CODICE ANTIMAFIA – MODIFICHE DELLE MISURE INTERDITTIVE PER I DELITTI PREVISTI ARTT. 640, COMMA 2 E 640-BIS C.P.
CORTE COSTITUZIONALE 6 – 30 luglio 2021 SENTENZA N. 178
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Misure di prevenzione - Modifiche al Codice antimafia - Previsione che gli effetti automaticamente interdittivi conseguono anche alla condanna, non definitiva, per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche - Violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalita' e lesione della tutela della liberta' di iniziativa economica privata - Illegittimita' costituzionale parziale. Misure di prevenzione - Modifiche al codice antimafia - Previsione che gli effetti automaticamente interdittivi conseguono anche alla condanna, non definitiva, per il reato delitto di truffa commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico (o dell'Unione europea) - Illegittimita' costituzionale consequenziale parziale. - Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, art. 24, comma 1, lettera d), che modifica l'art. 67, comma 8 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in riferimento ai reati di cui agli artt. 640-bis e 640, secondo comma, numero 1), codice penale. - Costituzione, artt. 3, 25, 27, 38 e 41; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, artt. 6 e 7.
(GU n.31 del 4-8-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma
1, lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni
urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione,
sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata), convertito,
con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n. 132, che modifica
l'art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), promosso
dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia,
sezione prima, nel procedimento vertente tra G. Z. e il Ministero
dell'interno (Prefettura di Udine-Ufficio territoriale del Governo,
Prefetto di Udine), con ordinanza del 26 maggio 2020, iscritta al n.
120 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2020.
Visti l'atto di costituzione di G. Z., nonche' l'atto
d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2021 il Giudice relatore
Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Luca De Pauli e Luca Mazzeo per G. Z., in
collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del
Presidente della Corte del 18 maggio 2021, e gli avvocati dello Stato
Giuseppe Albenzio e Carmela Pluchino per il Presidente del Consiglio
dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 6 luglio 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia
Giulia, sezione prima, con ordinanza del 26 maggio 2020 (reg. ord. n.
120 del 2020), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, 27, 38
e 41 della Costituzione - anche in relazione agli artt. 6 e 7 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 1,
lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni
urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione,
sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata), convertito,
con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n. 132, che modifica
l'art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).
1.1.- L'art. 67, comma 8, cod. antimafia prevede che le misure
interdittive di cui ai commi 1, 2 e 4 del medesimo articolo si
applicano «anche nei confronti delle persone condannate con sentenza
definitiva o, ancorche' non definitiva, confermata in grado di
appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del
codice di procedura penale» e, in virtu' della novella di cui al d.l.
n. 113 del 2018, come convertito, per i reati previsti dagli artt.
640, secondo comma, numero 1), del codice penale, commesso a danno
dello Stato o di un altro ente pubblico, e 640-bis cod. pen.
L'intervento del legislatore e' censurato nella parte in cui
inserisce tra i delitti per i quali la condanna determina i suddetti
effetti interdittivi anche quello di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche, di cui all'art. 640-bis cod.
pen.
2.- Premette il rimettente che il giudizio a quo trae origine dal
ricorso per l'annullamento, previa sospensione cautelare, del
provvedimento del prefetto di Udine, con cui e' stata comunicata alla
locale Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura la
sussistenza delle cause di divieto, sospensione o decadenza di cui
all'art. 67 cod. antimafia, automaticamente ostative al conseguimento
o al mantenimento di una serie di licenze, autorizzazioni,
concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni per
lo svolgimento di attivita' professionali o imprenditoriali.
Tale provvedimento e' stato adottato a seguito della condanna -
divenuta irrevocabile - per il reato di cui all'art. 640-bis cod.
pen., per aver il ricorrente posto in essere artifizi e raggiri al
fine di conseguire fondi europei dell'importo di euro 42.000,00,
facendo risultare lavori di ristrutturazione di un immobile per
finalita' di commercializzazione dell'acquacoltura regionale, in
luogo della vera natura degli interventi, funzionali alla
ristrutturazione di un immobile a uso abitativo nell'interesse
dell'imputato e del suo nucleo familiare.
Tra le ragioni d'illegittimita' del provvedimento impugnato il
ricorrente lamentava, appunto, la violazione e falsa applicazione di
legge per illegittimita' costituzionale dell'art. 67 cod. antimafia,
in virtu' dell'inserimento del delitto di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche tra i reati che implicano
l'emanazione dell'interdittiva antimafia.
Il giudice a quo, con ordinanza 12 settembre 2019, n. 74, ha
rigettato l'istanza cautelare, ma tale decisione e' stata riformata
dal Consiglio di Stato, sezione terza, con ordinanza del 17 ottobre
2019, n. 5291, ritenendo necessario un ulteriore approfondimento, in
sede di merito, proprio in relazione alla prospettata illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata.
In sede di merito, pertanto, il rimettente ha sollevato questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia,
laddove si prevede che gli effetti automaticamente interdittivi
all'ottenimento dei vari provvedimenti a contenuto autorizzatorio,
concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attivita'
imprenditoriali conseguano anche per la condanna per il reato di cui
all'art. 640-bis cod. pen.
