CORTE COSTITUZIONALE 26 maggio – 8 luglio 2021 SENTENZA N. 143
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Prevalenza della circostanza attenuante della lieve entita' del fatto introdotta dalla sentenza costituzionale n. 68 del 2012, in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata - Esclusione - Violazione del principio di uguaglianza e di proporzionalita' della pena - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - Codice penale, art. 69, quarto comma. - Costituzione, artt. 3, 25 e 27.
(GU n.28 del 14-7-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto
comma, del codice penale, promosso dalla Corte di cassazione, prima
sezione penale, nel procedimento penale a carico di G. B., S. B e S.
S., con ordinanza dell'8 settembre 2020, iscritta al n. 158 del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2020.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2021 il Giudice
relatore Giovanni Amoroso;
deliberato nella camera di consiglio del 26 maggio 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza dell'8 settembre 2020 (reg. ord. n. 158 del
2020) la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice
penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354,
in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza
dell'attenuante del «fatto di lieve entita'» - introdotta dalla
sentenza n. 68 del 2012 della Corte costituzionale, in relazione al
reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all'art.
630 cod. pen. - sulla circostanza aggravante della recidiva di cui
all'art. 99, quarto comma, cod. pen.
1.1.- Nel piu' ampio contesto di un'associazione per delinquere
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, a cinque imputati
e' stato contestato, in particolare, il delitto di sequestro di
persona a scopo di estorsione, ai sensi dell'art. 630 cod. pen., con
l'aggravante di cui all'art. 112, primo comma, numero 1), cod. pen.,
per il numero dei concorrenti nel reato. Gli imputati, condannati in
primo grado dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
ordinario di Bari e in appello dalla Corte di assise di appello di
Bari, hanno proposto ricorso per cassazione con motivi che attengono
esclusivamente alla determinazione della pena.
In particolare, contrariamente a quanto valutato dal giudice di
primo grado, la Corte di assise di appello, facendo applicazione
della sentenza di questa Corte n. 68 del 2012, ha riconosciuto in
favore degli imputati l'attenuante del «fatto di lieve entita'»,
trattandosi del sequestro operato per poche ore nei confronti di un
associato, al fine di costringerlo a versare la somma di 1.400 euro,
quale ricavato della vendita di una piccola quantita' di stupefacente
affidatagli, e al fine di ottenere la restituzione della pistola,
appartenente al sodalizio criminale e della quale si era
impossessato.
Quanto alla determinazione delle pene nei confronti dei cinque
imputati, la Corte di assise d'appello ha diversificato le posizioni.
Per due imputati, ai quali non e' stata contestata la recidiva,
la Corte territoriale ha riconosciuto l'attenuante di cui all'art.
311 cod. pen., in via prevalente sull'aggravante del numero di
persone, con conseguente rilevante diminuzione della pena complessiva
rispetto a quella inflitta in primo grado.
Per gli altri tre imputati, invece, la Corte, stante la
contestazione della recidiva ai sensi dell'art. 99, quarto comma,
cod. pen. e la ritenuta sua operativita', ha potuto valutare la
diminuente solo come equivalente all'aggravante contestata e alla
recidiva stessa, e ha conseguentemente confermato la pena finale di
anni venti di reclusione, inflitta dal giudice di primo grado. In
particolare, la Corte di appello ha adottato come pena base per il
calcolo della pena complessiva il minimo edittale previsto dall'art.
630 cod. pen., pari a venticinque anni di reclusione; l'ha, poi,
aumentata, per la continuazione con gli altri reati contestati ai tre
imputati, ad una pena superiore a trenta anni di reclusione; ha
applicato il limite di cui all'art. 78 cod. pen., determinando cosi'
la pena in anni trenta di reclusione, ridotta di un terzo per il rito
abbreviato.
