PROCESSO PENALE: incompatibilità del giudice dell’esecuzione.
CORTE COSTITUZIONALE 25 novembre 2021 – 18 gennaio 2022 SENTENZA N. 7
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Incompatibilita' del giudice - Giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione - Omessa previsione - Violazione del principio di terzieta' e imparzialita' del giudice - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - Codice di procedura penale, artt. 34, comma 1 e 623, comma 1, lettera a). - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma.
(GU n.3 del 19-1-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 34, comma
1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale,
promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Verona nel procedimento penale a carico di I. X., con
ordinanza del 20 gennaio 2021, iscritta al n. 65 del registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2021.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 novembre 2021 il Giudice
relatore Giovanni Amoroso;
deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 20 gennaio 2021 (reg. ord. n. 65 del 2021),
il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario
di Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 111 (recte: artt. 3, primo comma, e 111,
secondo comma) della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 34 (in realta': 34, comma 1) e 623, comma
1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in
capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di
rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della
pena - avanzata a seguito della declaratoria di illegittimita'
costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del
trattamento sanzionatorio - annullata dalla Corte di cassazione.
Il giudice a quo, in via subordinata, ha sollevato, in
riferimento ai medesimi parametri costituzionali, questioni di
legittimita' costituzionale nei confronti delle medesime
disposizioni, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' a
partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell'esecuzione
che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della
richiesta di rideterminazione della pena avanzata a seguito della
declaratoria di illegittimita' costituzionale ad opera della sentenza
della Corte costituzionale n. 40 del 2019, dell'art. 73, comma l, del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza),
annullata dalla Corte di cassazione.
1.1.- In punto di fatto, il rimettente riferisce di procedere nei
confronti di una persona (detenuta in carcere, al momento della
proposizione delle questioni di legittimita' costituzionale),
condannata in ordine al reato di cui agli artt. 73, comma 1, e 80 del
d.P.R. n. 309 del 1990 - con sentenza emessa ai sensi dell'art. 444
cod. proc. pen., dal GIP, in persona del medesimo rimettente,
divenuta irrevocabile l'11 gennaio 2019 - alla pena di anni quattro,
mesi dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa, in relazione alla
detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo
cocaina del peso complessivo di 8.216 grammi.
In particolare, il rimettente da' atto che l'accordo, raggiunto
dalle parti e cristallizzato con la sentenza emessa ex art. 444 cod.
proc. pen., era stato articolato come segue: riconosciute le
attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante in
ragione dell'incensuratezza e del ruolo di mero corriere, pena base
anni nove, mesi nove di reclusione ed euro 45.000 di multa, ridotta
per le attenuanti prevalenti ad anni sei, mesi sei, di reclusione ed
euro 30.000 di multa, ridotta per il rito ad anni quattro, mesi dieci
di reclusione ed euro 25.000 di multa.
Il giudice a quo riferisce, poi, che con istanza presentata il 12
aprile 2019, il condannato ha proposto incidente di esecuzione,
assegnato al medesimo giudice rimettente, per ottenere la
rideterminazione della pena oggetto della suddetta sentenza di
patteggiamento in quanto, dopo la formazione del giudicato, la Corte
costituzionale, con sentenza n. 40 del 2019, ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1, del d.P.R. n.
309 del 1990, nella parte in cui prevede la pena minima edittale
della reclusione nella misura di otto anni anziche' di sei anni.
Secondo il ricorrente era possibile riproporzionare la pena
patteggiata. Infatti, ponendo quale base di calcolo il minimo
edittale risultante dalla citata sentenza costituzionale (anni sei di
reclusione), cui addizionare la stessa percentuale in aumento
individuata nell'accordo di applicazione della pena, si poteva
fissare la pena base in anni sette, mesi nove di reclusione ed euro
45.000 di multa. Poi, ritenute le attenuanti in regime di prevalenza
rispetto alla contestata aggravante, la pena si riduceva ad anni
cinque, mesi due di reclusione ed euro 30.000 di multa, pena
ulteriormente ridotta per il rito a quella finale di anni tre, mesi
cinque, giorni dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa.
Il pubblico ministero, esaminata l'istanza, in data 15 aprile
2019 ha prestato per iscritto il «consenso per pena base anni 7 mesi
6 di reclusione (resto del calcolo come da sentenza)», ma all'udienza
del 30 gennaio 2020, fissata ex art. 666 cod. proc. pen. non essendo
stato raggiunto l'accordo tra le parti sulla rideterminazione della
pena, la difesa del condannato ha insistito per l'accoglimento del
ricorso.
Il rimettente, pero', con ordinanza adottata alla medesima
udienza, ha rigettato la richiesta di rideterminazione della pena,
rilevando «che il condannato trasportava un quantitativo ingente di
cocaina, tanto che il fatto era contestato come aggravato ex art. 80
DPR 309/90, precisamente ben 8,2 chili di cocaina con principio
attivo pari a 5793 grammi (quasi sei chili), un fatto di allarmante
gravita' per il quale, nella sentenza, si erano riconosciute
attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e si
erano prese le mosse da una pena base ampiamente superiore a quello
che all'epoca era il minimo edittale di otto anni di pena detentiva,
ritenuto incongruo per difetto, in particolare essendosi prese le
mosse dalla pena base di anni nove mesi nove di reclusione; pena base
che, come argomentato nell'ordinanza, si riteneva dovesse essere
tenuta ferma anche a seguito del citato intervento della Corte
Costituzionale».
