenza nelle amministrazioni statali, sono previste dal decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113.
33 L’economista, dunque, dovrebbe fare lo stesso con i propri “ferri del mestiere” ossia utilizzarli appropriatamente per spiegare parti della vita sociale. V. J. M. Keynes, “Prospettive economiche per i nostri nipoti”, in Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, 1968.
34 Cfr. G. DE CESARE, La ricerca scientifica pubblica: aspetti problematici ed organizzativi, in Riv. it. scienze giur., Loescher, Roma, 1969 e G. ENDRICI, Poteri pubblici e ricerca scientifica, il Mulino, Bologna, 1991.
35 Cfr. M. ANDRÈ – A. RUBERTI, Uno Spazio Europeo della Scienza, Giunti, Firenze, 1995.
36 Cfr. L. SAPORITO, La ricerca scientifica, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Cedam, Padova, 2007.
37 Cfr. E. PICOZZA – V. RICCIUTO, Diritto dell’economia, Giappichelli Editore Torino, 2013 e N. STEHR, Knowledge Societies, Sage Publications Ltd., London, 1994.
LA VALORIZZAZIONE COSTITUZIONALE DELL’AMBIENTE. La valorizzazione costituzionale dell’ambiente La presente opera collettanea rappresenta il frutto della preparazione, dell’interesse e della competenza giuridica degli autori in materia ambientale, che sono così riusciti ad offrire un’analisi […]
Diritto Ambientale Diritto Costituzionale Dottrina Libri NotizieLA VALORIZZAZIONE COSTITUZIONALE DELL’AMBIENTE.
La valorizzazione costituzionale dell’ambiente
La presente opera collettanea rappresenta il frutto della preparazione, dell’interesse e della competenza giuridica degli autori in materia ambientale, che sono così riusciti ad offrire un’analisi chiara ed approfondita di una disciplina complessa ma fruibile da tutti coloro che, a vario titolo, con essa si interfacciano.
Gli autori, dunque, richiamando nel volume de quo sia la recente riforma costituzionale degli artt. 9 e 41 che le diverse posizioni dottrinali e giurisprudenziali, ivi intervenute nel tempo, hanno raggiunto l’importante obiettivo di mettere a disposizione del lettore un quadro, più completo possibile, della vigente disciplina ambientale.
Poche righe, ma utili, per comprendere la nascita del presente volume. Su stimolo dell’Editore, nasce una raccolta di scritti riguardanti le modifiche degli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana.
I contributi pubblicati, sui vari fascicoli della prestigiosa Rivista AmbienteDiritto.it, sono stati estrapolati dalla stessa e strutturati in un unico testo destinato a far parte della collana di Diritto Ambientale. L’opera collettanea si prefigge anche lo scopo di facilitare la circolazione all’estero di contributi scientifici italiani.
L’idea della casa Editrice AMBIENTEDIRITTO.IT, insieme ai curatori è di offrire al lettore, studioso o professionista il panorama immediato dei lavori più significativi sull’argomento concentrato in un funzionale volume.
AA. VV.
PRESENTAZIONE
PREFAZIONE Gian Luca Galletti (già Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare)
LA RIFORMA DEGLI ARTICOLI 9 E 41 DELLA COSTITUZIONE E LA VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE. Gabriella Marcatajo
TUTELA COSTITUZIONALE DELL’AMBIENTE E OBIETTIVI DI SOSTENIBILITÀ NEL FRAMEWORK EUROPEO: IL RUOLO DELLE CORTI VERSO LA TRANSIZIONE VERDE. Federica Marconi
RIFLESSIONI SULLA RECENTE MODIFICA DEGLI ARTT. 9 E 41 DELLA COSTITUZIONE E LA VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE. Gianluca Trenta
IL CONCETTO DI “UTILITÀ AMBIENTALE” NELL’ART. 41 COST.. Riflessioni a seguito della Legge costituzionale n. 1/2022. David Grifoni
LA LIBERALIZZAZIONE DEL FOTOVOLTAICO È UNA MINACCIA PER IL PAESAGGIO? PRIME OSSERVAZIONI A MARGINE DELL’ART. 9, CO. 1, L. 34/2022. Stefano Crocitto
L’ART. 9 DELLA COSTITUZIONE E LA TUTELA DEGLI ANIMALI SELVATICI. Marco Olivi
TUTELA DEGLI ANIMALI E RIFORMA COSTITUZIONALE. FONDAMENTI IDEOLOGICI E PROSPETTIVE EVOLUTIVE PER UNA IMPOSTAZIONE «ECO-PERSONALISTA» Daniele Vitale
LA RIFORMA DELLA “COSTITUZIONE AMBIENTALE” ITALIANA E LA TUTELA DELLE SPECIE ANIMALI A RISCHIO DI ESTINZIONE, NEL PRISMA DELLA DISCIPLINA MULTILIVELLO SULLA SALVAGUARDIA DELLA BIODIVERSITÀ.Il quadro generale ed alcune riflessioni critiche. Maurizia Pierri
L’AMBIENTE NELL’ART. 9 DELLA COSTITUZIONE: UN APPROCCIO IN “NEGATIVO”.Fabrizio Fracchia
L’ESIGENZA DI UNA PROGRAMMAZIONE GENERALE IN SENSO AMBIENTALE NELLA RIFORMA DEGLI ARTT. 9 E 41 COST.. Paolo Brambilla
SULLA RIFORMA DEGLI ARTT. 9 E 41 COST.: ALCUNE OSSERVAZIONI. Fulvio Cortese
I NUOVI PRINCIPI COSTITUZIONALI IN MATERIA DI AMBIENTE E SOSTENIBILITÀ Marisa Melia
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DIRIGENZA FUNZIONI LOCALI Art. 66 lettera “h” CCNL 17.12.2020. Maria Elena Argento Resp. legale dell’Asp di Enna L’art 66 del CCNL lett “h” del 17.12.2020 che riguarda la Dirigenza PTA (Professionale, tecnica e […]
Diritto del Lavoro Dottrina Enti Locali e P.A. Fascicolo n.2/2023DIRIGENZA FUNZIONI LOCALI
Art. 66 lettera “h” CCNL 17.12.2020.
Maria Elena Argento
Resp. legale dell’Asp di Enna
L’art 66 del CCNL lett “h” del 17.12.2020 che riguarda la Dirigenza PTA (Professionale, tecnica e Amministrativa) del SSN dispone:
Contrattazione integrativa
Sono oggetto di contrattazione integrativa: h) i criteri per l’attribuzione dei compensi professionali degli avvocati, nel rispetto delle modalità e delle misure previste dall’art. 9 del D. L. n. 90/2014 come convertito in legge con modificazioni, dall’art 1, comma 1, della L. 114/2014 e delle disposizioni contrattuali previste in materia dai precedenti CCNL della pre-esistente Area III che, pertanto, sono confermate”
La norma è speculare alla lettera “h” dell’art 45 del medesimo contratto che riguarda i dirigenti avvocati degli enti locali. In pratica il CCNl ha “ contrattualizzato “ il Decreto Renzi che all’art 9 comma 6 dispone per tutti gli avvocati degli enti pubblici senza differenziazione alcuna tra enti locali e sanità:” 6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013. Nei giudizi di cui all’art. 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non puo’ superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013.”
Detto decreto è entrato in vigore il 19 agosto 2014 .
* * *
Nella norma sopra riportata risaltano le seguenti peculiarità, che contraddistinguono la materia dei compensi degli avvocati pubblici:
1) i compensi per la prestazione professionale del dipendente inquadrato nel ruolo professionale di Avvocato ed incardinato nell’ufficio legale dell’ente pubblico, possono essere corrisposti solo entro un determinato limite retributivo, identificato con l’ammontare del trattamento economico annuo complessivo;
2) l’avvocato pubblico ha diritto alla corresponsione dell’onorario da parte dell’ente datoriale solo al di fuori dei casi in cui la controversia si sia conclusa con la soccombenza dell’Amministrazione, sicché va distinto, volta per volta, se le sentenze sono favorevoli per l’ente pubblico, o meno. Ciò a differenza di quanto accade per l’avvocato del libero foro, il quale, invero, ha diritto in ogni caso a ricevere dal cliente (anche qualora si tratti di una P.A.) il pagamento dell’importo fatturato a titolo di onorario professionale, dovuto comunque a prescindere dall’esito della causa, in virtù del principio generale secondo il quale la prestazione professionale legale si sostanzia nell’adempimento di un’obbligazione di mezzi (e non di un’obbligazione di risultato).
Tali specificità garantiscono la realizzazione dello scopo della norma in esame, rappresentato dalla economicità perseguita tramite la internalizzazione del contenzioso delle pp.aa..
Dunque, ai sensi dell’art. 9 del D.L. 90/2014 (conv. L. 114/14), le sole fattispecie nelle quali l’Amministrazione deve corrispondere l’onorario all’avvocato interno sono le seguenti:
A)- sentenza favorevole con spese legali recuperate dalle controparti soccombenti (commi 3, 4 e 5 dell’art. 9)
B)- sentenza favorevole con pronuncia di compensazione integrale delle spese e transazione dopo sentenza favorevole (comma 6, primo periodo dell’art. 9).
A – sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti
Il comma 3 prevede che le somme recuperate (sulla base di sentenze di condanna di controparte) sono ripartite tra gli avvocati dipendenti dell’amm.ne in forza all’ufficio legale dell’ente, con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva.
Il comma 4 contiene previsione analoga, ma riferita esclusivamente ad avvocati e procuratori dello Stato.
B – sentenza favorevole con pronuncia di compensazione integrale delle spese e transazione dopo sentenza favorevole
Il comma 6, al primo periodo, prevede che “in tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali …”.
Dunque gli onorari relativi a pronunce giudiziali di “spese compensate” (con esito vittorioso per l’Amm.ne) vanno in ogni caso riconosciuti e liquidati agli avvocati dipendenti assegnati stabilmente all’ufficio legale (“… gli avvocati e procuratori degli uffici istituiti presso enti pubblici sono titolari di uno “status” particolare caratterizzato dal fatto che essi sintetizzano la qualità di pubblici impiegati e quella di professionisti iscritti nel relativo Albo professionale, particolarità giustificata dalla peculiarità delle funzioni svolte, la disciplina del loro trattamento retributivo prevede che essi fruiscano, in aggiunta allo stipendio tabellare, di una quota di retribuzione, a titolo di onorari per prestazioni professionali, quantificata sulla base della legge e delle tariffe professionali forensi (Corte Cost., sent. n. 33/2009; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 14 giugno 2001, n. 879; T.A.R. Umbria Perugia, 31 gennaio 1998, n. 137).”T.A.R. Lecce, Sez. III, n.847, 25.03.2010; “Nel principio contabile si evidenzia che quella verso gli avvocati dipendenti è “un’obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento, …” Corte dei Conti del Piemonte, parere n. 164 del 20.11.2015).
Va pure rilevato che lo stesso comma 6 dell’art. 9 cit. demanda “alle norme regolamentari”, oppure, in alternativa, a quelle “contrattuali vigenti”, il compito di definire le modalità di liquidazione ed i criteri di ripartizione all’interno degli uffici legali.
A tal riguardo, è appena il caso di precisare che il termine “regolamentari” contenuto nel sesto comma dell’art. 9, L. 114/14, è da riferire ad atti di normazione interna adottati dagli organi di gestione dell’Amm.ne, mentre il termine “contrattuali vigenti” contenuto nel citato sesto comma sia da riferire ad iniziative di contrattazione vigenti al momento di entrata in vigore della L.n.114\14.
In tal senso depone già solo l’interpretazione sistematica dell’enunciato normativo dell’art.9, nel quale il Legislatore, laddove ha inteso riservare alla contrattazione di livello nazionale il compito di disciplinare le modalità di pagamento dell’onorario degli avvocati pubblici, lo fa espressamente, parlando testualmente di “regolamenti e contrattazione collettiva” (comma 3), parimenti il comma 5 recita: “I regolamenti … e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto …”.
Invece nel comma 6 è scritto: “… in base alle norme regolamentari o contrattuali …”, e con riferimento alla particolare ipotesi di cui all’art. 152 delle disp. att. c.p.c. (caso di cd. soccombenza virtuale) lo stesso comma 6 prevede: “… in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni …”.
Se ne desume che, in assenza di norme contrattuali vigenti, per l’ipotesi delle spese compensate, il Legislatore abbia voluto riferirsi alla regolamentazione attuativa interna.
Siffatta interpretazione si pone in retta con le indicazioni rese dalla magistratura contabile, la quale ha affermato come “Il richiamato parere (n.d.a.: Sezione regionale di controllo per la Puglia n. 49/PAR/2014) ha messo in evidenza, innanzitutto, che la norma lascia alla contrattazione integrativa la competenza a determinare i criteri di riparto dei compensi, fermi restando tre tetti: il primo è quello retributivo individuale generale …, il secondo è quello retributivo individuale specifico … il terzo è quello finanziario collettivo … (Corte dei Conti del Piemonte, parere n. 164 del 20.11.2015).