1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la rimettente Corte
di cassazione sottolinea che nella citata sentenza n. 68 del 2012
questa Corte ha affermato che la funzione dell'attenuante del «fatto
di lieve entita'» e' quella di mitigare una risposta punitiva
improntata ad eccezionale asprezza «e che, proprio per questo,
rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varieta' delle
situazioni concrete riconducibili al modello legale». Inoltre, la
Corte rimettente ha ravvisato la violazione dell'art. 27, comma
terzo, Cost., «nel suo valore fondante, in combinazione con l'art. 3
della Costituzione, del principio di proporzionalita' della pena al
fatto concretamente commesso, sul rilievo che una pena palesemente
sproporzionata - e, dunque - inevitabilmente avvertita come ingiusta
dal condannato - vanifica, gia' a livello di comminatoria legislativa
astratta, la finalita' rieducativa».
La rimettente passa poi in rassegna le plurime sentenze di
parziale illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma,
cod. pen., come sostituito dall'art. 3 della legge n. 251 del 2005,
e, in primo luogo, richiama la sentenza di questa Corte n. 251 del
2012 che - nel dichiarare costituzionalmente illegittimo il divieto
di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma
5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma,
cod. pen. - ha rimarcato come due fatti, quelli previsti dal primo e
dal quinto comma dell'art. 73, che lo stesso assetto legislativo
riconosce come profondamente diversi sul piano dell'offensivita',
siano ricondotti alla medesima cornice edittale con conseguente
violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e del
principio di proporzionalita' della pena (art. 27 Cost.). Il divieto
di prevalenza di cui alla norma censurata impedisce il necessario
adeguamento della pena, connotando la risposta punitiva come pena
palesemente sproporzionata, avvertita come ingiusta dal condannato,
nonche' contrastante con la finalita' rieducativa della stessa.
La rimettente si sofferma, altresi', sulle successive decisioni
di questa Corte, tutte parimenti dichiarative dell'illegittimita'
costituzionale della stessa disposizione attualmente censurata, in
riferimento ad altrettante specifiche ipotesi di reato.
Anche nella fattispecie - conclude la Corte di cassazione - e'
costituzionalmente illegittimo il divieto di prevalenza della
circostanza attenuante del «fatto di lieve entita'» nel reato di
sequestro di persona a scopo di estorsione, pur trattandosi di una
diminuente comune, che pero' ha una necessaria funzione di
riequilibrio dell'eccezionale asprezza del trattamento sanzionatorio
previsto dall'art. 630 cod. pen.
1.3.- In definitiva, l'impossibilita' per il giudice di ritenere
prevalente, sulla recidiva reiterata, la diminuente del «fatto di
lieve entita'» comporta - secondo la Corte rimettente - la violazione
degli artt. 3, 25 e 27 Cost. Tali questioni di legittimita'
costituzionale sarebbero, inoltre, rilevanti in quanto decisive al
fine dell'accoglimento, o no, dei motivi di ricorso per cassazione
che censurano la misura della pena inflitta ai tre imputati.
2.- Con atto del 9 dicembre 2020, e' intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni
siano dichiarate non fondate.
Innanzi tutto la difesa statale pone in rilievo il carattere
facoltativo della recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto
comma, cod. pen.
Una volta caduto il presupposto dell'obbligatorieta' della
recidiva reiterata, come ritenuto nelle sentenze n. 145 del 2018 e n.
120 del 2017 di questa Corte, il giudice, ad avviso della difesa
statale, e' tenuto ad applicare l'aumento di pena previsto per la
recidiva reiterata solo qualora ritenga che il nuovo episodio
delittuoso sia concretamente significativo in rapporto alla natura e
al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai parametri
indicati dall'art. 133 cod. pen., sotto il profilo della piu'
accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo.
Sicche' non c'e' alcun automatismo nell'effetto preclusivo di tale
circostanza aggravante.
