RESPONSABILITA’ CIVILE DEI MAGISTRATI – GIUDIZIO RISARCITORIO.
CORTE COSTITUZIONALE 6 luglio – 15 settembre 2022 SENTENZA n. 205
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Magistratura - Responsabilita' civile dei magistrati - Giudizio risarcitorio - Risarcimento dei danni non patrimoniali - Limitazione a quelli derivanti da privazione della liberta' personale - Irragionevole limitazione della tutela dei diritti fondamentali, compreso quello alla salute - Illegittimita' costituzionale in parte qua. Magistratura - Responsabilita' civile dei magistrati - Giudizio risarcitorio - Risarcimento dei danni non patrimoniali - Novella che abroga, senza disporne l'efficacia retroattiva, la limitazione ai danni derivanti da privazione della liberta' personale - Censurata violazione della tutela dei diritti fondamentali, compreso quello alla salute - Non fondatezza delle questioni. - Legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 2, comma 1, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 2, comma 1, lettera a), della legge 27 febbraio 2015, n. 18. - Costituzione, artt. 2, 3 e 32.
(GU n.38 del 21-9-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco
VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela
NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1,
della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile
dei magistrati), nel testo antecedente alla modifica apportata
dall'art. 2, comma 1, lettera a), della legge 27 febbraio 2015, n. 18
(Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati) e dell'art.
2, comma 1, lettera a), della legge n. 18 del 2015, promosso dalla
Corte di cassazione, sezione terza civile, nel procedimento vertente
tra P.A. B. e la Presidenza del Consiglio dei ministri, con ordinanza
del 3 novembre 2021, iscritta al n. 217 del registro ordinanze 2021 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima
serie speciale, dell'anno 2022.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udita nella camera di consiglio del 6 luglio 2022 la Giudice
relatrice Emanuela Navarretta;
deliberato nella camera di consiglio del 6 luglio 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza iscritta al n. 217 del reg. ord. 2021, la Corte
di cassazione, sezione terza civile, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge 13 aprile 1988, n.
117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni
giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), nel testo
antecedente alla modifica apportata dall'art. 2, comma 1, lettera a),
della legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilita'
civile dei magistrati), nella parte in cui limita la risarcibilita'
dei danni non patrimoniali a quelli derivanti da privazione della
liberta' personale; nonche' dell'art. 2, comma 1, lettera a), della
legge n. 18 del 2015, nella parte in cui non dispone l'applicazione
della suddetta modifica, introdotta all'art. 2, comma 1, della legge
n. 117 del 1988, ai giudizi ancora in corso e per fatti antecedenti
alla sua entrata in vigore.
2.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce di doversi
pronunciare sulla richiesta, avanzata da P.A. B., di risarcimento dei
danni non patrimoniali conseguenti al suo erroneo coinvolgimento in
un procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica di
Catanzaro, nel quale si ipotizzava un suo concorso esterno nel reato
di associazione per delinquere di tipo mafioso.
2.1.- Nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo espone che
il ricorrente era stato sottoposto a una perquisizione personale e
domiciliare e che questa notizia aveva avuto una vasta eco
giornalistica. Il ricorrente aveva domandato inutilmente di essere
sentito dai pubblici ministeri inquirenti e, solo dopo due anni, la
sua posizione era stata stralciata e rimessa alla Procura competente
che, effettuato l'interrogatorio, aveva richiesto l'archiviazione,
disposta dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
ordinario di Roma.
2.2.- La Corte di cassazione riferisce che il ricorrente aveva
promosso un'azione per il risarcimento dei danni patrimoniali e non
patrimoniali e che il Tribunale ordinario di Salerno aveva emesso
inizialmente un decreto di inammissibilita' del ricorso, poi
riformato in sede di reclamo dalla Corte d'appello di Salerno, che
aveva rimesso gli atti al primo giudice per la prosecuzione del
giudizio. Il Tribunale aveva quindi accolto parzialmente la domanda
del ricorrente, escludendo il risarcimento dei danni non
patrimoniali, in assenza di condotte lesive della liberta' personale
dell'attore.
