CORTE COSTITUZIONALE 11 maggio – 10 giugno 2021 SENTENZA N. 119
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Giustizia amministrativa - Controversie in materia di produzione energetica, in particolare relative a infrastrutture di trasporto ricomprese, o da ricomprendere, nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale dei gasdotti - Competenza funzionale del TAR Lazio, anche per i processi pendenti - Onere per la parte interessata di riassunzione dei giudizi pendenti entro il termine di sessanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della novella - Violazione del principio di ragionevolezza - Illegittimita' costituzionale. - Legge 23 luglio 2009, n. 99, art. 41, comma 5. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.24 del 16-6-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 41, comma
5, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e
l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia di
energia), promosso dal Consiglio di Stato, sezione sesta, nel
procedimento vertente tra la Ruffolo srl e altri e Terna-Rete
elettrica nazionale spa e altri, con ordinanza del 19 luglio 2019,
iscritta al n. 197 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale,
dell'anno 2019.
Visti gli atti di costituzione della Ruffolo srl e altri e della
Terna-Rete elettrica nazionale spa;
udito nell'udienza pubblica dell'11 maggio 2021 il Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera, sostituito per la redazione della
decisione dalla Giudice Daria de Pretis;
uditi gli avvocati Pietro Greco per Ruffolo srl e altri e Mario
Esposito per Terna-Rete elettrica nazionale spa, in collegamento da
remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte
del 16 marzo 2021;
deliberato nella camera di consiglio dell'11 maggio 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 19 luglio 2019 (r.o. n. 197 del 2019) il
Consiglio di Stato, sezione sesta, ha sollevato questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 41, comma 5, della legge 23
luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e
l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia di
energia), in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
La disposizione censurata, dopo avere attribuito alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e alla competenza
territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,
sede di Roma, alcune controversie in materia di impianti energetici,
come specificamente individuate dalla norma stessa, aggiunge che, in
caso di processi pendenti, le parti hanno l'onere di riassumerli
avanti al TAR Lazio entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore della stessa legge n. 99 del 2009.
La vicenda di cui il rimettente si occupa concerne una
controversia regolata dall'art. 41, comma 5, della menzionata legge
n. 99 del 2009, poiche' sono censurati gli atti con cui e' stata
imposta una servitu' di elettrodotto sui fondi di proprieta' dei
ricorrenti, al fine di completare una infrastruttura energetica di
rilievo nazionale.
La causa - riferisce il giudice a quo - fu decisa in primo grado
dal TAR Calabria, avanti al quale era stata radicata nel 2005,
nonostante fosse gia' in vigore la norma censurata, che ha efficacia
dal 15 agosto 2009.
La pronuncia del TAR Calabria fu percio' annullata con rinvio per
difetto di competenza, con conseguente riassunzione della causa
innanzi al TAR Lazio, divenuto competente nelle more del giudizio di
primo grado.
Tuttavia, la riassunzione e' stata operata solo nel 2012 (in
applicazione della «disciplina ordinaria della riassunzione»),
anziche' entro il termine del 14 novembre 2009, risultante per
effetto della norma censurata e della sospensione dei termini
processuali durante il periodo feriale. Il TAR Lazio ha percio'
dichiarato estinto il giudizio, in applicazione dell'art. 50 del
codice di procedura civile «pacificamente ritenuto applicabile al
processo amministrativo».
La pronuncia del giudice di primo grado e' stata appellata
innanzi all'odierno rimettente, che, su eccezione di parte, censura
l'art. 41, comma 5, della legge n. 99 del 2009, nella parte in cui fa
decorrere il termine perentorio di riassunzione della causa
dall'entrata in vigore della medesima legge n. 99 del 2009, anziche'
«dalla data di ricezione dell'avviso dell'onere di riassunzione».
2.- Il giudice rimettente premette che la norma censurata e'
stata abrogata e sostituita dall'art. 135, comma 1, dell'Allegato 1
al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione
dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al
governo per il riordino del processo amministrativo), secondo il
quale, quanto alla individuazione del giudice, resta competente il
TAR Lazio.
