DIRITTO DI CITTADINANZA: morte del coniuge sopravvenuta in pendenza del procedimento.
CORTE COSTITUZIONALE 23 giugno – 26 luglio 2022 SENTENZA N. 195
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Cittadinanza - Riconoscimento del diritto - Cause ostative - Morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento - Omessa esclusione - Irragionevolezza - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - Legge 5 febbraio 1992, n. 91, art. 5. - Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111.
(GU n.30 del 27-7-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo
PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5 della
legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza),
promosso dal Tribunale ordinario di Trieste, sezione civile, nel
procedimento vertente tra G. G. e il Ministero dell'interno, con
ordinanza del 29 settembre 2021, iscritta al n. 214 del registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2022.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udita nella camera di consiglio del 23 giugno 2022 la Giudice
relatrice Emanuela Navarretta;
deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza depositata il 29 settembre 2021 e iscritta al
n. 214 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di
Trieste, sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
24, 97 e 111 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove
norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non esclude dal novero
delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza la
morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei
termini previsti dalla legge per la conclusione del relativo
procedimento.
2.- In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che G. G.,
cittadina ucraina residente in Italia dal 6 settembre 2007, si era
sposata, in data 14 marzo 2009, con G. R., cittadino italiano, e che,
successivamente al matrimonio, aveva mantenuto la residenza in
Italia.
2.1.- Il Tribunale rimettente espone che, in data 9 giugno 2011,
G. G. inoltrava alla Prefettura un'istanza, ai sensi dell'art. 5
della legge n. 91 del 1992, diretta al riconoscimento della
cittadinanza italiana. Tuttavia, in data 22 aprile 2013, le veniva
notificato un provvedimento con cui tale istanza era dichiarata
improcedibile a causa del decesso del coniuge, verificatosi il 27
luglio 2012.
2.2.- Il giudice a quo riporta, di seguito, che G. G. ha agito in
giudizio per l'accertamento del suo diritto al conseguimento della
cittadinanza italiana, asserendo di aver risieduto in Italia per il
prescritto periodo di almeno due anni dopo il matrimonio, cosi'
integrando il presupposto richiesto dall'art. 5 della legge n. 91 del
1992.
Nel giudizio si e' costituito il Ministero dell'interno,
evidenziando che il decesso del coniuge dell'istante, verificatosi
nelle more del procedimento amministrativo, avrebbe dato luogo a una
delle cause ostative, di cui all'art. 5 della citata legge, secondo
cui, «ai fini dell'acquisto della cittadinanza, non deve essere
intervenuto, al momento dell'adozione del decreto prefettizio, lo
scioglimento del matrimonio». Di conseguenza, deduceva la
legittimita' dell'operato dell'amministrazione convenuta e si
opponeva alla domanda della ricorrente, chiedendone il rigetto.
3.- Cosi' riferite le premesse in fatto, il rimettente ritiene di
dover sollevare questioni di legittimita' costituzionale «dell'art. 5
della L. n. 91 del 1992 nella parte in cui non esclude, dal novero
delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza,
la morte sopravvenuta del coniuge del richiedente in pendenza dei
termini previsti dalla legge per la conclusione del relativo
procedimento».
4.- In punto di rilevanza, il Tribunale di Trieste sostiene che,
«nel caso di specie, una pronuncia di incostituzionalita' della norma
nel senso sopra indicato consentirebbe alla ricorrente di eliminare
l'ostacolo frapposto dal legislatore al riconoscimento del suo
diritto» e che la risoluzione del dubbio di legittimita'
costituzionale e', pertanto, pregiudiziale alla definizione del
giudizio principale.
Inoltre, reputa non percorribile una interpretazione
costituzionalmente conforme della disposizione censurata, stante il
suo tenore testuale.
5.- Quanto al giudizio sulla non manifesta infondatezza, il
giudice a quo ravvisa, innanzitutto, una violazione dell'art. 3
Cost., «in relazione agli artt. 111 e 24 Cost.».
5.1.- In particolare, ritiene «pacifica» la qualifica della
situazione giuridica soggettiva invocata dalla ricorrente come
diritto soggettivo, che «richiede un preventivo accertamento della
P.A. diretto a verificarne i presupposti prestabiliti dalla legge».