L'ordinanza di rigetto e' stata impugnata con ricorso per
cassazione dal difensore del condannato, il quale ha censurato
l'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 132, 133 e 133-bis
del codice penale e dell'art. 125 cod. proc. pen. (ai sensi all'art.
606, comma 1, lettera b, cod. proc. pen.) e la contraddittorieta' e
manifesta illogicita' della motivazione (ai sensi all'art. 606, comma
1, lettera e, cod. proc. pen.).
Successivamente, la Corte di cassazione (sezione prima penale,
sentenza 16 luglio-4 settembre 2020, n. 25097), in accoglimento del
ricorso, ha annullato l'ordinanza impugnata, con rinvio «per nuovo
giudizio al Tribunale di Verona, Ufficio GIP», ritenendo che, a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, il
principio della cosiddetta flessibilita' del giudicato imponesse la
rideterminazione della pena, da ritenersi illegale anche la' dove
formalmente rientrante nella cornice edittale della «norma
ripristinata»; ha escluso criteri di tipo matematico proporzionale o
automatismi tali da replicare le scelte operate originariamente nella
fase di cognizione; ha affermato che il giudice deve rideterminare la
pena utilizzando i criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.
secondo i canoni dell'adeguatezza e della proporzionalita' che
tengano conto del nuovo quadro edittale; infine, ha concluso nel
senso che la riduzione della pena e' necessaria nell'an,
sviluppandosi la discrezionalita' giudiziale nel solo quantum,
secondo i criteri previsti dagli artt. 132 e 133 cod. pen.
Il rimettente riferisce, poi, che il giudizio di rinvio gli
veniva nuovamente assegnato in applicazione dell'art. 623, comma 1,
lettera a), cod. proc. pen., per il quale «se e' annullata
un'ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti siano
trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede
uniformandosi alla sentenza di annullamento».
1.2.- In punto di rilevanza, il rimettente precisa che, chiamato
a pronunciarsi nuovamente sulla questione, «non potrebbe che ribadire
le proprie valutazioni, gia' operate nell'ordinanza annullata»,
stante la spiccata gravita' in concreto del fatto (trasporto di oltre
otto chili di cocaina, con principio attivo di quasi sei chili);
fatto rispetto al quale egli ha gia' ritenuto del tutto congrua la
pena detentiva di anni quattro e mesi dieci di reclusione,
originariamente applicata con la sentenza ex art. 444 cod. proc.
pen., pur a fronte della cornice edittale modificata a seguito della
richiamata pronuncia di illegittimita' costituzionale.
Quindi - afferma il rimettente - egli, dovendosi uniformare alla
sentenza di annullamento, sarebbe portato ad operare, nei confronti
del condannato, una riduzione di pena assolutamente minima.
1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo
osserva che il giudice dell'esecuzione, chiamato a pronunciarsi su
un'istanza di rideterminazione della pena oggetto di giudicato a
fronte della sopravvenuta declaratoria di illegittimita'
costituzionale di una norma considerata in sede di cognizione
incidente sul trattamento sanzionatorio, come nel caso di specie,
deve esercitare penetranti poteri di valutazione di merito.
A tal riguardo il rimettente richiama la giurisprudenza di
legittimita', secondo cui il giudice dell'esecuzione, nel procedere
all'intervento «correttivo», puo' avvalersi di penetranti poteri di
accertamento e di valutazione conferitigli dalla legge, non potendo
operare una mera trasposizione matematica del giudizio formulato in
sede di cognizione entro la nuova cornice edittale, ma dovendo
formulare un nuovo giudizio commisurativo, da operare alla stregua
dei principi di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., tenendo conto
della cornice edittale «ripristinata».
Pertanto, il rimettente ritiene che a decidere sul giudizio di
rinvio, a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione
dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di rideterminazione della
pena, non debba e non possa essere il medesimo giudice-persona
fisica, che si sia gia' espresso nell'ordinanza annullata, con le
proprie «penetranti poteri di valutazione di merito», su un aspetto
fondamentale quale e' quello della quantificazione della pena.
L'art. 111, secondo comma, Cost., infatti, prescrive che il
giudice sia terzo e imparziale, mentre non e' terzo e imparziale quel
giudice che dopo essersi pronunciato su una questione esprimendo un
giudizio di merito, in particolare un giudizio attinente alla
commisurazione della pena, venga nuovamente chiamato a decidere la
medesima questione. Sussisterebbe, dunque, il contrasto con il
principio dell'imparzialita' e terzieta' del giudice posto
dall'evocato parametro costituzionale.
