CORTE COSTITUZIONALE 25 febbraio 2021, SENTENZA n.55 (Data deposito in cancelleria 31 marzo 2021)
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Reati e pene – Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti – Divieto di prevalenza della circostanza attenuante per il reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti (art. 116, secondo comma, cod. pen.) rispetto alla recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, cod. pen.) – Violazione del principio di uguaglianza e della finalita’ rieducativa della pena – Illegittimita’ costituzionale in parte qua. – Codice penale, art. 69, quarto comma, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. – Costituzione, artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma. (T-210055) (GU n. 14 del 07-04-2021)
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i
recidivi, di usura e di prescrizione), promosso dal Tribunale
ordinario di Firenze nel procedimento penale a carico di A. E. e
altro, con ordinanza del 9 dicembre 2019, iscritta al n. 129 del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2020.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 2021 il Giudice
relatore Giovanni Amoroso;
deliberato nella camera di consiglio del 25 febbraio 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (reg. ord. n. 129 del
2020), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice
penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354,
in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza
della circostanza attenuante di cui all'art. 116, secondo comma, cod.
pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99,
quarto comma, cod. pen., nonche', in riferimento agli artt. 3, 25,
secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimita'
costituzionale della medesima disposizione, nella parte in cui
prevede il divieto di prevalenza di piu' circostanze attenuanti sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.
1.1.- Il giudice rimettente premette di essere chiamato a
giudicare con rito abbreviato due persone imputate del reato di cui
agli artt. 110, 116 e 628, secondo comma, cod. pen., perche', in
concorso tra loro e, comunque, previo concerto, sottraevano dagli
scaffali di un supermercato alcuni generi alimentari per un valore
complessivo di euro 8,77; in particolare dall'imputazione risulta che
una volta giunti alle casse, per assicurarsi il possesso di tali cose
e procurarsi l'impunita', l'imputata F. H. M. Z. usava violenza
contro la direttrice del negozio intervenuta a bloccarla all'uscita,
spintonandola violentemente e strattonandola per un braccio, fuggendo
all'esterno dell' esercizio commerciale, seguita dall'imputato A. E.
I due imputati venivano, poi, bloccati dal personale della Polizia di
Stato che li trovava in possesso della merce appena sottratta ed
intenti a consumarla.
All'imputato A. E. e' stata contestata la recidiva reiterata,
specifica infraquinquennale e dopo l'esecuzione della pena e, a tal
riguardo, il giudice a quo da' analitico conto dei numerosi
precedenti risultanti dai certificati penali dell'interessato.
Per entrambi gli imputati, secondo il giudicante, la
responsabilita' penale risulta accertata e, ai sensi dell'art. 116,
primo comma, cod. pen., anche l'imputato A. E. e' responsabile della
rapina impropria, avendo programmato il solo furto, non essendovi
elementi per ritenere che avesse invece previsto e accettato il
rischio di realizzazione del piu' grave reato di rapina, anche solo
in termini di dolo eventuale.
Era, infatti, prevedibile che il furto potesse degenerare in una
rapina e cio' anche alla luce dell'orientamento della giurisprudenza
di legittimita' secondo cui «sussiste il necessario rapporto di causa
ad effetto tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di
rapina impropria, commesso successivamente, poiche' e' del tutto
prevedibile che un compartecipe possa trascendere ad atti di violenza
o minaccia nei confronti della parte lesa o di terzi, per assicurarsi
il profitto del furto, o comunque guadagnare l'impunita'» (tra le
tante, sono richiamate le sentenze della Corte di cassazione, sezione
seconda penale: sentenze 3-29 ottobre 2018, n. 49443; 6-27 ottobre
2016, n. 45446 e 18 giugno-26 luglio 2013, n. 32644).
In favore dell'imputato A. E. sarebbero riconoscibili anche
plurime circostanze attenuanti. In primo luogo, quell'attenuante di
cui all'art. 116, secondo comma, cod. pen.; poi, quella di cui
all'art. 62, numero 4), cod. pen., per il valore modesto dei beni
sottratti, e per la minima entita' dell'offesa recata all'integrita'
fisica della vittima.
Inoltre, sarebbero concedibili anche le circostanze attenuanti
generiche di cui all'art. 62-bis cod. pen. in ragione dell'entita'
della violenza, della natura dei beni oggetto della condotta
delittuosa e delle condizioni economiche degli imputati.
