42 minuti

La Corte Costituzionale con sentenza n.171 del 6 luglio, dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 25-bis della legge regionale n. 13 del 2007, inserito dall’art. 2 della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011, (il quale consente, all’interno di aree naturali protette, nelle strutture ricettive all’aria aperta, l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di pernottamento, con relativi preingressi e cucinotti, «anche se collocati permanentemente», qualificandoli come “attività edilizia libera” non soggetta a titolo abilitativo edilizio), per violazione della normativa statale in ordine agli interventi di nuova costruzione recata dagli artt. 3 e 6 del d.P.R. n. 380/2001, nonché per contrasto con gli artt. 11 e 22 della legge quadro n. 394/1991, e, quindi, dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il quale riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.

Inoltre, ritiene l’illegittimità costituzionale dell’articolo 25-bis, comma 8, secondo periodo, della legge della Regione Lazio n. 13 del 2007, inserito dall’art. 2 della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011. Esso dispone che, nelle strutture precedentemente perimetrate, inserite negli strumenti urbanistici vigenti, regolarmente autorizzate all’esercizio ricettivo e ricadenti nei parchi successivamente istituiti, l’installazione, la rimozione e/o lo spostamento di mezzi mobili di pernottamento di cui all’art. 23, comma 4, lettere a) e d), non costituiscono mutamenti dello stato dei luoghi, pertanto non sono soggetti al preventivo parere degli enti gestori. È sufficiente ricordare le prescrizioni e i limiti posti dall’art. 11 della legge quadro n. 394 del 1991 e successive modificazioni (richiamato, per le aree naturali protette regionali, dall’art. 22, comma 1, lettera d della medesima legge), per convincersi della necessità che le installazioni e gli spostamenti dei mezzi mobili di pernottamento (che possono assumere anche dimensioni ragguardevoli) siano soggetti quanto meno al preventivo parere degli enti gestori, proprio a salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati (art. 11, comma 3, della legge n. 394 del 1991). L’esonero da tale parere, dunque, si pone in contrasto con la menzionata normativa statale e si risolve in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.


Pres. Quaranta, Est.Criscuolo  – Presidente del Consiglio dei Ministri c. Regione Lazio

 

Il testo completo della sentenza:

 

CORTE COSTITUZIONALE – 6 luglio2012, n. 171

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai signori:

–           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente
–           Franco                         GALLO                                              Giudice
–           Luigi                            MAZZELLA                                            ”
–           Gaetano                       SILVESTRI                                             ”
–           Sabino                         CASSESE                                                ”
–           Giuseppe                     TESAURO                                               ”
–           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”
–           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”
–           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”
–           Paolo                           GROSSI                                                   ”
–           Giorgio                        LATTANZI                                              ”
–           Aldo                            CAROSI                                                   ”
–           Marta                           CARTABIA                                             ”
–           Sergio                          MATTARELLA                                       ”
–           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge della Regione Lazio 13 agosto 2011, n. 14, recante: «Disciplina delle strutture turistiche ricettive all’aria aperta. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2007, n. 13 (Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 “Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo” e successive modifiche) e successive modifiche», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 ottobre 2011, depositato in cancelleria il 2 novembre 2011, ed iscritto al n. 129 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;

udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Renato Marini per la Regione Lazio.


Ritenuto in fatto


1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 25 ottobre 2011, depositato il 2 novembre successivo, ha promosso in via principale, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge della Regione Lazio 13 agosto 2011, n. 14, recante: «Disciplina delle strutture turistiche ricettive all’aria aperta. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2007, n. 13 (Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 “Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo” e successiva modifiche) e successive modifiche».

2.— Dopo avere trascritto il testo delle disposizioni censurate, il ricorrente sostiene che, in base ad esse, sarebbe offerta «la possibilità di installare tra l’altro manufatti prefabbricati, quali bungalow trilocali, bilocali, monolocali, capanni, gusci e tukul (articolo 1, comma 4, lett….), del nuovo articolo 23 della legge regionale n. 13/2007), nonché case mobili, con relativi preingressi e cucinotti (lett. a) dell’appena citato art. 1, comma 4)».