Le disposizioni censurate contrasterebbero anche con l'art. 3,
primo comma, Cost., sotto il profilo dell'ingiustificata disparita'
di trattamento tra le fasi della cognizione e dell'esecuzione,
laddove si tratti di decisioni attinenti alla commisurazione della
pena.
Sotto tale profilo, il rimettente, a sostegno della non manifesta
infondatezza, richiama la sentenza n. 183 del 2013 con cui questa
Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 34,
comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nella parte in
cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio
dopo l'annullamento, il giudice che ha pronunciato o concorso a
pronunciare ordinanza di accoglimento o di rigetto della richiesta di
applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato
e del concorso formale, ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen.
Ad avviso del giudice a quo, le argomentazioni ivi contenute, in
riferimento alla violazione degli artt. 3 e 111 Cost., valgono anche
nel caso in esame, a fronte di quella «penetrante valutazione di
merito» attinente al fondamentale aspetto della quantificazione della
pena, che e' demandata al giudice dell'esecuzione (anche) in caso di
istanza di rideterminazione della stessa per sopravvenuta
declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma incidente
sul trattamento sanzionatorio.
2.- Con atto depositato in data 8 giugno 2021, e' intervenuto nel
giudizio di legittimita' costituzionale il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo a questa Corte di dichiarare inammissibili e,
comunque, non fondate le questioni.
La difesa dello Stato osserva che l'art. 623 cod. proc. pen.
indica il giudice competente a pronunciarsi nei casi di annullamento
con rinvio da parte della Corte di cassazione e, solo nei casi
tassativamente previsti dalle lettere c) e d), relativi
all'annullamento di una sentenza, stabilisce espressamente che deve
trattarsi di altra sezione o di giudice diverso da quello che ha
pronunciato la sentenza annullata; nel caso in cui venga annullata
una ordinanza, gli atti vanno trasmessi al giudice che l'ha
pronunciata, e in assenza di una specifica previsione della
diversita', deve ritenersi che puo' essere anche la stessa persona
fisica che ha emesso il precedente provvedimento.
L'Avvocatura, richiamando le pronunce della Corte di cassazione -
sia con riferimento ai provvedimenti in materia "de libertate",
laddove si e' ribadito che la disciplina dell'incompatibilita' deve
essere circoscritta «ai casi di duplicita' del giudizio di merito
sullo stesso oggetto», sia con specifico riguardo ai provvedimenti di
archiviazione - afferma che l'art. 623 cod. proc. pen. non presenta
profili di criticita' in relazione ai parametri costituzionali
invocati dal rimettente, cosi' come non li presenta l'art. 34 cod.
proc. pen.
Osserva la difesa dello Stato che il giudice dell'esecuzione, pur
avendo penetranti poteri di merito ai fini della commisurazione della
pena, non e' chiamato ad esprimere valutazioni sulla responsabilita'
dell'imputato, diversamente da quanto accade in caso di
riconoscimento della continuazione e del concorso formale, cui
accede, in via conseguenziale, l'applicazione del piu' mite
trattamento sanzionatorio, che trova giustificazione nel fatto che la
riprovevolezza complessiva dell'agente viene ritenuta minore rispetto
ai normali casi di concorso di reati, in ragione dell'accertata
unicita' del disegno criminoso o dell'unicita' della condotta.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 20 gennaio 2021 (reg. ord. n. 65 del 2021),
il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario
di Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 111 (recte: artt. 3, primo comma, e 111,
secondo comma) della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 34 (in realta': 34, comma 1) e 623, comma
1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in
capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di
rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della
pena a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale di
una norma incidente sulla commisurazione del trattamento
sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione.
1.1.- Al fine di individuare esattamente il petitum del giudizio
incidentale, occorre infatti precisare che, benche' nell'ordinanza e
nel dispositivo il giudice a quo abbia fatto riferimento all'intero
art. 34 cod. proc. pen., il sospetto di illegittimita' costituzionale
ha ad oggetto, come chiaramente si evince dalla complessiva
motivazione dell'ordinanza di rimessione, il solo comma 1 della
norma.
In via subordinata, il giudice a quo ha sollevato, in riferimento
ai medesimi parametri costituzionali, questioni di legittimita'
costituzionale delle stesse disposizioni, nella parte in cui non
prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di rinvio in
capo al giudice dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di
rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della
pena a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale,
ad opera della sentenza n. 40 del 2019 di questa Corte, dell'art. 73,
comma l, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi
in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza), annullata dalla Corte di cassazione.
1.2.- Quanto alla vicenda processuale del giudizio a quo, il
rimettente afferma di aver emesso, ai sensi dell'art. 444 cod. proc.
pen., sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti,
passata in giudicato l'11 gennaio 2019, nei confronti del ricorrente
- detenuto in carcere, al momento della proposizione dell'incidente
di legittimita' costituzionale - per il reato di cui agli artt. 73,
comma 1, e 80 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Il rimettente riferisce che il condannato ha proposto incidente
di esecuzione - che veniva assegnato al medesimo giudice a quo - al
fine di ottenere la rideterminazione della pena patteggiata in
quanto, dopo la formazione del giudicato, questa Corte, con la citata
sentenza n. 40 del 2019, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990,
nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione
nella misura di otto anni, anziche' di sei anni. A sostegno della
istanza, il ricorrente ha invocato la giurisprudenza di legittimita'
che ha affermato il principio secondo cui e' illegale la pena
applicata con la sentenza in esecuzione, in forza della norma
dichiarata costituzionalmente illegittima.
