Processo penale, art. 576 c.p.p. Pubblicata la sentenza Sentenza 3 aprile 2019 n. 176: Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Processo penale – Parte civile – Impugnazione della sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio, ai soli effetti della responsabilita’ civile. – Codice di procedura penale, art. 576.
N. 176 SENTENZA 3 aprile – 12 luglio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Parte civile - Impugnazione della sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio, ai soli effetti della responsabilita' civile. - Codice di procedura penale, art. 576. -
(GU n.29 del 17-7-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 576 del
codice di procedura penale, promosso dalla Corte di appello di
Venezia, nel procedimento penale a carico di U. Z., con ordinanza del
9 gennaio 2018, iscritta al n. 115 del registro ordinanze 2018 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima
serie speciale, dell'anno 2018.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 3 aprile 2019 il Giudice
relatore Giovanni Amoroso.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 gennaio 2018, la Corte d'appello di
Venezia ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 576 del codice di procedura penale, «nella parte in cui
prevede che la parte civile possa proporre al giudice penale anziche'
al giudice civile impugnazione ai soli effetti della responsabilita'
civile contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel
giudizio».
La Corte rimettente assume che la disposizione si pone in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, «perche' l'attuale
attribuzione altera significativamente, con palese assenza di
razionale giustificazione, lo svolgimento della essenziale propria e
naturale funzione del giudice penale dell'impugnazione per la
deliberazione nel merito sul contenuto della pretesa punitiva
pubblica», e con l'art. 111, secondo comma, Cost., nonche' con i
«principi costituzionali di efficienza ed efficacia della
giurisdizione» perche' la cognizione «su meri interessi civili, per
la quale vi e' gia' sede autonoma adeguata efficace e propria»,
aggravando il lavoro del giudice penale d'appello, gia' impegnato
nella definizione di un elevatissimo numero di processi, da' luogo a
un'irragionevole protrazione della durata dei processi.
Premette la Corte di dover decidere sull'appello con cui la
societa' STUDIO ULM srl, parte civile nel processo di primo grado, ha
impugnato la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto
pronunciata dal Tribunale ordinario di Treviso nei confronti di U.
Z., imputato dei reati previsti dagli artt. 615-ter (Accesso abusivo
ad un sistema informatico o telematico) e 615-quater (Detenzione e
diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o
telematici) del codice penale.
Osserva il Collegio che la norma censurata e' frutto di una
scelta compiuta dal legislatore con l'emanazione del d.P.R. 22
settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale),
in un contesto assai diverso da quello odierno e in una prospettiva
di razionalizzazione del sistema che, alla prova dei fatti, non si e'
realizzata nei termini auspicati. Infatti, gli effetti deflattivi che
la riforma perseguiva non si sono verificati e il numero dei processi
pendenti dinanzi alle corti d'appello e' sensibilmente aumentato.
Secondo la Corte rimettente tale situazione e' imputabile a
plurime ragioni strutturali.
In primo luogo, con l'abolizione della figura del pretore ad
opera del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in
materia di istituzione del giudice unico di primo grado), i giudizi
di secondo grado, per i quali era competente il tribunale, sono stati
devoluti alla competenza delle corti d'appello, aggravandone
notevolmente il carico di lavoro.
Per altro verso, la convinzione che, con l'avvento del nuovo
codice di procedura penale, i processi sarebbero stati definiti,
prevalentemente, mediante il ricorso ai riti alternativi si e'
rivelata inesatta. L'effetto deflattivo dei riti alternativi non ha
risposto alle aspettative.
A cio' si aggiunge che il giudizio d'appello, non di rado,
implica la necessita' della rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale. Infatti, in armonia con le indicazioni provenienti
dalla giurisprudenza di legittimita', confortate dal dato normativo,
l'istruttoria dev'essere rinnovata quando, a fronte dell'impugnazione
di una sentenza di proscioglimento, l'eventuale accoglimento dei
motivi d'appello e' subordinato a una rivalutazione di prove
dichiarative; cio' finanche nei casi in cui in primo grado si sia
proceduto con rito abbreviato non condizionato.
La concomitanza di queste circostanze, che mal si coniugano con
l'attribuzione al giudice penale di una competenza circoscritta a
questioni inerenti la sola responsabilita' civile, ha determinato un
progressivo allungamento dei tempi di definizione dei processi.