Comunque - osserva l'Avvocatura - l'attuale formulazione
dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., costituisce il punto di arrivo
di un'evoluzione legislativa dei criteri di bilanciamento delle
circostanze non omogenee, aggravanti e attenuanti. La disposizione
censurata, in particolare, risponde all'esigenza di assicurare una
sanzione piu' rigorosa per un fatto caratterizzato da un grado di
pericolosita' e di lesivita' piu' intenso proprio in ragione della
recidiva reiterata, che comporta un aumento di pena, in
considerazione di un comportamento addebitabile al condannato, il cui
effetto e' proporzionato alla gravita' oggettiva e soggettiva dello
stesso.
Secondo la l'Avvocatura, la disposizione censurata, tesa ad
offrire una risposta ad un fenomeno che genera allarme sociale, non
appare in contrasto con il principio di eguaglianza, ne' comporta una
misura sproporzionata della pena, in quanto tende ad attuare una
forma di prevenzione generale, inasprendo il regime sanzionatorio per
gli imputati recidivi.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza dell'8 settembre 2020 (reg. ord. n. 158 del
2020) la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt.
3, 25 e 27 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma, del codice penale, come
sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche
al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle
circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione),
nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza dell'attenuante
del «fatto di lieve entita'» - introdotta dalla sentenza n. 68 del
2012 di questa Corte, in relazione al reato di sequestro di persona a
scopo di estorsione di cui all'art. 630 cod. pen. - sulla circostanza
aggravante della recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma,
cod. pen.
La Corte di cassazione riferisce di essere investita con ricorso
avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Bari, che, in
un contesto processuale piu' ampio (di associazione a delinquere
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti), ha in particolare
accertato la penale responsabilita' di cinque imputati, per aver
concorso nel delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione,
ai sensi dell'art. 630 cod. pen., con l'aggravante di cui all'art.
112, primo comma, numero 1), cod. pen., per il numero dei concorrenti
nel reato.
La Corte di assise di appello, diversamente dal giudice di primo
grado, ha riconosciuto in favore degli imputati la circostanza
attenuante del fatto di lieve entita', introdotta a seguito della
dichiarazione di illegittimita' costituzionale di cui alla sentenza
n. 68 del 2012, atteso che il sequestro si era protratto solo per
poche ore nei confronti di un associato al fine di costringerlo a
versare la somma di 1.400 euro, quale ricavato della vendita di una
piccola quantita' di stupefacente affidatagli, e a restituire una
pistola appartenente al sodalizio criminale.
Pero', nella determinazione della pena nei confronti dei cinque
imputati, la Corte territoriale ha diversificato le loro posizioni.
Mentre l'attenuante predetta e' stata ritenuta prevalente
sull'aggravante del numero di persone per due imputati, ai quali non
era stata contestata la recidiva, con conseguente rilevante
diminuzione della pena complessiva rispetto a quella inflitta in
primo grado; per gli altri tre imputati, invece, la diminuente e'
stata ritenuta solo equivalente all'aggravante della recidiva
reiterata, stante la preclusione posta dall'art. 69, quarto comma,
cod. pen., con conseguente conferma della pena finale di anni venti
di reclusione, inflitta dal giudice di primo grado.
La Corte di cassazione rimettente - nel dare atto che i motivi di
ricorso attengono esclusivamente alla determinazione della pena, non
essendo in discussione la responsabilita' degli imputati - ritiene
che, in applicazione dei principi affermati da questa Corte in
numerose dichiarazioni di illegittimita' costituzionale aventi ad
oggetto la medesima disposizione attualmente impugnata, la previsione
del divieto di prevalenza dell'attenuante del fatto di lieve entita',
riconosciuta in relazione all'art. 630 cod. pen., sulla recidiva
reiterata di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen., si ponga in
contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost.
In particolare, la Corte rimettente osserva che, in
considerazione dell'eccezionale asprezza del trattamento
sanzionatorio previsto dall'art. 630 cod. pen., l'impossibilita' di
applicare la diminuzione di pena prevista dall'attenuante in esame,
secondo un giudizio di prevalenza, lede il principio di
proporzionalita' della pena in quanto impedisce il necessario
adeguamento della stessa al fatto di particolare tenuita'.