Dopo aver fissato, ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen.,
l'udienza per la rinegoziazione della pena, non avendo le parti
raggiunto l'accordo, il giudice a quo riferisce di aver rigettato,
con ordinanza, la richiesta di nuova commisurazione della pena, in
quanto il condannato si era reso colpevole di un fatto di allarmante
gravita', in relazione al quale la pena base, originariamente fissata
nella misura di anni nove e mesi nove di reclusione, doveva essere
tenuta ferma anche dopo la gia' citata sentenza della Corte
costituzionale.
Il difensore del condannato ha, quindi, impugnato l'ordinanza di
rigetto proponendo ricorso innanzi alla corte di cassazione che ha
annullato l'ordinanza impugnata, disponendo il «rinvio per nuovo
giudizio al Tribunale di Verona, Ufficio GIP» (Corte di cassazione,
sezione prima penale, sentenza 16 luglio-4 settembre 2020, n. 25097).
Il giudizio di rinvio e' stato assegnato al medesimo giudice,
persona fisica, in applicazione della disposizione di cui all'art.
623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., secondo cui «se e'
annullata un'ordinanza, la Corte di cassazione dispone che gli atti
siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede
uniformandosi alla sentenza di annullamento».
1.3.- Il rimettente - richiamando la giurisprudenza di
legittimita' in ordine ai poteri/doveri del giudice dell'esecuzione
per la rideterminazione della pena nei casi, come quello in esame, in
cui vengono in rilievo gli effetti della sentenza n. 40 del 2019 di
questa Corte - ritiene che, a seguito di annullamento da parte della
Corte di cassazione dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di
rideterminazione della pena, non possa essere il medesimo
giudice-persona fisica, che si sia gia' espresso, nell'ordinanza
annullata dalla Corte di cassazione, a decidere nel giudizio di
rinvio su un aspetto fondamentale, qual e' quello della
quantificazione della pena, che implica «penetranti poteri di
valutazione di merito».
Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate contrasterebbero
con l'art. 3, primo comma, Cost., perche', quanto al regime
dell'incompatibilita' del giudice, determinano una ingiustificata
disparita' di trattamento tra le fasi della cognizione e
dell'esecuzione, ove si tratti di decisioni attinenti alla
commisurazione della pena.
Inoltre, secondo il rimettente, sarebbe violato anche l'art. 111,
secondo comma, Cost., in quanto le disposizioni censurate, nella
parte in cui non prevedono l'incompatibilita' per il caso
considerato, si porrebbero in contrasto con il principio di
imparzialita' e di terzieta' del giudice.
2.- Va, preliminarmente, ritenuta la rilevanza delle questioni e
quindi la loro ammissibilita'.
2.1.- In primo luogo, il rimettente richiama l'orientamento
consolidato della giurisprudenza di legittimita', secondo cui il
giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena nel caso di
dichiarazione di illegittimita' costituzionale di norme incidenti
sulla stessa, non ancora interamente espiata.
L'esigenza di non lasciare senza rimedio l'illegalita', lato
sensu intesa, della condanna o del trattamento sanzionatorio, anche
se oggetto di res iudicata, e' all'origine della elaborazione del
principio della cosiddetta flessibilita' del giudicato, secondo il
quale quando dopo una sentenza irrevocabile di condanna sopravviene
la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale di una norma penale
diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del
trattamento sanzionatorio, e quest'ultimo non sia stato interamente
eseguito, il giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena in
favore del condannato (Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 29 maggio-14 ottobre 2014, n. 42858).
L'efficacia del giudicato penale, quindi, non implica
l'immodificabilita', in assoluto, del trattamento sanzionatorio
stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna, nei casi in cui
la pena debba subire modificazioni imposte dal sistema a tutela dei
diritti primari della persona.
Del resto, sotto il profilo della «ampiezza dei poteri ormai
riconosciuti dall'ordinamento processuale» al giudice
dell'esecuzione, questa Corte ha affermato che ben puo' tale giudice
essere investito anche della istanza volta ad ottenere l'adeguamento
a una decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo, che
accerta l'illegalita' convenzionale della pena (sentenza n. 210 del
2013).
Consegue da cio' che, nella fattispecie in esame, il giudice
rimettente, quale giudice dell'esecuzione, doveva - e deve tuttora in
sede di giudizio di rinvio - procedere alla rideterminazione della
pena, quale operazione resasi necessaria a seguito della citata
sentenza n. 40 del 2019.
A tal fine, il giudice rimettente ha fatto applicazione, in
particolare, dello schema processuale di cui all'art. 188 del decreto
legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) - in tema
di concorso formale e reato continuato nel caso di piu' sentenze di
applicazione della pena su richiesta delle parti - secondo le
indicazioni della giurisprudenza di legittimita' (Corte di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 7-21 luglio 2020, n.