Su tale premessa, ravvisa «un'irragionevole disparita' di trattamento
di detta posizione giuridica rispetto a quei diritti che possono
essere fatti valere direttamente in via giurisdizionale». Per questi
ultimi opererebbe il principio di retroattivita' degli effetti della
pronuncia al momento della domanda. Viceversa, per il diritto in
esame, l'assetto normativo imporrebbe di «considerare la situazione
esistente al momento dell'adozione del provvedimento amministrativo,
a nulla rilevando che i presupposti legislativi per il riconoscimento
del diritto gia' sussistessero al momento della domanda».
In tal modo, il «procedimento amministrativo [...] finirebbe con
l'assurgere, surrettiziamente, a limite all'accertamento
giurisdizionale del diritto, in palese contrasto con l'art. 24
Cost.».
5.2.- Inoltre, prosegue il rimettente, risulterebbe violato anche
l'art. 97 Cost., in quanto «il riconoscimento della posizione
giuridica dell'individuo» verrebbe pregiudicato «dalla durata del
procedimento amministrativo», in contrasto con il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione, ivi disposto. Questo,
viceversa, esigerebbe che la durata del procedimento amministrativo
non vada «a discapito della domanda di accertamento del diritto,
analogamente a quanto desumibile dai principi del giusto processo di
cui all'art. 111 Cost.».
5.3.- Infine, secondo il giudice a quo, la norma si dimostrerebbe
intrinsecamente irragionevole, e percio' ulteriormente lesiva
dell'art. 3 Cost. L'irragionevolezza risiederebbe nella equiparazione
fra il «decesso del coniuge del richiedente, intervenuto [...] in
seguito alla presentazione dell'istanza di cui al citato art. 5», e
le «altre situazioni ivi contemplate (separazione, annullamento,
cessazione degli effetti civili e altre cause di scioglimento del
matrimonio)», riconducibili alla sfera di volonta' e al dominio del
richiedente. In tal modo, si finirebbe irragionevolmente per
subordinare il riconoscimento del diritto a «una circostanza del
tutto aleatoria», estranea alle ragioni «sottese al riconoscimento
del diritto stesso» e avulsa dall'obiettivo di evitare matrimoni
preordinati al solo acquisto della cittadinanza.
6.- Con atto depositato il 28 gennaio 2022, e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo la non
fondatezza delle questioni sollevate.
6.1.- Ad avviso dell'Avvocatura, l'acquisizione della
cittadinanza per matrimonio, disciplinata dalla disposizione
censurata, troverebbe il suo fondamento nella particolare tutela che
il legislatore ha inteso riservare al nucleo familiare costituito dal
vincolo matrimoniale fra un cittadino italiano e un cittadino
straniero o apolide.
La norma censurata non sarebbe finalizzata «a tutelare un
autonomo e personale interesse dello straniero a ottenere la
cittadinanza per matrimonio avulso dalla sua condizione di coniuge da
almeno due anni di un cittadino italiano, ma a offrire al cittadino
straniero o apolide», in quanto sposato con un italiano, uno
strumento di speciale rafforzamento della sua posizione, rispetto
alla sua possibile permanenza sul territorio nazionale e «al suo
diritto di entrare e uscire liberamente da tale territorio».
La disciplina censurata sarebbe coerente con tale ratio, in
quanto volta ad assicurare ai componenti del nucleo familiare la
speciale forma di stabilizzazione prevista dal censurato art. 5, sul
presupposto che tale nucleo, al momento dell'emanazione del
provvedimento, sussista.
In sostanza, l'Avvocatura ritiene che l'esistenza del nucleo
familiare costituisca elemento costitutivo «del diritto o interesse
legittimo alla naturalizzazione», secondo quanto previsto dall'art. 5
della legge n. 91 del 1992, il che comporterebbe - con il
sopravvenuto venir meno di tale presupposto - non un rigetto
dell'istanza, ma la definitiva interruzione della procedura di
naturalizzazione.
Da cio' l'Avvocatura desume l'esito irragionevole che deriverebbe
da un eventuale accoglimento delle questioni sollevate, in quanto si
consentirebbe, soltanto nel caso del decesso del coniuge del
cittadino italiano, il completamento della procedura di
naturalizzazione, nonostante il venir meno del vincolo matrimoniale.
7.- Con atto depositato il 26 maggio 2022, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha presentato memoria, reiterando gli
argomenti gia' svolti in sede di intervento.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza depositata il 29 settembre 2021 e iscritta al
n. 214 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di
Trieste, sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
24, 97 e 111 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove
norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non esclude dal novero
delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza la
morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei
termini previsti dalla legge per la conclusione del relativo
procedimento.