2.1. - In punto di rilevanza, il TAR Friuli-Venezia Giulia
evidenzia come il tenore letterale della disposizione censurata
implicherebbe necessariamente di dover respingere il ricorso, avendo
il ricorrente riportato una condanna per il delitto di truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Per come
formulata, infatti, la disposizione non lascerebbe alcuno spazio a
un'eventuale interpretazione costituzionalmente orientata, neanche
nel senso di escluderne l'applicazione retroattiva. Questo perche'
l'interdittiva antimafia, in quanto priva del carattere punitivo e
assimilabile a una misura di sicurezza, sarebbe assoggettata al
regime temporale stabilito dall'art. 200 cod. pen.
Qualora la questione di legittimita' venisse accolta, cio'
comporterebbe l'annullamento dell'interdittiva antimafia notificata
al ricorrente quale effetto automatico della condanna riportata, a
riprova della rilevanza della questione sollevata.
2.2.- Riguardo alla non manifesta infondatezza vengono anzitutto
richiamate le argomentazioni del Consiglio di Stato che, come
accennato, esprimendosi in sede di appello cautelare, ha messo in
luce come debba necessariamente verificarsi se la previsione di un
effetto interdittivo automatico, conseguente a determinate condanne
penali, persegua la finalita' di completare il trattamento
sanzionatorio o, invece, si colleghi all'interesse pubblico del
contrasto alle organizzazioni mafiose.
2.2.1.- Sulla base di cio', il giudice a quo ritiene che siffatto
effetto interdittivo potrebbe effettivamente risultare
irragionevolmente sproporzionato rispetto alla finalita' preventiva
perseguita dal legislatore, giacche' la truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche sarebbe una fattispecie priva
di natura associativa, punita con sanzioni molto inferiori a quelle
previste per i reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.
e non necessariamente correlata ad attivita' della criminalita'
organizzata.
In particolare, la norma eccederebbe rispetto al suo scopo di
contrastare, con misure di carattere preventivo, il dilagare della
criminalita' organizzata nel tessuto socio-economico, che costituisce
il fine delle misure interdittive (e' richiamata Consiglio di Stato,
sezione terza, sentenza 24 aprile 2020, n. 2651). Al piu', dalla
commissione di una truffa aggravata per il conseguimento di
erogazioni pubbliche si potrebbe desumere la sussistenza di elementi
di contiguita' con il fenomeno mafioso, ma non in automatico, bensi'
guardando allo specifico caso concreto ed effettuando una diffusa
valutazione di carattere necessariamente discrezionale.
L'automatismo previsto dal legislatore, invece, in quanto non
direttamente e immediatamente correlato all'interesse pubblico
generale, sarebbe una misura fortemente limitativa della liberta' di
iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost., stante
l'impossibilita' di svolgere una qualsivoglia attivita' lavorativa,
professionale o economica soggetta a provvedimenti di natura
autorizzatoria, concessoria o abilitativa. Ne' alcun elemento utile
potrebbe desumersi dai lavori preparatori alla legge di conversione
del d.l. n. 113 del 2018, se non che la fattispecie delittuosa in
esame sia, nella prassi, una delle piu' frequentemente poste in
essere per ottenere il controllo illecito degli appalti.
Quanto affermato emergerebbe in particolare nel caso di specie,
ove, pur non essendo stata dimostrata alcuna effettiva correlazione
con il fenomeno mafioso, il ricorrente ha visto precludersi
interamente la possibilita' di svolgere attivita' imprenditoriale.
2.2.2.- L'affiancamento dell'ipotesi delittuosa di cui all'art.
640-bis cod. pen. a quelle previste dall'art. 51, comma 3-bis, cod.
proc. pen., inoltre, si tradurrebbe in un sostanziale inasprimento
del regime sanzionatorio per il reato di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche, senza che - per di piu' - sia
possibile un'equa valutazione giudiziale del caso concreto.
Tale natura sostanzialmente punitiva della misura in esame
renderebbe la disposizione censurata incompatibile con i principi di
cui agli artt. 25 e 27 Cost. (anche in relazione agli artt. 6 e 7
CEDU), in particolare laddove, come nel caso di specie, gli effetti
pregiudizievoli vengano fatti derivare anche da sentenze pronunciate
antecedentemente all'entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, come
convertito.
3.- Con atto depositato il 6 ottobre 2020 e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che venga
dichiarata l'inammissibilita' o comunque l'infondatezza delle
questioni sollevate.
3.1.- In primo luogo, l'Avvocatura generale dello Stato osserva
come l'impostazione del giudice a quo - secondo cui l'effetto
ostativo automatico previsto dalla disposizione oggetto di censura
celerebbe una finalita' punitiva e non preventiva - non
considererebbe il fatto che il reato di cui all'art. 640-bis cod.
pen. rappresenterebbe una delle attivita' delittuose poste in essere
piu' frequentemente per ottenere il controllo illecito degli appalti.
3.1.1.- Piu' in generale, la truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche avrebbe natura
«lucro-genetica», risultando, nella prassi investigativa e
giudiziaria, sistematicamente commessa dalle associazioni criminali
per il raggiungimento dei loro scopi illegali.