21815).
Pertanto, in assenza dell'accordo delle parti sulla
rinegoziazione della pena, il rimettente, attivando i propri poteri
di ufficio, l'ha inizialmente rideterminata, ma confermando - con
l'ordinanza poi annullata dalla Corte di cassazione con rinvio al
medesimo giudice - quella originariamente inflitta con la sentenza
emessa ex art. 444 cod. proc. pen.
2.2.- Non esclude la rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale la circostanza - evidenziata dal rimettente - che,
nelle more del giudizio di costituzionalita', «il condannato
terminera' di espiare la pena inflitta con la sentenza in esecuzione,
allo stato non ancora "rideterminata", alla data del 1.10.2021».
L'incidente di legittimita' costituzionale e', infatti, scaturito
dalla richiesta del condannato di rideterminazione della pena, in
ordine ad un trattamento sanzionatorio non ancora definitivamente
espiato, che ha determinato l'obbligo per il rimettente, nella
funzione di giudice del rinvio, di procedere ad una nuova
commisurazione della pena.
Percio' l'integrale espiazione del trattamento sanzionatorio
durante la pendenza del giudizio di legittimita' costituzionale - in
disparte ogni profilo attinente alla riparazione da ingiusta
detenzione - non incide sulla perdurante rilevanza delle questioni
prospettate in quanto l'art. 21 delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis, reca «un
principio generale di autonomia del giudizio incidentale di
costituzionalita', che come tale non risente delle vicende di fatto
successive all'ordinanza di rimessione (ex multis, sentenza n. 270
del 2020); sicche' la rilevanza delle questioni rispetto alla
decisione del processo a quo deve essere vagliata ex ante, con
riferimento al momento della prospettazione delle questioni stesse
(sentenza n. 84 del 2021)» (sentenza n. 127 del 2021).
2.3.- Va altresi' considerato che l'ordinanza di rimessione -
«recando una formale e testuale qualificazione delle due questioni
sollevate, rispettivamente, come "principale" (la prima) e
"subordinata" (la seconda)» - mostra, con chiara evidenza, il nesso
sequenziale che ne caratterizza la prospettazione e che esclude ogni
connotazione ancipite del petitum (sentenza n. 152 del 2020).
3.- Deve poi rilevarsi come il rimettente muova da una corretta
premessa ermeneutica nell'affermare che le norme censurate vanno
interpretate nel senso che il giudizio di rinvio, a seguito
dell'annullamento dell'ordinanza di rideterminazione della pena da
parte della Corte di cassazione, possa essere celebrato innanzi allo
stesso giudice, persona fisica, che ha pronunciato l'ordinanza
impugnata.
Nella fattispecie in esame, con norma speciale rispetto all'art.
34, comma 1, cod. proc. pen., l'art. 623, comma 1, lettera a), cod.
proc. pen., prevede che, in riferimento al giudizio di rinvio, «se e'
annullata un'ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti
siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede
uniformandosi alla sentenza di annullamento».
Parimenti, lo stesso art. 623, comma 1, cod. proc. pen., alla
lettera d), prevede che «se e' annullata la sentenza di un tribunale
monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di
cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo
tribunale»; ma aggiunge: «tuttavia, il giudice deve essere diverso da
quello che ha pronunciato la sentenza annullata».
Quest'ultima prescrizione, presente nella lettera d) e non anche
nella lettera a) - quella secondo cui il giudice deve essere diverso
da quello che ha pronunciato la sentenza annullata -, conferma la
correttezza del presupposto interpretativo del giudice rimettente:
ove oggetto di annullamento sia un'ordinanza e non gia' una sentenza,
non opera tale piu' specifica prescrizione.
Del resto, al riguardo, va anche evidenziato che questa Corte
nella sentenza n. 183 del 2013 - dichiarativa della illegittimita'
costituzionale delle medesime disposizioni oggi censurate, nella
parte in cui non prevedevano che non potesse partecipare al giudizio
di rinvio dopo l'annullamento il giudice che avesse pronunciato o
concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o di rigetto della
richiesta di applicazione, in sede esecutiva, della disciplina del
reato continuato, ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen. - ha
affermato che la premessa interpretativa da cui partiva allora il
rimettente, analoga a quella da cui muove attualmente l'odierno
rimettente, fosse «oggettivamente conforme al dato normativo e
comunque rispondente al corrente orientamento della giurisprudenza di
legittimita', cosi' da poter essere assunta quale "diritto vivente"».
4.- Passando all'esame del merito, giova ricordare, in estrema
sintesi, il contesto normativo e giurisprudenziale in cui si
collocano le sollevate questioni di legittimita' costituzionale.
4.1.- La vicenda processuale da cui scaturisce l'incidente di
legittimita' costituzionale trae origine da una fattispecie, del
tutto peculiare, determinata dalla sentenza di questa Corte n. 40 del
2019, che ha dichiarato, in riferimento alla violazione degli artt. 3
e 27 Cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1,
del d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui prevedeva la pena
minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziche'
di sei anni.