1.2.- Cio' precisato, quanto al bilanciamento tra la circostanza
aggravante della recidiva qualificata e le menzionate circostanze
attenuanti, il rimettente reputa necessario sollevare l'incidente di
costituzionalita' in ordine al divieto di prevalenza, fissato
dall'art. 69, quarto comma, cod. pen., sia della circostanza
attenuante ex art. 116, secondo comma, cod. pen. che di piu'
circostanze attenuanti, sulla recidiva reiterata, di cui all'art. 99,
quarto comma, cod. pen.
In punto di rilevanza, il rimettente osserva come nella
fattispecie al suo esame ricorra la recidiva reiterata (peraltro
specifica, infraquinquennale e dopo l'esecuzione della pena), la
quale non solo e' stata correttamente contestata, ma deve applicarsi
in concreto.
In considerazione del carattere recente dei precedenti
giudiziari, dell'omogeneita' tra gli stessi e il reato ora in esame,
del tipo di devianza di cui gli stessi sono espressione,
dell'insufficienza in chiave dissuasiva delle condanne e delle pene
gia' eseguite, il rimettente afferma che la ricaduta nel reato sia
effettivo sintomo di una maggiore pericolosita' e colpevolezza
dell'imputato.
Cio' argomentato, il giudice a quo osserva ancora che
l'applicazione della recidiva non e' incompatibile con l'istituto del
concorso anomalo, in quanto - richiamando la sentenza della Corte di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 13 maggio-11giugno 2015,
n. 24710 - afferma che il citato minor coefficiente psicologico
(prevedibilita' dello sviluppo piu' grave poi concretizzatosi) si
innesta necessariamente su una componente dolosa qual e' la
rappresentazione e volizione del reato meno grave, sicche' con
riguardo a tale componente e' dunque possibile la valutazione di
maggior pericolosita' e colpevolezza richiesta ai fini
dell'applicazione della recidiva.
Con riferimento alle altre circostanze attenuanti, il giudice a
quo afferma che esse, per la loro pregnanza, meriterebbero di essere
ritenute prevalenti rispetto alla citata recidiva qualificata e di
essere applicate nella loro estensione massima o quasi massima.
In tal senso, significativa sarebbe anche la richiesta del
pubblico ministero, in sede di formulazione delle conclusioni, di
applicazione delle attenuanti in misura prevalente sulla citata
recidiva.
Tuttavia, il divieto posto dall'art. 69, quarto comma, cod. pen.
osta ad un tale giudizio di prevalenza.
1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente
osserva come il precetto normativo in esame sia di dubbia
legittimita' costituzionale e, dopo aver ricordato che questa Corte
ha gia' affrontato in plurime occasioni e sotto differenti profili la
norma censurata, afferma che nella fattispecie il citato divieto
trasmoda in una manifesta irragionevolezza, sia riguardo alla
circostanza attenuante di cui all'art. 116 cod. pen., sia in
relazione alla sussistenza di una pluralita' di circostanze
attenuanti.
Sotto il primo profilo, il rimettente afferma che la circostanza
prevista dall'art. 116, secondo comma, cod. pen., anche se ad effetto
comune, sia meritevole di una considerazione peculiare, «in quanto
necessaria ad assicurare la "tenuta costituzionale" dell'istituto del
concorso anomalo».
Il rimettente, dopo aver ricordato che la Corte costituzionale,
nella sentenza n. 42 del 1965, aveva auspicato un intervento del
legislatore che ponesse fine a dubbi e discrasie suscitati dalla
disposizione dell'art. 116 cod. pen., ritiene che in tale quadro la
circostanza attenuante in esame «appare essenziale per assicurare la
legittimita' costituzionale ex art. 3 Cost. dell'istituto del
concorso anomalo, consentendo che situazioni profondamente diverse
(da un lato un vero e proprio dolo, dall'altro il dolo di un fatto
diverso, potenzialmente del tutto diverso, accompagnato dalla
prevedibilita' del fatto piu' grave del correo) siano sanzionate in
modo almeno un minimo differente».
Il divieto di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 116,
secondo comma, cod. pen. sulla recidiva reiterata, fissato dall'art.
69, quarto comma, cod. pen., ad avviso del ricorrente vanificherebbe
tale distinzione, imponendo l'applicazione al concorrente anomalo del
trattamento sanzionatorio previsto per il reato piu' grave da lui non
voluto.
