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Il discrimine tra la concussione ex art. 317 c.p. e la induzione indebita ex art. 319quatre è la minaccia/non minaccia.

 

Decisione: Sentenza n. 6659/2016 Cassazione Penale – Sezione VI
Il caso.

Un dipendente dell’Agenzia delle Entrate di Varese veniva condannato dalla Corte di Appello di Milano per il reato di concussione, per aver costretto un contribuente a promettergli l’indebita corresponsione della somma di Euro 5mila, di cui metà materialmente consegnata.

La sentenza viene impugnata con ricorso in Cassazione deducendo, tra gli altri, anche la errata qualificazione dei fatti in termine di concussione anziché in quella descritta dal sopravvenuto art. 319 quater codice penale.
La decisione.

La Corte rigetta il ricorso in quanto infondato.

La Corte ha ritenuto che il giudice di appello avesse accertato che “il rapporto fra le parti non si svolgesse affatto su di un piano di parità” in quanto il funzionario aveva assunto l’iniziativa di prendere contatto con il contribuente, e che la testimonianza della sua commercialista aveva dato conto sia della sostanziale linearità della sua posizione fiscale, sia dello stato di metus (cioè di paura, timore, soggezione psicologica) in cui egli versava.

Essendo quello demandato alla Corte di Cassazione un giudizio di legittimità e non di merito, «la dedotta violazione di legge scaturisce da un’alternativa lettura delle risultanze fattuali debitamente acquisite agli atti del processo», e come tale il motivo di censura non è consentito.

La Cassazione ha poi ricordato che la giurisprudenza contabile della Corte dei Conti è indipendente da quella civile e penale per il risarcimento dei danni da reato anche quando si basa sullo stesso fatto materiale.
Osservazioni.

Sul reato di induzione indebita di cui all’art. 319-quater codice penale introdotto dalla Legge n. 190/2012 (cd. “Severino”), che ha “spacchettato” l’originaria ipotesi della concussione ex art. 317 codice penale, le Sezioni Unite Penali della Cassazione (sentenza n. 12228/2014) hanno consacrato il prevalente orientamento giurisprudenziale della continuità normativa tra le due fattispecie, con la conseguente applicazione della disciplina relativa alla mera successione di leggi nel tempo prevista dall’art. 2, comma 4, codice penale, anziché una ipotesi di “abolitio criminis” ai sensi dell’art. 2, comma 2, codice penale.

Sempre nella stessa sentenza, le Sezioni Unite Penali hanno chiarito il criterio discretivo tra le due ipotesi delittuose, che si basa sulla dicotomia “minaccia-non minaccia”: questa dicotomia non è altro che l’altra faccia della medaglia rispetto alla dicotomia “costrizione-induzione”.
Disposizioni rilevanti.

Codice Penale

Articolo 2 – Successione di leggi penali

Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (Cost. 25, c. 2).

Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato (prel. 15); e se vi è stata condanna (442, 448, 460, 533, 648), ne cessano l’esecuzione (cpp 648, 650) e gli effetti penali.

Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135.

Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (cpp 648, 650).

Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti.

Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.

Articolo 317 – Concussione

Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità e’ punito con la reclusione da sei a dodici anni.

Articolo 319 quater – Induzione indebita a dare o promettere utilità

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni.

Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.

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