La questione sarebbe pero' rilevante, posto che e' stata la norma
ora abrogata ad avere applicazione nel giudizio a quo, determinandone
l'estinzione.
3.- La disposizione censurata, inoltre, non sarebbe suscettibile
di interpretazione costituzionalmente orientata. Essa, infatti,
sarebbe univoca nell'imporre l'onere di riassunzione a tutte le
controversie appartenenti alla tipologia indicata, anche quando non
vi fossero state concesse misure cautelari, come nel caso di specie.
4.- Il rimettente esclude che la norma censurata sia viziata,
nella parte in cui ha imposto l'onere di riassunzione avanti al TAR
Lazio anche delle controversie pendenti, ma sospetta che sia
manifestamente irragionevole e contrario al diritto di difesa,
nonche' al principio del giusto processo, che il termine di
riassunzione decorra da un «fatto processuale» (ovverosia, l'entrata
in vigore della legge n. 99 del 2009), anziche' da uno specifico
avviso, dato alle parti, in ordine all'onere di riassumere la causa.
5.- A sostegno del dubbio di legittimita' costituzionale, viene
in particolare ricordata la sentenza n. 111 del 1998, con cui questa
Corte dichiaro' l'illegittimita' costituzionale di una norma che, a
pena di estinzione, onerava le parti dei processi pendenti innanzi
alla Commissione tributaria centrale di depositare una istanza di
trattazione, nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della
norma stessa.
La Corte - osserva il rimettente - ritenne lesi gli artt. 3 e 24
Cost., poiche' il termine decorreva dall'entrata in vigore della
legge, anziche' «dalla data della ricezione dell'avviso dell'onere di
proposizione dell'istanza stessa».
A parere del rimettente, la norma censurata si esporrebbe ad
identiche censure.
Essa, infatti, incidendo sul «ragionevole e preciso affidamento
delle parti a che il processo si svolga secondo le norme vigenti nel
momento in cui esse lo hanno instaurato», introdurrebbe un
adempimento «eccezionale e derogatorio rispetto al sistema», senza il
correttivo di rimediare ad una «situazione di non facile
conoscibilita'», con l'introduzione di un avviso da comunicare alle
parti.
In considerazione del grave effetto conseguente alla mancata
riassunzione, ovvero la «estinzione a sorpresa del giudizio», il
rimettente ritiene pregiudicato il diritto di difesa «a prescindere
dalla maggiore o minore complessita' tecnica del processo».
L'esercizio del diritto sarebbe stato reso, infatti,
«estremamente difficile», non tanto in forza di un termine di
sessanta giorni reputato dal rimettente «non irragionevole», ma a
causa del suo dies a quo, nonostante, con l'art. 42, comma 5, della
legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali
amministrativi regionali), il legislatore, in un caso affine, avesse
invece gravato la segreteria del giudice amministrativo dell'avviso.
6.- Il 22 novembre 2019 si sono costituite in giudizio Ruffolo
srl e altri, parti ricorrenti nel giudizio a quo, concludendo per
l'accoglimento delle questioni.
Le parti ripercorrono il testo dell'ordinanza di rimessione,
condividendolo.
La normativa processuale censurata sarebbe stata inserita «in una
legge dai contenuti sostanzialmente ed apparentemente economici»,
recante «disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione
delle imprese in materia di energia», cosi' da restare celata.
La disposizione menzionata, inoltre, sarebbe del tutto eccentrica
se posta a raffronto con la disciplina della perenzione dei ricorsi
ultra-quinquennali nel processo amministrativo, che opera quale causa
di estinzione del processo per inattivita' delle parti, solo se
queste ultime hanno ricevuto un apposito avviso di segreteria e non
hanno assunto ulteriori iniziative processuali.
Le parti private deducono, infine, la violazione dell'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, perche' sarebbe stato leso
l'affidamento dei consociati, con un «ingiusto favor del legislatore»
per l'amministrazione resistente nel giudizio.