Tali manufatti «si configurano come strutture permanenti e determinano un mutamento dello stato dei luoghi e del relativo ambiente anche nelle aree protette: di conseguenza vanno considerati strutture edilizie. Tuttavia, per effetto di siffatte disposizioni, potrebbero essere realizzati senza l’acquisizione di alcun parere degli organi titolari della gestione del parco». Risulterebbe evidente, dunque, l’illegittimità delle norme regionali impugnate: sia dell’art. 1, perché, sostituendo il comma 4 dell’art. 23 della legge regionale n. 13 del 2007, consentirebbe la realizzazione di strutture edilizie nelle aree protette, senza l’acquisizione del necessario parere degli enti gestori dell’area stessa; sia dell’art. 2, perché creerebbe una nuova norma (cioè l’art. 25-bis della legge regionale n. 13 del 2007), la quale stabilirebbe in modo arbitrario che le installazioni di case mobili (vedi comma 4, lettera a) e dei relativi preingressi e cucinotti «costituiscono attività edilizia libera e non sono quindi soggetti a titolo abilitativo edilizio».

Infatti, le impugnate norme regionali non stabilirebbero né prescrizioni, né limitazioni quantitative alle realizzazioni, né possibilità di controllo e di verifica del conseguente impatto ambientale, sicché non sarebbero rispettate le finalità istitutive delle aree protette, individuate dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette). Le norme censurate, pertanto, violerebbero l’art. 11 di quest’ultima legge, la quale affida all’Ente parco l’adozione del regolamento che disciplina l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco (comma 1), stabilisce che «nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e fauna protette e ai rispettivi habitat» (comma 3) e prevede il nulla osta dell’Ente parco per il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative a interventi, impianti ed opere all’interno del parco stesso (art. 13 della legge n. 394 del 1991).

In definitiva, le disposizioni regionali interverrebbero su materia di competenza dello Stato e non rispetterebbero la normativa statale, che fissa uniformi criteri di tutela validi per l’intero territorio nazionale.

Esse, dunque, violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla stregua del quale la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema è rimessa alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, con conseguente illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011.

3.— Il Presidente della Giunta regionale, previa autorizzazione della stessa, si è costituito in giudizio con atto depositato il 2 dicembre 2011, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Ad avviso della resistente, il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri andrebbe respinto, perché basato su una erronea interpretazione delle norme censurate.

In particolare, in ordine all’art. 1 della legge regionale n. 14 del 2011, andrebbe osservato che esso, lungi dal consentire l’installazione di manufatti permanenti all’interno dell’area dei parchi, come erroneamente asserito dalla difesa dello Stato, si limiterebbe ad individuare le strutture ricettive, classificandole nelle seguenti categorie: a) strutture ricettive alberghiere; b) strutture ricettive extralberghiere; c) strutture ricettive all’aria aperta.

La norma, dunque, avrebbe natura palesemente definitoria e non certo autorizzativa, non contenendo alcun riferimento in ordine alla possibilità di realizzare «bungalows, trilocali, bilocali, monolocali, capanni, gusci, e tukul» nelle aree naturali protette. Da ciò conseguirebbe la manifesta infondatezza della doglianza avanzata dal ricorrente, che avrebbe esteso in modo arbitrario la portata della norma impugnata, alterandone il significato.

Invece, con riguardo alle censure rivolte all’art. 2 della citata legge regionale, si dovrebbe rilevare che l’art. 13 della legge n. 394 del 1991 (Legge quadro sulle aree protette) stabilisce che: «Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco. Il nulla osta (…) è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato».

Orbene, il comma 1 dell’art. 25-bis della legge regionale n. 13 del 2007, introdotto dall’art. 2 della legge regionale n. 14 del 2011, si limiterebbe ad esplicitare, per ciò che concerne le strutture ricettive all’aria aperta collocate all’interno di aree naturali protette, quanto già previsto dalla legge statale, ossia che il nulla osta dell’Ente parco è necessario soltanto in relazione ad interventi, impianti e opere che siano soggetti ad autorizzazione o concessione.

In altre parole, laddove «siano posti in essere interventi impattanti sul territorio, tali da richiedere il rilascio di un titolo abilitativo edilizio, allora e solo allora deve essere richiesto, nell’ambito del procedimento autorizzatorio, anche il nulla osta del parco». Pertanto, la previsione impugnata risulterebbe legittima, poiché gli interventi cui essa si riferisce consisterebbero in attività edilizia libera, non sottoposta, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), ad alcun titolo abilitativo edilizio.

Inoltre, per quanto attiene all’ulteriore censura mossa dal ricorrente, con la quale si contesta la qualificazione, ad opera della legge regionale n. 14 del 2011, di alcune attività come attività edilizia libera, andrebbe ricordato che proprio il testo unico in materia edilizia, in particolare l’art. 6 di esso, rubricato «Attività edilizia libera», consentirebbe alle Regioni a statuto ordinario di «estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2», cioè di poter individuare ulteriori fattispecie di attività edilizia libera rispetto a quelle già previste.