Sarebbe, quindi, tale circostanza a giustificare le limitazioni
alla liberta' di iniziativa economica contemplate dalla disposizione
censurata, volte a prevenire il condizionamento degli operatori
economici a opera delle organizzazioni di stampo mafioso.
D'altronde, la ratio delle misure previste dal codice antimafia
sarebbe proprio di tipo anticipatorio e indiziario, in un'ottica
diversa da quella delle misure punitive e afflittive, basandosi su
una valutazione prognostica, in una logica preventiva ispirata alla
regola del "piu' probabile che non", che consente di ritenere
razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Tra l'altro, anche la giurisprudenza della Corte di giustizia
dell'Unione europea avrebbe affermato come il fenomeno del contrasto
all'infiltrazione della criminalita' organizzata nelle procedure
pubbliche costituisca un legittimo motivo di restrizione delle regole
concorrenziali garantite dal diritto europeo (viene richiamata Corte
EDU, sezione quinta, sentenza 26 settembre 2019, in causa C-63/18,
Vitali spa).
3.1.2.- In questo senso, la disposizione oggetto di censura
rappresenterebbe il frutto di una ponderata valutazione discrezionale
rimessa al legislatore e legittimamente manifestata con l'inclusione
del reato in questione tra le ipotesi delittuose sintomatiche della
criminalita' organizzata, in un'ottica che non sarebbe certamente
sanzionatoria o afflittiva, ma squisitamente preventiva.
Tali considerazioni troverebbero un ulteriore fondamento
nell'art. 84, comma 4, lettera a), cod. antimafia, che contempla una
serie di situazioni da cui poter desumere un tentativo di
infiltrazione mafiosa, idonee all'adozione dell'informazione
antimafia interdittiva. Tra di esse vi e' per l'appunto quella della
condanna (anche non definitiva) per il reato di cui all'art. 640-bis
cod. pen. Quest'ultimo, quindi, rientrerebbe tra quei reati
comunemente definiti "reati spia", che contemplano condotte ritenute
dal legislatore espressive di un pericolo di infiltrazione mafiosa e
rispetto alle quali, con maggiore regolarita' statistica, gravita il
mondo della criminalita' organizzata (sul punto sono richiamate le
sentenze del Consiglio di Stato, sezione terza, 2 maggio 2019, n.
2855; 27 novembre 2018, n. 6707; 28 ottobre 2016, n. 4555).
Nella disposizione censurata, pertanto, non potrebbero ravvisarsi
elementi di irragionevolezza o sproporzione rispetto allo scopo di
contrastare il fenomeno delle organizzazioni di stampo mafioso (sul
punto e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 57 del 2020).
3.2.- In secondo luogo, infondate sarebbero altresi' le questioni
sollevate in relazione agli artt. 25 e 27 Cost.
3.2.1.- Il solo carattere automatico degli effetti interdittivi,
infatti, non potrebbe incidere sulla natura della misura irrogata,
trasformandola da preventiva in sanzionatoria, dovendosi escludere,
quindi, anche le ulteriori censure relative all'incompatibilita' con
i principi che governano la successione nel tempo delle norme penali.
Le misure di prevenzione antimafia a carattere interdittivo,
d'altronde, potrebbero legittimamente dare rilevo a fatti (e reati)
accaduti prima dell'entrata in vigore della disciplina che le
prevede, proprio in considerazione della loro funzione preventiva.
3.3. - Per quanto riguarda il contrasto con gli artt. 38 e 41
Cost., l'Avvocatura generale dello Stato osserva come la normativa
antimafia troverebbe la sua ratio nella necessita' di bilanciare la
liberta' di iniziativa economica con l'interesse pubblico alla
salvaguardia dell'ordine e della sicurezza e alla prevenzione di
eventuali infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e produttivo
del Paese.
Anche in questi termini la disposizione censurata risulterebbe
proporzionata e ragionevole.
3.4.- Infine, sebbene a sostegno dell'illegittimita'
costituzionale il giudice rimettente abbia portato la vicenda sottesa
al caso di specie, caratterizzata dalla mancanza di qualsivoglia
correlazione con il fenomeno mafioso, dovrebbe necessariamente
prescindersi da un accertamento in concreto dei legami con le
organizzazioni della criminalita' organizzata.
3.4.1.- Come gia' ribadito, infatti, la disposizione censurata
sarebbe frutto di una scelta discrezionale del legislatore, che ha
individuato a monte la tipologia di reati a cui riconnettere gli
effetti interdittivi previsti, a prescindere dalla valutazione degli
elementi caratterizzanti il singolo caso. Ragionando diversamente,
invece, si svilirebbero la finalita' preventiva e la logica di
anticipazione della soglia di difesa sociale che permea la disciplina
antimafia (sono richiamate le sentenze del Consiglio di Stato,
sezione terza, 30 gennaio 2019, n. 758; 8 marzo 2017, n. 1109; 15
dicembre 2015, n. 5678).