E che non si tratti di subordinare l’ipotesi della compensazione delle spese al relativo adeguamento dei contratti nazionali è chiaro anche perché diversamente opinando si rende la norma dell’art.9 cit. del tutto retorica, atteso il notorio, annoso blocco della contrattazione nazionale, reiterato pure per il 2015; inoltre, una differente conclusione, non solo realizzerebbe una discriminazione tra gli avvocati dipendenti della P.A. rientranti nell’unica previsione dell’art. 9 cit., ma rende la lettura della norma irrazionale, supponendo che essa si raccordi in automatico con i contratti collettivi solo per le parti che penalizzano l’avvocato dipendente (ad esempio per il tetto retributivo) e non per gli altri contenuti. A smentire tale assurdo interpretativo vi è pure ermeneutica della norma, basta volgere l’attenzione al comma otto dell’articolo 9, per comprenderne la diversa operatività a seconda che si tratti di spese compensate o di spese recuperate. Quest’ultimo comma, al punto iniziale stabilisce che il primo periodo del comma 6 – il quale disciplina i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese dopo sentenza favorevole- si applica alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Il primo periodo della disposizione pone quale unici limiti temporali l’entrata in vigore del decreto e la data di deposito delle sentenze, nient’altro sicché il resto è di immediata applicazione ed i relativi compensi professionali sono corrisposti in base alle norme regolamentari che l’Amministrazione si attribuisce oppure agli obblighi contrattuali vigenti assunti, purché nei limiti dello stanziamento previsto.
Invece al punto seguente del comma 6 è stabilito che per i commi 3, 4 e 5 e del secondo e terzo periodo dello stesso comma 6 nonché del comma 7 – i quali invece disciplinano l’ipotesi di sentenza favorevole con le spese legali a carico delle controparti recuperate, e le ipotesi di giudizio ex art.152 cpc, stanziamento annuo e tetto al trattamento economico – l’applicazione sarebbe avvenuta a decorrere “dall’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Ad essere menzionati nel suddetto comma 8, ai fini dell’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi, sono dunque unicamente i compensi menzionati ai “commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonché il comma 7”, mentre la disciplina dei casi di pronunciata compensazione delle spese dopo sentenza favorevole è stata volutamente distinta. In altri termini è chiaro che il legislatore non ha inteso inserire l’ipotesi della compensazione tra quelle in cui ha previsto l’adeguamento dei contratti collettivi. Balza dunque evidente l’intenzionalità della previsione del comma 8 cit. nel distinguere le due ipotesi, e l’intento del Legislatore di lasciare che le spese compensate siano disciplinate da un regolamento dell’Amm.ne allorché la contrattazione vigente non vi abbia provveduto.
Quest’ultimo è ad esempio il caso del CCNL della Dirigenza Prof.le Sanità, dove, essendo contrattualizzata solo la previsione delle spese legali recuperate in causa favorevole, spetta alle Aziende Sanitare regolamentare l’ipotesi delle spese compensate in cause vinte.
A tale stregua, nella nota prot.n.0020789 del 01 marzo 2016, avente ad oggetto proprio l’art.9 della L.n.114\2014, il Direttore Generale della Direzione Contrattazione 2 dell’ARAN, nel rinviare al Dipartimento della Funzione Pubblica quale autorità competente per le eventuali questioni interpretative della norma, si cura non a caso di chiarire che “.. le disposizioni contrattuali in materia racchiuse nell’art.64 del CCNL del 05.12.1996 dell’Area dirigenziale SPTA del Servizio Sanitario DEVONO SICURAMENTE essere armonizzate con il dettato dell’art.9 della L.N.114\2014 … ”.
Del resto basta rifarsi ai principi basilari in materia, per rendersi conto della inaccettabilità logica di una tesi di segno opposto, infatti la contrattazione decentrata (o anche nazionale), così come il regolamento dell’Ente, pur nell’autonomia che gli compete, non potrebbe in nessun caso derogare in peius la legge ordinaria dello Stato in materia di componenti continuative della retribuzione.
Ed, in materia di compensi agli avvocati delle amministrazioni pubbliche, il Giudice contabile ha in più occasioni tenuto a dire che quella verso gli avvocati dipendenti è “un’obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento”, ne segue che l’ente pubblico ha il dovere di predisporre, od adeguare, il regolamento necessario che sia esaustivo e completo per procedere alla liquidazione delle spettanze professionali dovute agli avvocati delle amministrazioni pubbliche, disciplinandone le modalità, il parametro forense (entro la forbice del minimo e massimo di tariffario) e la ripartizione interna.
In conclusione ben pochi dubbi possono esservi, mentre la norma esclude espressamente dalla possibilità di ricevere onorari da spese compensate il “personale dell’Avvocatura dello Stato” (che per tali ragioni ha invocato l’intervento del giudice delle leggi), il restante personale professionale legale delle pubbliche amministrazioni è esente da tale esclusione ed assimilato nell’unica dizione “personale dipendente delle amm.ni pubbliche di cui al art. 1, comma 2, D. Lgs. n.165/2001” senza distinzioni intestine circa la regolazione dei compensi. E’ da dire che le aziende sanitarie rientrano , al pari degli enti locali nella previsione di cui all’art 1 comma 2 del D.Lgs 165/2001 , cioè sono enti pubblici.
L’aspetto innovativo della norma, la quale pone fine a annose questioni, si coglie proprio nella uniformità di trattamento dei compensi degli avvocati dipendenti delle amm.ni pubbliche di cui al art. 1, comma 2, D. Lgs. n.165/2001, quindi ci si augura che il contenuto dell’art.9 cit. non venga snaturato nella attuazione pratica con artificiose trovate aventi effetti tutt’altro che deflattivi ed imparziali.
CONTRATTAZIONE DIRIGENZA AVVOCATI ANTE DECRETO Renzi. Referenti contrattuali per il personale togato della Sanità, prima della pubblicazione del decreto Renzi erano l’art 64 CCNL 1996 e l’art 24 CCNL 2005. Il primo disciplinava compiutamente i casi del cosiddetto “riscosso“ cioè i corrispettivi dovuti agli avvocati del SSN in caso di sentenze con condanna della controparte incamerate. Disponeva che una somma non inferiore al 5% fosse trattenuta dall’azienda a copertura delle “ spese generali (tassa di iscrizione etc …), che si trattasse di somme incamerate dall’asp e che agli avvocati dirigenti che percepivano i compensi non era dovuto il premio per la prestazione individuale (il famoso 10 per cento di cui all’art 62).
L’art 64 infatti recita : “Onorari e compensi di natura professionale
1. Ai Dirigenti avvocati e procuratori appartenenti al ruolo professionale spettano i compensi di natura professionale previsti dal regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente.
2. Le aziende ed enti che hanno alle loro dipendenze Dirigenti legali appartenenti al ruolo professionale adottano secondo il proprio ordinamento le misure procedurali e organizzative necessarie all’applicazione di quanto previsto dal comma 1, nel rispetto dei seguenti principi:
a) gli onorari che devono essere corrisposti sono quelli recuperati a seguito di condanna alle spese della parte avversa soccombente e sono corrisposti dopo l’avvenuta acquisizione delle relative somme nel bilancio dell’azienda o ente;
b) gli onorari spettano esclusivamente ai Dirigenti appartenenti al ruolo professionale che svolgono funzioni legali;
c) la ripartizione degli onorari tra i Dirigenti del ruolo professionale legale è definita dall’azienda o ente;
d) l’azienda o ente stabilisce una quota non inferiore al 5 % degli onorari da trattenere a copertura forfetaria delle spese generali.
3. Nella determinazione della retribuzione di risultato di cui all’art. 62, le risorse finanziarie derivanti dal comma 1 del presente articolo, nonché quelle previste dall’art. 61, comma 2, punto b) sono destinate ad incentivare le prestazioni dei Dirigenti che le hanno effettuate i quali non beneficiano, di conseguenza, del premio per la prestazione individuale”.
L’art 24 del CCNL 2005 invece riguarda i cosiddetti “risparmi di spesa“ derivanti dall’internalizzazione del contenzioso e ai quali partecipano tutti i dipendenti, anche non avvocati, che hanno contribuito a realizzarli.
L’art 24 del ccnl 2005 recita: “ 2. Fermo rimanendo quanto previsto dall’art. 64 del CCNL del 5 dicembre 1996, qualora nel corso dell’anno di riferimento nel bilancio si verifichino risparmi di gestione rispetto alle spese legali dell’anno precedente per diretta ed esclusiva assunzione del patrocinio da parte dei dirigenti legali, l’azienda o ente, in attuazione, con le procedure ed alle condizioni dell’art. 43, comma 5 della legge n. 449 del 1997, destina la quota indicata dalla citata disposizione alla contrattazione integrativa affinché venga ripartita, nell’ambito della retribuzione di risultato, all’interno dell’unità operativa che ha prodotto il risparmio e tenuto conto del personale e dei dirigenti anche di altre unità operative che hanno collaborato”.
Il personale togato degli enti locali non ha una tale disciplina specifica . Per cui nel fare rinvio alla disciplina contrattuale previgente per il SSN, è chiaro l’intento degli autori della negoziazione a voler affermare che nel trattamento economico del personale togato della Sanità, le spese liquidate, cioè il riscosso, viene disciplinato dall’art 64 del previgente CCNl, se ci sono risparmi ai quali contribuiscono altri dipendenti si applica l’art 24, mentre le spese compensate sono dovute sulla base del comma 6 del Decreto Renzi. L’intero Regolamento aziendale sarà oggetto di contrattazione integrativa. Una disciplina così specifica per le liquidate non si rinviene nei precedenti contratti degli avvocati degli enti locali. Questa è la ragione per la quale il CCNL 2020 vi fa riferimento all’art 66 lettera “h”.
La presente è l’unica opzione ermeneutica praticabile, in quanto se, come sostenuto inopinatamente da qualcuno nessun compenso fosse dovuto per le spese cosiddette compensate il contratto si sarebbe limitato a ribadire la validità del precedente regime contrattuale. Invece, come per gli enti locali fa riferimento alle modalità applicative del Decreto Renzi, superando l’annosa questione degli onorari per cause vinte con compensazione nel SSN.
Le norme, infatti, ai sensi dell’art 12 preleggi vanno interpretate nel senso in cui possono avere un significato piuttosto che non ne abbiano alcuno. E se la interpretassimo diversamente a nulla varrebbe il richiamo al decreto Renzi. L’impostazione di cui sopra è inoltre coerente ai principi di perequazione dei trattamenti economici di cui all’art 8 l. 412/91 e di omogeneizzazione sancito dall’art 8 del CCNQ 2016 e 2021 che hanno ricondotto la disciplina della Dirigenza PTA del SSN all’unico Comparto di Contrattazione delle Funzioni Locali.
Quindi sarebbe discriminatorio, proprio all’interno del medesimo comparto di contrattazione, una lettura che determini un trattamento retributivo differenziato a parità di funzioni.
Si riporta l’art 8 del CCNQ 2016 e 2021
Articolazione del contratto collettivo nazionale di lavoro
1. Ferma restando la finalità di armonizzare ed integrare le discipline contrattuali all’interno dei nuovi comparti o aree, il contratto collettivo nazionale di lavoro, nella sua unitarietà, è costituito da una parte comune, riferita agli istituti applicabili ai lavoratori di tutte le amministrazioni afferenti al comparto o all’area e da eventuali parti speciali o sezioni, dirette a normare taluni peculiari aspetti del rapporto di lavoro che non siano pienamente o immediatamente uniformabili o che necessitino di una distinta disciplina Locali. Si ribadisce che il personale delle Aziende Sanitarie rientra nell’area delle Pubbliche Amministrazioni come individuate dal comma 2 art 1 TUPI: 2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI.
Né di maggior momento può essere il rinvio alle sentenze della C.C n. 12332/2018, 12333/2019 del 2018 e 6553/2019 che riguardano fattispecie ante decreto Renzi. A ciò basti verificare il numero di ruolo del primo grado che risale al 2004 e quello della sentenza appellata (RG 205/2012) e per l’Ordinanza 6553/2019 (RG R.G.N. 5203/2009) nonché i motivi del ricorso in Cassazione tra i quali non figura la violazione dell’art 8 del Decreto Renzi. Dette sentenze, peraltro, riguardano la partecipazione del personale togato della sanità alla distribuzione del premio per la qualità per la prestazione individuale. Ad ulteriore riprova della correttezza dell’assunto valga il fatto che l’ASP di Palermo dalla quale dipendono i ricorrenti in Cassazione ha, dopo il decreto Renzi, e alla luce di una interpretazione assessoriale adottato un Regolamento che prevede la corresponsione di onorari per cause vinte con compensazione delle spese legali.