Il ricorrente aveva, quindi, proposto appello, insistendo per la
condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali, mentre la
Presidenza del Consiglio dei ministri aveva chiesto l'integrale
rigetto della domanda risarcitoria, resistendo e proponendo appello
incidentale.
La Corte d'appello di Salerno - riporta ancora il giudice a quo -
aveva rigettato entrambi i gravami e aveva confermato la sentenza
impugnata; pertanto, P.A. B. aveva proposto ricorso per cassazione.
2.3.- Il rimettente chiarisce che, intervenuto il giudicato
interno sull'an debeatur, il ricorso ha riguardato soltanto la
spettanza del risarcimento dei danni non patrimoniali.
2.3.1.- Piu' in particolare, il giudice a quo riferisce che, con
il primo motivo di ricorso, e' stata denunciata «violazione e/o falsa
applicazione degli articoli 11 disp. prel. c.c.; della legge n.
18/2015, tutti con riferimento all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.».
Secondo il ricorrente, la legge n. 18 del 2015 non avrebbe
carattere innovativo, avendo invece operato «una corretta "lettura"
dei valori gia' presenti nell'ordinamento interno e sovranazionale
[...] eliminando ex tunc l'incompatibilita' del sistema con il
diritto dell'Unione Europea». Inoltre, sempre ad avviso del
ricorrente, la Corte d'appello, nel ritenere operante la precedente
disciplina, si sarebbe posta «in irriducibile contrasto [...] con il
diritto europeo» e avrebbe travisato il principio di irretroattivita'
della legge civile, la cui applicabilita' troverebbe un limite nei
«rapporti non esauriti», qualora il fatto - come nel caso di specie -
«resti identico nella sua disciplina».
2.3.2.- La Corte di cassazione riporta, di seguito, il secondo
motivo di ricorso, con il quale sono state denunciate «la violazione
e/o la falsa applicazione degli artt. 2059 c.c., 3 Cost. e 2 l. n.
117/1988, con riferimento all'art. 360, co. 1°, nn. 3 e 4 c.p.c.» ed
e' stata censurata «la sentenza impugnata nella parte in cui ha
rigettato la richiesta di interpretazione costituzionalmente o
convenzionalmente orientata».
Secondo il ricorrente, una lettura dell'art. 2 della legge n. 18
del 2015 conforme ai principi costituzionali indicati sarebbe stata
un'«opzione ermeneutica obbligata». In ogni caso, anche a voler
escludere tale soluzione, «la norma in questione avrebbe potuto
essere disapplicata - sempre a parere del ricorrente - per palese
contrasto con l'ordinamento comunitario», tenuto conto della
«ineludibile necessita', per ciascun Stato-membro, di assicurare
tutela effettiva ai cittadini danneggiati da attivita' illecita dei
propri organi istituzionali, ai fini di una piena e reale tutela
della persona e dei suoi diritti fondamentali».
2.3.3.- Infine, il giudice a quo espone il terzo motivo, con il
quale il ricorrente ha dedotto la «violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 2, 3, 32, 117 Cost.; dell'art. 2059 c.c.; degli artt. 2 e
3 L 117/88, tutti con riferimento all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.».
Secondo il ricorrente, la Corte d'appello avrebbe erroneamente
negato efficacia preclusiva all'ordinanza resa in sede di reclamo
dalla stessa Corte, che aveva ritenuto ammissibile l'azione,
riguardante l'istanza risarcitoria in tutte le sue componenti,
compresi i danni non patrimoniali. Inoltre, avrebbe immotivatamente
ed erroneamente ritenuto non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988,
nella sua formulazione originaria, e dell'art. 2, comma 1, lettera
a), della legge n. 18 del 2015, per non aver previsto una norma
transitoria che consentisse l'applicazione ai giudizi in corso della
nuova disciplina.
3.- La Corte di cassazione, disattesi i primi due motivi di
ricorso, nonche' il primo profilo del terzo motivo, ritiene,
viceversa, rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimita' costituzionale indicate in epigrafe.
3.1.- In merito alla rilevanza dei dubbi di legittimita'
costituzionale relativi all'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del
1988, nella sua formulazione originaria, il giudice a quo precisa che
solo la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma
potrebbe determinare la cassazione della sentenza impugnata.