Risulterebbe, poi, violato anche l'art. 27, terzo comma, Cost.,
in quanto il trattamento sanzionatorio che per effetto del divieto di
prevalenza troverebbe applicazione sarebbe eccessivo e ingiusto,
violando il canone della proporzionalita' rispetto al fatto di reato
posto in essere, globalmente considerato, ivi compreso
l'atteggiamento psicologico dell'imputato. In quanto sproporzionata,
la pena non potrebbe essere percepita dal condannato come giusta ed
esplicare quindi la propria funzione rieducativa.
1.4.- E', poi, affrontato il secondo profilo di illegittimita'
della norma.
Il rimettente, in particolare, afferma che intende concedere
all'imputato piu' circostanze attenuanti, tutte ad effetto comune,
applicabili nella loro portata massima o quasi, con la conseguenza
che, tralasciando per semplicita' la pena pecuniaria, sarebbe a suo
avviso congrua, ai sensi dell'art. 133 cod. pen., una pena detentiva
di anni uno e mesi sei di reclusione, fatta salva la riduzione per il
rito.
Per effetto della recidiva reiterata e del divieto di prevalenza
delle attenuanti, la pena detentiva da irrogare e', invece, quella di
anni cinque di reclusione.
Si delineerebbe in tal modo, ad avviso del giudice a quo, una
irragionevole divaricazione tra la pena irrogabile in assenza del
divieto di prevalenza e la pena che invece e' applicabile in presenza
dello stesso, in contrasto con l'art. 3 Cost.
Inoltre, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto anche
con l'art. 25, secondo comma, Cost., in quanto, per effetto del
divieto di prevalenza, l'incidenza della recidiva finirebbe per
attribuire un peso eccessivo al passato giudiziale della persona
rispetto alla gravita' del fatto di reato commesso, globalmente
considerato anche nei suoi aspetti circostanziali.
Richiamando la sentenza n. 105 del 2014, il rimettente afferma,
poi, che la norma censurata violerebbe anche l'art. 27, terzo comma,
Cost., in quanto realizza una «deroga rispetto a un principio
generale che governa la complessa attivita' commisurativa della pena
da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena
base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo
finalisticamente indirizzato dall'art. 27, terzo comma, Cost.,
diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell'applicazione
delle circostanze».
2.- Con atto del 20 ottobre 2020, e' intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare le
questioni non fondate.
In particolare, dopo aver passato in rassegna numerose decisioni
di questa Corte, la difesa dello Stato evidenzia come
l'illegittimita' costituzionale sia stata pronunciata soltanto
rispetto ad attenuanti ad effetto speciale, con funzioni precise ed
essenziali, quali contenere gli scarti edittali e mitigare i livelli
di pena, per fattispecie di grande ampiezza, oppure per incentivare
comportamenti virtuosi dopo il reato.
La deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento,
riferendosi ad una circostanza attenuante comune implicante una
diminuzione della pena fino ad un terzo, non comporta ricadute sul
trattamento sanzionatorio palesemente irragionevoli o sproporzionate.
L'Avvocatura generale quindi - richiamando anche la sentenza
della Corte di cassazione (Cass., n. 24710 del 2015) che ha rigettato
un'identica eccezione di illegittimita' costituzionale - ha concluso
per la non fondatezza della questione.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019 (reg. ord. n. 129 del
2020), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice
penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354,
in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza
della circostanza attenuante di cui all'art. 116, secondo comma, cod.
pen., sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99,
quarto comma, cod. pen.; nonche', in riferimento agli artt. 3, 25,
secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimita'
costituzionale della medesima disposizione, nella parte in cui
prevede il divieto di prevalenza di piu' circostanze attenuanti sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.
1.1.- Il rimettente riferisce di dover giudicare, in sede di rito
abbreviato, F. H. M. Z. ed A. E., due persone imputate del reato di
cui agli artt. 110, 116 e 628, secondo comma, cod. pen., perche', in
concorso tra loro sottraevano dagli scaffali di un supermercato
alcuni generi alimentari per un valore complessivo di euro 8,77, con
violenza adoperata immediatamente dopo la sottrazione da uno solo dei
correi (cosiddetta rapina impropria).
Il giudice a quo da', altresi', atto che soltanto all'imputato A.