4.- Con atto depositato in data 5 ottobre 2020 si e' costituito
in giudizio G. Z., parte ricorrente nel giudizio a quo, sostenendo
l'ammissibilita' e la fondatezza delle questioni sollevate dal TAR
Friuli-Venezia Giulia, illustrando le proprie ragioni nella memoria
presentata in prossimita' dell'udienza.
4.1.- Premessa una ricostruzione della vicenda fattuale, la
difesa di G. Z. sottolinea la rilevanza delle questioni, poiche'
l'art. 67, comma 8, cod. antimafia sarebbe strettamente pregiudiziale
al giudizio a quo (sul punto sono richiamate le sentenze di questa
Corte n. 91 del 2013 e n. 184 del 2006, nonche' l'ordinanza n. 5 del
2012).
Non sarebbe possibile, d'altronde, un'interpretazione di tale
disposizione che ne escluda l'applicabilita' al caso di specie, anche
per la sola portata retroattiva, ostandovi l'espressa previsione
normativa di un automatismo incondizionato.
4.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, la
difesa di G. Z. sottolinea che il codice antimafia, prima della
novella del 2018, prevedeva che il quadro indiziario
dell'infiltrazione mafiosa dovesse evidenziare fatti aventi
caratteristiche di gravita', precisione e concordanza, dai quali il
giudice amministrativo, laddove chiamato a verificare l'effettivo
pericolo di infiltrazione mafiosa, posto alla base dell'informativa
antimafia, potesse pervenire in via presuntiva alla conclusione
ragionevole e piu' probabile della sussistenza del rischio di
permeabilita' dell'impresa e non necessariamente l'avvenuta
infiltrazione, da parte di associazioni mafiose, valutate e
contestualizzate tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona
(vengono richiamate Consiglio di Stato, sezione terza, sentenze 7
ottobre 2015, n. 4657 e 9 febbraio 2017, n. 565).
In tale sistema non potrebbe trovare spazio una previsione che
introduce un automatismo applicativo per le interdittive antimafia
anche per reati comuni, privi di legame con l'ambiente mafioso. Il
sistema della prevenzione amministrativa antimafia, infatti, non
costituirebbe e non potrebbe costituire, in uno Stato di diritto
democratico, un «diritto della paura» (e' richiamata Consiglio di
Stato, sezione terza, sentenza 5 settembre 2019, n. 6105).
4.2.1.- L'inserimento dei reati di truffa aggravata tra le
ipotesi di applicazione automatica delle misure interdittive
risulterebbe oltremodo illogico e irragionevole, ove si consideri che
gia' l'art. 84, comma 4, cod. antimafia prevede che l'autorita'
amministrativa possa desumere il pericolo di infiltrazione mafiosa
non solo da una serie di elementi fattuali tipizzati dal legislatore,
ma anche da provvedimenti di condanna non definitiva per vari reati,
tra i quali quello di cui all'art. 640-bis cod. pen., da valutare
«unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attivita'
d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attivita'
criminose o esserne in qualche modo condizionata» (art. 91, comma 6,
cod. antimafia).
La sentenza di questa Corte n. 24 del 2019, d'altronde, ha
sottolineato l'esigenza generale di rispettare, anche per il diritto
della prevenzione, essenziali garanzie di tassativita' sostanziale,
inerenti alla precisione, alla determinatezza e, per quanto rileva in
questa sede, alla prevedibilita' degli elementi costitutivi della
fattispecie legale, che costituisce oggetto di prova, e altrettanto
essenziali garanzie di tassativita' processuale, attinenti alle
modalita' di accertamento probatorio in giudizio.
Tale garanzia verrebbe irrimediabilmente frustrata ove si
consentisse l'applicazione automatica e retroattiva delle misure
interdittive antimafia anche a soggetti che non hanno mai avuto
contatti con l'ambiente mafioso, ne' sono mai stati anche soltanto
sospettati di averne avuto, come avverrebbe nel caso di specie.
In proposito, sottolinea la difesa della parte, G. Z. e' stato
condannato per vicende verificatesi addirittura negli anni 2012-2013,
definite con sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile nel
2017, allorche' il reato di cui all'art. 640-bis cod. pen. non era
incluso nel novero dei reati spia.
Striderebbe con tutti i piu' elementari principi in materia
sanzionatoria che una disposizione sopravvenuta nell'anno 2018
consentisse di ritenere automaticamente e inesorabilmente mafioso chi
ebbe a patteggiare nel 2017 una condotta contestatagli all'epoca.
4.2.2.- Sotto un altro profilo, il contrasto con i principi
costituzionali di ragionevolezza, proporzionalita' e irretroattivita'
emergerebbe ove si consideri che la stessa legislazione antimafia
prevede che le misure interdittive siano precedute da giudizi
vertenti sull'attualita' del pericolo di infiltrazione mafiosa; tanto
piu' che il carattere dell'attualita' delle risultanze delle
informative prefettizie sarebbe richiesto dal legislatore, che ha
determinato in termini univoci il periodo di validita' dei documenti
antimafia (sul punto e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 57
del 2020).
La previsione dell'automatica applicazione delle misure
interdittive anche alle persone che abbiano commesso, magari molti
anni prima dell'entrata in vigore della novella del 2018, reati di
truffa aggravata, si porrebbe in antitesi con il requisito
dell'attualita' che svolgerebbe, invece, un ruolo centrale in materia
di misure di prevenzione.