Questa conseguenza ha contribuito ulteriormente all'incremento
del contenzioso, incoraggiando, soprattutto per i reati di minor
gravita', le impugnazioni finalizzate al raggiungimento del termine
di prescrizione.
Per fronteggiare questa emergenza, i giudici tendono a dare la
precedenza ai processi per i quali e' piu' accentuato il rischio di
prescrizione, posponendo quelli aventi a oggetto meri interessi
civili. Ne discende che per questi ultimi i tempi di definizione
risultano maggiori rispetto sia agli altri processi penali sia a
quelli di un ordinario giudizio civile.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte rimettente sostiene
che, nell'attuale contesto, la scelta operata dal legislatore nel
1988 non risponde piu' a criteri di razionalita' e ragionevolezza.
Dunque, «attribuire oggi al giudice penale, ed in particolare alla
Corte d'appello penale, anziche' al giudice civile, la cognizione
delle impugnazioni della sola parte civile avverso le sentenze di
proscioglimento costituisce scelta in atto manifestamente irrazionale
e oggi del tutto priva di alcuna giustificazione».
La norma, insomma, sarebbe divenuta anacronistica, inadeguata e
disfunzionale. Del resto, prosegue il collegio, e' ben possibile che
una disposizione, inizialmente in sintonia con la Costituzione, si
riveli irragionevole a seguito del mutamento del quadro settoriale in
cui essa e' destinata a operare.
La Corte d'appello di Venezia sviluppa, poi, un ulteriore
argomento, di carattere sistematico, evidenziando che l'ordinamento
gia' contempla il passaggio dal settore penale al settore civile del
procedimento che abbia per oggetto residuo la sola valutazione
relativa alla sussistenza della responsabilita' civile. L'art. 622
cod. proc. pen., in particolare, stabilisce che, fermi gli effetti
penali della sentenza, la Corte di cassazione, se ne annulla
solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile
ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza
di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando occorre al giudice
civile competente per valore in grado di appello, anche se
l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile. Anche nel
caso in cui il giudice d'appello dichiari non doversi procedere per
intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) senza
motivare in ordine alla responsabilita' dell'imputato ai fini delle
statuizioni civili, l'eventuale accoglimento del ricorso per
cassazione, proposto dall'imputato, impone l'annullamento della
sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado
di appello, a norma dell'art. 622 cod. proc. pen.
La Corte veneta, inoltre, sostiene che il trasferimento del
giudizio dinanzi al giudice civile avrebbe un effetto vantaggioso per
la parte civile, considerando la piena utilizzabilita' in sede civile
del materiale probatorio acquisito nel processo penale.
2.- Con atto depositato il 2 ottobre 2018, e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
In punto di ammissibilita', l'Avvocatura generale rileva che il
giudice a quo ha invocato una pronuncia manipolativa indicando una
soluzione non costituzionalmente obbligata in una materia, quella
degli istituti processuali, riservata alla discrezionalita' del
legislatore.
Inoltre, la Corte rimettente non avrebbe considerato che il
giudizio civile ha carattere accessorio rispetto a quello penale e
che la deroga al principio generale di separazione e autonomia dei
giudizi prevista dall'art. 576 cod. proc. pen. si giustifica alla
luce degli effetti preclusivi che, ai sensi dell'art. 652 cod. proc.
pen., la sentenza penale irrevocabile spiega nel giudizio civile e
dell'esigenza del giudice di secondo grado di valutare, sia pure ai
soli effetti civili, la sussistenza degli elementi di colpevolezza
enunciati nel capo di imputazione.
Pone, poi, in rilievo che l'auspicato trasferimento dell'azione
risarcitoria al giudice civile incrementerebbe il carico pendente
dinanzi ai tribunali civili, il cui impegno non e' meno oneroso
rispetto a quello delle corti penali, riproponendo, almeno sotto
questo profilo, il problema in termini pressoche' equivalenti.