Peraltro, il comma 1 dell’art. 25-bis, lungi dal rappresentare una norma in bianco, farebbe salve eventuali modalità esecutive fissate dal piano e dal regolamento dell’area protetta, demandando al regolamento di attuazione della legge l’individuazione delle condizioni strutturali e di mobilità necessarie per qualificare l’attività edilizia come libera.

Sarebbe attività edilizia libera, quindi, non qualsiasi installazione e rimessaggio di mezzi mobili e di tende, ma soltanto quella che rientrerà nei limiti individuati dal regolamento di attuazione della legge.

Considerazioni analoghe sarebbero valide anche con riferimento alle censure mosse al comma 8 del medesimo art. 25-bis, come introdotto dall’art. 2 della legge regionale impugnata, a nulla rilevando il fatto che il legislatore regionale abbia distinto le fattispecie in relazione al momento di apposizione del vincolo ambientale. Infatti, gli interventi previsti dalla disposizione de qua costituirebbero attività edilizia libera e perciò non richiederebbero alcun atto autorizzatorio, ivi compreso quello dell’Ente parco.

In proposito, andrebbe posto in evidenza che la norma dettata dalla disciplina oggetto di sindacato sarebbe perfino più restrittiva di quella statale, in quanto il legislatore regionale ha previsto che, «nei casi in cui le strutture sono state autorizzate successivamente all’istituzione del parco ove sono ricomprese», debba essere comunque acquisito il nulla osta del parco, anche se si tratta di attività libera.

In conclusione, per quanto attiene alla previsione del silenzio assenso col decorso di sessanta giorni dalla richiesta di nulla osta rivolta all’ente gestore, andrebbe rilevato che si tratta di un effetto disposto dalla legge n. 394 del 1991, ritenuta dal Consiglio di Stato ancora vigente, anche a seguito della modifica della disciplina sul silenzio assenso, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, le norme regionali impugnate dovrebbero andare esenti da censure, in quanto si sarebbero limitate a disciplinare aspetti relativi alla materia «governo del territorio», di competenza legislativa concorrente.

4.— In prossimità dell’udienza di discussione la difesa regionale ha depositato una memoria illustrativa con istanza di rinvio (quest’ultima, peraltro, non più coltivata). Nella memoria sono ulteriormente sviluppate le difese svolte nell’atto di costituzione.


Considerato in diritto


1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge della Regione Lazio 13 agosto 2011, n. 14, recante: «Disciplina delle strutture turistiche ricettive all’aria aperta. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2007, n. 13 (Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 “Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo”e successive modifiche) e successive modifiche».

Il ricorrente ritiene dette disposizioni in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Infatti, con esse «sarebbe offerta la possibilità di installare tra l’altro manufatti prefabbricati, quali bungalow trilocali, bilocali, monolocali, capanni, gusci e tukul (art. 1, comma 4, lett.…), del nuovo articolo 23 della legge regionale n. 13 del 2007), nonché case mobili, con relativi preingressi e cucinotti (lett. a) dell’appena citato art. 1, comma 4)».

«Tali manufatti», ad avviso della difesa dello Stato, «si configurano come strutture permanenti e determinano un mutamento dello stato dei luoghi e del relativo ambiente anche nelle aree protette: di conseguenza, vanno considerati strutture edilizie. Tuttavia, per effetto di siffatte disposizioni, potrebbero essere realizzati senza l’acquisizione di alcun parere degli organi titolari della gestione del parco».

Alla stregua di quanto precede, risulterebbe «evidente l’illegittimità delle norme regionali impugnate: sia dell’articolo 1, perché, sostituendo il comma 4 dell’articolo 23 della legge regionale n. 13/2007, consente la realizzazione di strutture edilizie nelle aree protette, senza l’acquisizione del necessario parere degli enti gestori dell’area protetta; sia dell’articolo 2, perché crea un nuova norma (art. 25-bis della legge regionale n. 13/2007), la quale stabilisce arbitrariamente che le installazioni di case mobili (v. comma 4, lett. a) e dei relativi preingressi e cucinotti “costituiscono attività edilizia libera e non sono quindi soggetti a titolo abilitativo edilizio”».