Per effetto del divieto di prevalenza dell'attenuante del fatto
di lieve entita' sull'aggravante della recidiva reiterata si
determinerebbe un trattamento sanzionatorio sproporzionato rispetto
al reato commesso, che sarebbe percepito come ingiusto dal condannato
e, percio', risulterebbe inidoneo a svolgere la funzione rieducativa
prescritta dall'art. 27 Cost. Cio' ridonderebbe anche in violazione
del principio di eguaglianza in ragione dell'ingiustificatezza della
risposta sanzionatoria, cosi' marcatamente differenziata rispetto
agli imputati concorrenti nel reato.
2.- In via preliminare, deve osservarsi che sussiste la rilevanza
delle questioni in quanto, come evidenziato nell'ordinanza di
rimessione, i motivi di ricorso per cassazione attengono
esclusivamente alla determinazione della pena inflitta dal giudice di
appello.
E' vero che - come giustamente sottolinea l'Avvocatura generale
dello Stato - la circostanza aggravante della recidiva reiterata ai
sensi dell'art. 99, quarto comma, cod. pen. e' facoltativa e non gia'
obbligatoria, come affermato da questa Corte (sentenza n. 120 del
2017 e ordinanza n. 145 del 2018). E tale e' divenuta anche la
recidiva di cui al quinto comma dello stesso art. 99 cod. pen. a
seguito della dichiarazione di illegittimita' costituzionale di cui
alla sentenza n. 185 del 2015.
Va infatti ribadito che, in generale, il giudice e' tenuto ad
applicare «l'aumento di pena previsto per la recidiva reiterata solo
qualora ritenga il nuovo episodio delittuoso concretamente
significativo - in rapporto alla natura ed al tempo di commissione
dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133
cod. pen. - sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e
della maggiore pericolosita' del reo» (sentenza n. 120 del 2017). E
quindi al giudice e' sempre consentito «negare la rilevanza
aggravatrice della recidiva ed escludere la circostanza, non
applicando il relativo aumento della sanzione» (sentenza n. 185 del
2015).
Cio', pero', non revoca in dubbio la plausibilita' del
presupposto interpretativo dal quale muove la Corte di cassazione
rimettente, che e' investita con il ricorso con cui i tre imputati
recidivi contestano solo la misura della pena e non censurano invece
la sentenza della Corte di assise d'appello nella parte in cui ha
ritenuto applicabile tale aggravante, pur non obbligatoria.
Sussiste, quindi, la rilevanza delle sollevate questioni di
legittimita' costituzionale.
3.- Nel merito, le questioni sono fondate con riferimento agli
artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost.
4.- Giova premettere che originariamente il reato di sequestro di
persona a scopo di estorsione era punito con la pena della reclusione
da otto a quindici anni, oltre che con la pena pecuniaria della
multa.
A seguito dell'allarme sociale provocato, negli anni Settanta, da
numerosi episodi di sequestro di persona per conseguire il riscatto
per la liberazione - posti in essere da pericolose organizzazioni
criminali, spesso con efferate modalita' esecutive e connotate di
norma dal rischio della perdita della vita per il sequestrato, non di
rado con l'esito della morte di quest'ultimo - il legislatore ha
adottato plurimi interventi di contrasto (artt. 5 e 6 della legge 14
ottobre 1974, n. 497, recante «Nuove norme contro la criminalita'»;
art. 2 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, recante «Norme penali
e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati»,
convertito, con modificazioni, in legge 18 maggio 1978, n. 191) -
normativa questa avente «i tratti tipici della legislazione
"emergenziale"» (sentenza n. 68 del 2012) - e infine si e'
determinato a innalzare notevolmente le pene edittali, sia nel
minimo, sia nel massimo, sostituendo interamente l'art. 630 cod. pen.
(art. 1 della legge 30 dicembre 1980, n. 894, recante «Modifiche
all'articolo 630 del codice penale»), ma lasciando immutata la
descrizione della fattispecie del reato.