Cio' avrebbe determinato anche una «interferenza legislativa nel
processo pendente».
7.- Il 2 dicembre 2019 si e' costituita in giudizio Terna-Rete
elettrica nazionale spa, parte resistente nel giudizio principale, la
quale, nell'imminenza dell'udienza pubblica, ha depositato memoria,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, nel
merito, non fondate.
L'inammissibilita' deriverebbe dal fatto che ne' la parte
ricorrente nel giudizio principale, ne' il rimettente hanno,
rispettivamente, chiesto e valutato la concessione della rimessione
in termini per riassumere la causa ai sensi dell'art. 37
dell'Allegato 1 al d.lgs. n. 104 del 2010.
Inoltre, il rimettente non avrebbe specificato se, a seguito di
accoglimento delle questioni, l'obbligo di avvisare le parti
dell'onere di riassunzione dovrebbe competere al giudice, ovvero alla
sua segreteria. Cio' comporterebbe l'inammissibilita' per «invasione
del potere legislativo» e «difetto di legittimazione del Giudice a
quo a prefigurare e modulare il tipo e il contenuto di decisione da
adottarsi dalla Corte costituzionale».
Le questioni sarebbero inammissibili anche per difetto di
motivazione sulla non manifesta infondatezza, posto che il giudice
rimettente si sarebbe limitato a richiamare la precedente
giurisprudenza costituzionale, senza offrire altri argomenti a
sostegno del dubbio di costituzionalita'.
Le questioni sarebbero altresi' infondate, poiche' il loro
accoglimento si porrebbe in contrasto con il principio che assume la
generale conoscenza della legge, e dunque - secondo Terna-Rete
elettrica nazionale spa - con gli artt. 73, terzo comma, Cost., 10
disp. prel. cod. civ. e 5 cod. pen.
Tale principio, come piu' volte osservato dalla Corte di
cassazione, varrebbe in particolare per gli operatori del diritto e,
quanto agli avvocati difensori, si tradurrebbe nell'obbligo di
aggiornarsi autonomamente e con diligenza sull'evoluzione normativa e
giurisprudenziale.
La disposizione - aggiunge la parte - ebbe anche «una importante
visibilita' in moltissime riviste e quotidiani giuridici». Essa,
dettata nell'esercizio dell'ampia discrezionalita' legislativa in
tema di istituti processuali, non imporrebbe oneri eccessivamente
gravosi per il diritto di difesa e risponderebbe all'esigenza di
concentrare le controversie energetiche piu' significative presso il
TAR Lazio in tempi celeri.
8.- I ricorrenti del giudizio principale hanno a propria volta
depositato una memoria conclusiva, con la quale reiterano gli
argomenti gia' spesi, con ampi richiami alla giurisprudenza
costituzionale.
Insistono altresi' sulla violazione degli artt. 6, 13 e 18 CEDU,
posto che il legislatore sarebbe arbitrariamente intervenuto su
processi in corso, comprimendo senza proporzionalita' il fondamentale
diritto di difesa, anche allo scopo di ottenere un «azzeramento del
contenzioso giurisdizionale» a favore delle «forti oligarchie,
pubbliche o private che siano».
La norma censurata, infine, non potrebbe superare il test di
ragionevolezza, poiche' avrebbe compromesso il diritto di difesa per
tutelare interessi di minor rango costituzionale.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 19 luglio 2019 (r.o. n. 197 del 2019) il
Consiglio di Stato, sezione sesta, ha sollevato questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 41, comma 5, della legge 23
luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e
l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia di
energia), in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
La disposizione censurata, al comma 1, non oggetto di censura, ha
devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e
alla competenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio «tutte le controversie, anche in relazione alla fase
cautelare e alle eventuali questioni risarcitorie, comunque attinenti
alle procedure e ai provvedimenti dell'amministrazione pubblica o dei
soggetti alla stessa equiparati concernenti la produzione di energia
elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di
importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica
superiore a 400 MW nonche' quelle relative ad infrastrutture di
trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione
nazionale o rete nazionale di gasdotti».