Infatti, «le impugnate norme regionali non stabiliscono né prescrizioni, né limitazioni quantitative delle realizzazioni, né possibilità di controllo e di verifica del conseguente impatto ambientale, e pertanto non rispettano le finalità istitutive delle aree protette individuate dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette)». Sarebbero così violati gli artt. 11 e 13 di quest’ultima legge.

2.— La questione, avente ad oggetto l’art. 1 della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011, non è fondata.

Detta disposizione è così rubricata: «Modifica all’articolo 23 della legge regionale 6 agosto 2007, n. 13 “Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 ‘Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo’ e successive modifiche” e successive modifiche».

Il testo della norma è formulato nei termini di seguito indicati:

«1. Il comma 4 dell’articolo 23 della L. R. n. 13/2007 e successive modifiche è sostituito dal seguente:

4. Sono strutture ricettive all’aria aperta i complessi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, attrezzati per la sosta e il soggiorno sia di turisti provvisti di mezzi autonomi di pernottamento sia dei medesimi sprovvisti di tali mezzi autonomi di pernottamento. Nelle strutture ricettive all’aria aperta, oltre alla realizzazione delle strutture destinate ai servizi, sono consentite, esclusivamente per l’esercizio delle attività autorizzate:

a) L’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di pernottamento, quali roulotte, caravan, maxicaravan, case mobili, e dei relativi preingressi e cucinotti;

b) L’installazione di manufatti realizzati con sistemi di prefabbricazione leggera, quali tukul, gusci, capanni, bungalow monolocali, bilocali, trilocali;

c) La realizzazione di manufatti, quali tukul, gusci, capanni, bungalow monolocali, bilocali, trilocali, non permanentemente infissi al suolo;

d) L’installazione di strutture non permanentemente infisse al suolo e di facile rimozione, quali le tende”».

L’art. 23 della legge regionale n. 13 del 2007 è destinato alla individuazione delle strutture ricettive, che sono così catalogate: a) strutture ricettive alberghiere; b) strutture ricettive extralberghiere; c) strutture ricettive all’aria aperta. L’art. 1 della legge regionale n. 14 del 2011 (che ha sostituito il comma 4 del citato art. 23) si limita a definire la nozione di strutture ricettive all’aria aperta e ad indicare quali mezzi e manufatti possono essere installati o realizzati in esse. Non vi è alcun accenno alle aree protette, la cui disciplina, dunque, non viene in rilievo, né vi è riferimento alla normativa concernente i titoli abilitativi edilizi, sicché l’affermazione contenuta nel ricorso, secondo la quale il detto art. 1 consentirebbe la realizzazione di strutture edilizie nelle aree protette, senza l’acquisizione del necessario parere degli enti gestori, si rivela inesatta. In realtà si tratta di una norma a carattere definitorio o descrittivo, che si sottrae alle censure mosse dal ricorrente.

3.— La questione, avente ad oggetto l’art. 2, della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011, è fondata, nei sensi e nei limiti in prosieguo indicati.

La norma ora citata, sotto la rubrica «Inserimento dell’articolo 25-bis nella L. R. n. 13/2007», così dispone:

«1. Dopo l’articolo 25 nella sezione II del capo III della L. R. n. 13 del 2007 è inserito il seguente: “Art. 25-bis posizioni per l’attività edilizia nell’ambito delle strutture ricettive all’aria aperta.

1. Entro il perimetro delle strutture ricettive all’aria aperta di cui all’articolo 23, comma 4, l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di pernottamento, dei relativi preingressi e cucinotti, anche se collocati permanentemente, previsti dal citato articolo 23, comma 4, lettera a) e delle altre strutture di cui al medesimo articolo 23, comma 4, lettera d), costituiscono attività edilizia libera e non sono quindi soggetti a titolo abilitativo edilizio, sempre che siano effettuati nel rispetto delle condizioni strutturali e di mobilità stabilite dal regolamento di cui all’articolo 56, fatto comunque salvo quanto stabilito dagli articoli 5, comma 5, 6, comma 6 e 10, comma 8-bis, della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico) e successive modifiche, considerato che le installazioni ed il rimessaggio dei predetti mezzi nelle strutture ricettive all’aria aperta collocate all’interno di aree naturali protette regionali, fatte salve le eventuali ulteriori modalità esecutive fissate nel piano e nel relativo regolamento approvati ai sensi degli articoli 26 e 27 della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali) e successive modifiche, non comportano modifiche sostanziali sotto il profilo ambientale».