2.- L'art. 5 della legge n. 91 del 1992 dispone che «[i]l
coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano puo' acquistare
la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda
legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure
dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all'estero,
qualora, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7,
comma 1, non sia intervenuto lo scioglimento, l'annullamento o la
cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la
separazione personale dei coniugi».
3.- Ad avviso del rimettente, la citata disposizione
includerebbe, tra le cause ostative al conferimento della
cittadinanza, lo scioglimento del matrimonio derivante dalla morte
del coniuge del richiedente in pendenza del procedimento per
l'attribuzione della cittadinanza.
Simile norma comporterebbe la lesione di plurimi parametri
costituzionali.
3.1.- Innanzitutto, secondo quanto affermato nell'ordinanza,
violerebbe l'art. 3 Cost., in relazione agli artt. 111 e 24 Cost.
A differenza di quanto accade nel caso dei diritti che possono
essere fatti valere in via giurisdizionale, per i quali opera il
principio di retroattivita' degli effetti della pronuncia al momento
della domanda, nel caso di specie, una circostanza verificatasi nella
pendenza del procedimento amministrativo impedirebbe il
riconoscimento del diritto alla cittadinanza.
In tal modo, lo stesso procedimento «finirebbe con l'assurgere,
surrettiziamente, a limite all'accertamento giurisdizionale del
diritto, in palese contrasto con l'art. 24 Cost.» e con il principio
«del giusto processo di cui all'art. 111 Cost.».
3.2.- Cosi' operando, la norma censurata violerebbe - in base
alla ricostruzione del rimettente - anche il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione, disposto dall'art. 97
Cost., in quanto la «posizione giuridica dell'individuo» risulterebbe
pregiudicata «dalla durata del procedimento amministrativo».
3.3.- Infine, il giudice a quo ritiene autonomamente violato
l'art. 3 Cost. sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca
della norma, che include la morte del coniuge, nella pendenza del
procedimento amministrativo, fra le cause ostative del riconoscimento
della cittadinanza al coniuge superstite, considerandola alla stessa
stregua delle altre fattispecie previste dall'art. 5, comma 1, della
legge n. 91 del 1992.
Non sarebbe, infatti, giustificata l'equiparazione fra il
«decesso del coniuge del richiedente, intervenuto [...] in seguito
alla presentazione dell'istanza di cui al citato art. 5», ipotesi
«del tutto aleatoria» e indipendente dal comportamento dell'avente
diritto alla cittadinanza, e le «altre situazioni ivi contemplate
(separazione, annullamento, cessazione degli effetti civili e altre
cause di scioglimento del matrimonio)», riconducibili alla sfera di
volonta' e al dominio del richiedente.
Individuata la ratio dell'art. 5, comma 1, della legge n. 91 del
1992 nell'esigenza di evitare matrimoni preordinati al solo acquisto
della cittadinanza, il rimettente reputa irragionevole che essa
ricomprenda anche il caso del decesso del coniuge, che e' estraneo
sia alla citata motivazione, sia, piu' in generale, alle ragioni
«sottese al riconoscimento del diritto stesso».
4.- La questione di legittimita' costituzionale incentrata
sull'art. 3 Cost., sotto il profilo della intrinseca
irragionevolezza, e' fondata.
5.- In via preliminare, si rende necessario un breve
inquadramento sistematico della norma censurata.
L'art. 5 della legge n. 91 del 1992 disciplina uno dei modi di
acquisto di diritto della cittadinanza italiana.
Nella sua formulazione originaria, la disposizione aveva
riprodotto l'art. 1 della precedente legge 21 aprile 1983, n. 123
(Disposizioni in materia di cittadinanza), stabilendo che «[i]l
coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la
cittadinanza italiana quando risieda da almeno sei mesi nel
territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del
matrimonio, se non vi e' stato scioglimento, annullamento o
cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione
legale».
Successivamente, l'art. 1, comma 11, della legge 15 luglio 2009,
n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) ha novellato
l'art. 5 sotto diversi profili.
Da un lato, e' stato innalzato da sei mesi a due anni il termine
a partire dal quale, ove l'istante abbia risieduto in Italia dopo il
matrimonio, puo' essere richiesta la cittadinanza, mentre e' rimasto
invariato il periodo di tre anni previsto qualora la residenza sia
all'estero. Al contempo, e' stata aggiunta, al comma 2, la previsione
secondo la quale, «in presenza di figli nati o adottati dai coniugi»,
entrambi i termini, sopra richiamati, vengono ridotti della meta'.