E., che non aveva posto in essere anche la condotta di violenza, e'
stata contestata la recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale
e dopo l'esecuzione della pena, in ragione dei numerosi precedenti
risultanti dal certificato penale.
Cio' precisato, egli riferisce che per entrambi risulta provata
la responsabilita' per il reato di rapina, e, con specifico
riferimento all'imputato A. E., afferma che debba essere ritenuto
responsabile della rapina impropria, ai sensi dell'art. 116, primo
comma, cod. pen., non essendovi elementi per affermare che egli
avesse previsto e accettato il rischio di realizzazione del piu'
grave reato di rapina, anche solo in termini di dolo eventuale.
In favore di tale imputato, che aveva voluto in correita' il
furto ma non anche la rapina, sarebbe applicabile la circostanza
attenuante di cui all'art. 116, secondo comma, cod. pen. che
prescrive che, se il reato commesso e' piu' grave di quello voluto,
la pena e' diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave.
Tuttavia, il divieto posto dall'art. 69, quarto comma, cod. pen.
osterebbe ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti
ai sensi dell'art. 69, secondo comma, cod. pen.; di qui la rilevanza
della prima questione sollevata con riferimento a tale divieto
applicato all'attenuante di cui all'art. 116, secondo comma, cod.
pen.
1.2.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo
osserva che la norma censurata violerebbe l'art. 3 Cost. Infatti
irragionevolmente comporta che il correo che abbia previsto e voluto
un reato meno grave sia punito in relazione al diverso e piu' grave
reato voluto e realizzato da un concorrente, con una pena
«enormemente» piu' alta di quella prevista per il reato da lui
voluto, ed inoltre, con una pena sensibilmente piu' alta di quella
irrogabile al concorrente che ha voluto e commesso il piu' grave
reato, ma al quale non trovi applicazione l'aggravante della recidiva
reiterata.
Inoltre, il contrasto con l'art. 3 Cost. sussisterebbe anche
sotto un ulteriore e diverso profilo; la norma censurata, impedendo
il giudizio di prevalenza della diminuente in esame, finirebbe con il
vanificare la funzione che la stessa tende ad assicurare, ossia
sanzionare in modo diverso situazioni profondamente diverse sul piano
dell'elemento soggettivo: quello del correo che pone in essere
l'evento diverso e piu' grave e quello dell'altro correo che ha
voluto solo il reato meno grave, unitamente alla prevedibilita' del
fatto piu' grave.
Sarebbe, inoltre, configurabile anche la violazione dell'art. 27,
terzo comma, Cost., perche', per effetto del divieto di prevalenza,
si determinerebbe un trattamento sanzionatorio sproporzionato
rispetto al reato commesso - considerato anche in relazione
all'atteggiamento psicologico dell'imputato - che sarebbe percepito
come ingiusto dal condannato e, percio', inidoneo ad esplicare la
funzione rieducativa che gli e' propria.
1.3.- Il rimettente, poi, solleva una seconda questione di
legittimita' costituzionale della stessa disposizione censurata, da
ritenersi subordinata.
Egli afferma che all'imputato sarebbero concedibili anche
l'attenuante di cui all'art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen.,
per il danno patrimoniale di speciale tenuita', e le attenuanti
generiche, di cui all'art. 62-bis cod. pen. Parimenti pero' la
diminuzione di pena che ne conseguirebbe risulta preclusa dal divieto
di prevalenza posto dalla norma censurata, la quale violerebbe, anche
sotto questa prospettiva, plurimi parametri costituzionali.
Sussisterebbe, in primo luogo, la violazione dell'art. 3 Cost.,
perche' nei casi in cui piu' circostanze attenuanti siano concedibili
ed applicabili nella loro portata massima, si configurerebbe una
irragionevole divaricazione tra la pena irrogabile in assenza del
divieto di prevalenza e quella applicabile in presenza di tale
divieto.
La norma censurata violerebbe anche, l'art. 25, secondo comma,
Cost., in quanto per effetto del divieto di prevalenza, l'incidenza
della recidiva sarebbe tale da attribuire un peso eccessivo ai
precedenti penali della persona, rispetto alla gravita' del fatto
commesso.
Infine, il divieto di prevalenza di piu' attenuanti
confliggerebbe con l'art. 27, terzo comma, Cost., in quanto
impedirebbe il necessario adeguamento del trattamento sanzionatorio
al caso concreto, risultando alla fine sproporzionato e impossibile
da accettare come giusto, con conseguente ostacolo alla realizzazione
della funzione rieducativa della pena.