Il comma 5, oggetto del dubbio di legittimita' costituzionale, ha
poi previsto che tale previsione in punto di giurisdizione e
competenza si applica «anche ai processi in corso alla data di
entrata in vigore della presente legge» e che «l'efficacia delle
misure cautelari emanate da un'autorita' giudiziaria diversa da
quella di cui al comma 1 permane fino alla loro modifica o revoca da
parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in
Roma, dinanzi al quale la parte interessata ha l'onere di riassumere
il ricorso e l'istanza cautelare entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge».
Nel giudizio a quo e' appellata la sentenza, con la quale il TAR
Lazio ha preso atto che una controversia rientrante tra quelle
indicate dall'art. 41, comma 1, della legge n. 99 del 2009,
inizialmente proposta avanti al TAR Calabria, secondo il riparto
della competenza vigente ratione temporis, non e' stata riassunta nel
termine decadenziale di sessanta giorni previsto dal successivo comma
5, censurato, e si e' pertanto estinta.
Il giudice rimettente dubita della legittimita' costituzionale di
detta disposizione, nella parte in cui impone che il termine per la
riassunzione decorra dalla data di entrata in vigore della legge n.
99 del 2009, anziche' dalla data di ricezione dell'avviso dell'onere
di riassunzione.
Il giudice a quo, in altri termini, non pone in discussione ne'
la legittimita' costituzionale della scelta legislativa di derogare
al principio della perpetuatio iurisdictionis, sancito dall'art. 5
del codice di procedura civile, modificando la competenza anche con
riguardo ai processi in corso; ne' la gravosita' dell'adempimento
consistente nella riassunzione nel termine di sessanta giorni.
Il dubbio di costituzionalita' cade, invece, sulla opzione
legislativa di non accompagnare la previsione normativa con la
garanzia che le parti, mediante un avviso, siano rese edotte
dell'onere di riassumere la causa di fronte al giudice divenuto
competente per effetto dell'art. 41, comma 1, della legge censurata.
Il rimettente reputa tale omissione manifestamente irragionevole,
nonche' lesiva del diritto di difesa e del principio del giusto
processo (artt. 3, 24 e 111 Cost.).
2.- Nel costituirsi nel giudizio incidentale, Ruffolo srl e
altri, parti ricorrenti del processo principale, hanno introdotto
nuovi e autonomi profili di illegittimita' costituzionale della
disposizione censurata, con riferimento alla violazione dell'art.
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, 13 e 18 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Tali
censure, tuttavia, non sono ammissibili, poiche' spetta alla sola
ordinanza di rimessione determinare il thema decidendum sottoposto a
questa Corte (da ultimo, sentenza n. 49 del 2021).
3.- Si e' costituita in giudizio Terna-Rete elettrica nazionale
spa, parte resistente nel processo principale, la quale ha eccepito
l'inammissibilita' delle questioni dedotte, anzitutto per difetto di
rilevanza, poiche' il rimettente non avrebbe valutato
l'applicabilita' al caso di specie dell'art. 37 dell'Allegato 1 al
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per
il riordino del processo amministrativo), che consente la rimessione
in termini per errore scusabile.
L'eccezione e' infondata, posto che, in linea logica e a
prescindere dall'effettiva pertinenza dell'art. 37 dell'Allegato 1 al
d.lsg. n. 104 del 2010 (d'ora in avanti: cod. proc. amm.) al caso
oggetto di giudizio, il dubbio sulla legittimita' costituzionale di
una norma impositiva di un onere processuale precede la questione
della applicabilita' di un rimedio eventualmente offerto
dall'ordinamento (anche) per il caso di inosservanza di tale norma.
3.1.- Terna-Rete elettrica nazionale spa ha altresi' eccepito
l'inammissibilita' delle questioni, perche' il rimettente non avrebbe
chiarito se, in caso di accoglimento del dubbio di legittimita'
costituzionale, l'avviso alle parti debba essere dato dal giudice,
ovvero dalla segreteria del Tribunale.