Inoltre, non potrebbe trascurarsi che questa Corte in piu'
occasioni ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle
disposizioni legislative formulate in modo tale da non permettere al
giudice o alla pubblica amministrazione di tenere conto delle
particolarita' del caso concreto al fine di modulare gli effetti
della regola (sono richiamate le sentenze n. 24 del 2020, n. 265 del
2010, n. 253 del 2003 e n. 240 del 1997).
4.2.3.- La particolare afflittivita' della misura in questione
emergerebbe, poi, in considerazione del fatto che, in virtu' della
stessa, G. Z. si troverebbe nella condizione di vedersi decadere di
diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni,
attestazioni, abilitazioni ed erogazioni, oltre che a essere
sottoposto al divieto di concludere contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e
subcontratti.
Nel caso di specie troverebbe altresi' applicazione il comma 4
dell'art. 67 cod. antimafia, ai sensi del quale «[i]l tribunale,
salvo quanto previsto all'articolo 68, dispone che i divieti e le
decadenze previsti dai commi l e 2 operino anche nei confronti di
chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione
nonche' nei confronti di imprese, associazioni, societa' e consorzi
di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia
amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In
tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni».
Gli effetti interdittivi risulterebbero cosi' particolarmente
gravosi e dannosi, soprattutto per chi svolge attivita' lavorative,
professionali ed economiche in stretto contatto con la pubblica
amministrazione, determinando un aggravio non solo della situazione
patrimoniale dell'interdetto, ma anche della sua credibilita' ai fini
dello svolgimento di attivita' imprenditoriali.
Da cio' il rischio di un'indebita lesione di diritti
costituzionalmente garantiti, primo fra tutti la liberta' di
iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost., gravemente
pregiudicata dalle interdizioni derivanti automaticamente per la
commissione di reati che nulla avrebbero a che vedere con l'ambiente
mafioso.
L'avere ricompreso entro il perimetro applicativo dell'art. 67
cod. antimafia anche le condotte previste e punite dall'art. 640-bis
cod. pen., dunque, sarebbe del tutto eccessivo e sproporzionato, se
non proprio aberrante. L'ampliamento delle fattispecie incriminanti,
infatti, dovrebbe rappresentare un'eventualita' assolutamente
eccezionale, poiche' l'integrazione di ulteriori delitti di minor
gravita' eliderebbe di fatto i principi di proporzionalita' e
ragionevolezza e la liberta' di iniziativa economica privata.
Come sottolineato dal giudice a quo, d'altronde, esisterebbero
reati molto piu' sintomatici delle cosiddette infiltrazioni mafiose,
come ad esempio quelli di turbata liberta' degli incanti (artt. 353 e
seguenti cod. pen.), non inseriti pero' all'interno dell'art. 67,
comma 8, cod. antimafia. Inoltre, per i reati gia' in origine
previsti da tale disposizione sono applicate pene ben piu' alte che
per il reato in questione.
Ulteriore sintomo «dell'aberrazione normativa» censurata
deriverebbe dal fatto che ai destinatari dell'informativa
interdittiva antimafia ai sensi dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia
verrebbe riservato un trattamento persino deteriore rispetto a quello
che il comma 5 del medesimo articolo prevede per chi sia
definitivamente accertato come mafioso. Infatti, in tale evenienza,
il giudice che ha applicato con provvedimento definitivo una misura
di prevenzione potrebbe escludere le decadenze e i divieti nel caso
in cui, per effetto degli stessi, venissero a mancare i mezzi di
sostentamento all'interessato e alla famiglia.
4.2.4.- Dovrebbe poi tenersi presente che questa Corte (e'
richiamata la sentenza n. 57 del 2020), chiamata a pronunciarsi sulla
legittimita' costituzionale dell'art. 89-bis cod. antimafia, pur
dichiarando la questione non fondata, ha avuto modo di precisare che
l'informazione antimafia implica una valutazione
tecnico-discrezionale dell'autorita' prefettizia in ordine al
pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e
gli indirizzi dell'impresa. Come affermato anche dalla giurisprudenza
amministrativa, l'equilibrata ponderazione dei contrapposti valori
costituzionali in gioco richiede un'attenta valutazione di tali
elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente
del pericolo di infiltrazione mafiosa.
La disposizione censurata, invece, andrebbe a incidere proprio su
quella necessaria prognosi di appartenenza al mondo mafioso che
costituisce un'indispensabile premessa per la valida emanazione di
una interdittiva.
4.2.5.- Infine, la difesa di G. Z. ricorda che il Tribunale
amministrativo regionale per il Piemonte, sezione prima, con
l'ordinanza 29 aprile 2021, n. 448, ha sollevato, con motivazioni
similari al caso di specie, la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia, nella parte in
cui, rinviando all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., si
riferisce anche al reato di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen.,
in quanto l'automatismo legislativo non permetterebbe alla pubblica
amministrazione di tenere conto delle peculiarita' del caso concreto.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia
Giulia, con ordinanza iscritta al n. 120 del registro ordinanze 2020,
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 24,
comma 1, lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113
(Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei
beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),
convertito, con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n. 132, che
modifica l'art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre
2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010,
n. 136).