In tale nuova formulazione l'art. 630 cod. pen. ha previsto al
primo comma - e prevede tuttora - che chiunque sequestra una persona
allo scopo di conseguire, per se' o per altri, un ingiusto profitto
come prezzo della liberazione e' punito con la reclusione da
venticinque a trenta anni.
Il minimo della pena detentiva (venticinque anni di reclusione)
e' stato, quindi, piu' che quadruplicato, risultando essere
addirittura piu' elevato - e non di poco - di quello previsto per
l'omicidio volontario (punito, nel minimo, con ventuno anni di
reclusione: art. 575 cod. pen.). Inoltre, il massimo della pena
(trenta anni di reclusione) e' stato raddoppiato e portato al limite
estremo della pena detentiva (art. 78 cod. pen.), ben oltre il limite
massimo di durata della reclusione stabilito in via generale
dall'art. 23, primo comma, cod. pen., in ventiquattro anni.
Questa Corte, investita della questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 630 cod. pen., non ha mancato di osservare
che si e' trattato di «una risposta sanzionatoria di eccezionale
asprezza» (sentenza n. 68 del 2012), che finiva per trovare
applicazione anche a condotte di assai minore gravita' rispetto a
quelle che la richiamata normativa emergenziale intendeva
contrastare, ma non di meno rientranti nella fattispecie del reato di
sequestro a scopo di estorsione, pur potendo trattarsi di «episodi
marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di
disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore
dell'emergenza»; episodi che non vedono il pericolo di vita per la
persona sequestrata e che non si inseriscono in un contesto
associativo criminale mirato proprio a perpetrare tali condotte
delittuose.
Basti pensare che la giurisprudenza riconosce la sussistenza di
tale reato anche nell'ipotesi di sequestri di breve o brevissima
durata o quando l'autore persegue l'intento di ottenere dalla persona
sequestrata una prestazione patrimoniale alla quale ritiene di aver
diritto (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17
dicembre 2003-20 gennaio 2004, n. 962) o finanche l'intento di
conseguire un vantaggio non patrimoniale, seppur ingiusto (Corte di
cassazione, quinta sezione penale, sentenza 13 gennaio-1° marzo 2016,
n. 8352).
La possibilita' di ricomprendere nella fattispecie di reato anche
fatti di minore gravita' e' la ragione dell'introduzione
dell'attenuante ad opera dell'art. 3, terzo comma, della legge 26
novembre 1985, n. 718 (Ratifica ed esecuzione della convenzione
internazionale contro la cattura degli ostaggi, aperta alla firma a
New York il 18 dicembre 1979), in riferimento al delitto - previsto
dal medesimo art. 3 - di sequestro di ostaggi: attenuante (ad effetto
speciale) in forza della quale «[s]e il fatto e' di lieve entita' si
applicano le pene previste dall'articolo 605 del codice penale
aumentate dalla meta' a due terzi».
L'art. 311 cod. pen. stabilisce, poi, che le pene comminate per i
delitti previsti dal Titolo I del Libro II del medesimo codice - vale
a dire, i delitti contro la personalita' dello Stato, tra i quali
rientra il sequestro terroristico o eversivo (art. 289-bis cod. pen.)
- «sono diminuite quando per la natura, la specie, i mezzi, le
modalita' o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare
tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve
entita'».
Muovendo proprio dalla comparazione con tale ultima fattispecie
di reato, punita anch'essa con la reclusione da venticinque a trenta
anni, questa Corte (sentenza n. 68 del 2012) ha ritenuto
ingiustificato il trattamento sanzionatorio differenziato e ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 630 cod. pen.
nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata e'
diminuita «quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o
circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno
o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'».
E' significativo, in particolare, che la Corte abbia posto in
rilievo che la funzione di tale attenuante, pur comune e non gia' ad
effetto speciale, «consiste propriamente nel mitigare - in rapporto
ai soli profili oggettivi del fatto (caratteristiche dell'azione
criminosa, entita' del danno o del pericolo) - una risposta punitiva
improntata a eccezionale asprezza e che, proprio per questo, rischia
di rivelarsi incapace di adattamento alla varieta' delle situazioni
concrete riconducibili al modello legale».