L'eccezione e' infondata. Omettendo ogni altra considerazione, e'
assorbente rilevare che dal tenore dell'ordinanza di rimessione si
puo' univocamente concludere che, nella prospettiva del giudice
rimettente, l'avviso competa agli uffici amministrativi del
Tribunale, secondo lo schema introdotto da questa Corte con la
sentenza n. 111 del 1998, che il giudice a quo reputa attenere ad un
caso analogo all'odierno, e che si e' risolto appunto in tale modo.
Va aggiunto che, nelle ipotesi in cui il giudice amministrativo
ravvisi la propria incompetenza, pronuncia ordinanza, ai sensi
dell'art. 15 cod. proc. amm. E' percio' evidente che il rimettente,
omettendo ogni riferimento a tale ordinaria disciplina del rilievo
del difetto di competenza, e riferendosi viceversa ad un "avviso",
abbia ritenuto che, in caso di accoglimento delle questioni,
quest'ultimo debba spettare alla segreteria del Tribunale.
3.2.- La parte resistente ha infine eccepito l'inammissibilita'
delle questioni, per difetto di motivazione sul requisito della non
manifesta infondatezza, che il rimettente avrebbe illustrato con un
mero rinvio alla sentenza n. 111 del 1998 di questa Corte.
L'eccezione e' infondata, poiche' i richiami a tale pronuncia si
inseriscono in una trama motivazionale del tutto congrua, con cui
essi sono resi calzanti alle odierne questioni, ampiamente illustrate
con riferimento ai parametri costituzionali indicati.
4.- La disposizione censurata e' stata abrogata dall'art. 4,
comma 1, numero 43 dell'Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010, e nella
sostanza riprodotta dall'art. 135, comma 1, lettera f), cod. proc.
amm.
Come ha rilevato il rimettente, essa continua a trovare
applicazione nel giudizio principale, nel quale l'effetto estintivo
causato dalla omessa riassunzione si e' determinato fin dal 2009, ed
e' quindi interamente disciplinato dalla norma censurata. Ne' vi sono
ragioni per reputare implausibile la valutazione del giudice a quo,
al quale essa spetta, in ordine all'effetto processuale conseguente
all'inosservanza dell'onere, ovvero l'estinzione.
5.- E' fondata la questione sollevata in riferimento all'art. 3
Cost.
La norma censurata riconnette all'inerzia delle parti la piu'
grave delle conseguenze, poiche' esse incorrono nell'effetto
estintivo appena rammentato.
Cio' accade in conseguenza di una deroga (la cui legittimita'
costituzionale in se' il rimettente non pone in dubbio) ad un
principio di carattere generale (codificato dall'art 5 cod. proc.
civ. e applicabile al processo amministrativo ai sensi dell'art. 39
cod. proc. amm.), ovvero che giurisdizione e competenza sono
determinate con riguardo alla legge vigente al momento della
proposizione della domanda giudiziale.
Eventuali deroghe a tale principio, se costituzionalmente
legittime, devono nondimeno essere accompagnate, allorche' comportino
l'onere per la parte di riassumere il giudizio davanti al giudice
competente entro un termine perentorio, da accorgimenti che
garantiscano alle parti stesse l'effettiva conoscenza del mutamento
normativo, medio tempore intervenuto. E cio' in ragione, per un
verso, del naturale affidamento che le parti ripongono nella
stabilita' della competenza del giudice, una volta che il processo
abbia avuto inizio, e, per altro verso, della particolare gravita'
della sanzione della decadenza che presidia il mancato adempimento
dell'onere nel termine prescritto.
Non a caso, con riguardo a ipotesi normative di estinzione del
giudizio amministrativo a causa della inattivita' delle parti, il
legislatore ha posto a carico delle segreterie l'adempimento di
doveri informativi, volti ad agevolare l'esercizio del diritto di
difesa.