2.- In via preliminare, deve rilevarsi che il rimettente ha
plausibilmente motivato in ordine alle ragioni che rendono rilevanti
le questioni di legittimita' costituzionale sottoposte all'esame di
questa Corte.
2.1.- In primo luogo, il rimettente ha mostrato di far proprio il
consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale e di
legittimita', secondo cui l'applicazione della recidiva, pur non
obbligatoria, si giustifica in quanto il nuovo delitto, commesso da
chi sia gia' stato condannato per precedenti delitti non colposi, sia
espressivo in concreto del maggior grado di colpevolezza e
pericolosita' nonche' di rimproverabilita' della condotta tenuta
nonostante l'ammonimento individuale scaturente dalle precedenti
condanne (sentenze n. 73 del 2020 e n. 192 del 2007; piu' di recente,
ex plurimis, sentenza n. 185 del 2015; Corte di cassazione, sezioni
unite penali, sentenza 27 maggio-5 ottobre 2010, n. 35738).
Nella fattispecie, il giudice a quo da' puntuale conto delle
numerose condanne pronunciate nei confronti dell'imputato, alla luce
delle quali reputa che la condotta contestatagli - concorso nel reato
di furto degenerato in rapina impropria - mostri una maggiore
pericolosita' e colpevolezza dell'imputato, insensibile a tali
precedenti condanne e, quindi, da un lato maggiormente rimproverabile
e dall'altro piu' incline a commettere nuovi reati.
2.2.- Inoltre il giudice rimettente - nella ricostruzione della
responsabilita' dell'imputato, quale concorrente cosiddetto anomalo
ai sensi dell'art. 116, primo comma, cod. pen., per il reato «diverso
da quello voluto» - tiene conto della giurisprudenza, costituzionale
e di legittimita', in ordine a tale norma.
Questa Corte (sentenza n. 42 del 1965) ha chiarito che la
responsabilita' ai sensi dell'art. 116 cod. pen. richiede la
sussistenza non soltanto del rapporto di causalita' materiale, ma
anche di un «coefficiente di colpevolezza», poi ribadito dalla
giurisprudenza di legittimita'.
Occorre cioe' un nesso psicologico, che postula che il reato
diverso o piu' grave commesso da altro concorrente possa
rappresentarsi alla psiche del concorrente anomalo come uno sviluppo
logicamente prevedibile di quello concordato (ex multis, Corte di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 2 ottobre-7 novembre
2019, n. 45356; sezione quarta penale, sentenza 18 ottobre-2 novembre
2018, n. 49897; sezione seconda penale, sentenza 11 luglio-29 ottobre
2018, n. 49433; sezione prima penale, sentenza 11 settembre-5 ottobre
2018, n. 44579) o come possibile epilogo rispetto al fatto
programmato (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 10
giugno 2016-6 aprile 2017, n. 17502).
Al riguardo il rimettente ha puntualmente precisato che, nel caso
di specie, sussistono sia il necessario rapporto di causa ad effetto
tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di rapina
impropria, commesso successivamente in ragione dell'azione violenta
posta in essere dall'altro correo, sia l'elemento soggettivo della
colpa, poiche' era prevedibile che il compartecipe potesse
trascendere ad atti di violenza o minaccia nei confronti della parte
lesa o di terzi, per assicurarsi il profitto del furto, o comunque
guadagnare l'impunita' (ex plurimis, Corte di cassazione, seconda
sezione penale, sentenze: 3-29 ottobre 2018, n. 49443; 6-27 ottobre
2016, n. 45446; 18 giugno-26 luglio 2013, n. 32644).
In particolare, il giudice rimettente, descrivendo in modo
puntuale lo svolgersi della condotta criminosa, dimostra di aderire
all'orientamento della giurisprudenza di legittimita' che postula
l'accertamento in concreto, alla luce di tutti gli elementi del caso,
della prevedibilita' del fatto diverso da parte di altro concorrente
(Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze n. 17502 del
2017, gia' citata; 28 aprile-18 novembre 2016, n. 49165; 19 novembre
2013-28 febbraio 2014, n. 9770).