I fatti posti alla base della richiesta risarcitoria - precisa il
rimettente - si sono verificati nella vigenza di tale testo normativo
e, d'altro canto, non sarebbe stato dedotto che i danni non
patrimoniali lamentati dal ricorrente si siano verificati in epoca
successiva. Pertanto, a parere del giudice a quo, deve ritenersi
applicabile, ratione temporis, il testo dell'art. 2 della legge n.
117 del 1988 non ancora novellato dalla legge n. 18 del 2015, posto
che il sorgere del diritto al risarcimento del danno dipenderebbe dal
«momento in cui si verificarono i fatti lesivi e i danni
conseguenti».
3.2.- Sempre in punto di rilevanza, con riferimento ai due gruppi
di questioni sollevate, il giudice a quo, per un verso, esclude che
l'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 2018 possa essere
interpretato in senso conforme alla Costituzione e, per un altro
verso, confuta che dall'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n.
18 del 2015 si possa inferire, in via ermeneutica, la retroattivita'
della norma.
L'interpretazione adeguatrice della prima disposizione sarebbe,
infatti, ostacolata dal «chiaro tenore letterale della legge», che
impedirebbe di adeguarla «ai mutamenti economici e sociali
intervenuti nel frattempo», cio' che sarebbe invece consentito
rispetto a «una formula legislativa generica od ampia».
Quanto alla possibilita' di inferire in via ermeneutica la
retroattivita' della riforma, introdotta con l'art. 2, comma 1,
lettera a), della legge n. 18 del 2015, essa sarebbe inibita proprio
dalla vigenza del principio di irretroattivita', che richiederebbe
una previsione espressa. D'altro canto, tale riforma - a detta del
giudice a quo - non potrebbe ritenersi meramente ricognitiva di
valori gia' presenti nell'ordinamento interno o in quello
sovranazionale.
Da ultimo, secondo il rimettente, dall'ordinamento dell'Unione
europea non sarebbe desumibile una disciplina che obblighi al
risarcimento di qualsiasi danno derivante dall'attivita'
giurisdizionale, sicche' sarebbe escluso il possibile ricorso alla
disapplicazione.
4.- In punto di non manifesta infondatezza, la Corte di
cassazione ravvisa, sia nell'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del
1988, nella sua originaria formulazione, sia nell'art. 2, comma 1,
lettera a), della legge n. 18 del 2015, un vulnus agli artt. 2, 3 e
32 Cost.
4.1.- Con riguardo al primo gruppo di censure, il rimettente
contesta che, «nell'ambito di un ordinamento giuridico che riconosce
massima espansione ai diritti della persona e alla tutela dei suoi
valori [...,] il riconoscimento o l'esclusione del risarcimento per
poste afferenti ad una medesima categoria di pregiudizio (quello non
patrimoniale)» possano farsi dipendere «dal solo fatto che l'illecito
che ha determinato il danno sia o non sia costituito da un
provvedimento limitativo della liberta' personale, con totale
irrilevanza delle conseguenze, in concreto intervenute, di attivita'
giudiziarie che nelle peculiarita' della singola fattispecie possano
essersi rivelate particolarmente invasive della sfera dell'individuo
e lesive di valori di rango costituzionale».
Un simile sacrificio di diritti inviolabili della persona non
appare al rimettente giustificato da presunte ragioni di
bilanciamento con i principi di indipendenza dei magistrati e di
autonomia e pienezza della funzione giudiziaria, «a fronte di una
normativa che riconosceva l'idoneita' delle condotte individuate
dall'art. 2 della l. n. 117/1988 a determinare danni sia patrimoniali
che non patrimoniali» e nell'ambito di un contesto normativo che,
gia' nel testo del 1988, «prevedeva la responsabilita' diretta
unicamente a carico dello Stato e solo quella indiretta, per di piu'
con rivalsa limitata, per il magistrato autore degli atti e
provvedimenti causativi del danno».
Peraltro, il giudice a quo chiarisce che, seppure la Corte
costituzionale abbia in passato riconosciuto la non irragionevolezza
di alcuni bilanciamenti, che hanno imposto un "tetto" risarcitorio
(e' citata la sentenza n. 235 del 2014), gli stessi argomenti non
potrebbero essere spesi per giustificare la norma in questa sede
sospettata di illegittimita' costituzionale, non essendoci un
rapporto «di vicendevole dipendenza fra il contenimento dei
risarcimenti e quello dei premi», «apprezzabile con immediata
evidenza».