CORTE COSTITUZIONALE, 10 maggio – 13 giugno 2023, SENTENZA N. 116 Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Processo penale – Chiusura delle indagini preliminari – Richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero per […]
Costituzionale Fascicolo n.2/2023 GiurisprudenzaCORTE COSTITUZIONALE, 10 maggio – 13 giugno 2023, SENTENZA N. 116
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Processo penale – Chiusura delle indagini preliminari – Richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato – Possibilita’, per il giudice per le indagini preliminari, di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita’ del fatto, previa fissazione dell’udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell’indagato – Preclusione, in base all’interpretazione della Corte di cassazione – Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di proporzionalita’, di responsabilita’ per il fatto e di personalita’ della responsabilita’ penale, della finalita’ rieducativa della pena, di ragionevolezza, di ragionevole durata del processo, anche nell’accezione convenzionale, e di soggezione dei giudici soltanto alla legge – Non fondatezza delle questioni. – Codice di procedura penale, art. 409, commi 4 e 5, in combinato disposto con l’art. 411, commi 1 e 1-bis, del medesimo codice. – Costituzione, artt. 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, 76, 101, secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, art. 6; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47; Patto internazionale sui diritti civili e politici, art. 14, terzo comma, lettera c). (T-230116) (GU n. 24 del 14-06-2023)
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Silvana SCIARRA;
Giudici :Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto, Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D'ALBERTI,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, del codice di procedura penale, in combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola nel procedimento penale a carico di A. F., con ordinanza del 20 giugno 2022, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2022. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2023 il Giudice relatore Francesco Vigano'; deliberato nella camera di consiglio del 10 maggio 2023. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 20 giugno 2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, 76, 101 (recte: 101, secondo comma), 111, secondo comma, e 117 (recte: 117, primo comma,) della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e all'art. 14, (recte: 14, terzo comma,) lettera c), del Patto internazionale sui diritti civili e politici - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, del codice di procedura penale, in combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., «nella parte in cui non consentono al giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, previa fissazione dell'udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell'indagato». 1.1.- Il rimettente e' investito, nella propria qualita' di giudice per le indagini preliminari, di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato nei confronti di A. F., sottoposto a procedimento penale in seguito a querela della persona offesa per essersi introdotto e trattenuto all'interno di una strada privata di pertinenza di quest'ultima, nonostante la sua contraria volonta'. Non condividendo la valutazione del pubblico ministero sulla infondatezza della notizia di reato, il rimettente ha fissato udienza camerale ai sensi dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen., nella quale, assente il pubblico ministero, ha prospettato alla persona sottoposta alle indagini, al suo difensore e al difensore della persona offesa la possibilita' di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto. A tale possibile esito «entrambe le parti, rappresentate dai loro difensori, non si opponevano». Ad avviso del giudice a quo, la condotta di A. F. integrerebbe in effetti una violazione di domicilio ai sensi dell'art. 614 del codice penale. Nel caso di specie sussisterebbero pero' i presupposti della particolare tenuita' dell'offesa e della non abitualita' del comportamento, atti a escludere la punibilita' del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., poiche' la violazione di domicilio, avvenuta senza violenza o minaccia alla persona, si sarebbe protratta per un esiguo lasso temporale e sarebbe stata realizzata da un soggetto incensurato. Il rimettente assume tuttavia di non poter fare applicazione della causa di non punibilita' in parola, poiche' il combinato disposto degli artt. 409, commi 4 e 5, e 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., nell'interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimita', gli impedirebbe di disporre l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, a fronte di una richiesta del pubblico ministero di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. In particolare, secondo la Corte di cassazione il provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, pronunciato ai sensi dell'art. 411, comma 1, cod. proc. pen., sarebbe nullo se emesso senza l'osservanza della speciale procedura prevista al comma 1-bis di detta norma (che presuppone una richiesta in tal senso del pubblico ministero e l'avviso all'indagato e alla persona offesa), non essendo le disposizioni generali contenute negli artt. 408 e seguenti cod. proc. pen. idonee a garantire il contraddittorio dell'indagato e della persona offesa sulla configurabilita' della causa di non punibilita' (sono richiamate Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 16 gennaio-13 febbraio 2018, n. 6959; sezione quinta penale, sentenza 15 giugno-5 settembre 2017, n. 40293; sezione quinta penale, sentenza 7 luglio-5 settembre 2016, n. 36857). A fronte di tale orientamento della giurisprudenza di legittimita', sarebbe impraticabile una diversa interpretazione della disciplina censurata. Ne' si potrebbe ipotizzare la restituzione degli atti al pubblico ministero, con invito a reiterare la richiesta di archiviazione, questa volta ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., trattandosi di soluzione «non espressamente prevista dal legislatore, ne' sollecitata dalla giurisprudenza di legittimita'», e comunque problematica. Sarebbe dunque necessario promuovere l'incidente di costituzionalita' onde poter procedere all'archiviazione del procedimento per particolare tenuita' del fatto: donde la rilevanza delle questioni sollevate. 1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente osserva anzitutto che la previsione della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis cod. pen. costituirebbe «l'attuazione dei principi, di rango costituzionale, di sussidiarieta' (o extrema ratio) del diritto penale e di proporzionalita'» e realizzerebbe esigenze di deflazione processuale (e' citata la relazione illustrativa al decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», che ha introdotto nel codice penale l'art. 131-bis). L'impossibilita' di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, a fronte di una richiesta del pubblico ministero di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, sarebbe allora «in contrasto con le finalita' sostanziali e processuali poste a fondamento dell'istituto» di cui all'art. 131-bis cod. pen., e risulterebbe «contraria ai principi di uguaglianza e proporzionalita' (art. 3 Cost.), di responsabilita' per il fatto e personalita' della responsabilita' penale (articoli 25, comma 2 e 27, comma 1, Cost.), della finalita' rieducativa della pena (art. 27, comma 3 Cost.), nonche' di ragionevolezza (art. 3 Cost.), anche in riferimento ai principi e criteri direttivi della legge delega (art. 76 Cost.), di ragionevole durata del processo (art. 101 [recte: 111] Cost. e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 Cost.) e di soggezione dei giudici esclusivamente alla legge (art. 101 Cost.)». 1.2.1.- La disciplina censurata lederebbe anzitutto gli artt. 3, 27, primo e terzo comma, e 76 Cost., giacche' precluderebbe al GIP di operare, in sede di udienza camerale sulla richiesta di archiviazione, «un vaglio individualizzante del singolo e irripetibile fatto storico portato alla sua attenzione», costringendolo ad «imbastire un processo finalizzato all'applicazione di una pena virtualmente sproporzionata nell'an ancor prima che nel quantum, poiche' da applicare ad un fatto che, in base ai criteri generali fissati dal medesimo legislatore, non ne e' invece "bisognoso"»; con conseguente violazione «non soltanto del principio di uguaglianza, sub specie di ragionevolezza e proporzione, ma anche dei principi di personalita' della responsabilita' penale e della finalita' rieducativa della pena» (sono richiamate le sentenze n. 102 del 2020, n. 40 del 2019, n. 222 del 2018, n. 236 del 2016, n. 68 del 2012 e n. 313 del 1990 di questa Corte). La lesione dei richiamati principi costituzionali si produrrebbe gia' in sede di udienza camerale ex art. 409 cod. proc. pen., in quanto il GIP, pur non essendo chiamato a irrogare alcuna pena, non potrebbe «"disapplicare" un virtuale trattamento sanzionatorio nei confronti dell'indagato, che nel caso concreto risulterebbe sproporzionato» e dovrebbe invece imporre la celebrazione nei confronti dell'imputato di «un "immeritato processo" mediante il ricorso all'imputazione coatta». La «potenziale applicazione di una pena, anche minima (mediante un processo, anche breve) all'autore di un illecito considerato di particolare tenuita'» costituirebbe «una reazione sproporzionata dell'ordinamento, che sacrifica e banalizza la liberta' personale dell'individuo, dichiarata "inviolabile" dall'art. 13 Cost., a fronte di fatti che non dimostrano alcun reale bisogno di pena: la sua inflizione (peraltro appannaggio di un giudice "diverso" da quello chiamato a valutare la richiesta di archiviazione del PM) realizzerebbe, pertanto, un ingiustificato, inutile e intollerabile sacrificio della liberta' personale» (e' citata la sentenza n. 364 del 1988 di questa Corte). Tali precetti costituzionali costituirebbero «il plafond dei principi e criteri direttivi» della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), con conseguente violazione, altresi', dell'art. 76 Cost. 1.2.2.- La disciplina censurata, come interpretata dal diritto vivente, presenterebbe poi profili di irragionevolezza intrinseca, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. L'impossibilita' per il GIP di procedere all'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, allorche' ne' l'imputato, ne' la persona offesa abbiano esposto ragioni di dissenso a tale esito nel corso dell'udienza camerale, costituirebbe il frutto di un'esegesi non solo «fondamentalmente formalista», ma anche manifestamente irrazionale e discriminatoria, introducendo un «automatismo che costringe il giudice per le indagini preliminari a procedere ad un'imputazione coatta, del tutto dissonante rispetto alle esigenze processuali poste a base dell'istituto»; e cio' anche in considerazione della circostanza che, nella procedura di cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., le parti, pur dovendo essere informate della richiesta del pubblico ministero e potendo presentare opposizione, non possono opporre alcun veto al potere del giudice di provvedere ex art. 131-bis cod. pen. 1.2.3.- Il plesso normativo sottoposto al vaglio di questa Corte produrrebbe altresi' irragionevoli disparita' di trattamento rispetto alle ipotesi in cui, nelle successive fasi processuali, la pronuncia ex art. 131-bis cod. pen. puo' essere adottata previa audizione delle parti in camera di consiglio (in sede predibattimentale, ai sensi dell'art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen.) e addirittura d'ufficio (sono citate, con riferimento al giudizio di legittimita', Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 9 maggio-5 giugno 2017, n. 27752; sezione sesta penale, sentenza 16 dicembre 2016-17 febbraio 2017, n. 7606; sezione quinta penale, sentenza 2 luglio 2015-11 febbraio 2016, n. 5800), senza necessita' di richiesta conforme da parte del pubblico ministero. Ancora, la preclusione a disporre l'archiviazione del procedimento ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. imporrebbe al GIP di trattare in modo uguale situazioni disomogenee, segnatamente disponendo la celebrazione del processo sia per fatti di particolare tenuita', sia per fatti «connotati da un disvalore oggettivo effettivamente superiore alla soglia della particolare tenuita' dell'offesa e, come tali, meritevoli di accertamento processuale e di eventuale sanzione». Fatti analoghi, caratterizzati da «paragonabili bassi gradi di offesa e di colpevolezza» sarebbero invece trattati diversamente a seconda dell'iter seguito dal pubblico ministero, potendo essere dichiarati non punibili, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. solo ove questi abbia proceduto nelle forme di cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., e non anche ove la pubblica accusa abbia formulato una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Tanto l'«irragionevole trattamento differenziato di situazioni omogenee» quanto l'«irragionevole trattamento omogeneo di situazioni differenti» darebbero dunque luogo ad un ulteriore contrasto con l'art. 3 Cost. 1.2.4.- Il combinato disposto censurato produrrebbe, ancora, una «evidente distorsione nell'assetto ordinamentale dei rapporti tra PM e giudicante», con conseguente violazione dell'art. 101, secondo comma, Cost. Pur spettando al giudice l'apprezzamento della sussistenza delle condizioni indicate dall'art. 131-bis cod. pen., per effetto del diritto vivente tale prerogativa sarebbe indebitamente «filtrata dalla preventiva scelta del PM che, adottando un iter procedimentale anziche' un altro nella procedura di archiviazione, puo' impedire al giudice per le indagini preliminari una completa disamina della notitia criminis e delle conseguenze giuridiche» che ne derivano. Cio' in contraddizione con la stessa giurisprudenza di legittimita', che, nel delineare i rapporti istituzionali e funzionali tra ufficio di procura e ufficio del GIP, avrebbe «definitivamente escluso una logica di formalistica corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato» (e' citata Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 31 maggio-17 giugno 2005, n. 22909). 1.2.5.- La disciplina censurata si porrebbe, infine, in contrasto con il canone di ragionevole durata del processo, tutelato tanto dall'art. 111, secondo comma, Cost., quanto dall'art. 6 CEDU, dall'art. 47 CDFUE e dall'art. 14, terzo comma, lettera c), PIDCP. La ragionevole durata del processo costituirebbe un vero e proprio diritto di tutte le parti (sono richiamate le sentenze n. 88 del 2018 e n. 78 del 2002 di questa Corte), che spetta non solo all'imputato, ma anche all'indagato (sono citate la sentenza n. 184 del 2015 nonche' le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo 15 luglio 1982, Eckle contro Germania, paragrafo 73; 10 dicembre 1982, Corigliano contro Italia, paragrafo 34; 5 ottobre 2017, Kaleja contro Lettonia, paragrafo 36; 20 giugno 2019, Chiarello contro Germania, paragrafo 44); diritto cui corrisponderebbe l'obbligo del legislatore di «porre le condizioni ordinamentali, organizzative e processuali piu' idonee al conseguimento degli obiettivi connessi ad un congruo accertamento processuale» (e' richiamata la sentenza della grande camera 29 marzo 2006, Scordino contro Italia, paragrafi da 183 a 187). Nel caso di specie, il GIP non potrebbe disporre l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, benche' l'indagato non si sia opposto a tale decisione e la persona offesa sia stata sentita, e dovrebbe ordinare l'imputazione coatta «imponendo, di fatto, il processo». In contrasto con le esigenze di deflazione e di ragionevole durata del processo, l'imputato potrebbe dunque essere prosciolto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. solo nelle successive fasi processuali, nelle quali egli potrebbe addirittura vedersi irrogare la sanzione penale, «nonostante un vaglio giurisdizionale di segno contrario» operato dal GIP in sede di decisione sulla richiesta di archiviazione. A tale situazione il rimettente non potrebbe, d'altra parte, porre rimedio restituendo gli atti al pubblico ministero e «invitandolo» a reiterare la richiesta di archiviazione nelle forme di cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. Un simile iter procedimentale, non previsto dal codice di rito, non risolverebbe i dubbi di costituzionalita' della disciplina censurata, in quanto «si sostanzierebbe in una irragionevole protrazione del procedimento a carico dell'indagato», in violazione dell'art. 111, secondo comma, Cost.; e non escluderebbe il rischio che, a seguito della restituzione degli atti, il pubblico ministero si determini in senso diverso da quanto suggerito dal GIP, reiterando la richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Ne' tale soluzione potrebbe dirsi funzionale a tutelare il diritto al contraddittorio della persona offesa, posto che tale diritto - salvaguardato con l'audizione nell'udienza camerale - non includerebbe comunque un potere di veto sull'archiviazione per particolare tenuita' del fatto. 