3.- Con memoria depositata il 13 marzo 2019, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha sviluppato le proprie difese, richiamando
gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale in tema di
discrezionalita' della scelta di sistema operata dal legislatore
nella definizione del rapporto tra azione penale e azione civile,
nonche' in tema di inammissibilita' delle questioni volte a ottenere
pronunce manipolative con petitum non costituzionalmente obbligato.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 9 gennaio 2018, la Corte d'appello di
Venezia ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 576 del codice di procedura penale, «nella parte in cui
prevede che la parte civile possa proporre al giudice penale anziche'
al giudice civile impugnazione ai soli effetti della responsabilita'
civile contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel
giudizio».
Il giudice rimettente sospetta la violazione dell'art. 3 della
Costituzione «perche' l'attuale attribuzione altera
significativamente, con palese assenza di razionale giustificazione,
lo svolgimento della essenziale propria e naturale funzione del
giudice penale dell'impugnazione per la deliberazione nel merito sul
contenuto della pretesa punitiva pubblica».
Inoltre, sarebbe violato anche l'art. 111, secondo comma, Cost.,
nonche' i «principi costituzionali di efficienza ed efficacia della
giurisdizione», perche' la cognizione «su meri interessi civili, per
la quale vi e' gia' sede autonoma adeguata efficace e propria»,
aggravando il lavoro del giudice penale d'appello, gia' impegnato
nella definizione di un elevatissimo numero di processi, da' luogo a
un'irragionevole protrazione della loro durata.
2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
l'inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale per
aver il rimettente richiesto una pronuncia manipolativa indicando una
soluzione non costituzionalmente obbligata in una materia, quale
quella degli istituti processuali, riservata alla discrezionalita'
del legislatore.
L'eccezione non e' fondata.
Deve ribadirsi che «l'ordinanza di rimessione delle questioni di
legittimita' costituzionale non necessariamente deve concludersi con
un dispositivo recante altresi' un petitum, essendo sufficiente che
dal tenore complessivo della motivazione emerga con chiarezza il
contenuto ed il verso delle censure» (sentenza n. 175 del 2018). Cio'
anche con riferimento alla materia processuale, essendosi ritenuta
sufficientemente determinata nel suo verso una censura diretta a
eliminare l'interferenza del codice di autoregolamentazione delle
astensioni dalle udienze degli avvocati nella disciplina della
liberta' personale (sentenza n. 180 del 2018).
Nella fattispecie, la Corte d'appello, investita con impugnazione
della sola parte civile avverso la sentenza di assoluzione
dell'imputato per insussistenza del fatto, si duole, nella sostanza,
dell'attribuzione, sempre e solo alla giurisdizione penale, della
cognizione dell'impugnazione proposta dalla parte civile ai sensi
della disposizione censurata (art. 576 cod. proc. pen.); attribuzione
ritenuta irragionevole e ingiustificata, allorche', in una situazione
in cui la vicenda penale in senso stretto si e' esaurita con una
pronuncia, non impugnata dal pubblico ministero, pienamente
favorevole all'imputato, impone al giudice penale di esaminare i soli
profili civilistici della pretesa restitutoria o risarcitoria della
parte civile, che invece meglio potrebbero essere valutati da un
giudice civile. In tale situazione, l'esercizio della giurisdizione
penale - secondo la Corte rimettente - dovrebbe essere esclusa, in
termini di inammissibilita' dell'impugnazione ex art. 576 cod. proc.
pen., o comunque ridimensionata a favore dell'ipotizzato
riconoscimento della facolta' di impugnazione della parte civile
innanzi al giudice civile.
E', quindi, ben chiaro il verso delle censure, che sono,
pertanto, pienamente ammissibili.
3.- Nel merito, le questioni non sono fondate nei termini che
seguono.
4.- Va innanzi tutto ribadito che nel processo penale l'azione
civile «assume carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione
penale, sicche' e' destinata a subire tutte le conseguenze e gli
adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo
penale, cioe' dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse
all'accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi»
(ex plurimis, sentenza n. 12 del 2016); l'assetto generale del nuovo
processo penale e' ispirato all'idea della separazione dei giudizi,
penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice,
l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo
penale, rispetto all'interesse del soggetto danneggiato di esperire
la propria azione nel processo medesimo. Sicche' «l'idea di fondo
sottesa alla nuova codificazione [...] e' che la costituzione di
parte civile non dovesse essere comunque "incoraggiata"» (sentenza n.