Omissis

Il comma 8 dell’inserito art. 25-bis della legge n. 13 del 2007, norma introdotta dall’art. 2 della legge della Regione Lazio n. n. 14 del 2011, statuisce quanto segue:

«8. Nelle strutture ricettive all’aria aperta collocate nei territori ricadenti nelle aree naturali protette di cui alla L. R. n. 29/1997 e successive modifiche, nelle more dell’approvazione del piano e del regolamento di cui agli articoli 26 e 27 della stessa, sono consentiti gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a), b) e c) del D.P.R. 380/2001, nonché, previa comunicazione all’ente gestore dell’area, il quale può dettare, nel termine di trenta giorni, specifiche modalità realizzative dell’intervento, quelli necessari per l’adeguamento alle prescrizioni di cui al regolamento adottato ai sensi dell’art. 56 per la prima classificazione delle strutture o per la loro riclassificazione migliorativa. Nelle strutture precedentemente perimetrate, inserite negli strumenti urbanistici vigenti, regolarmente autorizzate all’esercizio ricettivo e ricadenti nei parchi successivamente istituiti, l’installazione, la rimozione e/o lo spostamento dei mezzi mobili di pernottamento di cui all’articolo 23, comma 4, lettere a) e d), non costituiscono mutamenti dello stato dei luoghi, pertanto non sono soggetti al preventivo parere degli enti gestori. Nei casi in cui le strutture sono state autorizzate successivamente all’istituzione del parco ove sono ricomprese, il rilascio del parere dell’ente parco riguardante un intervento che non prevede titoli abilitativi edilizi è reso entro il termine di sessanta giorni, decorso il quale interviene l’accoglimento per silenzio assenso».

Come si desume dal testo della normativa ora trascritta, l’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 14 del 2011, che ha inserito nella legge regionale n. 13 del 2007 l’art. 25-bis, consente nelle strutture ricettive all’aria aperta, previste dall’art. 23, comma 4, di detta legge regionale, l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di pernottamento, con relativi preingressi e cucinotti, «anche se collocati permanentemente».

Tali mezzi mobili sono le roulotte, i caravan, i maxicaravan, le case mobili, nonché altre strutture non permanentemente infisse al suolo e di facile rimozione. L’installazione e il rimessaggio «costituiscono attività edilizia libera e non sono quindi soggette a titolo abilitativo edilizio». Ciò perché le installazioni e il rimessaggio dei predetti mezzi nelle menzionate strutture, collocate all’interno di aree naturali protette regionali, non comporterebbero modifiche sostanziali sotto il profilo ambientale.

Al riguardo, si deve premettere che la disciplina delle aree protette rientra nella «tutela dell’ambiente» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (ex multis: sentenza n. 44 del 2011). La normativa statale di tali aree, che inerisce alle finalità essenziali di tutela della natura attraverso la sottoposizione di parti di territorio a speciale protezione, si estrinseca, tra l’altro, nella predisposizione di strumenti programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attività svolte nei parchi alle esigenze di protezione della flora e della fauna (sentenza n. 387 del 2008).

Sul tema in questione, la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non si può discutere di materia in senso tecnico, perché la tutela ambientale è da intendere come valore costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una sorta di «materia trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali, fermo restando che allo Stato spettano le determinazioni rispondenti ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale, con la conseguenza che l’intervento regionale è possibile soltanto in quanto introduca una disciplina idonea a realizzare un ampliamento dei livelli di tutela e non derogatoria in senso peggiorativo (ex multis: sentenze n. 235 del 2011, n. 225 e n. 12 del 2009).

Tanto premesso, si deve in primo luogo osservare che l’art. 1 della legge n. 394 del 1991, nel definire le finalità e l’ambito della legge medesima, dispone che essa, «in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, detta principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese».

L’art. 11, inserito nel titolo delle aree naturali protette nazionali, prevede il regolamento del parco, cui demanda la disciplina dell’esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco stesso, stabilendo, inoltre, che esso sia adottato dal relativo Ente nel termine dalla norma stessa stabilito. A tale regolamento è affidata, tra l’altro, l’individuazione della tipologia e delle modalità di costruzione di opere e manufatti.

Il detto art. 11, comma 3, dispone che «Salvo quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat», con l’indicazione di una serie di divieti.

L’art. 22, rubricato «Norme quadro» e collocato nel titolo delle aree naturali protette regionali, indica tra i principi fondamentali per la disciplina di tali aree l’adozione, secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformità al dettato dell’art. 11, di regolamenti delle aree protette.