Si tratta quindi di un'attenuante che, ove ricorra il presupposto
del «fatto di lieve entita'», svolge una necessaria funzione
riequilibratrice di una pena particolarmente elevata, introdotta per
una specifica ragione di politica criminale in un determinato momento
storico, ma rimasta immutata in seguito nella stessa cornice
edittale.
5.- Orbene, quando la circostanza attenuante del «fatto di lieve
entita'» concorre con l'aggravante della recidiva reiterata prevista
dall'art. 99, quarto comma, cod. pen., si ha che il giudice, nel
bilanciamento delle circostanze, non puo' ritenere prevalente tale
diminuente, rimanendo possibile, a favore dell'imputato, solo il
giudizio di equivalenza.
La legge n. 251 del 2005 ha, infatti, riformulato il quarto comma
dell'art. 99 cod. pen., introducendo il divieto di prevalenza di
qualsiasi circostanza attenuante sulla recidiva reiterata,
precludendo cosi' in modo assoluto al giudice di applicare, in tal
caso, la relativa diminuzione di pena fino a un terzo.
In generale, come piu' volte rilevato da questa Corte, deroghe al
regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato
dall'art. 69 cod. pen., sono si' costituzionalmente legittime e
rientrano nell'ambito delle scelte discrezionali del legislatore, ma
sempre che non «trasmodino nella manifesta irragionevolezza o
nell'arbitrio» (sentenze n. 205 del 2017 e n. 68 del 2012; in senso
conforme, sentenza n. 88 del 2019), non potendo in alcun caso
giungere «a determinare un'alterazione degli equilibri
costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilita'
penale» (sentenze n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012).
In particolare, pero', l'art. 99, quarto comma, cod. pen., nel
testo risultante dalla legge n. 251 del 2005, e' stato oggetto di
numerose dichiarazioni di illegittimita' costituzionale, che hanno
restituito al giudice la possibilita' di ritenere, nell'ambito
dell'obbligatorio giudizio di bilanciamento delle circostanze
eterogenee, la prevalenza, rispetto all'aggravante della recidiva
reiterata, di singole circostanze attenuanti, che sono state
distintamente, di volta in volta, oggetto di verifica di legittimita'
costituzionale.
Nella maggior parte dei casi venuti all'esame di questa Corte le
dichiarazioni di illegittimita' costituzionale hanno riguardato
circostanze espressive di un minor disvalore della condotta dal punto
di vista della sua portata offensiva, in quanto riferite alla minore
gravita' del fatto: cosi' la «lieve entita'» nel delitto di
produzione e traffico illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del
2012); la «particolare tenuita'» nel delitto di ricettazione
(sentenza n. 105 del 2014); la «minore gravita'» nel delitto di
violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014); il «danno patrimoniale
di speciale tenuita'» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al
credito (sentenza n. 205 del 2017).
Parimenti nella fattispecie in esame del sequestro di persona a
scopo di estorsione (art. 630 cod. pen.) viene in rilievo, come
possibile diminuente, una condotta di minore offensivita', che e'
tale quando «per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o
circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno
o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'».
Pero', il parallelismo con le fattispecie oggetto delle citate
pronunce non e' pieno perche' queste ultime hanno riguardato
attenuanti a effetto speciale, tali essendo quelle che comportano una
diminuzione maggiormente significativa della pena, perche' superiore
ad un terzo (art. 63, terzo comma, cod. pen.), mentre nella
fattispecie in esame la diminuente del «fatto [...] di lieve
entita'», che la piu' volte richiamata sentenza n. 68 del 2012 di
questa Corte ha inserito, con pronuncia additiva, nell'art. 630 cod.
pen., integra una circostanza attenuante ad effetto comune.
6.- In tempi piu' recenti, pero', questa Corte e' andata oltre,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale della stessa disposizione
attualmente censurata anche in riferimento a circostanze attenuanti
comuni in ragione di altri concorrenti profili di specialita'.