1.1.- L'art. 67, comma 8, cod. antimafia prevede che le misure
interdittive di cui ai commi 1, 2 e 4 del medesimo articolo si
applicano «anche nei confronti delle persone condannate con sentenza
definitiva o, ancorche' non definitiva, confermata in grado di
appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del
codice di procedura penale» e, in virtu' della novella di cui al d.l.
n. 113 del 2018, come convertito, per i reati previsti dagli art.
640, secondo comma, numero 1), codice penale, commesso a danno dello
Stato o di un altro ente pubblico, e 640-bis cod. pen.
2.- Secondo il giudice rimettente l'intervento del legislatore,
inserendo tra i delitti per i quali la condanna determina i suddetti
effetti interdittivi anche quello di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis cod.
pen., violerebbe gli artt. 3, 25, 27 - questi ultimi due anche in
relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4
agosto 1955, n. 848 - 38 e 41 della Costituzione.
2.1.- In primo luogo, infatti, verrebbero lesi i principi di
proporzionalita' e ragionevolezza ex art. 3 Cost., poiche' la novella
legislativa contemplerebbe un effetto interdittivo automatico nei
confronti di soggetti che hanno commesso un reato non riconducibile
tout court al fenomeno mafioso, eccedendo rispetto allo scopo di
contrastare, con misure di carattere preventivo, il dilagare della
criminalita' organizzata nel tessuto socio-economico.
2.2.- In secondo luogo, sarebbero violati gli artt. 25 e 27
Cost., anche in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU.
L'affiancamento dell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 640-bis
cod. pen. a quelle previste dall'art. 51, comma 3-bis, cod. proc.
pen., infatti, si tradurrebbe in un sostanziale inasprimento del
regime sanzionatorio per il reato di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche, senza che sia possibile
un'equa valutazione giudiziale del caso concreto, tra l'altro in
riferimento a sentenze pronunciate antecedentemente all'entrata in
vigore del d.l. n. 113 del 2018, come convertito.
2.3.- Infine, l'automatismo derivante dalla disposizione
censurata recherebbe una misura fortemente limitativa della liberta'
di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost., stante
l'impossibilita' di svolgere, in conseguenza del provvedimento
interdittivo, una qualsivoglia attivita' lavorativa, professionale o
economica soggetta a provvedimenti di natura autorizzatoria,
concessoria o abilitativa.
3.- In via preliminare va dichiarata la manifesta
inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale
sollevata in riferimento all'art. 38 Cost.
La questione, infatti, e' del tutto immotivata, limitandosi il
giudice rimettente a evocare il parametro costituzionale, senza
alcuna specifica illustrazione dei motivi di censura (in tal senso,
ordinanza n. 26 del 2012 e sentenza n. 356 del 2008).
4.- Nel merito sono fondate le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
4.1.- La disposizione oggetto d'esame interviene sulla disciplina
della comunicazione antimafia interdittiva, provvedimento di natura
cautelare e preventiva che, come sottolineato dalla giurisprudenza
amministrativa, determina una particolare forma d'incapacita' del
destinatario, in riferimento ai rapporti giuridici con la pubblica
amministrazione (tra tutte, si richiama Consiglio di Stato, adunanza
plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3).
4.1.1.- Va qui ricordato che, secondo la vigente legislazione,
esistono due diversi documenti, la comunicazione antimafia e
l'informazione antimafia.
La comunicazione antimafia, ai sensi dell'art. 84, comma 2, cod.
antimafia, consiste in una attestazione circa la sussistenza di una
delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui al
precedente art. 67. Tale articolo stabilisce che le persone alle
quali sia stata applicata in via definitiva una delle misure di
prevenzione previste dal codice antimafia non possono essere
destinatarie di un'ampia gamma di provvedimenti di natura
autorizzatoria, concessoria o abilitativa (comma 1). Cosi',
l'applicazione di una misura di prevenzione determina la decadenza di
diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni,
attestazioni, abilitazioni ed erogazioni, nonche' il divieto di
concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di
cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti (comma 2). I
divieti e le decadenze, inoltre, operano (per un periodo di cinque
anni) anche nei confronti di chiunque conviva con la persona
sottoposta alla misura di prevenzione, nonche' nei confronti di
imprese, associazioni, societa' e consorzi di cui la stessa persona
sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi
(comma 4).
Il rilascio della comunicazione antimafia liberatoria, invece, e'
immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati
nazionale unica, quando non emerge, a carico dei soggetti ivi
censiti, la sussistenza delle citate cause di decadenza, sospensione
o divieto (art. 88, comma 1, cod. antimafia).
La comunicazione antimafia, in conclusione, e' il frutto di
un'attivita' amministrativa vincolata, volta al mero accertamento
delle cause di decadenza o divieto di cui all'art. 67 cod. antimafia.