1.3.- Ad avviso del giudice a quo, l'auspicato accoglimento delle questioni sollevate, oltre a porre rimedio ai denunciati vulnera costituzionali, «costituirebbe, in una prospettiva di analisi economica del diritto, una proattiva innovazione giuridica che, ben lungi dall'infirmare l'assetto procedimentale delineato dal legislatore per l'istituto della particolare tenuita' del fatto, vi si innesterebbe armonicamente, potenziandone l'applicazione». E invero, al meccanismo di archiviazione per particolare tenuita' del fatto previsto dall'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. si affiancherebbe «in via ulteriore e aggiuntiva» la possibilita' per il GIP, a fronte di una richiesta del pubblico ministero di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di disporre l'archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., ove questi la ritenga «maggiormente confacente alla qualificazione giuridica del fatto e della notitia criminis portati alla sua attenzione». 2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la censura del rimettente fondata sull'art. 76 Cost. sia dichiarata inammissibile - per carenza di motivazione circa il contrasto della disciplina censurata con il parametro - e che le restanti censure siano dichiarate non fondate. 2.1.- Ad avviso dell'interveniente, l'ipotesi di archiviazione disciplinata dall'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. sarebbe connotata, a differenza delle altre previste dal codice di rito, dalla sussistenza di tutti i presupposti per l'esercizio dell'azione penale, il che giustificherebbe l'iscrizione della relativa pronuncia nel casellario giudiziale. La «radicale eterogeneita'» dell'archiviazione per particolare tenuita' del fatto rispetto alle altre ipotesi di archiviazione determinerebbe la «palese infondatezza» della censura di violazione dell'art. 3 Cost. per irragionevolezza della disciplina censurata. 2.2.- La scelta legislativa di subordinare l'adozione di un provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' del fatto all'iniziativa del pubblico ministero sarebbe «imposta dalla necessita' di conformare la disciplina processuale al principio [...] di cui all'art. 112 della Costituzione, che attribuisce il monopolio dell'azione penale al pubblico ministero»; il che dimostrerebbe l'«assoluta inconsistenza» della censura di violazione dell'art. 101, secondo comma, Cost. Ne' rileverebbe che, in fase di giudizio, sia possibile pronunciare sentenza di proscioglimento indipendentemente da una richiesta in tale senso del pubblico ministero, essendo la fase introdotta dalla richiesta di archiviazione precedente e preordinata ad accertare la sussistenza dei presupposti dell'esercizio dell'azione penale. 2.3.- Del pari inconsistenti sarebbero le censure di violazione degli artt. 13 e 27 Cost., atteso che la disciplina censurata non determinerebbe necessariamente l'applicazione della pena a un fatto di particolare tenuita'. E invero, al rigetto della richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato potrebbe seguire una richiesta del pubblico ministero di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, correttamente formulata ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., ovvero, nell'ipotesi di successivo esercizio dell'azione penale, il proscioglimento in sede di giudizio ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. 2.4.- Sarebbe infine insussistente il dedotto vulnus all'art. 111, secondo comma, Cost. Da un lato, l'osservanza del canone di ragionevole durata non potrebbe «di per se'» giustificare la compressione di altri principi costituzionali, tra cui, in specie, quello del monopolio dell'azione penale in capo al pubblico ministero, sancito dall'art. 112 Cost. Dall'altro lato, anche la possibilita', auspicata dal rimettente, di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato comporterebbe un allungamento dei tempi del procedimento, attesa la necessita' di garantire alle parti processuali il contraddittorio in ordine a tale esito, in forme analoghe a quelle previste dall'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., e dunque attraverso «una serie di adempimenti aggiuntivi (quali, ad esempio, l'avviso alla persona offesa ed alla persona sottoposta alle indagini che il giudice prospettera' alle parti, nel corso di un'udienza camerale, la questione della sussistenza dei presupposti per poter addivenire a siffatta archiviazione, precisando che nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione a tale archiviazione)». Considerato in diritto 1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il GIP del Tribunale di Nola ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, 76, 101 secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, all'art. 47 CDFUE e all'art. 14, terzo comma, lettera c), PIDCP - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, cod. proc. pen., in combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., «nella parte in cui non consentono al giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, previa fissazione dell'udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell'indagato». Conviene sin d'ora precisare che le questioni cosi' formulate hanno ad oggetto, in realta', il diritto vivente che il rimettente desume da una serie di pronunce della Corte di cassazione, nelle quali e' stata rilevata la nullita' del provvedimento del GIP che, investito di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato ex art. 408 cod. proc. pen., disponga - in esito all'udienza di cui all'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. - l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. Proprio tale diritto vivente si porrebbe, in effetti, in contrasto con i molti parametri costituzionali e interposti appena menzionati. 2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l'inammissibilita' della sola questione sollevata in riferimento all'art. 76 Cost. per carenza di motivazione. L'eccezione e' fondata, in assenza di qualsiasi confronto, da parte del rimettente, con i criteri dettati dalla legge n. 67 del 2014, in attuazione della quale e' stata introdotta, con il d.lgs. n. 28 del 2015, la disciplina sostanziale e processuale della non punibilita' per particolare tenuita' del fatto. La relativa questione deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile. 3. - Inammissibili sono, inoltre, le censure formulate in riferimento agli artt. 13 e 25, secondo comma, Cost., stante la mancanza di un'adeguata e autonoma motivazione delle ragioni per cui il combinato disposto censurato violerebbe i parametri indicati. 4.- Inammissibili per inconferenza del parametro sono, infine, le censure formulate in riferimento all'art. 101, secondo comma, Cost. (punto 1.2.4. del Ritenuto in fatto). Ad avviso del rimettente, il combinato disposto censurato, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimita', violerebbe il principio della soggezione del giudice soltanto alla legge, precludendogli di apprezzare liberamente la sussistenza dei requisiti della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis cod. pen. e vincolandolo, invece, alla previa valutazione del pubblico ministero che si sia determinato a chiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Come recentemente ribadito da questa Corte (ordinanza n. 28 del 2023), tuttavia, il principio di soggezione del giudice soltanto alla legge e' posto, «tra l'altro, a presidio del principio dell'indipendenza (cosiddetta "esterna") del giudice da ogni altro potere dello Stato, cosi' come della sua indipendenza (cosiddetta "interna") da tutti gli altri giudici, dai quali si distingue soltanto per diversita' di funzioni ma rispetto ai quali non si trova in vincolo di soggezione gerarchica». Mai pero' si e' ritenuto «che il principio dell'indipendenza "interna" del giudice osti a che la sua potestas iudicandi sia delimitata, in conformita' alla legge processuale vigente, da provvedimenti di altri giudici, ovvero da atti di altri soggetti», essendo anzi «del tutto fisiologico [...] che il thema decidendum in ogni processo sia determinato e circoscritto da atti di soggetti diversi dal giudice (come le domande e le eccezioni delle parti nel processo civile, i motivi di ricorso nel processo amministrativo, l'imputazione formulata dal pubblico ministero ed eventualmente modificata dal decreto del GUP che dispone il giudizio nel processo penale), e che unicamente su tale thema decidendum il giudice sia chiamato ad esprimersi». Piu' in generale, ha concluso la Corte, «si deve escludere che possa prodursi un vulnus all'art. 101, secondo comma, Cost. in presenza di vincoli alla potestas iudicandi del singolo giudice stabiliti dalla legge processuale, che e' anch'essa parte integrante di quella "legge" a cui il giudice e' soggetto in forza della previsione costituzionale in parola». Le medesime considerazioni valgono a escludere gia' in limine, nel caso ora all'esame, che il rimettente possa dolersi, al metro dell'art. 101, secondo comma, Cost., del vincolo che deriverebbe alla propria potestas decidendi dalle determinazioni del pubblico ministero circa l'esercizio dell'azione penale, riservate allo stesso pubblico ministero dal sistema processuale vigente (infra, punto 6.2.2.). 5.- Prima di esaminare il merito delle rimanenti censure, e' necessario succintamente ricostruire il quadro normativo e giurisprudenziale che ne costituisce lo sfondo. 5.1.- Nel testo vigente ratione temporis alla data dell'ordinanza di rimessione, l'art. 408 cod. proc. pen. prevedeva in via generale che il pubblico ministero richiedesse l'archiviazione al GIP allorche' ritenesse infondata la notizia di reato. In seguito alle modifiche apportate dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonche´ in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), il pubblico ministero e' oggi tenuto a chiedere l'archiviazione «[q]uando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca». A fronte di tale richiesta del pubblico ministero, il GIP puo', ai sensi dell'art. 409, comma 1, cod. proc. pen., disporre de plano, con decreto motivato, l'archiviazione. Qualora invece ritenga di non accogliere la richiesta, ovvero quando sia presentata opposizione da parte della persona offesa (art. 410 cod. proc. pen.), egli deve invece fissare, ai sensi dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen., udienza in camera di consiglio, facendone dare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa. In esito a tale udienza, il GIP potra' alternativamente: a) accogliere la richiesta di archiviazione; b) disporre che il pubblico ministero compia nuove indagini; o ancora c) disporre che il pubblico ministero formuli l'imputazione (art. 409, commi 4 e 5, cod. proc. pen.). 5.2.- Una speciale disciplina e' stata introdotta dal d.lgs. n. 28 del 2015 in materia di archiviazione per particolare tenuita' del fatto. Ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., il pubblico ministero che ritenga il fatto di reato sussistente, ma meritevole della causa di non punibilita' in parola, presenta al GIP richiesta di archiviazione dandone avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, avvertendole della possibilita' di presentare opposizione avverso tale richiesta. La possibilita' di opposizione della persona sottoposta alle indagini, non prevista allorche' l'archiviazione sia richiesta per insussistenza del fatto, si spiega qui, evidentemente, in ragione degli effetti pregiudizievoli per l'interessato prodotti da una tale archiviazione, destinata a essere iscritta nel casellario giudiziale (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 30 maggio-24 settembre 2019, n. 38954) e preclusiva di una nuova concessione della causa di non punibilita'. In assenza di opposizione, o nel caso in cui essa sia inammissibile, il giudice potra', alternativamente, accogliere con decreto motivato la richiesta, e per l'effetto disporre l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, ovvero restituire gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dei gia' esaminati commi 4 e 5 dell'art. 409 cod. proc. pen. Nel caso invece in cui sia proposta opposizione, il GIP procedera' nelle stesse forme indicate nell'art. 409 cod. proc. pen., decidendo con ordinanza - e dunque disponendo l'archiviazione del procedimento per particolare tenuita' del fatto, oppure restituendo gli atti al pubblico ministero perche' proceda, se del caso, a nuove indagini ovvero a formulare l'imputazione. 5.3.- La legge non disciplina espressamente l'ipotesi in cui pubblico ministero e GIP convergano sull'esito di archiviazione della notizia di reato, ma ritengano l'uno che essa debba fondarsi sull'infondatezza tout court della notizia (ovvero, oggi, sull'impossibilita' di formulare una ragionevole previsione di condanna), e l'altro che un reato sia stato bensi' commesso, ma sia di particolare tenuita' e per tale ragione risulti non punibile in forza dell'art. 131-bis cod. pen. La Corte di cassazione ha escluso, in proposito, che debba ritenersi abnorme il provvedimento con cui il GIP, investito di una richiesta di archiviazione per particolare tenuita' del fatto ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., abbia invece disposto l'archiviazione per infondatezza della notitia criminis, e in particolare per non essere il fatto previsto dalla legge come reato (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 13 settembre-7 ottobre 2019, n. 41104). Nel caso opposto in cui il pubblico ministero abbia richiesto l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato, la giurisprudenza di legittimita' - come esattamente osservato dal rimettente - appare invece compatta nel non riconoscere al GIP la possibilita' di accogliere la richiesta sotto il diverso profilo della particolare tenuita' del fatto di reato, comunque ritenuto sussistente; dovendo anzi un tale provvedimento ritenersi nullo. Gia' in una pronuncia del 2016 la Corte di cassazione e' pervenuta a tale soluzione, in accoglimento di un ricorso promosso da una persona indagata contro un'ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' dell'offesa pronunciata in esito all'udienza ex art. 409, comma 2, cod. proc. pen. Il giudice di legittimita' ha, in particolare, ritenuto che l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto deve essere necessariamente preceduta, ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., da una conforme richiesta del pubblico ministero, la quale deve essere portata a conoscenza della persona sottoposta alle indagini e della persona offesa (quest'ultima anche laddove non ne abbia fatto esplicita richiesta ai sensi dell'art. 408, comma 2, cod. proc. pen.), in modo che, all'eventuale udienza in camera di consiglio, il contraddittorio fra le parti possa svolgersi proprio su tale questione (sentenza n. 36857 del 2016). Tale principio di diritto e' stato poi confermato in varie altre pronunce della Cassazione, originate da ricorsi promossi ora dalla persona sottoposta a indagini (sentenze n. 6959 del 2018 e n. 40293 del 2017), ora dalla persona offesa (sezione sesta penale, sentenza 14 febbraio-7 marzo 2018, n. 10455), con la precisazione che l'invito del giudice alle parti a prendere in esame anche la possibilita' di un'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, rivolto oralmente nel corso dell'udienza camerale disposta a seguito dell'opposizione alla richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, non puo' considerarsi equipollente alla richiesta del pubblico ministero ex art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. (sentenza n. 6959 del 2018). In ciascuna di tali pronunce si e' inoltre ribadita la cogenza dello schema procedimentale ordinario, che il GIP e' tenuto a seguire nel caso in cui non condivida la valutazione del pubblico ministero di infondatezza della notizia di reato: il GIP dovra' restituire gli atti al pubblico ministero ai sensi dei commi 4 e 5 dell'art. 409 cod. proc. pen., affinche' compia nuove indagini, formuli l'imputazione, ovvero valuti la possibilita' di richiedere egli stesso l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto con le modalita' previste dall'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., informando cosi' le parti di tale possibile esito processuale e consentendo loro di esercitare la pienezza del contraddittorio su questo specifico profilo. 6.