La diminuente del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod.
pen. e' stata ritenuta espressiva della ridotta rimproverabilita',
derivante dal minor grado di discernimento dell'autore della condotta
e quindi - secondo questa Corte (sentenza n. 73 del 2020) -
l'inderogabile divieto di prevalenza di tale diminuente sulla
recidiva reiterata non e' compatibile con l'esigenza, di rango
costituzionale, di determinazione di una pena proporzionata e
calibrata sull'effettiva personalita' del reo.
Altresi' analoga dichiarazione di illegittimita' costituzionale
ha avuto ad oggetto il divieto di prevalenza della diminuente di cui
all'art. 116, secondo comma, cod. pen., che, pur essendo anch'essa
un'attenuante comune e non gia' ad effetto speciale, assolve pero',
per la peculiarita' della fattispecie, ad una «funzione di necessario
riequilibrio del trattamento sanzionatorio» nel caso in cui, nel
concorso di piu' persone nel reato ai sensi dell'art. 116, primo
comma, cod. pen., il reato commesso risulti essere piu' grave di
quello voluto da taluno dei concorrenti (sentenza n. 55 del 2021).
7.- Analoga «funzione di necessario riequilibrio del trattamento
sanzionatorio» puo' ritenersi che ricorra anche nella fattispecie,
ora all'esame di questa Corte, dell'attenuante del «fatto di lieve
entita'» nel reato di sequestro di persona a scopo di estorsione;
cio' essenzialmente in ragione dell'esigenza di mitigare la gia'
ricordata risposta sanzionatoria di eccezionale asprezza (sentenza n.
68 del 2012), prevista da una legislazione emergenziale che ha
elevato notevolmente il minimo e il massimo della pena della
reclusione per contrastare gravissimi fatti di criminalita'
organizzata, ricorrenti in passato, ma che ha lasciato inalterata la
definizione della fattispecie del reato con la conseguenza di
ricomprendere - come si e' sopra sottolineato - anche condotte assai
meno gravi.
Si e' gia' rilevato che l'attenuante della lieve entita' del
fatto nel reato di sequestro a scopo di estorsione ha una
connotazione tutt'affatto particolare, non solo perche' inserita
nell'art. 630 cod. pen. (non gia' dal legislatore, ma) da questa
Corte con pronuncia additiva di illegittimita' costituzionale, che ha
riequilibrato il regime sanzionatorio, ma anche perche' trova
speciale giustificazione nelle caratteristiche oggettive della
fattispecie incriminatrice e nella particolare cornice edittale della
pena. La possibilita' di riconoscere tale diminuente, infatti, si
riconnette alla «natura, alla specie, ai mezzi, alle modalita' o
circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno
o del pericolo». Essa quindi - non dissimilmente dalle diminuenti
prese in considerazione dalla citata giurisprudenza di questa Corte,
aventi ad oggetto fatti di minore gravita' (sentenze n. 251 del 2012,
n. 105 e n. 106 del 2014, n. 205 del 2017) - rileva marcatamente sul
piano dell'offensivita', in quanto presuppone una valutazione
riferita al fatto nel suo complesso, in rapporto all'evento di per
se' considerato e alla natura, specie, mezzi, modalita' della
condotta, nonche' all'entita' del danno o del pericolo per la persona
sequestrata, avuto riguardo alle modalita' della privazione della
liberta' personale e alla portata dell'ingiusto profitto perseguito
dall'autore della condotta estorsiva.
8.- La peculiarita' del regime sanzionatorio edittale previsto
per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione - che vede
una pena detentiva molto elevata, sia nel minimo (venticinque anni di
reclusione), sia nel massimo (trenta anni), all'interno di una
"forbice" ridotta a soli cinque anni - e la necessaria funzione di
riequilibrio della diminuente in esame comportano che la disciplina
censurata, nel precludere al giudice, nel bilanciamento delle
circostanze, la possibilita' di prevalenza della diminuente del
«fatto di lieve entita'» sulla recidiva reiterata, finisce per
disconoscere il principio della necessaria proporzione della pena
rispetto all'offensivita' del fatto.