4.2.- Quanto alle questioni sollevate con riferimento all'art. 2,
comma 1, lettera a), della legge n. 18 del 2015, la Corte di
cassazione ritiene che l'assenza di una estensione della nuova
formulazione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988 a
fatti verificatisi anteriormente, ma ancora sub iudice,
legittimerebbe la perdurante applicazione di un regime risarcitorio
ormai superato sul piano normativo. Cio' rileverebbe «sotto i profili
della disparita' di trattamento e della violazione dei principi di
effettivita' ed integralita' del risarcimento correlato alla
violazione di diritti primari della persona; e, in definitiva, della
ragionevolezza di una disciplina, non altrimenti interpretabile,
[...] abrogata fin dal 2015 siccome ritenuta non piu' rispondente
alla mutata sensibilita' sociale».
5.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che ha chiesto di dichiarare le questioni non fondate.
L'Avvocatura rileva, in primo luogo, la necessita' di restringere
il thema decidendum al solo art. 2, comma 1, della legge n. 117 del
1988, nella sua formulazione originaria, in quanto norma
pacificamente applicabile all'epoca dei fatti.
Con riferimento alla non fondatezza delle questioni sollevate,
l'Avvocatura precisa che «al tempo della sua emanazione la norma
censurata era perfettamente allineata all'ordinamento in cui era
inserita, per come interpretato da [questa] Corte» che, con le
sentenze n. 87 del 1979 e n. 184 del 1986, aveva riconosciuto
l'attinenza dell'art. 2059 del codice civile ai soli danni morali
consistenti nell'ingiusto perturbamento dello stato d'animo del
soggetto offeso.
In ogni caso, ritiene che la norma possa andare esente da censure
anche a fronte della nuova interpretazione della nozione di danno non
patrimoniale, esteso alla lesione di tutti i diritti inviolabili
della persona.
A tal fine, rinvia agli argomenti che questa Corte avrebbe speso
per escludere l'illegittimita' costituzionale di norme che pongono
limiti al danno risarcibile per la lesione del diritto inviolabile
all'integrita' della persona, quando derivino dalla necessita' di
contemperare le esigenze del danneggiato con altri diritti di rilievo
costituzionale (viene richiamata, in proposito, la sentenza n. 164
del 2017). Piu' in particolare, sostiene che l'essenzialita' della
funzione giurisdizionale e la tutela dell'indipendenza e
dell'autonomia dei magistrati (riconosciute e garantite dagli artt.
101 e 104 Cost.) giustificherebbero la limitazione posta dalla norma
censurata al risarcimento dei danni non patrimoniali.
Infine, l'Avvocatura obietta che «l'apertura al risarcimento di
danni non tipizzati all'epoca dei fatti dall'art. 2 della l. n.
117/1988 determinerebbe - di fatto - un ampliamento dell'area del
danno risarcibile (con i suoi riflessi anche in punto di rivalsa) a
fatti illeciti commessi anteriormente alla modifica legislativa». A
parere della difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, un
tale risultato sarebbe lesivo degli artt. 3, 24 e 111 Cost., oltre
che dell'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 6
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), perche'
«produrrebbe l'effetto di attribuire retroattivamente rilievo - sul
piano della responsabilita' - a comportamenti che la legge non
considerava illeciti al momento in cui furono compiuti [...], ovvero,
per quanto qui interessa, non produttivi di danni non patrimoniali
risarcibili».
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza iscritta al n. 217 del reg. ord. 2021, la Corte
di cassazione, sezione terza civile, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988, nel
testo antecedente alla modifica apportata dall'art. 2, comma 1,
lettera a), della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui limita la
risarcibilita' dei danni non patrimoniali ai soli danni derivanti da
privazione della liberta' personale; nonche' dell'art. 2, comma 1,
lettera a), della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui non
dispone l'applicazione della suddetta modifica, introdotta all'art.
2, comma 1, della legge n. 117 del 1988, ai giudizi ancora in corso e
per fatti antecedenti alla sua entrata in vigore.