Orbene, la norma qui censurata (art. 2, comma 1, della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011) si pone in contrasto con la citata normativa statale e, in particolare, con l’art. 11 della legge quadro n. 394 del 1991, articolo richiamato, in tema di aree naturali protette regionali, dall’art. 22, comma 1, lettera d), della medesima legge quadro. L’art. 22 ora menzionato, che individua i principi fondamentali per la disciplina di dette aree, prevede l’adozione, con le modalità in esso stabilite, di regolamenti delle aree protette (comma 1, lettera d); e il medesimo art. 11, comma 3, pone il divieto di attività ed opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.

Il comma 1 dell’art. 25-bis della legge regionale n. 13 del 2007, come osserva il ricorrente, non prevede alcuna prescrizione o limitazione numerica delle installazioni consentite, né fa riferimento a iniziative di controllo o di verifica dell’impatto ambientale, limitandosi a rinviare: a) al «rispetto delle condizioni strutturali e di mobilità» stabilite da un regolamento (atto che, per sua natura, non potrebbe derogare alle attività indicate dalla norma censurata, che le qualifica attività edilizie libere e perciò non soggette a titolo abilitativo edilizio); b) alla legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (che disciplina la «Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico» e, perciò, non viene in rilievo nel caso in esame); c) alle «eventuali ulteriori modalità esecutive fissate nel piano e nel relativo regolamento approvati ai sensi degli articoli 26 e 27 della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali) e successive modifiche». Queste ultime norme concernono, rispettivamente, il piano e il regolamento dell’area naturale protetta, ma non incidono sul contenuto precettivo della norma qui censurata, anche perché sono richiamate soltanto per far salve «eventuali ulteriori modalità esecutive», restando ferma la regola secondo cui l’attività prevista dall’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 14 del 2011 costituisce attività edilizia libera e, quindi, non è soggetta a titolo abilitativo edilizio, non comportando modifiche sostanziali sotto il profilo ambientale.

Non è invece richiamato l’art. 28 della legge regionale n. 29 del 1997, che disciplina il nulla osta e i poteri di intervento dell’ente di gestione (rinviando all’art. 13 della legge n. 394 del 1991). Il mancato richiamo è dovuto, nella logica della Regione, alla circostanza che il menzionato art. 28 è diretto a disciplinare (comma 1) «il rilascio di concessioni od autorizzazioni, relativo ad interventi, impianti ed opere all’interno dell’area naturale protetta», rilascio sottoposto, per l’appunto, a preventivo nulla osta dell’ente di gestione; poiché, nella prospettiva della norma censurata, l’attività in essa prevista non sarebbe soggetta a titolo abilitativo edilizio, non sarebbe nemmeno richiesto il nulla osta dell’ente di gestione. Il che configura un ulteriore contrasto della norma censurata con la citata normativa statale e, per il tramite di questa (normativa interposta), con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la mancanza di ogni possibilità di controllo compromette gravemente la tutela dell’ambiente, demandata, come si è visto, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.


3.1.— In questo quadro, la difesa erariale ha censurato il predetto comma 1 dell’art. 25-bis della legge regionale del Lazio n. 13 del 2007, deducendo che la norma consentirebbe l’installazione e il rimessaggio, entro il perimetro delle strutture ricettive all’aria aperta, di mezzi mobili di pernottamento, dei relativi preingressi e cucinotti, anche se collocati permanentemente, previsti dall’art. 23, comma 4, lettere a) e d), della legge regionale n. 13 del 2007 (come sostituito dall’art. 1 della citata legge regionale n. 14 del 2011), in assenza di titolo edilizio e senza alcun parere degli organi titolari della gestione del parco, trattandosi di attività edilizia libera.

La difesa regionale ha replicato che il regime giuridico relativo alle strutture mobili è stabilito, a livello statale, dall’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A).

Detta normativa avrebbe sancito il principio in forza del quale il rilascio del titolo abilitativo sarebbe necessario, anche in caso di strutture mobili, «nelle sole ipotesi in cui esse, essendo finalizzate al soddisfacimento di esigenze durature nel tempo, determinino una trasformazione permanente del territorio».

Tale ipotesi esulerebbe del tutto dal caso di specie. Infatti, le strutture mobili in questione non determinerebbero alcuna trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono, realizzando, al contrario, il duplice requisito in presenza del quale la giurisprudenza sarebbe concorde nell’escludere la necessità del titolo abilitativo. Invero, si tratterebbe di strutture caratterizzate da precarietà oggettiva, tenuto conto delle tipologie dei materiali utilizzati, nonché da precarietà funzionale, in quanto contraddistinte dalla temporaneità della funzione cui assolvono e volte a garantire esigenze meramente temporanee (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 278 del 2010). Pertanto, le relative installazioni costituirebbero attività edilizia libera.