Da un altro lato, l'art. 5, comma 1, ha stabilito che «lo
scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del
matrimonio» o «la separazione personale dei coniugi», che ostano al
riconoscimento della cittadinanza, non devono sussistere al momento
dell'adozione del decreto di conferimento, di cui all'art. 7, comma
1, della legge n. 91 del 1992. E tale decreto, in base a quanto
dispone l'art. 9-ter della medesima legge - introdotto dall'art. 14,
comma 1, lettera c), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113
(Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei
beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),
convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 -
puo' essere adottato entro un termine di «ventiquattro mesi
prorogabile sino al massimo di trentasei mesi dalla data di
presentazione della domanda».
Infine, sono previste cause ostative all'acquisto della
cittadinanza, correlate alla condanna per taluni illeciti penali, dal
successivo art. 6 della stessa legge n. 91 del 1992, che, al comma 1,
lettera c), aggiunge anche un'ulteriore preclusione all'acquisto
della cittadinanza, costituita dalla sussistenza di «comprovati
motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica».
6.- La ratio della disciplina di cui all'art. 5 della legge n. 91
del 1992, e delle norme a esso correlate, e' quella di offrire allo
straniero o all'apolide un modo di acquisto della cittadinanza
agevolato rispetto ai meccanismi concessori, sul presupposto della
sua appartenenza a una comunita' familiare, fondata sul vincolo
matrimoniale con un cittadino italiano.
6.1.- In particolare, il prolungamento del termine relativo alla
durata del rapporto matrimoniale, introdotto con la legge n. 94 del
2009, ha posto l'accento, oltre che sull'atto del matrimonio, sulla
partecipazione a un nucleo familiare, protratta per un lasso di
tempo, che, come si e' visto, va da un minimo di un anno, nel caso in
cui vi siano figli e la residenza in Italia, a tre anni, in assenza
di figli e con la residenza all'estero.
Elementi costitutivi della situazione giuridica soggettiva
diretta al conseguimento della cittadinanza sono, dunque, i
requisiti, positivi e negativi, indicati dagli artt. 5 e 6 della
legge n. 91 del 1992.
Nello specifico, se e' vero che la mancanza dello scioglimento,
dell'annullamento o della cessazione degli effetti civili del
matrimonio, nonche' l'assenza della separazione personale dei coniugi
sono riferite, dall'art. 5, comma 1, - come novellato nel 2009 -, «al
momento dell'adozione del decreto di cui all'art. 7, comma 1», esse,
a ben vedere, rilevano gia' al momento della presentazione
dell'istanza, in quanto elementi costitutivi del diritto, il quale
presuppone l'attualita' del rapporto coniugale.
Non e' dato, viceversa, ritenere - come sembra sostenere
l'Avvocatura - che elemento costitutivo «del diritto o interesse
legittimo alla naturalizzazione» sia l'esistenza del nucleo familiare
al momento dell'adozione del decreto, poiche' cio' equivarrebbe ad
affermare che il soggetto che presenta l'istanza, in un momento
necessariamente antecedente alla emanazione del provvedimento, possa
invocare il riconoscimento di un diritto non ancora integrato in
tutti i suoi presupposti costitutivi. Oltretutto, ne deriverebbe la
possibilita' di attribuire la cittadinanza al coniuge che, al momento
della presentazione dell'istanza sia legalmente separato, qualora lo
stesso, prima dell'emanazione del provvedimento, si sia riconciliato.
Di conseguenza, elementi costitutivi per il riconoscimento della
cittadinanza, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 91 del 1992, sono
la sussistenza, al momento della presentazione dell'istanza, di un
rapporto coniugale, protratto per il periodo di tempo richiesto dalla
legge, in mancanza delle vicende che inficiano il matrimonio o il
relativo rapporto. Se, poi, tali vicende sopraggiungono nella
pendenza del procedimento amministrativo, esse vengono a configurarsi
quali cause ostative al riconoscimento del diritto stesso.
6.2.- Tanto premesso, occorre individuare la ratio della
peculiare previsione delle citate cause ostative, le quali, di fatto,
finiscono per prolungare di un periodo variabile, che dipende
dall'attivita' amministrativa e che puo' arrivare ad aggiungere sino
a ulteriori tre anni (art. 9-ter della legge n. 91 del 1992), la
durata del vincolo matrimoniale richiesta per conseguire la
cittadinanza.