- Con due distinti gruppi di censure (punti 1.2.2. e 1.2.5. del Ritenuto in fatto), che conviene esaminare congiuntamente per primi, il rimettente dubita della compatibilita' di tale diritto vivente con i principi di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e di ragionevole durata del processo, quest'ultimo sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost. e dai corrispondenti parametri sovranazionali, rilevanti nell'ordinamento nazionale in forza dell'art. 117, primo comma, Cost. In sostanza, il giudice a quo si duole dell'irragionevolezza di una interpretazione della disciplina vigente che impone la restituzione degli atti al pubblico ministero, e dunque una regressione del procedimento, pur a fronte della mancata opposizione delle parti a un esito processuale - l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto - prospettato loro dal GIP nel corso dell'udienza di cui all'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. Tale regressione determinerebbe, d'altra parte, l'inutile dilazione di un procedimento che potrebbe essere direttamente definito dal GIP, con conseguente pregiudizio all'interesse - costituzionalmente e convenzionalmente tutelato - della ragionevole durata del processo. Le censure non sono fondate. 6.1.- Rammenta, invero, giustamente il rimettente che, gia' all'indomani della riforma dell'art. 111 Cost., questa Corte ha affermato che la ragionevole durata del processo «e' oggetto, oltre che di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo e imparziale» (sentenza n. 78 del 2002, punto 3 del Considerato in diritto). Piu' recentemente, questa stessa Corte ha avuto modo di riconoscere - con riferimento, in quell'occasione, al giudizio di sorveglianza - che corrisponde a un «preciso dovere costituzionale» per il legislatore conformare la disciplina vigente all'obiettivo di assicurare una sollecita definizione dei processi, dal momento che «[l]a ragionevole durata e' un connotato identitario della giustizia del processo» (sentenza n. 74 del 2022, punto 5.1. del Considerato in diritto). Un tale dovere non puo' non vincolare in linea di principio anche la giurisprudenza, nella propria attivita' di interpretazione delle disposizioni legislative in materia processuale, si' da evitare letture il cui effetto sia unicamente quello di rallentare la definizione dei procedimenti, senza alcuna apprezzabile utilita' in termini di tutela effettiva degli interessi delle parti o della collettivita'. Tuttavia, questa Corte ha anche osservato come «la nozione di "ragionevole" durata del processo (in particolare penale) sia sempre il frutto di un bilanciamento particolarmente delicato tra i molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici e privati coinvolti dal processo medesimo»: cio' che «impone una cautela speciale nell'esercizio del controllo, in base all'art. 111, secondo comma, Cost., della legittimita' costituzionale delle scelte processuali compiute dal legislatore, al quale compete individuare le soluzioni piu' idonee a coniugare l'obiettivo di un processo in grado di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilita', nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Sicche' una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, secondo comma, Cost. potra' essere ravvisata soltanto allorche' l'effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009)» (sentenza n. 260 del 2020, punto 10.2. del Considerato in diritto). Ancora piu' di recente questa Corte ha precisato che la ragionevole durata e' declinata dalla Costituzione e dalla CEDU «come canone oggettivo di efficienza dell'amministrazione della giustizia e come diritto delle parti, comunque correlati ad un processo che si svolge in contraddittorio davanti ad un giudice imparziale» (sentenza n. 111 del 2022, punto 7.1. del Considerato in diritto). 6.2.- E' dunque alla luce di questi principi - enunciati con riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost., ma evidentemente applicabili anche laddove si lamenti, al metro dell'art. 3 Cost., l'irragionevolezza di una disciplina proprio in relazione al suo effetto di dilatazione dei tempi di definizione del processo - che deve essere vagliato il diritto vivente oggetto delle censure del rimettente. Diritto vivente del quale - e' appena il caso di precisarlo - questa Corte non puo' che prendere atto, non potendo sostituirsi alla giurisprudenza di legittimita' nell'interpretazione delle disposizioni legislative, ed essendo piuttosto il proprio compito confinato alla verifica se il risultato di tale interpretazione sia compatibile con i parametri costituzionali evocati dal giudice a quo. 6.2.1.- Perno dell'argomentazione del rimettente e' l'asserita inutilita' della restituzione degli atti al pubblico ministero, allorche' la possibile archiviazione per particolare tenuita' del fatto sia stata prospettata alle parti all'udienza di cui all'art. 409, comma 2, cod. proc. pen., e la persona sottoposta alle indagini non si sia opposta a tale esito. Nella prospettiva del giudice a quo, la complessiva disciplina disegnata dal legislatore del d.lgs. n. 28 del 2015 esige, in ogni fase e grado del processo, che tutti i soggetti processuali abbiano la possibilita' di interloquire rispetto all'eventuale proscioglimento per particolare tenuita' del fatto, ma non attribuisce ad alcuno un potere di "veto" rispetto a una valutazione che resta di esclusiva competenza del giudice. Una volta assicurato il pieno contraddittorio tra le parti, tramite la fissazione dell'udienza e l'invito a discutere in quella sede di tale possibile esito, risulterebbe irragionevole, in quanto foriera di un rallentamento non funzionale ad alcun apprezzabile interesse dei diversi soggetti processuali, la regola - cristallizzata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione di cui si e' poc'anzi dato conto (supra, punto 5.3.) - che vieta al GIP, sotto pena di nullita', di disporre direttamente con ordinanza, all'esito dell'udienza, il proscioglimento per particolare tenuita' del fatto. 6.2.2.- Questa Corte non e', tuttavia, persuasa da tale argomento. Nelle pronunce riferite, la Corte di cassazione sottolinea come il legislatore del 2015 abbia disegnato, all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., uno specifico meccanismo procedurale per il proscioglimento per particolare tenuita' del fatto in sede di indagini preliminari. Tale meccanismo prevede, da un lato, l'iniziativa del pubblico ministero, al quale spetta la prima valutazione dei presupposti della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis cod. pen.; e, dall'altro, la notifica preventiva di un avviso scritto alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, mediante il quale esse sono invitate a manifestare la propria eventuale opposizione nei successivi dieci giorni. L'effetto potenzialmente pregiudizievole per gli interessi di entrambi questi soggetti di un'archiviazione per particolare tenuita' del fatto ha dunque indotto il legislatore ad assicurare un pieno contraddittorio su questo possibile esito, che deve essere preannunciato in termini espliciti dallo stesso pubblico ministero. Per l'esercizio di tale contraddittorio e', inoltre, espressamente previsto uno spatium deliberandi di almeno dieci giorni, onde consentire a ciascun soggetto processuale di compiere le proprie valutazioni in merito, anche consultandosi con il proprio difensore. Questo schema legislativo, funzionale al pieno esercizio del diritto di difesa di entrambi i soggetti processuali coinvolti, verrebbe sensibilmente alterato ove si consentisse al GIP di disporre direttamente l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, in difformita' dalla richiesta del pubblico ministero e in esito a un'udienza fissata ai sensi dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen., senza che sia stata previamente notificata alle parti la possibilita' di una formula di archiviazione diversa da quella prospettata dal pubblico ministero, e sulla base soltanto di un contraddittorio sollecitato per la prima volta durante l'udienza. Inoltre, se e' vero che dopo l'esercizio dell'azione penale il pubblico ministero non e' piu' dominus del proscioglimento per particolare tenuita' del fatto, non disponendo di alcun potere di veto rispetto al riconoscimento dell'esimente da parte del giudice, e' anche vero che una pronuncia di non punibilita' ex art. 131-bis cod. pen., in qualunque fase procedimentale o processuale sia collocata, presuppone logicamente la valutazione che un reato, completo di tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, sia stato commesso dalla persona sottoposta a indagini o dall'imputato. L'intero sistema processuale vigente non consente, pero', che tale valutazione sia compiuta ex officio dal giudice: e', invece, al pubblico ministero, e a lui soltanto, che spetta apprezzare in prima battuta se un reato sia stato commesso, e in caso affermativo esercitare l'azione penale, di cui egli ha il monopolio, sia pure sotto il controllo del giudice. Tant'e' vero che, nello stesso contesto configurato dall'art. 409 cod. proc. pen., il GIP puo' - al piu' - ordinare al pubblico ministero di formulare l'imputazione, ma non puo' formularla direttamente, esercitando cosi' l'azione penale in sua vece. In effetti, la dichiarazione di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto presuppone normalmente il previo esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero; e la stessa richiesta di proscioglimento per particolare tenuita' del fatto di cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., come si e' rilevato in dottrina, rappresenta qualcosa di assai prossimo al vero e proprio esercizio dell'azione penale, tale richiesta mirando a una pronuncia soltanto parzialmente liberatoria, con la quale si da' pur sempre atto dell'avvenuta commissione di un fatto di reato, ancorche' in concreto non punibile per la particolare esiguita' del danno o del pericolo cagionato. Di talche', laddove il pubblico ministero abbia invece richiesto l'archiviazione ai sensi dell'art. 408 cod. proc. pen., ritenendo insussistente o comunque non sufficientemente provato il fatto di reato, e' del tutto coerente con il sistema disegnato dal legislatore la soluzione interpretativa, cui e' pervenuta la Corte di cassazione, di non consentire al GIP di surrogarsi al pubblico ministero e di apprezzare direttamente l'avvenuta commissione del fatto medesimo, anche soltanto al fine di dichiararlo non punibile ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. Il sistema del codice di procedura penale, cosi' come tutt'altro che irragionevolmente ricostruito dalla giurisprudenza di legittimita', esige insomma che in caso di dissenso del GIP sulla richiesta del pubblico ministero la parola torni a quest'ultimo per le determinazioni di sua competenza; e impone che tutti i soggetti processuali siano posti in condizioni di interloquire su tali eventuali determinazioni, contando sullo spatium deliberandi specificamente previsto dal legislatore all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. L'effetto di allungamento dei tempi processuali che ne deriva non puo', allora, ritenersi sfornito di ogni legittima ratio giustificativa; e per tale ragione non entra in collisione ne' con il generale principio di ragionevolezza, ne' con quello della ragionevole durata del processo. 7.- Un secondo gruppo di censure investe il medesimo diritto vivente sotto i distinti profili, tutti parimenti riconducibili all'art. 3 Cost., dell'irragionevole disparita' di trattamento di situazioni analoghe e di irragionevole equiparazione di trattamento di situazioni diverse (punto 1.2.3. del Ritenuto in fatto). Neppure queste censure sono fondate. 7.1.- Ad avviso del rimettente, la censurata giurisprudenza della Corte di cassazione produrrebbe anzitutto una irragionevole disparita' di trattamento rispetto all'ipotesi in cui il riconoscimento della non punibilita' per particolare tenuita' del fatto puo' avvenire previa audizione delle parti in camera di consiglio (in sede predibattimentale, ai sensi dell'art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen.) e addirittura d'ufficio (nel giudizio di cassazione, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimita' citata dal rimettente). I tertia comparationis evocati non sono tuttavia omogenei, dal momento che il pubblico ministero ha, in tutti quei casi, esercitato l'azione penale, avendo ritenuto sussistente il reato: cio' che, invece, non accade nell'ipotesi ora all'esame, in cui il rimettente vorrebbe che il GIP si sostituisse al pubblico ministero nella sostanziale contestazione di un fatto di reato, sia pure al solo fine di dichiararlo non punibile ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. (supra, punto 6.2.2.). 7.2.- Il giudice a quo ritiene poi che il diritto vivente da lui censurato determini una indebita omologazione nel trattamento di ipotesi differenti, costringendo il GIP a disporre la celebrazione del processo sia per fatti connotati da disvalore significativo, sia per fatti di particolare tenuita'. Al riguardo, e' pero' agevole replicare che - come prefigurato anche dalla giurisprudenza di legittimita' sopra ricordata - il GIP, il quale non condivida la richiesta di archiviazione del pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato, non e' affatto tenuto a disporre la celebrazione del processo a carico della persona sottoposta alle indagini (o meglio, a disporre che il pubblico ministero formuli l'imputazione), ma ben puo' restituire gli atti invitando il pubblico ministero a considerare, altresi', la possibilita' di richiederne il proscioglimento per particolare tenuita' del fatto, con le forme indicate nell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen.; consentendo cosi' a tutti i soggetti processuali di dispiegare ritualmente il contraddittorio su questa diversa formula di archiviazione. 7.3.- In terzo luogo, il rimettente denuncia una irragionevole disparita' di trattamento per fatti di particolare tenuita', tra l'ipotesi in cui il pubblico ministero abbia proceduto nelle forme di cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. e quella in cui abbia richiesto l'archiviazione ai sensi dell'art. 408 cod. proc. pen. Anche in questo caso occorre pero' sottolineare l'essenziale differenza che intercorre tra le due ipotesi, la prima delle quali caratterizzata da una richiesta del pubblico ministero che muove dal presupposto dell'apprezzamento, da parte di questi, dell'avvenuta commissione di un fatto di reato; richiesta che, sola, legittima il GIP a una pronuncia che, parimenti, presuppone l'avvenuta commissione di tale reato. 8.- Il giudice a quo ritiene, infine, che il diritto vivente censurato violi gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., costringendo il GIP a «imbastire un processo finalizzato all'applicazione di una pena virtualmente sproporzionata nell'an ancor prima che nel quantum, poiche' da applicare ad un fatto che, in base ai criteri generali fissati dal medesimo legislatore, non ne e' invece "bisognoso"», in violazione dei principi di ragionevolezza, proporzione, personalita' della responsabilita' penale e finalita' rieducativa della pena (punto 1.2.1. del Ritenuto in fatto). Nemmeno queste ultime censure sono, tuttavia, fondate, dal momento che - come appena rilevato (supra, punto 7.2.) - nulla impone al GIP di disporre che sia formulata un'imputazione, e che sia conseguentemente celebrato un processo, nel caso in cui il reato ascritto alla persona sottoposta alle indagini gli appaia di particolare tenuita'. D'altra parte, anche nell'ipotesi in cui il pubblico ministero richiedesse il rinvio a giudizio o, a seconda dei casi, disponesse la citazione diretta della persona sottoposta alle indagini, nulla vieterebbe poi al giudice di assolvere l'imputato proprio ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., evitando cosi' di applicare una pena sproporzionata rispetto alla gravita' del reato commesso.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, del codice di procedura penale, in combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 13, 25, secondo comma, 76 e 101, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola con l'ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, cod. proc. pen., in combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, primo e terzo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e all'art. 14, terzo comma, lettera c), del Patto internazionale sui diritti civili e politici, dal GIP del Tribunale ordinario di Nola con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2023. F.to: Silvana SCIARRA, Presidente Francesco VIGANO', Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2023. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA
LEGGE 24 maggio 2023, n. 60 Norme in materia di procedibilita’ d’ufficio e di arresto in flagranza. (23G00067) (GU n.127 del 1-6-2023) Vigente al: 16-6-2023 La Camera dei deputati ed […]
Nazionale Normativa
LEGGE 24 maggio 2023, n. 60
Norme in materia di procedibilita’ d’ufficio e di arresto in flagranza. (23G00067)
(GU n.127 del 1-6-2023)
Vigente al: 16-6-2023
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art. 1
Disposizioni in materia di delitti aggravati ai sensi degli articoli 270-bis.1, primo comma, e 416-bis.1, primo comma, del codice penale)
1. All’articolo 270-bis.1 del codice penale, dopo il quinto comma e’ aggiunto il seguente:
«Per i delitti aggravati dalla circostanza di cui al primo comma si procede sempre d’ufficio».