In tale pronunzia, questa Corte - nel solco gia' tracciato dalla
sentenza n. 179 del 2017, recante «un pressante auspicio affinche' il
legislatore proceda rapidamente a soddisfare il principio di
necessaria proporzionalita' del trattamento sanzionatorio» - ha
osservato che la divaricazione di quattro anni, determinatasi a
seguito del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in
tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione
controllata della popolazione carceraria), convertito, con
modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, tra il minimo
edittale di pena previsto per i fatti non lievi connessi al traffico
di stupefacenti (pari ad otto anni di reclusione) e il massimo
edittale della pena comminata dal comma 5 del medesimo art. 73 per i
fatti lievi (pari a quattro anni di reclusione), costituisse
un'anomalia sanzionatoria in contrasto con i principi di eguaglianza,
proporzionalita' e ragionevolezza, oltre che con il principio di
rieducazione della pena.
A seguito di tale dichiarazione di illegittimita' costituzionale,
"sostitutiva" del minimo della cornice edittale del reato di traffico
di sostanze stupefacenti, i condannati per tale reato, anche a
seguito di patteggiamento, hanno avuto la facolta' di richiedere, nel
corso della espiazione della pena originariamente inflitta,
l'applicazione del trattamento sanzionatorio piu' mite sicche' i
giudici dell'esecuzione sono stati investiti - come nel caso di
specie - di richieste di nuova commisurazione della pena.
4.2.- Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal
rimettente attengono, in particolare, all'ambito di operativita'
delle cause di incompatibilita', disciplinate dall'art. 34 cod. proc.
pen., del quale, nel caso di specie, rileva il comma 1.
Da tale norma sono disciplinate le incompatibilita' che attengono
alla progressione "in verticale" del processo, determinata
dall'articolazione e dalla sequenzialita' dei diversi gradi di
giudizio.
Vi sono poi i casi di incompatibilita' relativi allo sviluppo
"orizzontale" del processo, attinenti, cioe', alla relazione tra la
fase del giudizio e quella immediatamente precedente (art. 34, comma
2, cod. proc. pen.), e i casi di incompatibilita' del giudice,
derivanti dall'aver esercitato, nel medesimo procedimento, altre
funzioni o uffici (art. 34, comma 3, cod. proc. pen.).
Con specifico riferimento alla disposizione di cui all'art. 34,
comma 1, cod. proc. pen., questa Corte ha affermato che essa
«dettando la regola primaria in tema di incompatibilita' del giudice
determinata da atti compiuti nel procedimento, delinea una
incompatibilita' di tipo "verticale" - in senso tanto "ascendente"
quanto "discendente" - escludendo segnatamente che il giudice che ha
pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in un grado del
procedimento possa esercitare funzioni di giudice negli altri gradi,
ovvero partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento o al
giudizio per revisione» (sentenza n. 224 del 2001).
Tale norma, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza
di questa Corte, mira ad assicurare la tutela del principio
fondamentale dell'imparzialita' del giudice, obiettivo cui tendono
anche gli istituti dell'astensione e della ricusazione.
Come affermato da questa Corte (sentenza n. 131 del 1996), il
"giusto processo" comprende l'esigenza di imparzialita' del giudice,
la quale non e' che «un aspetto di quel carattere di "terzieta'" che
connota nell'essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la
posizione del giudice, distinguendola da quella di tutti gli altri
soggetti pubblici, e condiziona l'effettivita' del diritto di azione
e di difesa in giudizio»; pertanto - ha sottolineato questa Corte -
«[l]e norme sulla incompatibilita' del giudice sono funzionali al
principio di imparzialità-terzieta' della giurisdizione e cio' ne
chiarisce il rilievo costituzionale».
In questa prospettiva, la disciplina sulla incompatibilita' del
giudice e' volta a evitare che la decisione sul merito della causa
possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione"
- ovvero dalla naturale propensione a confermare una decisione gia'
presa o a mantenere un atteggiamento gia' assunto - derivante da
valutazioni che il giudice abbia precedentemente svolto in ordine
alla medesima res iudicanda (ex plurimis, sentenze n. 66 del 2019, n.
18 del 2017, n. 183 del 2013, n. 153 del 2012, n. 177 del 2010, n.
224 del 2001, n. 283 del 2000 e n. 241 del 1999).
E perche' possa configurarsi una situazione di incompatibilita',
nel senso della esigenza costituzionale della relativa previsione, e'
necessario che la valutazione «contenutistica» sulla medesima res
iudicanda si collochi in una precedente e distinta fase del
procedimento, rispetto a quella della quale il giudice e' attualmente
investito (sentenza n. 66 del 2019).
A tal riguardo, si e' costantemente affermato che «[e'] del tutto
ragionevole, infatti, che, all'interno di ciascuna delle fasi -
intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare
apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse
risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti, in ogni caso,
preservata l'esigenza di continuita' e di globalita', venendosi
altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento,
che implicherebbe la necessita' di disporre, per la medesima fase del
giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere
(ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e n. 131 del 1996;
ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del 2004, n. 370 del 2000,
n. 232 del 1999)» (sentenza n. 18 del 2017).