L'esigenza di assicurare anche per il delitto di sequestro di
persona a scopo di estorsione, attenuato dalla lieve entita' del
fatto, una pena adeguata e proporzionata alla differente gravita' del
fatto-reato diventa piu' stringente proprio in considerazione di tale
particolare cornice edittale.
Sotto questo specifico profilo, la disposizione censurata, nel
precludere la prevalenza sulla recidiva reiterata dell'attenuante del
«fatto di lieve entita'», vanifica la necessaria funzione mitigatrice
della pena, che questa Corte, con la sentenza n. 68 del 2012, le ha
riconosciuto, non diversamente da quanto ritenuto per la diminuente
di cui all'art. 116 cod. pen., «al di la' dell'essere essa
un'attenuante comune e non gia' ad effetto speciale» (sentenza n. 55
del 2021).
La scelta del legislatore trova un necessario bilanciamento
proprio nella facolta' del giudice, nei casi di sequestro di persona
a scopo di estorsione in cui il fatto e' riconosciuto di lieve
entita', di applicare la diminuzione della pena, fino alla misura
massima non eccedente il terzo (otto anni e quattro mesi di
reclusione), che in tale marcata estensione realizza la finalita' di
riequilibrio di un trattamento sanzionatorio di particolare rigore.
9.- Va quindi ribadito il principio della necessaria proporzione
della pena rispetto all'offensivita' del fatto, che risulterebbe
vanificato da una «abnorme enfatizzazione» della recidiva (sentenza
n. 251 del 2012), indice di rimproverabilita' e pericolosita',
rilevante sul piano strettamente soggettivo; si e' altresi' affermato
che la recidiva reiterata «riflette i due aspetti della colpevolezza
e della pericolosita', ed e' da ritenere che questi, pur essendo
pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di
individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli
comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo» (sentenza n.
205 del 2017).
La norma censurata impedisce, invece, in modo assoluto al giudice
di ritenere prevalente la diminuente in questione, in presenza della
recidiva reiterata, «con cio' frustrando, irragionevolmente, gli
effetti che l'attenuante mira ad attuare e compromettendone la
necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio» (sentenza n. 55
del 2021).
Il divieto inderogabile di prevalenza dell'attenuante in esame
non e' dunque compatibile con il principio di determinazione di una
pena proporzionata, idonea a tendere alla rieducazione del condannato
ai sensi dell'art. 27, terzo comma, Cost., che implica «un costante
principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da
una parte, e offesa, dall'altra» (sentenza n. 185 del 2015).
Violato e' anche il principio di uguaglianza (art. 3, primo
comma, Cost.), in quanto il divieto censurato vanifica la funzione
che l'attenuante tende ad assicurare, ossia sanzionare in modo
diverso situazioni differenti sul piano dell'offensivita' della
condotta. Per effetto di tale divieto si ha, invece, che fatti di
minore entita' possono essere irragionevolmente sanzionati con la
stessa pena, prevista dal primo comma dell'art. 630 cod. pen., per le
ipotesi piu' gravi, vale a dire per condotte che, pur aggredendo i
medesimi beni giuridici, sono completamente differenti con riguardo
«alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalita' o circostanze
dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del
pericolo».
10.- In conclusione - assorbita la questione di legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento all'art. 25 Cost. - deve
dichiararsi l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto
comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 3 della legge n. 251 del
2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della
circostanza attenuante del fatto di lieve entita' - introdotta con
sentenza n. 68 del 2012 di questa Corte, in relazione al delitto di
sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui all'art. 630 cod.
pen. - sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art.
99, quarto comma, cod. pen.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i
recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il
divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve
entita' - introdotta con sentenza n. 68 del 2012 di questa Corte, in
relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, di
cui all'art. 630 cod. pen.- sulla circostanza aggravante della
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