2. All’articolo 416-bis.1 del codice penale, dopo il quarto comma e’ aggiunto il seguente:
«Per i delitti aggravati dalla circostanza di cui al primo comma si procede sempre d’ufficio».
Art. 2
Modifica all’articolo 71 del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159)
1. All’articolo 71, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159, dopo la parola: «575,» e’ inserita la seguente: «582,».
Art. 3
Modifiche al codice di procedura penale in materia di arresto in flagranza
1. Il comma 3 dell’articolo 380 del codice di procedura penale e’ sostituito dal seguente:
«3. Se si tratta di delitto perseguibile a querela e la querela non e’ contestualmente proposta, quando la persona offesa non e’ prontamente rintracciabile, l’arresto in flagranza, nei casi di cui ai commi 1 e 2, e’ eseguito anche in mancanza della querela che puo’ ancora sopravvenire. In questo caso, se la querela non e’ proposta nel termine di quarantotto ore dall’arresto oppure se l’avente diritto dichiara di rinunciarvi o rimette la querela proposta, l’arrestato e’ posto immediatamente in liberta’. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all’arresto effettuano tempestivamente ogni utile ricerca della persona offesa.
Quando la persona offesa e’ presente o e’ rintracciata ai sensi dei periodi precedenti, la querela puo’ essere proposta anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria, ferma restando la necessita’ di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all’articolo 90-bis».
2. All’articolo 381, comma 3, primo periodo, del codice di procedura penale, dopo le parole: «nel luogo» sono aggiunte le seguenti: «, ferma restando la necessita’ di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all’articolo 90-bis».
3. All’articolo 449, comma 3, del codice di procedura penale sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Nel caso di arresto effettuato ai sensi dell’articolo 380, comma 3, il giudice, se l’arresto e’ convalidato, quando manca la querela e questa puo’ ancora sopravvenire, sospende il processo. La sospensione e’ revocata non appena risulti sopravvenuta la querela o la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione».
4. All’articolo 558, comma 6, del codice di procedura penale sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Nel caso di arresto effettuato ai sensi dell’articolo 380, comma 3, il giudice, se l’arresto e’ convalidato, quando manca la querela e questa puo’ ancora sopravvenire, sospende il processo. La sospensione e’ revocata non appena risulti sopravvenuta la querela o la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione».
Art. 4
Clausola di invarianza finanziaria
1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni competenti provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addi’ 24 maggio 2023
MATTARELLA
Meloni, Presidente del Consiglio
dei ministri
Nordio, Ministro della giustizia
Visto, il Guardasigilli: Nordio
DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2023, n. 28 Attuazione della direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2020, relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori […]
Nazionale Normativa
DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2023, n. 28
Attuazione della direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2020, relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE. (23G00036)
(GU n.70 del 23-3-2023)
Vigente al: 7-4-2023
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri» e, in particolare, l'articolo 14; Vista la legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea», e, in particolare, gli articoli 31 e 32; Vista la legge 4 agosto 2022, n. 127, recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti normativi dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2021», e, in particolare, l'allegato A, numero 7; Vista la direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2020, relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE; Visto il regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante «Codice di procedura civile»; Visto il decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, recante «Istituzione di Sezioni specializzate in materia di proprieta' industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d'appello, a norma dell'articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273»; Visto il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante «Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229»; Visto il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante «Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali»; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 9 dicembre 2022; Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 9 marzo 2023; Sulla proposta del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, del Ministro delle imprese e del made in Italy e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'economia e delle finanze; Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1 Modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 1. Alla parte V del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, dopo il titolo II e' inserito il seguente: «Titolo II.1 AZIONI RAPPRESENTATIVE A TUTELA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI Art. 140-ter Disposizioni generali: definizioni ed ambito di applicazione 1. Ai fini del presente titolo, si intende per: a) consumatore: la persona fisica, di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a); b) professionista: qualsiasi persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, agisce, anche tramite un altro soggetto che opera in suo nome o per suo conto, per fini relativi alla propria attivita' commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale; c) interessi collettivi dei consumatori: gli interessi di un numero di consumatori che sono stati o potrebbero essere danneggiati da una violazione delle disposizioni di cui all'allegato II-septies; d) ente legittimato: gli enti disciplinati dall'articolo 140-quater, nonche' gli enti iscritti nell'elenco elaborato e pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, comma 2, della direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020; e) azione rappresentativa: un'azione per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori promossa, nelle materie di cui all'allegato II-septies, da un ente legittimato in quanto parte ricorrente per conto dei consumatori e finalizzata a ottenere un provvedimento inibitorio o un provvedimento compensativo; f) azione rappresentativa nazionale: un'azione rappresentativa promossa, nelle materie di cui all'allegato II-septies, innanzi al giudice italiano da un'associazione dei consumatori e degli utenti inserita nell'elenco di cui all'articolo 137 ovvero da organismi pubblici indipendenti nazionali; g) azione rappresentativa transfrontaliera: un'azione rappresentativa promossa, nelle materie di cui all'allegato II-septies, innanzi al giudice italiano da uno o piu' enti legittimati di altri Stati membri ed inseriti nell'elenco di cui all'articolo 5, paragrafo 1, comma 2, della direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020, ovvero un'azione rappresentativa intentata in un altro Stato membro da un ente legittimato ai sensi dell'articolo 140-quinquies, anche unitamente ad altri enti legittimati di diversi Stati membri; h) provvedimento compensativo: una misura rivolta a rimediare al pregiudizio subito dal consumatore, anche attraverso il pagamento di una somma di denaro, la riparazione, la sostituzione, la riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto o il rimborso del prezzo pagato, secondo quanto previsto dalle disposizioni di cui all'allegato II-septies; i) provvedimento inibitorio: un provvedimento con il quale il giudice ordina la cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva posta in essere in violazione delle disposizioni di cui all'allegato II-septies e ordina la pubblicazione del provvedimento, integralmente o per estratto, su uno o piu' quotidiani a diffusione nazionale o locale ovvero la pubblicazione di una rettifica. 2. Le disposizioni di cui al presente titolo si applicano alle azioni rappresentative promosse nei confronti di professionisti per violazioni delle disposizioni di cui all'allegato II-septies, che ledono o possono ledere interessi collettivi dei consumatori. Nel caso previsto dal primo periodo, gli enti legittimati non possono agire con l'azione di classe prevista dal titolo VIII-bis del libro IV del codice di procedura civile. Restano fermi i rimedi contrattuali ed extracontrattuali comunque previsti a favore dei consumatori. 3. L'azione rappresentativa puo' essere promossa anche se le violazioni sono cessate. 4. La cessazione delle violazioni intervenuta prima della conclusione dell'azione rappresentativa non determina la cessazione della materia del contendere. Art. 140-quater Legittimazione ad agire 1. Le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui all'articolo 137, gli organismi pubblici indipendenti nazionali di cui all'articolo 3, numero 6), del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2017, che facciano richiesta di essere legittimati e gli enti designati in un altro Stato membro e iscritti nell'elenco elaborato e pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, comma 2, della direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020, sono legittimati a proporre le azioni rappresentative previste dall'articolo 140-ter, comma 2, primo periodo, innanzi al giudice italiano. 2. Gli enti previsti dall'articolo 140-quinquies, compresi quelli che rappresentano consumatori di piu' di uno Stato membro, sono legittimati a proporre le azioni rappresentative previste dall'articolo 140-ter, comma 2, primo periodo, negli altri Stati membri. Art. 140-quinquies Enti legittimati a proporre azioni rappresentative transfrontaliere 1. Nell'elenco previsto dall'articolo 137 e' istituita una sezione speciale, nella quale sono iscritti gli enti e le associazioni dei consumatori e degli utenti legittimati a proporre azioni rappresentative transfrontaliere. 2. Possono essere iscritti nella sezione speciale di cui al comma 1 gli enti che ne fanno richiesta e le associazioni iscritte nell'elenco previsto dall'articolo 137 che lo richiedono, purche' in possesso dei seguenti requisiti: a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, e dimostrazione di attivita' pubblica effettiva a tutela degli interessi dei consumatori nei dodici mesi precedenti la richiesta di iscrizione; b) possesso di uno statuto che preveda come scopo la tutela dei consumatori, nelle materie di cui all'allegato II-septies, e l'assenza di fine di lucro; c) non essere assoggettati a procedure per la regolazione dell'insolvenza; d) previsione nello statuto di regole, anche riferite alle cause di incompatibilita' relative ai rappresentanti legali, idonee ad assicurare l'indipendenza dell'associazione e l'assenza di influenza da parte di persone diverse dai consumatori e in particolare da parte di professionisti che hanno un interesse economico a intentare azioni rappresentative, nonche' misure idonee a prevenire e a risolvere conflitti di interesse che potrebbero insorgere tra l'associazione, i suoi finanziatori e gli interessi dei consumatori; e) previsione della nomina di un organo di controllo, che vigila sul rispetto dei principi di indipendenza e delle misure di prevenzione e risoluzione dei conflitti di interessi e al quale si applica l'articolo 30, commi 5, 6, 7 e 8, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, in quanto compatibile; f) rendere pubblico sul proprio sito internet e con eventuali altri mezzi appropriati lo statuto e una sintetica descrizione dell'attivita' svolta, redatta in un linguaggio semplice e comprensibile, comprensiva delle informazioni relative alla propria costituzione, all'oggetto sociale, all'attivita' effettivamente svolta a tutela degli interessi dei consumatori, all'iscrizione nella sezione speciale dell'elenco di cui all'articolo 137, all'inesistenza di procedure per la regolazione dell'insolvenza aperte nei propri confronti, alla propria indipendenza, nonche' di informazioni sulle proprie fonti di finanziamento. 3. Possono essere designati come enti legittimati a proporre azioni rappresentative transfrontaliere anche gli organismi pubblici indipendenti nazionali di cui all'articolo 3, numero 6), del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2017, che facciano richiesta di essere legittimati. 4. Con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy sono stabilite le modalita' con le quali la sezione speciale di cui al comma 1 e' resa pubblica, nonche' le procedure per la presentazione della richiesta di iscrizione e della documentazione idonea ad attestare il possesso, in capo agli enti e alle associazioni richiedenti, dei requisiti di cui al comma 2. Art. 140-sexies Comunicazione degli enti legittimati e monitoraggio 1. Entro il 26 dicembre 2023 il Ministero delle imprese e del made in Italy comunica alla Commissione europea l'elenco degli enti legittimati ad esperire le azioni rappresentative nazionali e transfrontaliere, comprensivo della denominazione e, ove applicabile, dell'oggetto sociale. Il Ministero delle imprese e del made in Italy rende pubblico l'elenco tramite il proprio sito istituzionale, il cui indirizzo internet e' reso noto alla Commissione europea. Il Ministero delle imprese e del made in Italy comunica le modifiche intervenute successivamente. 