4.1.2.- Diverso e' l'altro documento antimafia, ossia
l'informazione antimafia prevista dall'art. 84, comma 3, cod.
antimafia, necessaria per le pubbliche amministrazioni prima di
stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero
prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel citato
art. 67, il cui valore superi talune soglie, individuate dal
successivo art. 91, comma 1.
Tale provvedimento, oltre a quanto gia' previsto dalla
comunicazione antimafia, attesta la sussistenza di eventuali
tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte
e gli indirizzi delle societa' o delle imprese, desumibili da una
serie di elementi indicati dall'art. 84, comma 4, cod. antimafia, i
quali sono oggetto di verifica da parte del prefetto. Tra questi
elementi vi sono anche taluni provvedimenti penali per determinati
reati ritenuti strumentali all'attivita' delle organizzazioni
criminali, comunemente denominati "reati spia", come, tra l'altro, le
misure cautelari, il rinvio a giudizio o le condanne, anche non
definitive, proprio per il reato di cui all'art. 640-bis cod. pen.
4.2.- Ai sensi dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia gli effetti
interdittivi della comunicazione antimafia non conseguono solo
all'applicazione di una misura di prevenzione, ma anche alle condanne
definitive o non definitive, purche' confermate in grado di appello,
per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.,
nonche' - in virtu' della novella operata dall'art. 24, comma 1,
lettera d), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito - per quelli
previsti dall'art. 640, secondo comma, numero 1), cod. pen. (truffa
ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico) e dall'art. 640-bis
cod. pen. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche), quest'ultima previsione oggetto di censura.
Qui, dunque, l'interdittiva antimafia, sebbene derivi da una
condanna, non necessariamente definitiva, prescinde da una
valutazione di specifica pericolosita' del soggetto (che e' invece
alla base dell'applicazione di una misura di prevenzione), ma, allo
scopo di prevenire l'infiltrazione mafiosa, genera l'incapacita'
giuridica sopra ricordata.
4.2.1.- Va rilevato che gli altri casi previsti dalla
disposizione censurata, cioe' quelli di cui all'art. 51, comma 3-bis,
cod. proc. pen., hanno una specifica valenza nel contrasto alla
mafia, tant'e' che essi vengono qui elencati allo scopo di attribuire
le funzioni di pubblico ministero ai magistrati addetti alla
direzione distrettuale antimafia, su designazione del procuratore
distrettuale (art. 102 cod. proc. pen.).
Si tratta, nella specie: dei delitti di cui agli artt.
452-quaterdecies, 600, 601, 602 e 630 cod. pen.; del delitto di
associazione per delinquere finalizzato al compimento di gravi reati
contro la personalita' individuale, elencati dall'art. 416, commi 6 e
7, cod. pen., nonche' al compimento dei reati di cui agli artt. 473 e
474 cod. pen.; dei delitti di associazione per delinquere di stampo
mafioso (art. 416-bis cod. pen,), di scambio elettorale
politico-mafioso (art. 416-ter cod. pen,) e dei delitti commessi
avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. pen. e
al fine di agevolare l'attivita' di tali associazioni; dei delitti di
associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 del decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante «Testo
unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati di tossicodipendenza») e di associazione per delinquere
finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art.
291-quater del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio
1973, n. 43, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni
legislative in materia doganale»).
Tali fattispecie delittuose hanno in gran parte natura
associativa oppure presentano una forma di organizzazione di base
(come per il sequestro di persona ex art. 630 cod. pen) o comunque
richiedono condotte plurime (come per il traffico illecito di rifiuti
di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen.), oltre a prevedere pene
che possono essere anche molto alte.
Ed e' proprio in virtu' di siffatta complessita' che si radica la
competenza della procura distrettuale antimafia, operante secondo
linee di intervento dotate della necessaria coerenza, organicita',
programmazione.
4.2.2.- Per quanto concerne il reato di cui all'art. 640-bis cod.
pen., invece, ci si trova innanzi a una fattispecie che non ha natura
associativa e non richiede neppure la presenza di un'organizzazione
volta alla commissione del reato. Esso ha una dimensione individuale,
puo' riguardare anche condotte di minore rilievo - quale risulta
essere quella del giudizio a quo - ed e' punito con pene piu' lievi
(massimo edittale di sette anni), senza che vi siano tantomeno
deroghe al regime processuale ordinario.
Certamente si tratta di un reato che, come argomentato
dall'Avvocatura generale dello Stato, puo' riscontrarsi anche
nell'ambito delle attivita' della criminalita' organizzata, allo
stesso modo dei piu' gravi reati sopra esaminati.
Cio' non toglie, pero', che tale condotta delittuosa ha ben altra
portata e non costituisce, di per se', un indice di appartenenza a
un'organizzazione criminale.
Per tale ragione, farne dipendere con rigida consequenzialita' la
ricordata incapacita' giuridica ad avere rapporti con le pubbliche
amministrazioni appare non proporzionato ai caratteri del reato e
allo scopo di contrastare le attivita' della criminalita' organizzata
(si vedano le sentenze di questa Corte n. 172 del 2012 e n. 141 del
1996) e risulta, quindi, contrario al principio di ragionevolezza di
cui all'art. 3 Cost.