Depone nel senso anzidetto l'art. 42 della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali),
rammentato dal rimettente, con il quale si stabili' che la segreteria
del giudice dovesse avvisare le parti, in occasione del trasferimento
dei ricorsi pendenti presso qualsiasi autorita' giurisdizionale,
affinche' decorresse il termine perentorio per chiedere la fissazione
dell'udienza di trattazione della causa.
In via strutturale, inoltre, l'estinzione del giudizio
amministrativo per perenzione del ricorso ultra-quinquennale (ovvero,
che pende da 5 anni, senza che sia stata avanzata nuova istanza di
fissazione di udienza) non puo' essere rilevata, se non a seguito di
avviso alle parti costituite dalla segreteria del Tribunale, per
permettere loro di attivarsi (art. 82 cod. proc. amm., preceduto
dall'analogo art. 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205, recante
«Disposizioni in materia di giustizia amministrativa»).
Nelle ipotesi in cui la legge connetta all'inerzia delle parti
l'estinzione nel processo amministrativo, pur a fronte di oneri
immediatamente ricavabili dalla normativa vigente, si puo' pertanto
rilevare la tendenza del legislatore a favorire l'adempimento
processuale, grazie alla collaborazione degli uffici.
A simile tendenza la norma censurata si e' sottratta. Si deve
infatti considerare che la perenzione per inattivita' processuale e'
effetto tipico del giudizio amministrativo, mentre l'onere di
riassunzione di una causa pendente avanti al giudice divenuto
competente discende da un'iniziativa del legislatore del tutto
peculiare, e derogatoria rispetto all'ordinario andamento del
processo.
Appare percio' manifestamente irragionevole la scelta di negare
alla parte il concorso degli uffici del giudice nel predisporre le
attivita' processuali necessarie alla prosecuzione della causa, in
un'ipotesi peculiare e derogatoria, benche' esso sia invece offerto,
pur non sistematicamente, ma comunque per casi connaturati
all'andamento del processo, in applicazione di una regola generale.
Va aggiunto che il legislatore ben avrebbe potuto assegnare al
giudice preventivamente adito il compito di dichiarare il proprio
difetto di giurisdizione e di competenza, secondo quanto
ordinariamente accadeva per effetto dell'art. 59 della legge 18
giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitivita', nonche' in materia di processo
civile), che, nel medesimo tratto temporale in cui e' maturata la
norma censurata, ha optato per tale soluzione ai fini di garantire la
translatio iudicii nei casi di carenza di giurisdizione. Non
diversamente il legislatore si era in precedenza orientato con l'art.
3, comma 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure
straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti
nella regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di
protezione civile), convertito, con modificazioni, nella legge 27
gennaio 2006, n. 21, con il quale si e' previsto che, in un'ipotesi
di incompetenza del primo giudice per ius superveniens, spettasse a
tale giudice dichiararsi incompetente con sentenza.
La scelta di imporre un diretto onere di riassunzione a carico
delle parti, pur in assenza di analoga pronuncia giurisdizionale, non
e' in se' costituzionalmente illegittima, atteso che essa persegue un
obiettivo di celerita' nella trattazione di delicate controversie
attinenti ad interessi significativi. Allorche' tuttavia, come nel
caso in esame, l'onere stesso non sia accompagnato dalla previsione
di un avviso alle parti costituite, avviso dal quale soltanto decorra
il termine breve fissato per la riassunzione, e sia invece previsto
che esso decorra senz'altro dall'entrata in vigore della legge, la
scelta medesima si espone ad un tratto di devianza dalla comune trama
legislativa, che sfocia in una eccentricita' lesiva del principio di
ragionevolezza.
6.- L'art. 41, comma 5, della legge censurata va percio'
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede
che il termine per la riassunzione del ricorso decorra dalla data di
entrata in vigore della medesima legge. Spetta al giudice rimettente
decidere quali effetti tale pronuncia produca nel giudizio
principale.
7.- Sono assorbite le questioni poste in relazione agli artt. 24
e 111 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 41, comma 5,
della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e
l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia di
energia), nella parte in cui prevede che il termine per la
riassunzione del ricorso decorra dalla data di entrata in vigore
della legge.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 maggio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