La motivazione del giudice a quo in punto di rilevanza e' quindi
senz'altro plausibile e cio' comporta l'ammissibilita' delle
questioni prospettate in riferimento al divieto di prevalenza della
diminuente di cui all'art.116, secondo comma, cod. pen. (ex multis,
sentenze n. 73 del 2020 e n. 250 del 2018).
3.- Nel merito, sono fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., sollevate in
via principale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.,
nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della diminuente
di cui all'art. 116, secondo comma, cod. pen., sull'aggravante della
recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, cod. pen.).
4.- L'art. 116, primo comma, cod. pen. - come gia' ricordato -
contempla l'ipotesi in cui il reato commesso sia diverso da quello
voluto da taluno dei concorrenti, prevedendo che quest'ultimo ne
risponde se l'evento e' conseguenza della sua azione od omissione.
Pero', ove il reato commesso risulti essere piu' grave di quello
voluto, l'art. 116, secondo comma, cod. pen. stabilisce che la pena
e' diminuita.
Si tratta di una circostanza attenuante ad effetto comune che, ai
sensi dell'art. 65 cod. pen., comporta la diminuzione della pena in
misura non eccedente il terzo.
Quando tale diminuente concorre con l'aggravante della recidiva
reiterata prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen., il giudizio
di prevalenza e, quindi, la diminuzione della pena, e' impedita dalla
disposizione censurata, rimanendo possibile, a favore dell'imputato,
solo il giudizio di equivalenza. Infatti la legge n. 251 del 2005 ha
riformulato il quarto comma dell'art. 99 cod. pen., introducendo il
divieto di prevalenza di qualsiasi circostanza attenuante, inclusa la
diminuente del vizio parziale di mente, nell'ipotesi - tra l'altro -
di recidiva reiterata, precludendo cosi' in modo assoluto al giudice
di applicare, in tal caso, la relativa diminuzione di pena.
5.- Tale norma, nel testo risultante dalla legge n. 251 del 2005,
e' stata oggetto di numerose dichiarazioni di illegittimita'
costituzionale, che hanno restituito al giudice la possibilita' di
ritenere, nell'ambito dell'obbligatorio giudizio di bilanciamento
delle circostanze eterogenee, la prevalenza, rispetto alla
circostanza aggravante della recidiva reiterata, di singole
circostanze attenuanti, che sono state distintamente, di volta in
volta, oggetto di verifica di costituzionalita'.
In generale, questa Corte ha affermato che deroghe al regime
ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato
dall'art. 69 cod. pen., sono si' costituzionalmente ammissibili e
rientrano nell'ambito delle scelte discrezionali del legislatore, ma
sempre che non «trasmodino nella manifesta irragionevolezza o
nell'arbitrio» (sentenze n. 205 del 2017 e n. 68 del 2012; in senso
conforme, sentenza n. 88 del 2019), non potendo in alcun caso
giungere «a determinare un'alterazione degli equilibri
costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilita'
penale» (sentenze n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012).
Nella maggior parte dei casi, le dichiarazioni di illegittimita'
costituzionale hanno riguardato «circostanze espressive di un minor
disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione
offensiva» (sentenza n. 73 del 2020), in quanto riferite ad
attenuanti a effetto speciale, tali essendo quelle che importano una
diminuzione della pena superiore ad un terzo (art. 63, terzo comma,
cod. pen.): cosi' la «lieve entita'» nel delitto di produzione e
traffico illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012); la
«particolare tenuita'» nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105
del 2014); la «minore gravita'» nel delitto di violenza sessuale
(sentenza n. 106 del 2014); il «danno patrimoniale di speciale
tenuita'» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito
(sentenza n. 205 del 2017).
In un caso la dichiarazione di illegittimita' ha avuto ad oggetto
il divieto di prevalenza di una circostanza - l'essersi il reo
adoperato per evitare che il delitto di produzione e traffico di
stupefacenti sia portato a conseguenze ulteriori - diretta a premiare
l'imputato per la propria condotta post delictum (sentenza n. 74 del
2016).
Piu' recentemente l'esito di incostituzionalita' ha riguardato la
circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89
cod. pen., espressiva non gia' di una minore offensivita' del fatto,
quanto piuttosto della ridotta rimproverabilita' dell'autore,
derivante dal minor grado di discernimento. In relazione a tale
fattispecie questa Corte ha affermato che il «disvalore soggettivo
dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volonta'
criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma
anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul
processo motivazionale dell'autore, rendendolo piu' o meno
rimproverabile» (sentenza n. 73 del 2020).