2. Il Ministero delle imprese e del made in Italy verifica almeno ogni cinque anni la permanenza, in capo agli enti di cui alla sezione speciale prevista dall'articolo 140-quinquies, comma 1, dei requisiti di cui all'articolo 140-quinquies, comma 2, disponendo la cancellazione dell'ente che non risulta in possesso di uno o piu' di tali requisiti. 3. Se uno Stato membro o la Commissione europea solleva riserve in ordine al possesso dei requisiti previsti dall'articolo 140-quinquies, commi 1 e 2, da parte di un ente legittimato all'esperimento di azioni rappresentative transfrontaliere, il Ministero delle imprese e del made in Italy ne verifica la sussistenza. Il Ministero delle imprese e del made in Italy dispone la cancellazione dalla sezione speciale dell'articolo 137 dell'ente che non risulta in possesso di uno o piu' di tali requisiti. Il procedimento e' disciplinato dal decreto del Ministero delle imprese e del made in Italy previsto dall'articolo 140-quinquies, comma 4. 4. Il Ministero delle imprese e del made in Italy e' individuato quale punto di contatto con la Commissione europea ai fini di cui al comma 3. Art. 140-septies Azioni rappresentative 1. Le azioni rappresentative previste dal presente titolo possono essere promosse dagli enti legittimati, senza bisogno di mandato da parte dei consumatori interessati, al fine di richiedere, anche cumulativamente, l'adozione dei provvedimenti inibitori previsti dall'articolo 140-octies oppure dei provvedimenti compensativi previsti dall'articolo 140-novies, in caso di violazione delle disposizioni di cui all'allegato II-septies. 2. Restano ferme le norme in materia di diritto internazionale privato, in particolare relative alla giurisdizione nonche' al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali ed extra-contrattuali. 3. Se la violazione delle disposizioni di cui all'allegato II-septies lede o puo' ledere consumatori di diversi Stati membri, l'azione rappresentativa puo' essere proposta congiuntamente da piu' enti legittimati di diversi Stati membri, iscritti nell'elenco elaborato e pubblicato dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, comma 2, della direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020. 4. La domanda si propone con ricorso inderogabilmente davanti alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo ove ha sede la parte resistente. Se e' convenuta una persona fisica, e' competente il giudice del luogo in cui la stessa ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui ha la dimora. Se anche la dimora e' sconosciuta, e' competente il giudice del luogo in cui ha sede l'ente ricorrente. 5. Nel ricorso l'ente legittimato indica gli elementi necessari a determinare il gruppo dei consumatori interessati dall'azione rappresentativa, la sussistenza della giurisdizione e il diritto applicabile, nonche' i finanziamenti dell'azione promossa, ricevuti o promessi da parte di terzi. 6. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, e' pubblicato ai sensi dell'articolo 840-ter, secondo comma, del codice di procedura civile. 7. Il procedimento e' regolato dal rito semplificato di cui al libro secondo, titolo I, capo III-quater, del codice di procedura civile, in quanto compatibile. Non si applica il primo comma dell'articolo 281-duodecies del codice di procedura civile. In ogni caso, resta fermo il diritto all'azione individuale, salvo quanto previsto all'articolo 840-undecies, nono comma, del codice di procedura civile. Non e' ammesso l'intervento dei terzi ai sensi dell'articolo 105 del codice di procedura civile. Entro il termine di trenta giorni dalla prima udienza, il tribunale decide con ordinanza sull'ammissibilita' della domanda, ma puo' sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere e' in corso un'istruttoria davanti a un'autorita' indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo. Restano ferme le disposizioni del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3. 8. La domanda e' inammissibile: a) quando e' manifestamente infondata; b) se e' priva degli elementi necessari ad individuare il gruppo dei consumatori interessati dall'azione rappresentativa; c) se il tribunale non ravvisa l'omogeneita' dei diritti individuali per cui e' richiesta l'adozione dei provvedimenti compensativi previsti dall'articolo 140-novies; d) se, anche a seguito di contestazione del convenuto, risulta che l'ente ricorrente e' privo dei requisiti necessari per la legittimazione all'azione; e) quando l'azione e' promossa in conflitto di interessi, in particolare se risulta che il soggetto che ha finanziato l'azione e' concorrente del convenuto o dipende da quest'ultimo. In questo caso il giudice solleva anche di ufficio la questione ed assegna all'ente ricorrente un termine entro cui rifiutare o modificare il finanziamento; f) se l'oggetto sociale dell'ente legittimato che ha proposto la domanda non giustifica l'esercizio dell'azione. 9. L'ordinanza che decide sull'ammissibilita' e' pubblicata, a cura della cancelleria, nell'area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all'articolo 840-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, entro quindici giorni dalla pronuncia. 10. Quando l'inammissibilita' e' dichiarata a norma del comma 8, lettera a), il ricorrente puo' riproporre l'azione rappresentativa quando si siano verificati mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. 11. Si applica l'articolo 840-ter, settimo e ottavo comma, del codice di procedura civile. Art. 140-octies Provvedimenti inibitori 1. Gli enti legittimati possono proporre azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori per ottenere l'adozione di provvedimenti inibitori. 2. Il ricorso e' notificato al pubblico ministero. 3. Si applicano i commi dal quarto al quattordicesimo dell'articolo 840-quinquies del codice di procedura civile. 4. L'ente legittimato non e' onerato di provare la colpa o il dolo del professionista, ne' le perdite o i danni effettivi subiti dai singoli consumatori interessati. 5. Quando ricorrono giusti motivi di urgenza, gli enti legittimati di cui al comma 1 possono chiedere in corso di causa un provvedimento provvisorio teso a far cessare una condotta omissiva o commissiva o a inibire la reiterazione di una condotta che appaia costituire una violazione delle disposizioni di cui all'articolo 140-ter, comma 2. Si applicano gli articoli 669-quater, primo, secondo e quarto comma, 669-sexies, 669-octies, ottavo e nono comma, 669-decies, primo comma, 669-duodecies e 669-terdecies del codice di procedura civile. 6. Il provvedimento provvisorio perde efficacia se la domanda di provvedimento inibitorio e' dichiarata inammissibile, anche se avverso l'ordinanza e' stato proposto reclamo, ovvero rigettata nel merito con sentenza anche non passata in giudicato. 7. Si applicano il settimo e l'ottavo comma dell'articolo 840-sexiesdecies del codice di procedura civile. 8. In ogni caso l'azione di cui al presente articolo puo' essere proposta solo dopo che siano decorsi quindici giorni dalla data in cui gli enti legittimati abbiano richiesto al professionista, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti. Art. 140-novies Provvedimenti compensativi 1. Gli enti legittimati possono proporre azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori danneggiati da una violazione delle disposizioni di cui all'allegato II-septies, al fine di ottenere l'adozione di provvedimenti compensativi. 2. Fermo quanto previsto dall'articolo 140-septies, si applicano gli articoli da 840-quater a 840-terdecies e l'articolo 840-quinquiesdecies del codice di procedura civile, in quanto compatibili. Il giudice determina un contributo di modesta entita' ai sensi dell'articolo 840-sexies, primo comma, lettera h), del codice di procedura civile. E' esclusa l'applicazione del terzo comma del medesimo articolo 840-sexies. 3. In caso di soccombenza, il consumatore e' condannato al rimborso delle spese a favore del resistente nel solo caso di mala fede o colpa grave. Art. 140-decies Accordi di natura transattiva e conciliativa 1. Fino alla discussione orale della causa, l'ente legittimato e il professionista possono depositare congiuntamente al tribunale una proposta transattiva o conciliativa concernente la domanda proposta ai sensi dell'articolo 140-novies. 2. Entro il medesimo termine di cui al comma 1 il tribunale, sentiti l'ente legittimato e il professionista, puo' invitarli a raggiungere una transazione concernente la domanda proposta ai sensi dell'articolo 140-novies entro un termine ragionevole. 3. Il tribunale verifica che la proposta transattiva o conciliativa non contrasti con norme imperative e non contenga clausole o obbligazioni non eseguibili tenuto conto dei diritti e degli interessi di tutte le parti e, in particolare, di quelli dei consumatori interessati. 4. Si applica l'articolo 185, terzo comma, del codice di procedura civile. 5. Si applica, altresi', l'articolo 840-quaterdecies del Codice di procedura civile in quanto compatibile. Art. 140-undecies Informazioni sulle azioni rappresentative 1. Gli enti legittimati a esperire le azioni rappresentative indicano sul proprio sito web le azioni rappresentative che hanno deciso di intentare, lo stato di avanzamento di quelle intentate e i relativi esiti, provvedendo a comunicare le medesime informazioni al Ministero delle imprese e del made in Italy che le pubblica sul proprio sito istituzionale. Art. 140-duodecies Interruzione della prescrizione e impedimento della decadenza 1. La prescrizione dei diritti dei consumatori tutelabili ai sensi dell'articolo 140-novies e' interrotta, ai sensi degli articoli 2943 e 2945 del codice civile, dal deposito del ricorso introduttivo dei procedimenti previsti dagli articoli 140-octies e 140-novies, sempre che il ricorso stesso sia notificato al resistente nel termine assegnato dal giudice. Dalla data del deposito dell'atto introduttivo sono altresi' impedite le decadenze previste a carico dei consumatori. Art. 140-terdecies Misure di coercizione indiretta 1. Con il provvedimento che definisce il giudizio di cui all'articolo 140-octies, nonche' con il provvedimento previsto dal comma 5 del medesimo articolo 140-octies, il giudice fissa un termine per l'adempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte che ha agito in giudizio, dispone, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro da 1.000 euro a 5.000 euro, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravita' del fatto tenuto conto della gravita' e della durata della violazione. Tali somme sono versate ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate nella misura del 50 per cento al Ministero della giustizia per il potenziamento degli uffici e degli altri servizi istituzionali e per la restante quota del 50 per cento al Ministero delle imprese e del made in Italy per il miglioramento delle attivita' di tenuta della sezione istituita dall'articolo 140-quinquies. Art. 140-quaterdecies Spese del procedimento 1. Il contributo unificato e' dovuto nella misura di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, ridotta alla meta'. Non si applica l'articolo 13, comma 1-ter, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002.». 2. Dopo l'allegato II-sexies al citato decreto legislativo n. 206 del 2005 e' aggiunto l'Allegato II-septies, di cui all'allegato A al presente decreto.
Art. 2 Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 1. All'articolo 5, comma 6, lettera h), del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, le parole: «all'articolo 37» sono sostituite dalle seguenti: «agli articoli 37 e 140-octies».
Art. 3 Modifiche al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168 1. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, dopo la lettera d-bis) e' aggiunta la seguente: «d-ter) controversie di cui alla parte V, titolo II.1, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.».
Art. 4 Disposizioni transitorie e finali 1. Le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dal 25 giugno 2023. 2. L'articolo 140-duodecies del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, si applica alle azioni volte ad ottenere provvedimenti compensativi relative a violazioni verificatesi a partire dal 25 giugno 2023. 3. Con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, e' stabilito l'adeguamento dell'allegato II-septies alle modifiche dell'allegato I alla direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020. 4. Ogni rinvio all'elenco di cui all'articolo 137 del decreto legislativo n. 206 del 2005, effettuato da norme di rango primario e secondario, deve intendersi esteso alla sezione speciale istituita dall'articolo 140-quinquies, comma 1, del medesimo decreto solo se espressamente previsto.