1.1.- L'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988, nel testo
antecedente alla citata legge n. 18 del 2015, disponeva che «[c]hi ha
subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto
o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con
dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per
diniego di giustizia puo' agire contro lo Stato per ottenere il
risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non
patrimoniali che derivino da privazione della liberta' personale».
In seguito, l'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 18 del
2015 ha, invece, previsto che, all'art. 2, comma 1, della legge n.
117 del 1988, le parole «che derivino da privazione della liberta'
personale» siano «soppresse».
2.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce di doversi
pronunciare sulla richiesta di risarcimento dei danni non
patrimoniali patiti da P.A. B., per essere stato erroneamente
coinvolto in un procedimento penale avviato dalla Procura della
Repubblica di Catanzaro, nel quale si ipotizzava un suo concorso
esterno nel reato di associazione a delinquere di tipo mafioso.
3.- Sulla rilevanza delle questioni, il giudice a quo ritiene che
ai fatti di causa debba applicarsi ratione temporis il testo
originario dell'art. 2 della legge n. 117 del 1988, in quanto, non
avendo la legge n. 18 del 2015 previsto una disciplina transitoria,
che valga a derogare alla regola generale prevista dall'art. 11 delle
preleggi, non potrebbe operare la norma riformata, ne' la stessa
potrebbe reputarsi «meramente ricognitiva di valori gia' presenti
nell'ordinamento interno e in quello sovranazionale».
4.- In punto di non manifesta infondatezza, la Corte di
cassazione ravvisa, sia nell'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del
1988, nella sua originaria formulazione, sia nell'art. 2, comma 1,
lettera a), della legge n. 18 del 2015, un vulnus agli artt. 2, 3 e
32 Cost.
4.1.- In particolare, con riguardo alle questioni sollevate sulla
prima norma, il giudice rimettente lamenta, rispetto a «diritti della
persona», «di rango costituzionale», cui l'ordinamento giuridico
«riconosce massima espansione», un sacrificio che non sarebbe
ragionevolmente giustificato da esigenze di bilanciamento con i
principi dell'indipendenza dei magistrati e dell'autonomia della
funzione giudiziaria.
4.2.- Quanto alle questioni di legittimita' costituzionale poste
con riferimento all'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 18
del 2015, il giudice rimettente ritiene che l'inapplicabilita' della
nuova formulazione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988
a fatti verificatisi anteriormente, ma ancora sub iudice,
determinerebbe una «disparita' di trattamento e [una lesione] dei
principi di effettivita' ed integralita' del risarcimento correlato
alla violazione di diritti primari della persona».
5.- Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate con
riguardo all'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988, nella sua
formulazione antecedente alla modifica apportata dall'art. 2, comma
1, lettera a), della legge n. 18 del 2015, sono fondate.
6.- In via preliminare, si rende necessario un breve
inquadramento sistematico della norma censurata.
6.1.- L'art. 2 costituiva il fulcro della legge n. 117 del 1988,
che aveva introdotto - all'esito del referendum abrogativo del 1987 -
una disciplina sulla responsabilita' civile del magistrato
profondamente riformata rispetto alle precedenti regole dettate dagli
artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile. A sua volta, la
citata legge n. 117 del 1988 (compreso l'art. 2) e' stata oggetto di
significative modifiche apportate dalla legge n. 18 del 2015, in
conseguenza degli sviluppi della giurisprudenza della Corte di
giustizia dell'Unione europea (sentenze 13 giugno 2006, in causa
C-173/03, Traghetti del Mediterraneo spa, e 30 settembre 2003, in
causa C-224/01, Köbler).
6.2.- Nello specifico, l'art. 2 della legge n. 117 del 1988
disegnava i tratti della fattispecie illecita e il perimetro dei
danni risarcibili.
6.2.1.- Sotto il primo profilo, l'art. 2 specificava l'elemento
soggettivo dell'illecito, nonche' le condotte, attive e omissive,
idonee a rendere non iure l'esercizio della funzione giudiziaria,
oltre che contra ius il danno cagionato, in quanto conseguente alla
lesione di interessi giuridicamente rilevanti e meritevoli di tutela
risarcitoria.