12 del 2016).
Tale connotazione di separatezza e accessorieta' dell'azione
civile secondo la sede, civile o penale, in cui e' proposta, emerge
dal complessivo sistema normativo che ne regola l'esercizio.
Innanzi tutto, il giudizio avente a oggetto le restituzioni o il
risarcimento del danno, ove promosso nella sua sede propria, quella
civile, prosegue autonomamente malgrado la contemporanea pendenza del
processo penale (art. 75, comma 2, cod. proc. pen.), mentre la
sospensione rappresenta l'eccezione, che opera nei limitati casi
previsti dall'art. 75, comma 3, cod. proc. pen. Soprattutto la
separatezza dei due giudizi emerge in termini netti dalla
prescrizione di carattere generale dell'art. 652, comma 1, cod. proc.
pen. che esclude l'efficacia (di giudicato) della sentenza penale di
assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno ove il
danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a
norma dell'art. 75, comma 2, cod. proc. pen.
Invece, l'esercizio, nel giudizio penale, del diritto della parte
civile alla restituzione o al risarcimento del danno, avendo
carattere accessorio, ha un orizzonte piu' limitato, di cui
quest'ultima non puo' non essere consapevole nel momento in cui opta
per far valere le sue pretese civilistiche nella sede penale
piuttosto che in quella civile. Nel fare questa opzione l'eventuale
«impossibilita' di ottenere una decisione sulla domanda risarcitoria
laddove il processo penale si concluda con una sentenza di
proscioglimento per qualunque causa (salvo che nei limitati casi
previsti dall'art. 578 cod. proc. pen.) costituisce [...] uno degli
elementi dei quali il danneggiato deve tener conto nel quadro della
valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi delle due
alternative che gli sono offerte» (sentenza n. 12 del 2016).
Il fulcro di questo sistema e' imperniato sull'art. 538 cod.
proc. pen.: il giudice penale decide sulla domanda per le
restituzioni e il risarcimento del danno se - e solo se - pronuncia
sentenza di condanna dell'imputato, soggetto debitore quanto alle
obbligazioni civili. Il giudice penale, neppure quando emette
sentenza di assoluzione dell'imputato in quanto non imputabile per
vizio totale di mente, puo' pronunciarsi distintamente sulle pretese
restitutorie o risarcitorie della costituita parte civile. E'
sufficiente ricordare in proposito il principio, affermato dalle
sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui il giudice
dinanzi al quale sia stata impugnata una sentenza di condanna
relativa a reato successivamente abrogato, nel dichiarare che il
fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato, deve revocare
anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili
proprio perche' questi non possono non accompagnarsi a una pronuncia
di condanna dell'imputato (Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 29 settembre-7 novembre 2016, n. 46688).
Cio' conferma il carattere accessorio di tali pretese
civilistiche, quando fatte valere nella sede penale. Solo
eccezionalmente era stato previsto, dall'art. 577 cod. proc. pen.,
che la persona offesa, costituita parte civile, potesse proporre
impugnazione anche agli effetti penali contro le sentenze di
proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione (sentenza n.
474 del 1993); facolta' questa che l'art. 9, comma 1, della legge 20
febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in
materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), ha
abrogato. Invece, la contestuale eliminazione nell'art. 576, comma 1,
cod. proc. pen., delle parole «con il mezzo previsto per il pubblico
ministero», a opera dell'art. 6, lettera a), della stessa legge, che,
all'art. 1, aveva escluso che il pubblico ministero potesse appellare
contro le sentenze di proscioglimento - prima che tale disposizione
fosse dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte
(sentenza n. 26 del 2007) - non ha avuto l'effetto di limitare la
facolta' della parte civile di proporre appello, agli effetti della
responsabilita' civile, contro la sentenza di proscioglimento
pronunciata nel giudizio di primo grado (ordinanza n. 32 del 2007;
Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 marzo-12
luglio 2007, n. 27614).
Alla regola generale dell'art. 538 cod. proc. pen., pero', l'art.