Una prima giustificazione di tale previsione potrebbe ravvisarsi
- come sostiene l'Avvocatura - nella scelta di far gravare
sull'istante il rischio del venir meno dei presupposti costitutivi
del diritto nella pendenza del procedimento, al fine di garantire
l'attualita' della appartenenza al nucleo familiare dello straniero
(o dell'apolide), al momento dell'attribuzione della cittadinanza.
In alternativa, dovrebbe ipotizzarsi che la ratio sia quella
prospettata dal Tribunale rimettente, in base alla quale la norma
avrebbe il compito di prevenire usi strumentali del matrimonio,
contratto al solo scopo di conseguire la cittadinanza.
7.- Ebbene, nessuna delle due rationes sopra prospettate consente
di superare il vaglio di ragionevolezza rispetto alla norma che
ricomprende fra gli elementi ostativi al conferimento della
cittadinanza il decesso del coniuge dell'istante, verificatosi in
pendenza del procedimento per il riconoscimento del diritto.
7.1.- Innanzitutto, se e' vero che la disciplina di cui all'art.
5 della legge n. 91 del 1992 intende agevolare l'integrazione nella
comunita' statale di chi abbia fatto parte per un periodo di tempo di
un nucleo familiare fondato sul vincolo matrimoniale con un cittadino
italiano, pretendere in aggiunta l'attualita' di tale appartenenza,
al momento dell'adozione del decreto, facendo gravare sull'istante
anche il rischio della morte del coniuge - nella pendenza del
procedimento - equivale a porre a carico di chi ha gia' maturato i
presupposti costitutivi del diritto al riconoscimento della
cittadinanza un'alea che gli e' totalmente estranea, che sfugge alla
sua sfera di controllo e che non attiene alle ragioni costitutive del
diritto alla cittadinanza. Lo straniero (o l'apolide) rimasto vedovo
ha vissuto nella comunita' familiare, costituita in virtu' del
vincolo matrimoniale con il cittadino italiano, non solo per tutto il
tempo richiesto dalla legge per presentare l'istanza di cittadinanza,
ma anche per tutto il tempo successivo, sino a che l'evento naturale
della morte ha reso impossibile la prosecuzione di tale rapporto.
Non e', dunque, ragionevole negare il riconoscimento della
cittadinanza a chi ha presentato, nella qualita' di coniuge, la
relativa istanza, gia' supportata dai presupposti costitutivi del
diritto, per effetto di un evento naturale sottratto al suo dominio,
del tutto estraneo alla sua condotta e che spezza fisiologicamente il
legame giuridico; tant'e' che l'ordinamento riconosce la piu' ampia
protezione al coniuge superstite, in ambito non solo successorio, ma
anche previdenziale e assistenziale.
La morte, pur se scioglie il vincolo matrimoniale, non fa venir
meno, tuttavia, la pienezza delle tutele, privatistiche e
pubblicistiche, fondate sull'aver fatto parte di una comunita'
familiare, basata sulla solidarieta' coniugale, e dunque non puo'
inibire la spettanza di un diritto sostenuto dai relativi presupposti
costitutivi.
In definitiva, e' irragionevole negare all'istante, che ha
presentato la domanda di cittadinanza e ha maturato i relativi
presupposti, il riconoscimento della stessa, in ragione di un evento
- qual e' la morte del coniuge - del tutto indipendente sia dalla
sfera di controllo dello stesso istante, sia dalla ratio
dell'attribuzione della cittadinanza.
E cio' e' tanto piu' irragionevole in quanto potrebbe sussistere
finanche un nucleo familiare attuale costituito dal coniuge, rimasto
vedovo, con gli eventuali figli nati o adottati dai coniugi.
7.2.- Quanto all'altra ipotetica ratio, riferita a una possibile
volonta' legislativa di prevenire usi strumentali del matrimonio,
finalizzato al mero scopo di conseguire la cittadinanza, si tratta di
una prospettiva che rende parimenti irragionevole l'inclusione, fra
le cause ostative al riconoscimento del diritto, del decesso
verificatosi in pendenza del procedimento.