6.- Nella fattispecie ora all'esame della Corte il divieto di
prevalenza dell'attenuante di cui al secondo comma dell'art. 116 cod.
pen. si rivela in contrasto con i parametri evocati dal giudice
rimettente, per una ragione ancora piu' stringente di quelle che
hanno portato alle precedenti, sopra richiamate, dichiarazioni di
illegittimita' costituzionale.
La struttura della fattispecie prevista dall'art. 116 cod. pen. -
norma introdotta dal codice penale del 1930 e ispirata a un rigore
marcatamente accentuato nella repressione dei reati commessi con
concorso di persone - e' tutt'affatto particolare se confrontata con
il principio generale della personalita' della responsabilita'
penale, posto dall'art. 27, primo comma, Cost., e dalla conseguente
preclusione di ogni forma di responsabilita' oggettiva penale (ex
plurimis, sentenza n. 364 del 1988).
Qualora due o piu' persone si accordino allo scopo di commettere
un reato, rispondono tutte di quest'ultimo (art. 110 cod. pen.)
perche' da ciascuno "voluto" e quindi investito da dolo, pur con
possibile diverso grado di intensita' e di partecipazione causale si'
da potersi distinguere tra chi ha promosso od organizzato la
cooperazione nel reato, ovvero diretto l'attivita' delle persone che
sono concorse nel reato medesimo (nel qual caso la pena e' aumentata:
art. 112, primo comma, numero 2, cod. pen.) e chi invece abbia avuto
minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato
(cio' che comporta che la pena e' diminuita: art. 114, primo comma,
cod. pen.).
Invece l'art. 116, primo comma, cod. pen. prevede l'ipotesi in
cui un concorrente risponde del reato «diverso da quello voluto» e
quindi in realta' "non voluto"; non di meno ne risponde perche' ha
voluto il reato oggetto dell'accordo e il reato diverso da quello
voluto e' conseguenza della sua azione od omissione.
Se si considera la formulazione testuale della norma, il
principio della personalita' della responsabilita' penale appare
essere in sofferenza, quanto meno nella misura in cui tale
disposizione richiede soltanto che l'evento del reato diverso sia
conseguenza dell'azione od omissione del correo, ossia il solo nesso
di causalita' materiale.
Ma alla tenuta costituzionale della norma contribuiscono da una
parte l'interpretazione adeguatrice, costituzionalmente orientata,
accolta fin dalla citata sentenza n. 42 del 1965 e dalla sopra citata
giurisprudenza di legittimita', e d'altra parte proprio l'attenuante
prevista dal secondo comma dell'art. 116 cod. pen., che ha una
funzione di necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio.
Infatti si e' gia' rilevato che, pur mancando il dolo (anzi
dovendo escludersi che esso ricorra anche nella forma del dolo
eventuale), e' pero' «necessaria, per questa particolare forma di
responsabilita' penale, la presenza anche di un elemento soggettivo»,
ossia «un coefficiente di partecipazione anche psichica»: occorre, in
altre parole, che «il reato diverso o piu' grave commesso dal
concorrente debba potere rappresentarsi alla psiche dell'agente,
nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno
sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in
tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di
colpevolezza» (sentenza n. 42 del 1965).
La giurisprudenza di legittimita', sopra richiamata, ha, poi,
chiarito che si tratta di prevedibilita' in concreto, tenuto conto di
tutte le peculiarita' del caso di specie. Il correo e' responsabile
per il fatto-reato non voluto, perche' avrebbe dovuto prevedere che
l'attuazione dell'accordo delittuoso sarebbe potuta sfociare in un
reato diverso; mentre - puo' aggiungersi - la previsione, da parte
del correo, dell'evento diverso, con accettazione del rischio che si
verifichi, ridonda in dolo eventuale e quindi in responsabilita'
piena, non diminuita dall'attenuante in esame (Corte di cassazione,
sezione prima penale, sentenza 28 giugno-30 agosto 1995, n. 9273).
7.- Ancorche' il difetto di prevedibilita' possa ascriversi a
colpa, il trattamento sanzionatorio, pero', e' quello del reato
doloso, tale essendo la prescrizione del primo comma dell'art. 116
cod. pen.; ossia lo stesso trattamento previsto per il correo che ha
commesso - e voluto - il reato "diverso".