Art. 5 Clausola di invarianza finanziaria 1. Dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addi' 10 marzo 2023 MATTARELLA Meloni, Presidente del Consiglio dei ministri Fitto, Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR Urso, Ministro delle imprese e del made in Italy Nordio, Ministro della giustizia Tajani, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Giorgetti, Ministro dell'economia e delle finanze Visto, il Guardasigilli: Nordio
Allegato A (articolo 1, comma 2) «Allegato II-septies 1) Articoli da 114 a 127 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante «Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229» in cui sono confluite le norme di cui al DPR 24 maggio 1988, n. 224, di recepimento della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilita' per danno da prodotti difettosi. 2) Articoli da 33 a 38 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante «Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229» in cui sono confluite le disposizioni di cui alla legge 6 febbraio 1996, n. 52, di recepimento della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. 3) Regolamento (CE) 1997/2027 del Consiglio, del 9 ottobre 1997, sulla responsabilita' del vettore aereo con riferimento al trasporto aereo dei passeggeri e dei loro bagagli. 4) Articoli da 13 a 17 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante «Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229» in cui sono confluite le disposizioni di cui al decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 84, di attuazione della direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori. 5) Articoli da 128 a 135-septies del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante «Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229», in attuazione della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo. 6) Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, recante «Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della societa' dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico», in attuazione della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della societa' dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»): articoli 5, 6, 7, 10 e 11. 7) Decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante «Attuazione della direttiva 2001/83/CE relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano ((...))» e decreto legislativo 29 dicembre 2007, n. 274, recante «Disposizioni correttive al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, recante attuazione della direttiva 2001/83/CE relativa ad un codice comunitario concernente medicinali per uso umano», in attuazione della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano: articoli da 86 a 90 e articoli 98 e 100. 8) Articoli dal 103 al 113 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante «Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, in attuazione della direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2001, relativa alla sicurezza generale dei prodotti: articoli 3 e 5. 9) Decreto legislativo 1° agosto 2003, n.259, recante «Codice delle comunicazioni elettroniche» - Recepimento delle direttive 2002/19/CE (direttiva accesso), 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni), 2002/21/CE (direttiva quadro) e 2002/22/CE (direttiva servizio universale), in attuazione della direttiva 2002/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica («direttiva servizio universale»): articolo 10 e capo IV. 10) Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante «Codice in materia di protezione dei dati personali», in attuazione della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche («direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche»): articoli da 4 a 8 e 13. 11) Articoli dal 67-bis al 67-vicies bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante «Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229», in attuazione della direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE. 12) Regolamento (CE) 2002/178 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorita' europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. 13) Regolamento (CE) 2004/261del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91. 14) Decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, recante «Attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicita' ingannevole» e decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146, recante «Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004», in attuazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»). 15) Decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, recante «Attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicita' ingannevole», in attuazione della direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente la pubblicita' ingannevole e comparativa. 16) Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, recante «Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno» in recepimento della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno. 17) Regolamento (CE) 2006/1107del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, relativo ai diritti delle persone con disabilita' e delle persone a mobilita' ridotta nel trasporto aereo. 18) Regolamento (CE) 2007/1371del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario. 19) Decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, recante «Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonche' modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attivita' finanziaria e dei mediatori creditizi», in attuazione della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE. 20) Decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, recante «Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonche' attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprieta', contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio», in attuazione della direttiva 2008/122/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 gennaio 2009, sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprieta', dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio. 21) Regolamento (CE) 2008/1008del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunita'. 22) Regolamento (CE) 2008/1272 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006. 23) Decreto legislativo 16 aprile 2012, n. 47, recante «Attuazione della direttiva 2009/65/CE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM)», in attuazione della direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM). 24) Decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, recante «Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonche' abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE», in attuazione della direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE: articolo 3 e allegato I. 25) Decreto legislativo 1 giugno 2011, n. 93, recante «Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonche' abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE», in attuazione della direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE: articolo 3 e allegato I. 26) Decreto legislativo 16 aprile 2012, n. 45, recante «Attuazione della direttiva 2009/110/CE, concernente l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attivita' degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE», in attuazione della direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attivita' degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE. 27) Decreto legislativo 16 febbraio 2011, n. 15, recante «Attuazione della direttiva 2009/125/CE relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia», in attuazione della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia: articolo 14 e allegato I. 28) Decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 74, recante «Attuazione della direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attivita' di assicurazione e riassicurazione (solvibilita' II)» in attuazione della direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, in materia di accesso ed esercizio delle attivita' di assicurazione e di riassicurazione («solvibilita' II»): articoli da 183 a 186. 29) Regolamento (CE) 2009/392 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativo alla responsabilita' dei vettori che trasportano passeggeri via mare in caso di incidente. 30) Regolamento (CE) 2009/924 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunita' e che abroga il regolamento (CE) n. 2560/2001. 31) Regolamento (CE) 2009/1222 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, sull'etichettatura dei pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad altri parametri fondamentali. 32) Regolamento (CE) 2009/1223 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici. 33) Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, in attuazione «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri, concernente il testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell'evoluzione delle realta' del mercato», in attuazione della direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi («direttiva sui servizi di media audiovisivi»): articoli da 9 a 11, articoli da 19 a 26 e articolo 28-ter. 34) Regolamento (CE) 2010/66 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, relativo al marchio di qualita' ecologica dell'Unione europea (Ecolabel UE): articoli 9 e 10. 35) Regolamento (UE) 2010/1177 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004. 36) Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 44, recante «Attuazione della direttiva 2011/61/UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi, che modifica le direttive 2003/41/CE e 2009/65/CE e i regolamenti (CE) n. 1060/2009 e (UE) n. 1095/2010» in attuazione della direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2011, sui gestori di fondi di investimento alternativi, che modifica le direttive 2003/41/CE e 2009/65/CE e i regolamenti (CE) n. 1060/2009 e (UE) n. 1095. 37) Decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21, recante «Attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le direttive 85/577/CEE e 97/7/CE» in attuazione della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. 38) Regolamento (UE) 2011/181 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004. 39) Regolamento (UE) 2011/1169 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione. 40) Decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102 recante «Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE» e decreto legislativo 18 luglio 2016, n. 141 «Disposizioni integrative al decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE» in recepimento della direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE: articoli da 9 a 11-bis. 41) Regolamento (UE) 2012/260 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2012, che stabilisce i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009. 42) Regolamento (UE) 2012/531 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2012, relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all'interno dell'Unione. 43) Decreto legislativo 6 agosto 2015, n. 130, recante «Attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull'ADR per i consumatori)» in attuazione della direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE («direttiva sull'ADR per i consumatori»). 44) Regolamento (UE) 2013/524 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE («regolamento sull'ODR per i consumatori»): articolo 14. 45) Decreto legislativo 21 aprile 2016, n. 72, recante «Attuazione della direttiva 2014/17/UE, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali nonche' modifiche e integrazioni del titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sulla disciplina degli agenti in attivita' finanziaria e dei mediatori creditizi e del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141» in attuazione della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010. 46) Decreto legislativo19 maggio 2016, n. 83, recante «Attuazione della direttiva 2014/31/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di strumenti per pesare a funzionamento non automatico» in attuazione della direttiva 2014/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di strumenti per pesare a funzionamento non automatico. 47) Decreto legislativo19 maggio 2016, n. 86, recante «Attuazione della direttiva 2014/35/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato del materiale elettrico destinato ad essere adoperato entro taluni limiti di tensione» in attuazione della direttiva 2014/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato del materiale elettrico destinato a essere adoperato entro taluni limiti di tensione. 48) Decreto legislativo 3 agosto 2017, n. 129, recante «Attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, cosi, come modificata dalla direttiva 2016/1034/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016, e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 648/2012, cosi' come modificato dal regolamento (UE) 2016/1033 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016», in attuazione della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE: articoli da 23 a 29. 49) Decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 37, recante «Attuazione della direttiva 2014/92/UE, sulla comparabilita' delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base», in attuazione della direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla comparabilita' delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull'accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base. 50) Decreto legislativo 14 novembre 2016, n. 224, recante «Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1286/2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati», in attuazione del regolamento (UE) n. 1286/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati. 51) Decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 233, recante «Norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2015/760 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine», in attuazione del regolamento (UE) 2015/760 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo ai fondi di investimento europei a lungo. 52) Regolamento (UE) 2015/2120 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, che stabilisce misure riguardanti l'accesso a un'internet aperta e le tariffe al dettaglio per le comunicazioni intra-UE regolamentate e che modifica la direttiva 2002/22/CE e il regolamento (UE) n. 531/2012. 53) Decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 62, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio», in attuazione della direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio. 54) Decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 218, recante «Recepimento della direttiva (UE) 2015/2366 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE, nonche' adeguamento delle disposizioni interne al regolamento (UE) n. 751/2015 relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta», in attuazione della direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE. . 55) Decreto legislativo 30 dicembre 2020, n. 187, recante «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 21 maggio 2018, n. 68, di attuazione della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, relativa alla distribuzione assicurativa», in recepimento della direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa: articoli da 17 a 24 e articoli da 28 a 30. 56) Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, recante «Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)», in attuazione del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE («regolamento generale sulla protezione dei dati»). 57) Decreto legislativo 5 agosto 2022, n. 137, recante «Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002 e il regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio, nonche' per l'adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) 2020/561 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2020, che modifica il regolamento (UE) 2017/745 relativo ai dispositivi medici, per quanto riguarda le date di applicazione di alcune delle sue disposizioni ai sensi dell'articolo 15 della legge 22 aprile 2021, n. 53», in attuazione del regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002 e il regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio: capo II. 58) Decreto legislativo 5 agosto 2022, n. 138, recante «Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/746, relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro e che abroga la direttiva 98/79/CE e la decisione 2010/227/UE della commissione, nonche' per l'adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) 2022/112 che modifica il regolamento (UE) 2017/746 per quanto riguarda le disposizioni transitorie per determinati dispositivi medico-diagnostici in vitro e l'applicazione differita delle condizioni concernenti i dispositivi fabbricati internamente ai sensi dell'articolo 15 della legge 22 aprile 2021, n. 53» in attuazione del Regolamento (UE) 2017/746 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro e che abroga la direttiva 98/79/CE e la decisione 2010/227/UE della Commissione: capo II. 59) Regolamento (UE) 2017/1128 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017, relativo alla portabilita' transfrontaliera di servizi di contenuti online nel mercato interno. 60) Decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 17, recante «Norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di titoli di un mercato regolamentato, e che abroga la direttiva 2003/71/CE, e alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1131 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sui fondi comuni monetari», in attuazione del Regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato, e che abroga la direttiva 2003/71/CE. 61) Decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 17, recante «Norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di titoli di un mercato regolamentato, e che abroga la direttiva 2003/71/CE, e alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1131 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sui fondi comuni monetari» in attuazione del regolamento (UE) 2017/1131 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sui fondi comuni monetari. 62) Regolamento (UE) 2017/1369 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2017, che istituisce un quadro per l'etichettatura energetica e che abroga la direttiva 2010/30/UE: articoli da 3 a 6. 63) Regolamento (UE) 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018, recante misure volte a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalita', sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell'ambito del mercato interno e che modifica i regolamenti (CE) n. 2006/2004 e (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE: articoli da 3 a 5. 64) Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 207, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche», in recepimento della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche: articolo 88, articoli da 98 a 116 e allegati VI e VIII. 65) Decreto legislativo 4 novembre 2021, n. 173, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali», in recepimento della direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali. 66) Decreto legislativo 4 novembre 2021, n. 170, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE», in recepimento della direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE.». 67) Regolamento (UE) 2022/1925 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 settembre 2022, relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale e che modifica le direttive (UE) 2019/1937 e (UE) 2020/1828 (regolamento sui mercati digitali). 68) Regolamento (UE) 2022/2065 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE (regolamento sui servizi digitali).
GIORNATA DI STUDIO E FORMAZIONE SUL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI. Responsabile scientifico Prof. Avv Renato Rolli (Docente di Diritto Amministrativo UNICAL) La giornata è inaugurale del ciclo di formazione proposto dal […]
Convegni e Master
GIORNATA DI STUDIO E FORMAZIONE SUL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI.
Responsabile scientifico
Prof. Avv Renato Rolli
(Docente di Diritto Amministrativo UNICAL)
La giornata è inaugurale del ciclo di formazione proposto dal Comune di Fiumefreddo e valevole anche come formazione obbligatoria per i dipendenti.
Presso la sede del Comune di Fiumefreddo Bruzio (COSENZA)
20 Giugno 2023 ore 11.00
Con il contributo della Rivista AMBIENTEDIRITTO.IT
Rivista Giuridica Classe A – ANVUR
La giornata prevede relazioni ed interventi anche tramite connessione on line
Saluti istituzionali
Sindaco di Fiumefreddo
Fortunato Rosario Barone
Già Presidente Corte d’Assise d’Appello Catanzaro
Introduce e modera
Dario Sammarro
Università degli Studi della Basilicata
La digitalizzazione del ciclo dei contratti pubblici
Francesco Tallaro
Magistrato Tar Calabria Catanzaro
Le esclusioni
Valeria Bilotto
Borsista scuola di preparazione per il concorso in magistratura “metodo magistrato”
Gli affidamenti sottosoglia e la trasparenza
Emanuele Luigi Guarna Assanti
Assegnista di ricerca UNICAL
L’importanza della divulgazione e dell’aggiornamento scientifico
Daniela Di Paola
Vice-direttrice AmbienteDiritto.it
LINK PER LA CONNESSIONE: https://meet.google.com/rsm-nxjz-hmq
Segreteria scientifica: Dott. Vincenzo Aloise – 320 5664874 – Dott.ssa Fabiana Bruno – 347 7531757
Per materiali ed info sulla formazione (il cui calendario definitivo è in via di stesu