Va premesso, a riguardo, che manca - nella disciplina relativa
alla cittadinanza - una disposizione specifica inerente ai matrimoni
fittizi, ossia ai matrimoni contratti in frode alla legge, cui si
riferiscono gli artt. 29, comma 9, e 30, comma 1-bis, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero). Tali disposizioni prevedono, rispettivamente, che
venga respinta la richiesta di ricongiungimento familiare «se e'
accertato che il matrimonio [ha] avuto luogo allo scopo esclusivo di
consentire all'interessato di entrare o soggiornare nel territorio
dello Stato» e che «[i]l permesso di soggiorno nei casi di cui al
comma 1, lettera b), e' immediatamente revocato qualora sia accertato
che al matrimonio non e' seguita l'effettiva convivenza salvo che dal
matrimonio sia nata prole. La richiesta di rilascio o di rinnovo del
permesso di soggiorno dello straniero, di cui al comma 1, lettera a),
e' rigettata e il permesso di soggiorno e' revocato se e' accertato
che il matrimonio [ha] avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere
all'interessato di soggiornare nel territorio dello Stato».
Orbene, in mancanza di un'analoga disciplina che regoli
espressamente, nella materia dell'attribuzione della cittadinanza, le
conseguenze della dimostrazione di un matrimonio fittizio, potrebbe
ritenersi che il legislatore abbia voluto assicurarsi che, almeno
sino all'adozione del decreto di conferimento della cittadinanza, non
sussistano patologie dell'atto o cause di scioglimento del vincolo o
di cessazione degli effetti civili o di sospensione degli stessi, che
potrebbero essere indirettamente indici di un matrimonio fittizio o
di una reazione ad esso da parte dell'altro coniuge.
Sennonche', anche a voler ravvisare nell'obiettivo di
fronteggiare il citato fenomeno la ratio dello spostamento, al
momento dell'adozione del decreto di cui all'art. 7, comma 1, della
legge n. 91 del 1992, del vaglio sulla attualita' della relazione
familiare, resta, in ogni caso, confermata l'assoluta estraneita',
rispetto a simile motivazione, della fattispecie del decesso del
coniuge, sopraggiunto in pendenza del procedimento amministrativo.
L'uso strumentale dell'istituto matrimoniale per poter conseguire
la cittadinanza, ossia un negozio in frode alla legge, caratterizzato
da una predeterminazione di eventi - il contrarre matrimonio senza
dar seguito agli effetti giuridici dell'atto, con il solo scopo di
conseguire la cittadinanza - risulta, infatti, del tutto alieno
rispetto all'evento naturale della morte, che non consente di far
presumere la sussistenza di un matrimonio fittizio.
8.- Deve, dunque, concludersi che la norma che ascrive il decesso
del coniuge, nella pendenza del procedimento per l'attribuzione della
cittadinanza, tra i fattori ostativi al suo riconoscimento - in
quanto causa di scioglimento del matrimonio - e' irragionevole
rispetto a qualsivoglia giustificazione riferibile all'art. 5, comma
1, della legge n. 91 del 1992.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio
di ragionevolezza e', infatti, leso «quando si accerti l'esistenza di
una irrazionalita' intra legem, intesa come "contraddittorieta'
intrinseca tra la complessiva finalita' perseguita dal legislatore e
la disposizione espressa dalla norma censurata" (sentenza n. 416 del
2000)» (sentenza n. 6 del 2019; nello stesso senso, di recente,
sentenza n. 125 del 2022). In tal caso, il giudizio di ragionevolezza
consiste «in un "apprezzamento di conformita' tra la regola
introdotta e la 'causa' normativa che la deve assistere" (sentenze n.
89 del 1996 e n. 245 del 2007)" (sentenza n. 86 del 2017)» (sentenza
n. 6 del 2019).
Tale conformita' non sussiste nella norma censurata che,
pertanto, viola l'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'intrinseca
irragionevolezza.
9.- L'art. 5, comma 1, della legge n. 91 del 1992 deve essere
allora dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui
non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del
diritto di cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente,
sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del
procedimento di cui al successivo art. 7, comma 1. In altri termini,
la norma e' illegittima in quanto riferisce al momento dell'adozione
del decreto, di cui all'art. 7, comma 1, anziche' al momento della
presentazione dell'istanza, l'accertamento del mancato scioglimento
del matrimonio per morte del coniuge.
Rimangono assorbite le ulteriori questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dall'ordinanza in epigrafe.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge
5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte
in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento
del diritto di cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente,
sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del
procedimento di cui al successivo art. 7, comma 1.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