578 cod. proc. pen. introduce una deroga. Se il giudice (penale)
dell'impugnazione perviene a una pronuncia dichiarativa
dell'estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, non di
meno decide sull'impugnazione, ai soli effetti delle disposizioni e
dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, quando
nei confronti dell'imputato e' stata pronunciata - con la sentenza
impugnata - la condanna, anche generica, alle restituzioni o al
risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte
civile.
Inoltre, in sede di giudizio di cassazione, quando, infine, i
gradi di merito sono esauriti, la cognizione delle pretese
restitutorie o risarcitorie della parte civile puo' essere, a quel
punto, devoluta al giudice civile. Infatti, l'art. 622 cod. proc.
pen. prescrive che la Corte di cassazione, se annulla solamente le
disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se
accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di
proscioglimento dell'imputato, rinvia, quando occorre, al giudice
civile competente per valore in grado di appello, anche se
l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile.
5.- In questo sistema complessivo, retto da una regola (art. 538
cod. proc. pen.) declinata con eccezioni (artt. 578 e 622 cod. proc.
pen.), la disposizione censurata (art. 576 cod. proc. pen.)
costituisce uno snodo centrale nel regime delle impugnazioni. Se c'e'
stata non gia' la condanna, ma il proscioglimento dell'imputato, che
preclude la strada al possibile riconoscimento delle pretese
restitutorie e risarcitorie della parte civile, la legittimazione di
quest'ultima a proseguire il giudizio non e' illimitata: la parte
civile puo' proporre impugnazione, agli effetti della responsabilita'
civile, contro la sentenza di proscioglimento, solo se pronunciata
nel giudizio (ovvero anche a seguito di giudizio abbreviato quando la
parte civile ha consentito questo rito).
Il comune fondamento dell'ammissibilita' delle impugnazioni si
rinviene nel canone generale dell'art. 568, comma 4, cod. proc. pen.
che prescrive che per proporre impugnazione e' necessario avervi
interesse. Anche la parte civile, per poter proporre l'impugnazione
ai sensi dell'art. 576 cod. proc. pen., deve avervi interesse, nel
senso che deve mirare a conseguire un risultato utile o a evitare un
pregiudizio che altrimenti le deriverebbe dalla pronuncia impugnata.
6.- In proposito, la giurisprudenza della Corte di cassazione e'
gia' intervenuta limando e puntualizzando l'ammissibilita'
dell'impugnazione della parte civile in alcune ipotesi ricadenti, o
no, nella fattispecie tipica del censurato art. 576 cod. proc. pen.
Componendo un contrasto di giurisprudenza, le Sezioni unite
penali hanno affermato che la parte civile e' priva di interesse a
proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento
dell'imputato per l'improcedibilita' dell'azione penale dovuta a
difetto di querela, osservando che, in mancanza di gravame del
pubblico ministero della sentenza di proscioglimento per mancanza di
querela, l'accertamento circa la sussistenza, o meno, dell'atto
condizionante la procedibilita' penale non influisce in alcun modo
sulla posizione processuale del danneggiato, nell'esercizio
dell'azione intesa ad affermare la responsabilita' civile dell'autore
dell'illecito e la sua obbligazione di risarcimento del danno
procurato (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 21
giugno-17 settembre 2012, n. 35599).
Parimenti - si e' gia' ricordato - e' stato ritenuto
inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per
cassazione proposto dalla parte civile, ai soli effetti civili,
avverso una sentenza di assoluzione per un reato abrogato e
qualificato come illecito civile da una normativa sopravvenuta
(Cass., sez. un. pen., n. 46688 del 2016).
Altresi', si e' ritenuta inammissibile l'impugnazione della parte
civile quando la sentenza di proscioglimento, pur pronunciata in
giudizio a seguito di dibattimento, si fondi - ai sensi dell'art. 35
del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468) - sulla condotta riparatoria
dell'imputato (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 2
dicembre 2016-12 gennaio 2017, n. 1359). Cio' perche' tale sentenza
non riveste autorita' di giudicato nel giudizio civile per le
restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce, pertanto,
alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile (Corte
di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 15 gennaio-30 gennaio
2015, n. 4610).
Invece, si e' ritenuto che il giudice di appello, nel dichiarare
l'estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su
impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di
assoluzione a opera della parte civile, puo' condannare l'imputato al
risarcimento dei danni in favore di quest'ultima, la cui impugnazione
e' pertanto ammissibile, atteso che l'art. 576 cod. proc. pen.
conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul
capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione
sul punto (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 11
luglio-19 luglio 2006, n. 25083).