La tesi della Regione, qui riassunta, non può essere condivisa.

L’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, destinato alle definizioni degli interventi edilizi, individua, tra gli altri, come «interventi di nuova costruzione», quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio e statuisce che sono comunque da considerarsi tali (art. 3, comma 1, lettera e numero 5) «l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee». Il comma 2 del medesimo art. 3, poi, aggiunge che le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.

L’art. 6 dello stesso d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce quali sono gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo, e tra essi non figurano le installazioni delle strutture sopra menzionate, mentre il successivo art. 10 inserisce gli interventi di nuova costruzione tra quelli di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

Su queste basi, l’assunto della difesa regionale – secondo cui le strutture mobili, previste dall’art. 1 della legge impugnata, non determinerebbero alcuna trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono – si pone in palese contrasto con la normativa statale e con i principi fondamentali da essa affermati. Invero, è evidente che, se quell’assunto fosse esatto, cioè se si trattasse «di strutture caratterizzate da precarietà oggettiva, tenuto conto delle tipologie dei materiali utilizzati», il legislatore statale non avrebbe catalogato in modo espresso tra «gli interventi di nuova costruzione» l’installazione di manufatti leggeri, tra cui le case mobili. Inoltre, quanto alla precarietà funzionale che contraddistinguerebbe i manufatti, ponendosi come nozione distinta dalla temporaneità delle funzioni cui assolvono, giacché essi sarebbero volti a garantire esigenze meramente temporanee, è sufficiente notare, da un lato, che proprio il dettato della norma censurata smentisce tale precarietà, dal momento che considera l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili, «anche se collocati permanentemente», come attività edilizia libera, e perciò non soggetta a titolo abilitativo edilizio; e, dall’altro, che proprio la mancanza del titolo edilizio e di ogni previsione di verifica o di controllo impedisce di riscontrare il presunto carattere precario e temporaneo dell’installazione.

Il richiamo alla sentenza di questa Corte, n. 278 del 2010, non è pertinente.

Essa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma statale che dettava una disciplina avente ad oggetto la installazione di mezzi mobili di pernottamento e dei relativi rimessaggi, escludendo la rilevanza di tali attività a fini urbanistici ed edilizi e, conseguentemente, la necessità di conseguire apposito titolo abilitativo per la loro realizzazione, sulla base del mero dato oggettivo, cioè della precarietà del manufatto.

La declaratoria di illegittimità costituzionale è basata sul rilievo che «l’intervento del legislatore statale presenta carattere di norma di dettaglio, in quanto ha ad oggetto una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti». Come si vede, la tematica oggetto della presente questione non è stata affrontata. Tuttavia, la Corte ha rilevato che «la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario»; ed ha aggiunto, sul piano generale, che «il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è dato dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso». Si tratta, per l’appunto, dei due elementi di cui sopra è stata riscontrata l’assenza.

La difesa regionale, poi, richiama l’art. 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001 (rubricato «Attività edilizia libera») ed afferma che esso consentirebbe in modo espresso alle Regioni a statuto ordinario di poter estendere «la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2».

Questa tesi non è fondata.

Infatti, è vero che la norma richiamata dalla Regione consente interventi edilizi liberi, ulteriori rispetto a quelli nel medesimo articolo menzionati, ma si tratta di interventi (atipici) che non possono certo abrogare le disposizioni previste nella definizione  stabilita dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 25-bis della legge regionale n. 13 del 2007, inserito dall’art. 2 della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011, per violazione della citata normativa statale in ordine agli interventi di nuova costruzione e, quindi, dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il quale riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.

4.— La difesa dello Stato ha censurato il comma 8 dell’ art. 25-bis della legge regionale n. 13 del 2007.

Tale disposizione è composta da tre periodi che vengono esaminati separatamente.

Nel primo di essi è stabilito che, nelle strutture ricettive all’aria aperta collocate nei territori ricadenti nelle aree naturali protette di cui alla legge regionale n. 29 del 1997 e successive modifiche, nelle more dell’approvazione del piano e del regolamento di cui agli articoli 26 e 27 della stessa, sono consentiti gli interventi di cui agli artt. 3, comma 1, lettere a), b) e c) del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché, previa comunicazione all’ente gestore dell’area, il quale può dettare, nel termine di trenta giorni, specifiche modalità realizzative dell’intervento, quelli necessari per l’adeguamento alle prescrizioni di cui al regolamento adottato ai sensi dell’art. 56 per la prima classificazione delle strutture o per la loro riclassificazione migliorativa.