Altresi' violato e' l'art. 41 Cost., poiche' l'estensione degli
effetti interdittivi di cui all'art. 67, comma 8, cod. antimafia
anche alle condanne per il delitto di truffa per il conseguimento di
erogazioni pubbliche provoca danni irragionevolmente elevati alla
liberta' d'iniziativa economica, sia sul piano patrimoniale, sia
della "reputazione" imprenditoriale, specie per chi svolge attivita'
lavorative e professionali in rapporto con la pubblica
amministrazione.
4.2.3.- Si tenga presente che il reato di cui all'art. 640-bis
cod. pen. gia' era ed e' considerato quale "reato spia" al fine
dell'applicazione nei confronti dell'indiziato di una misura di
prevenzione ex art. 4, comma 1, lettera i-bis), cod. antimafia.
Inoltre, come gia' accennato, ai sensi del successivo art. 84, comma
4, lettera a), l'essere destinatario dei provvedimenti che per tale
delitto dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che
recano una condanna anche non definitiva, costituisce un elemento da
cui il prefetto puo' desumere un tentativo di infiltrazione mafiosa,
idoneo a consentire l'adozione di una informazione antimafia
interdittiva. Infine, gli artt. 32-ter e 32-quater cod. pen.
consentono di aggiungere alla pena principale per il reato di truffa
per il conseguimento di erogazioni pubbliche anche quella accessoria
dell'incapacita' a contrattare con la pubblica amministrazione; pena
i cui effetti sono in parte sovrapponibili alle conseguenze
interdittive di cui all'art. 67, commi 1 e 2, cod. antimafia.
Cio' dimostra, da un lato, che la disposizione censurata
s'inserisce in modo disarmonico in un contesto normativo nel quale,
ai medesimi fini di contrasto alla penetrazione della criminalita'
organizzata nel tessuto socio-economico, gia' sono regolate, seppur
in modo diverso, le medesime misure limitative della liberta'
economica di chi sia destinatario di provvedimenti relativi al reato
di cui all'art. 640-bis cod. pen.; e, dall'altro lato, e per la
stessa ragione, che l'illegittimita' costituzionale della novella
legislativa lascia intatto il rilievo che tale reato possiede come
indice d'infiltrazione mafiosa ai sensi dell'art. 84, comma 4, cod.
antimafia.
5.- Restano assorbite le ulteriori censure di legittimita'
costituzionale indicate nell'ordinanza di rimessione.
6.- Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 1, lettera d),
del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, deve essere dichiarata
anche per la parte in cui inserisce all'art. 67, comma 8, cod.
antimafia il reato previsto dall'art. 640, secondo comma, numero 1),
cod. pen.
6.1.- Tale disposizione disciplina il delitto di truffa commesso
a danno dello Stato o di un altro ente pubblico (o dell'Unione
europea) e lo punisce con la reclusione da uno a cinque anni; pena
piu' severa di quella per la truffa semplice (da sei mesi a tre
anni), ma inferiore alla forbice individuata dall'art. 640-bis cod.
pen. (da due a sette anni).
L'affiancamento di tale reato a quelli di cui all'art. 51, comma
3-bis, cod. proc. pen. risulta, in tal modo, una scelta ancora piu'
sproporzionata ed eccessiva di quella riguardante l'art. 640-bis cod.
pen.
6.2.- Anche per la truffa ai danni dello Stato, d'altronde,
l'esigenza di prevenire l'infiltrazione mafiosa nel tessuto
socio-economico rimane coperta da altre previsioni legislative.
Da un lato, infatti, sebbene la truffa stessa non rientri tra i
"reati spia" di cui all'art. 84, comma 4, cod. antimafia, una
condanna per tale fattispecie puo' sempre costituire un elemento da
cui desumere che il condannato vive abitualmente, anche in parte, con
i proventi di attivita' delittuose; elemento che, ai sensi degli
artt. 1, comma 1, lettera b), e 4 cod. antimafia, puo' portare
all'adozione di una misura di prevenzione (con i conseguenti effetti
interdittivi).
Dall'altro lato, anche per tale delitto, i gia' ricordati artt.
32-ter e 32-quater cod. pen. consentono di aggiungere alla pena
principale quella accessoria dell'incapacita' a contrattare con la
pubblica amministrazione; pena che, come sottolineato, ha effetti in
parte sovrapponibili alle conseguenze interdittive di cui all'art.
67, commi 1 e 2, cod. antimafia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma
1, lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni
urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione,
sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata), convertito,
con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n. 132, che modifica
l'art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159
(Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'
nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136),
limitatamente alle parole «e all'articolo 640-bis del codice penale»;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 24, comma 1, lettera d), del d.l. n. 113 del
2018, come convertito, che modifica l'art. 67, comma 8, del d.lgs. n.
159 del 2011, limitatamente alle parole «nonche' per i reati di cui
all'articolo 640, secondo comma, n. 1), del codice penale, commesso a
danno dello Stato o di un altro ente pubblico»;
3) dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 1, lettera d), del
d.l. n. 113 del 2018, come convertito, che modifica l'art. 67, comma
8, del d.lgs. n. 159 del 2011, sollevata, in riferimento all'art. 38
della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il
Friuli-Venezia Giulia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