Da ultimo, la giurisprudenza ha ritenuto che «nei confronti della
sentenza di primo grado che dichiari l'estinzione del reato per
intervenuta prescrizione, cosi' come contro la sentenza di appello
che tale decisione abbia confermato, e' ammessa l'impugnazione della
parte civile che lamenti l'erronea applicazione della prescrizione»
(Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 marzo-3
luglio 2019, n. 28911).
7.- Con riferimento a questo quadro normativo e
giurisprudenziale, le questioni sollevate dalla Corte d'appello
rimettente, in relazione ai due evocati parametri (artt. 3 e 111,
secondo comma, Cost., in cui puo' ritenersi contenuto anche il
generico riferimento ai «principi costituzionali di efficienza ed
efficacia della giurisdizione»), convergono verso una censura
unitaria: la legittimazione della parte civile a impugnare la
sentenza di proscioglimento, che gia' l'art. 576 cod. proc. pen.
condiziona al presupposto che essa sia stata «pronunciata nel
giudizio», dovrebbe essere ulteriormente limitata - secondo la Corte
rimettente - quando la vicenda penale in senso stretto si sia
esaurita (nel senso dell'irrevocabilita' della pronuncia assolutoria)
e rimanga, nella sostanza, solo una controversia civile, talche'
l'impugnazione dovrebbe potersi porre al giudice civile piuttosto che
al giudice penale.
Ma, in disparte le oscillazioni giurisprudenziali di cui si e'
detto al precedente punto 6, si ha che nella fattispecie la Corte
d'appello rimettente non dubita affatto della legittimazione della
parte civile a proporre l'impugnazione. E' allora sufficiente
rilevare che, del tutto coerentemente con il descritto impianto
complessivo del regime dell'impugnazione della parte civile, il
legislatore non ha derogato al criterio per cui, essendo stata la
sentenza di primo grado pronunciata da un giudice penale con il
rispetto delle regole processualpenalistiche, anche il giudizio
d'appello e' devoluto a un giudice penale (quello dell'impugnazione)
secondo le norme dello stesso codice di rito.
E, infatti, il giudice dell'impugnazione, lungi dall'essere
distolto da quella che e' la finalita' tipica e coessenziale
dell'esercizio della sua giurisdizione penale, e' innanzi tutto
chiamato proprio a riesaminare il profilo della responsabilita'
penale dell'imputato, confermando o riformando, seppur solo agli
effetti civili, la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo
grado. E' quindi del tutto coerente con l'impianto del codice di rito
che, una volta esercitata l'azione civile nel processo penale, la
pronuncia sulle pretese restitutorie o risarcitorie della parte
civile avvenga in quella sede: pertanto, anche quando l'unica
impugnazione proposta sia quella della parte civile non e'
irragionevole che il giudice d'appello sia quello penale con la
conseguenza che le regole di rito siano quelle del processo penale.
La deviazione da questo paradigma nel caso del giudizio di rinvio
a seguito dell'annullamento, pronunciato dalla Corte di cassazione,
della sentenza ai soli effetti civili, secondo il disposto dell'art.
622 cod. proc. pen., trova la sua giustificazione nella
particolarita' della fase processuale collocata all'esito del
giudizio di cassazione, dopo i gradi (o l'unico grado) di merito,
senza che da cio' possa desumersi l'esigenza di un piu' ampio ricorso
alla giurisdizione civile per definire le pretese restitutorie o
risarcitorie della parte civile che abbia, fin dall'inizio, optato
per la giurisdizione penale.
Su un piano diverso, rileva il lamentato aggravio nei ruoli
d'udienza dei giudici penali dell'impugnazione in una situazione di
elevati carichi di lavoro - denunciato, pur non senza ragione, dalla
Corte rimettente - che richiede adeguati interventi diretti ad
approntare sufficienti risorse personali e materiali, rimessi alle
scelte discrezionali del legislatore in materia di politica
giudiziaria e alla gestione amministrativa della giustizia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 576 del codice di procedura penale, sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione,
dalla Corte d'appello di Venezia con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