In pronunce piu' risalenti, questa Corte ha anche chiarito che
non e' sufficiente per determinare una situazione di incompatibilita'
la semplice conoscenza degli atti anteriormente compiuti riguardanti
lo svolgimento del processo, ma occorre che il giudice sia stato
chiamato a compiere "una valutazione non formale, di contenuto" di
essi, strumentale alla decisione da assumere che riguardi il merito
dell'accusa (sentenza n. 177 del 2010; nello stesso senso, ex multis,
sentenze n. 153 del 2012 e n. 131 del 1996).
5.- Cio' premesso, le questioni sono, nel merito, fondate.
La mancata previsione dell'incompatibilita' del giudice
dell'esecuzione, persona fisica, che abbia pronunciato l'ordinanza
sulla richiesta di rideterminazione della pena proposta a seguito
della declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma
incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, poi
annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, confligge con
entrambi i parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 3, primo
comma, e 111, secondo comma, Cost.).
6.- La regola generale di incompatibilita' del giudice che abbia
gia' compiuto atti nel procedimento e' posta dall'art. 34 cod. proc.
pen., che ne definisce termini e limiti, e che, in particolare,
stabilisce al comma 1 che il giudice che ha pronunciato o ha concorso
a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non puo'
partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento.
Questa regola poi e' declinata piu' specificamente dall'art. 623
cod. proc. pen. che, con riferimento alla pronuncia di annullamento
con rinvio a seguito del giudizio di cassazione, prevede - alle
lettere b), c) e d) - i vari casi di annullamento della sentenza
impugnata, indicando il giudice competente per il giudizio di rinvio.
Se e' annullata una sentenza di un giudice collegiale (corte di
assise di appello o corte di appello o corte di assise o tribunale in
composizione collegiale) il giudizio e' rinviato rispettivamente a
un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in
mancanza, alla corte o al tribunale piu' vicini.
Se e' annullata una sentenza di un giudice monocratico (tribunale
in composizione monocratica o giudice per le indagini preliminari) il
giudizio e' rinviato al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere
diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
Ove invece sia annullata un'ordinanza, il medesimo art. 623,
comma 1, cod. proc. pen., alla lettera a), detta una regola diversa.
Prevede che la Corte di cassazione dispone che gli atti siano
trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede
uniformandosi alla sentenza di annullamento, senza che sia prescritto
- come nella successiva lettera d) con riferimento alla sentenza di
un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari
- che il giudice, se monocratico, debba essere diverso da quello che
ha pronunciato l'ordinanza annullata.
Vi e', in particolare, che l'ordinanza e' il tipico provvedimento
decisorio del giudice nel procedimento di esecuzione (art. 666, comma
6, cod. proc. pen.); il quale ha caratteristiche e peculiarita' ben
distinte dal procedimento di cognizione. Il giudice dell'esecuzione
esercita un'attivita' pur sempre giurisdizionale, ma entro confini
limitati, quali sono in particolare quelli del giudicato formatosi in
sede di cognizione.
E', in generale, nell'attivita' della cognizione che il giudice
del rinvio, in caso di annullamento pronunciato dalla Corte di
cassazione, e' esposto alla forza della prevenzione insita nel
condizionamento per aver egli adottato il provvedimento impugnato.
Ma cio' accade anche quando nel procedimento di esecuzione il
giudice del rinvio, al pari del giudice dell'ordinanza annullata, e'
chiamato a una valutazione che travalica la stretta esecuzione del
giudicato e attinge, in via eccezionale, il livello della cognizione;
ossia quando al giudice dell'esecuzione e' demandato un «frammento di
cognizione inserito nella fase di esecuzione penale» (sentenza n. 183
del 2013).
7.- Si ha, infatti, che il giudice dell'esecuzione - in caso di
annullamento dell'ordinanza pronunciata sulla commisurazione della
pena, a seguito di istanza di rideterminazione della stessa proposta
dal condannato in ragione della dichiarazione di illegittimita'
costituzionale che, riguardando la misura della pena edittale, rende
recessivo, in questa parte, il giudicato penale - e' chiamato a
esprimersi nuovamente sulla medesima istanza.
In tale evenienza il giudice dell'esecuzione, nel giudizio di
rinvio conseguente all'annullamento dell'ordinanza con cui egli
stesso si e' gia' pronunciato sulla rideterminazione della pena, e'
nuovamente investito della decisione circa la "misura" della
responsabilita' del condannato, dovendo a tal fine esercitare
incisivi poteri di merito, volti alla rivalutazione sanzionatoria del
fatto illecito, alla luce del nuovo e piu' favorevole minimo
edittale.