La questione di legittimità costituzionale, concernente la norma ora trascritta (primo periodo), non è fondata.

Si tratta di una disposizione transitoria («nelle more dell’approvazione del piano e del regolamento di cui agli articoli 26 e 27» della legge regionale n. 29 del 1997), che si richiama alla normativa statale (art. 3, comma 1, lettere a, b e c, del d.P.R. n. 380 del 2001, con le conseguenze che ne derivano anche in ordine al regime giuridico dettato dall’art. 6 del medesimo decreto presidenziale) e che, quanto agli altri interventi di adeguamento menzionati, dispone una preventiva comunicazione all’ente gestore dell’area, il quale può adottare le iniziative nella norma stessa indicate.

Tale disciplina, dunque, non viola il parametro costituzionale invocato dal ricorrente.

A diverse conclusioni deve pervenirsi in ordine al secondo periodo della norma censurata. Esso dispone che, nelle strutture precedentemente perimetrate, inserite negli strumenti urbanistici vigenti, regolarmente autorizzate all’esercizio ricettivo e ricadenti nei parchi successivamente istituiti, l’installazione, la rimozione e/o lo spostamento di mezzi mobili di pernottamento di cui all’art. 23, comma 4, lettere a) e d), non costituiscono mutamenti dello stato dei luoghi, pertanto non sono soggetti al preventivo parere degli enti gestori.

Vengono in rilievo gli stessi manufatti e strutture di cui già si è trattato nei punti precedenti, che possono essere installati, rimossi e/o spostati senza alcun controllo e prescindendo da qualsiasi verifica sul numero e sul posizionamento che vanno ad assumere. In questo quadro, l’affermazione secondo cui i suddetti movimenti non costituirebbero mutamento dello stato dei luoghi, onde non sarebbero soggetti al preventivo parere degli enti gestori, si rivela a dir poco apodittica. È sufficiente ricordare le prescrizioni e i limiti posti dal già citato art. 11 della legge quadro n. 394 del 1991 e successive modificazioni (richiamato, per le aree naturali protette regionali, dall’art. 22, comma 1, lettera d della medesima legge), per convincersi della necessità che le installazioni e gli spostamenti dei mezzi mobili di pernottamento (che possono assumere anche dimensioni ragguardevoli) siano soggetti quanto meno al preventivo parere degli enti gestori, proprio a salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati (art. 11, comma 3, della legge n. 394 del 1991).

L’esonero da tale parere, dunque, si pone in contrasto con la menzionata normativa statale e si risolve in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sicché va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 8, secondo periodo, della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011.

Infine, il terzo periodo della disposizione oggetto di scrutinio stabilisce che, nei casi in cui le strutture sono state autorizzate successivamente all’istituzione del parco ove sono ricomprese, il rilascio del parere dell’ente parco riguardante un intervento che non prevede titoli abilitativi edilizi è reso entro il termine di sessanta giorni, decorso il quale interviene l’accoglimento per silenzio assenso.

Con riferimento a tale norma, la questione non è fondata.

Infatti, essa ha un ambito circoscritto, perché riguarda soltanto interventi che non prevedano titoli abilitativi edilizi e contempla comunque il rilascio di un parere che consente all’ente gestore di esercitare un controllo sull’iniziativa.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE


1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 25-bis, comma 1, della legge della Regione Lazio 6 agosto 2007, n. 13 (Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 “Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo e successive modifiche” e successive modifiche), inserito dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Lazio 13 agosto 2011, n. 14, recante: «Disciplina delle strutture turistiche ricettive all’aria aperta. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2007, n. 13 (Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 “Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo” e successive modifiche), e successive modifiche»;


2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 25-bis, comma 8, secondo periodo, della legge della Regione Lazio n. 13 del 2007, inserito dall’art. 2 della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011, che ha sostituito il comma 4 dell’articolo 23 della legge della Regione Lazio n. 13 del 2007 e successive modifiche, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 25-bis, comma 8, primo e terzo periodo, della legge della Regione Lazio n. 13 del 2007, inserito dall’art. 2 della legge della Regione Lazio n. 14 del 2011, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore


Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2012

 

Lascia un commento