In cio' la norma esibisce tutto il suo rigore sanzionatorio se
solo la si compara ad un'altra fattispecie generale e per certi versi
simile: quella dell'art. 83 cod. pen. Norma questa che, al di fuori
dell'ipotesi del concorso, prevede che se l'«evento [e'] diverso da
quello voluto», l'agente e' responsabile a titolo di colpa e quindi
solo ove il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo.
Invece l'art. 116, primo comma, cod. pen. non opera questo
decalage da reato doloso a reato colposo. Prevede al contrario la
stessa responsabilita' per il reato, diverso da quello voluto con
l'accordo delittuoso, commesso da altro correo, parificando cosi' a
quest'ultimo la posizione del concorrente che non ha voluto il
fatto-reato.
Ed e' qui che, come detto, soccorre il secondo comma dell'art.
116 cod. pen. per operare la necessaria diversificazione quanto alla
dosimetria della pena. Il trattamento sanzionatorio non puo' essere
pienamente parificato quando il reato commesso sia piu' grave di
quello voluto. In tal caso la pena per il correo che risponde a
titolo di colpa di un reato doloso piu' grave di quello voluto e'
necessariamente riequilibrata mediante l'operativita' della
diminuente prevista dalla norma. Anch'essa quindi concorre a
sorreggere la tenuta costituzionale di questa eccezionale fattispecie
di responsabilita' penale, della quale peraltro gia' la sentenza n.
42 del 1965 auspicava una revisione e che e' stata oggetto di varie
iniziative di riforma, finora senza esito.
8.- Questa finalita' di necessario riequilibrio del trattamento
sanzionatorio nella fattispecie del concorso anomalo di cui all'art.
116 cod. pen. mostra il carattere tutt'affatto particolare della
diminuente in esame, al di la' dell'essere essa un'attenuante comune
e non gia' ad effetto speciale.
La scelta del legislatore di sanzionare con la pena prevista per
un delitto doloso il reo, al quale viene mosso un rimprovero di
colpa, trova un bilanciamento proprio nella previsione di cui
all'art. 116, secondo comma, cod. pen., secondo cui la pena e'
diminuita.
Invece la norma censurata impedisce, in modo assoluto, al giudice
di ritenere prevalente la diminuente in questione, in presenza della
circostanza aggravante della recidiva reiterata, con cio' frustrando,
irragionevolmente, gli effetti che l'attenuante mira ad attuare e
compromettendone la necessaria funzione di riequilibrio
sanzionatorio.
Il divieto inderogabile di prevalenza dell'attenuante in esame
non risulta, quindi, compatibile con il principio costituzionale di
determinazione di una pena proporzionata.
Infatti il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla
gravita' del reato «esige in via generale che la pena sia
adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di
offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche
al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo (sentenza n. 222
del 2018). E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera
determinante non solo dal contenuto della volonta' criminosa (dolosa
o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla
eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo
motivazionale dell'autore, rendendolo piu' o meno rimproverabile»
(sentenza n. 73 del 2020).
9.- In definitiva, la sproporzione della pena rispetto alla
rimproverabilita' del fatto posto in essere, globalmente considerato,
conseguente al divieto di prevalenza censurato, determina un
trattamento sanzionatorio che impedisce alla pena di esplicare la
propria funzione rieducativa con violazione dell'art. 27 Cost.
Inoltre, il contrasto dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., con
l'art. 3 Cost. viene in rilievo sotto il profilo della violazione del
principio di uguaglianza, in quanto il divieto censurato finisce per
vanificare la funzione che la diminuente di cui all'art. 116, secondo
comma, cod. pen., tende ad assicurare, ossia sanzionare in modo
diverso situazioni profondamente distinte sul piano dell'elemento
soggettivo (quello del correo che pone in essere l'evento diverso e
piu' grave e quello di chi vuole il reato meno grave senza prevedere,
colpevolmente, che questo possa degenerare nel fatto piu' grave).
Deve, pertanto, dichiararsi l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 3
della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede il divieto di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 116, secondo
comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma,
cod. pen.
10.- Dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale,
consegue che la questione del medesimo art. 69, quarto comma, cod.
pen., sollevata, in via subordinata, come sopra rilevato al punto
1.3., resta assorbita.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i
recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il
divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art.
116, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all'art. 99,
quarto comma, cod. pen.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