Non si tratta di una operazione da condurre alla stregua di
criteri oggettivi, di mero riproporzionamento automatico della pena
gia' quantificata in sede di cognizione, nell'ambito della diversa
cornice edittale, in quanto - come riconosciuto dalla giurisprudenza
di legittimita' (ex multis, Corte di cassazione, sezione prima
penale, sentenza 3 marzo-30 aprile 2020, n. 13453) - il giudice deve
effettuare una nuova valutazione alla stregua dei parametri di cui
agli artt. 132 e 133 cod. pen., per assicurare la finalita'
rieducativa della pena ai sensi dell'art. 27 Cost.
Ed e' proprio nella prospettiva della finalita' rieducativa della
sanzione penale, che il giudice dell'esecuzione procede alla
necessaria riduzione della pena, perche' la modifica sopravvenuta del
minimo edittale rende non adeguata al fatto concreto una sanzione
calcolata quando la previsione edittale per quel reato - nel caso di
specie, per il reato di cui all'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309
del 1990 - era, nel minimo, sensibilmente piu' elevata (otto anni di
reclusione invece di sei).
Quando sopravviene la dichiarazione della illegittimita'
costituzionale di una norma che incide sul trattamento sanzionatorio
- di cui la sentenza n. 40 del 2019 costituisce una tipica
fattispecie - il giudice dell'esecuzione, dovendo far ricorso ai
parametri di cui all'art. 133 cod. pen., "ritorna" sulla valutazione
del fatto illecito, gia' compiuta in sede di cognizione, occupandosi
nuovamente della gravita' del reato.
Al pari del giudice della cognizione, dunque, il giudice
dell'esecuzione, in sede di giudizio di rinvio in relazione al caso
considerato, esercita un potere discrezionale di commisurazione della
pena per adeguare la risposta punitiva al fatto concreto, che, per
effetto della dichiarazione di illegittimita' costituzionale della
pena, ha assunto un diverso disvalore.
Del resto, questa Corte ha affermato che «"l'individualizzazione"
della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva entita' e delle
specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale
attuazione e sviluppo di principi costituzionali» cosi' da rendere
«quanto piu' possibile "personale" la responsabilita' penale, nella
prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma; [...] e quanto piu'
possibile "finalizzata" nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma,
Cost.» (sentenza n. 50 del 1980).
8.- Si ha, allora, che l'apprezzamento demandato al giudice in
sede di rinvio assume, con riferimento alla individuazione del
"giusto" trattamento sanzionatorio, la natura di «giudizio» che, in
quanto tale, integra il «secondo termine della relazione di
incompatibilita' [...], espressivo della sede "pregiudicata"
dall'effetto di "condizionamento" scaturente dall'avvenuta adozione
di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda» (sentenza
n. 183 del 2013).
A tal proposito, questa Corte ha affermato che «la locuzione
"giudizio" e' di per se' tale da comprendere qualsiasi tipo di
giudizio, cioe' ogni processo che in base ad un esame delle prove
pervenga ad una decisione di merito» (ordinanza n. 151 del 2004).
Pertanto, e' un «"giudizio" contenutisticamente inteso, [...]
ogni sequenza procedimentale - anche diversa dal giudizio
dibattimentale - la quale, collocandosi in una fase diversa da quella
in cui si e' svolta l'attivita' "pregiudicante", implichi una
valutazione sul merito dell'accusa, e non determinazioni incidenti
sul semplice svolgimento del processo, ancorche' adottate sulla base
di un apprezzamento delle risultanze processuali» (sentenza n. 224
del 2001).
La valutazione complessiva del fatto illecito, che compete al
giudice dell'esecuzione nell'attivita' di commisurazione della pena,
resa necessaria a seguito di una pronuncia di illegittimita'
costituzionale, presenta, pertanto, tutte le caratteristiche del
"giudizio" per come delineate dalla giurisprudenza di questa Corte.
Sicche', in sede di rinvio dopo l'annullamento da parte della Corte
di cassazione, il giudice dell'esecuzione - per essere «terzo e
imparziale» (art. 111, secondo comma, Cost.) - deve essere persona
fisica diversa dal giudice che, in precedenza, si e' gia' pronunciato
con l'impugnata (e annullata) ordinanza sulla richiesta di nuova
determinazione della pena.
In sostanza, ogni qual volta il giudice deve provvedere sulla
richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di
illegittimita' costituzionale di una norma incidente sulla
commisurazione del trattamento sanzionatorio, deve trovare
applicazione una regola analoga a quella posta dall'art. 623, comma
1, lettera d), cod. proc. pen., secondo cui «se e' annullata la
sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini
preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano
trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia, il giudice deve essere
diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata».
9.- Gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc.
pen., vanno pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella
parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere
diverso - nel senso di persona fisica diversa - da quello che ha
pronunciato l'ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della
pena a seguito di declaratoria di illegittimita' costituzionale di
una norma incidente sulla commisurazione del trattamento
sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 34, comma 1,
e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere
diverso da quello che ha pronunciato l'ordinanza sulla richiesta di
rideterminazione della pena, a seguito di declaratoria di
illegittimita' costituzionale di una norma incidente sulla
commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio
dalla Corte di cassazione.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
