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Nei casi in cui il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente sia di valore eccessivo, il Tribunale del Riesame deve ridurlo per rispettare il principio di proporzionalità con il profitto del reato.
Decisione:  Sentenza n. 4567/2016 Cassazione Penale – Sezione IV
Il caso.

Nei confronti di una SRL unipersonale era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca di beni per il controvalore di 650mila euro, cifra relativa alle imposte dovute su operazioni false contestate dalla Procura.

Dopo un primo ricorso contro il provvedimento di conferma da parte del Tribunale del Riesame, erano stati dissequestrati alcuni beni e un conto corrente, lasciando sostanzialmente immutato l’impianto del sequestro, impugnato nuovamente in Cassazione.
La decisione.

Secondo la Cassazione, è doveroso che il Tribunale del Riesame valuti la “non esorbitanza del valore dei beni sequestrati rispetto al credito garantito”.

In base all’art. 1, comma 143 della Legge n. 244/2007 (comma abrogato dal Decreto Legislativo 24/092015, n. 158), in materia di reati tributari come nel caso oggetto di decisione, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente va riferito all’importo dell’imposta evasa, che costituisce il “profitto del reato”.

Nel caso concreto, la difesa aveva evidenziato un valore ridotto di circa il 50% rispetto a quello adottato per due volte, ma il giudice di appello non ne ha tenuto conto.

La Suprema Corte così commenta l’errore di diritto del giudice di appello: «Tuttavia l’error iuris in cui incorre il Tribunale di Perugia è individuabile nel passo del provvedimento impugnato in cui, in maniera tranciante, si rileva che “…invero, il profitto dei reati deve essere individuato, in questa fase, proprio a seguito dell’avvenuta emissione del decreto che dispone il giudizio, con riferimento agli importi indicati nei capi di imputazione, perché l’individuazione degli importi, e quindi anche il superamento della soglia di punibilità, sono strettamente collegati al fumus. La valutazione sull’entità del profitto ha già subito una decisione nel contraddittorio delle parti, nel giudizio di merito, e pertanto il decreto che dispone il giudizio ha la stessa efficacia preclusiva”.»

La Cassazione Penale ricorda che, in tema di c.d. frode fiscale, la stessa Sezione 3 ha precisato in passato che «il sequestro preventivo “per equivalente”, disposto nei confronti di persona sottoposta ad indagini per il reato di frode fiscale finalizzata all’evasione delle imposte sui redditi, non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché il giudice è tenuto a valutare l’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto così come avviene in sede di confisca (così sez. 3, n. 1893 del 12.10.2011 dep. il 18.1.2012,Manfellotto, rv. 251797, che, in applicazione del principio enunciato, ha ritenuto corretta la quantificazione del profitto attraverso la sua assimilazione al risparmio derivante dal mancato versamento delle imposte sui redditi nonché alla percentuale del 25 per cento, pari alla aliquota evasa, calcolata sull’ammontare delle operazioni inesistenti fatturate).

Trova, dunque, applicazione, in casi come quello che ci occupa, benché sia intervenuto il decreto che dispone il giudizio, il diverso principio secondo cui in tema di misure cautelari reali, spetta al giudice che, in sede di riesame, proceda alla conferma del sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore del profitto del reato, il compito di valutare la corretta determinazione dell’entità di quest’ultimo (ex multis, sez. sez. 6, n. 18767 del 18.2.2014, Giacchetto, rv. 259678).»

La Cassazione ha quindi annullato nuovamente l’ordinanza di sequestro, rinviando al giudice che dovrà operare una corretta valutazione sul valore dei beni sequestrati tenendo conto «dei principi più volte affermati da questa Corte secondo cui, con specifico riferimento ai reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di “profitto”, costituito dal risparmio economíco da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo (così sez. 3 n. 1199, 16 gennaio 2012. V. anche SS.UU. n. 18374, 23 aprile 2013 e sez. 3 n. 44309/2013, Spadaccini, non mass.).

La quantificazione di detto risparmio deve essere comprensiva del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (sez. 5 n.1843, 17 gennaio 2012).

Va evidenziata anche la necessità, da parte del giudice del rinvio, di una valutazione sul valore dei beni sequestrati, al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario (sez. 3 n. 17465/2012; sez. 3 n. 41731/2010).

Il sequestro non può, infatti, riguardare beni di valore eccedente il profitto del reato (sez. 3 n.1893/2012, sez. 3 n.10120/2011; conf. sez. 5 n. 2101/2010; sez. 3 n. 30140/2012).».
Osservazioni.

La decisione della Cassazione è orientata ad evitare una eccessiva sproporzione del valore dei beni assoggettati al sequestro finalizzati alla confisca per equivalente rispetto al “profitto del reato”, che nel caso dei reati tributari si identifica nell’importo dell’imposta evasa.

Disposizioni rilevanti.

Codice Penale
Articolo 240 – Confisca

Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto (164, 733).

È sempre ordinata la confisca:

1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;

1-bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies, 640-ter e 640-quinquies. (1)

2) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale. (2)

La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.

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