Tali condotte venivano identificate sia nel diniego di giustizia,
sia nei comportamenti, atti o provvedimenti posti in essere con dolo
o colpa grave nell'esercizio delle funzioni giudiziarie (art. 2,
comma 1). In particolare, relativamente all'illecito gravemente
colposo, l'art. 2, comma 3, tipizzava le condotte non iure,
individuandole: (a) nella grave violazione di legge, determinata da
negligenza inescusabile; (b) nell'affermazione, determinata da
negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza e'
incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; (c) nella
negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui
esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
(d) nell'emissione di un provvedimento concernente la liberta' della
persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza
motivazione.
Viceversa, erano attratte nella sfera della condotta iure
«l'attivita' di interpretazione di norme di diritto», nonche' «quella
di valutazione del fatto e delle prove», in virtu' della cosiddetta
clausola di salvaguardia, di cui all'art. 2, comma 2.
In sostanza, l'illecito da esercizio della funzione giudiziaria
presentava - e presenta tuttora, pur con le significative modifiche
introdotte nel 2015 - caratteri di specialita', posti a presidio
dell'indipendenza e dell'autonomia della funzione giudiziaria
(sentenze n. 49 del 2022, n. 164 del 2017, n. 468 del 1990 e n. 18
del 1989).
A cio' si aggiungeva - sempre nel testo originario del 1988 - la
previsione di una condizione di ammissibilita' della domanda
risarcitoria, regolata all'art. 5, che la successiva legge n. 18 del
2015 ha poi rimosso.
Infine, il quadro della disciplina sulla responsabilita' civile
del magistrato si completava con la previsione (confermata nel 2015)
della possibilita' di rivolgere l'azione in via diretta unicamente
contro lo Stato.
Quanto all'azione di rivalsa nei confronti del magistrato (resa
nel 2015 espressamente obbligatoria), essa era consentita solo una
volta intervenuto il giudicato di condanna al risarcimento del danno
e con i limiti di importo indicati dal successivo art. 8, vale a dire
- salvo il caso dell'illecito doloso - non oltre un terzo
dell'annualita' dello stipendio, al netto degli oneri fiscali, e, in
caso di rivalsa esercitata tramite trattenute sullo stipendio, con
rate mensili non superiori a un quinto dello stipendio netto (tali
limiti, con la legge n. 18 del 2015, sono stati rispettivamente
elevati alla meta' dello stipendio annuale netto e a rate non
superiori a un terzo dello stipendio mensile netto).
6.2.2.- Venendo, ora, al profilo dei danni risarcibili - oggetto
specifico delle odierne censure - il perimetro tracciato dal
legislatore risultava ispirato a una duplice scelta.
Per un verso, veniva garantito il risarcimento dei medesimi danni
suscettibili di essere liquidati, in quel momento storico, sulla base
delle norme generali: il danno patrimoniale; il danno biologico,
inquadrato all'epoca nell'art. 2043 cod. civ., quale tertium genus
ascrivibile al danno ingiusto (sentenza n. 184 del 1986) o - secondo
una diversa prospettiva - quale danno lato sensu patrimoniale,
categorie entrambe menzionate dall'art. 2; e, infine, il danno non
patrimoniale da reato, riconducibile alle «norme ordinarie», che si
riespandevano, ai sensi dell'art. 13, in presenza di un illecito
penale.
Per un altro verso, il legislatore del 1988 - a seguito di un
vivace confronto parlamentare e in una fase storica in cui gia'
ferveva il dibattito su possibili prospettive di ampliamento della
risarcibilita' dei danni non patrimoniali, specie a tutela dei
diritti della persona - ammetteva la piena protezione risarcitoria,
estesa a tali danni, nella sola ipotesi di privazione della liberta'
personale.
Veniva, dunque, selezionato e protetto il diritto inviolabile di
cui all'art. 13 Cost., implicato a fronte di coercizioni fisiche,
ovvero di forme di «privazione o restrizione», aventi a oggetto il
corpo della persona (sentenze n. 127 e n. 22 del 2022, n. 275 del
2017, n. 222 del 2004 e n. 238 del 1996), non astrattamente previste
dalla legge e irrogate senza «un regolare giudizio [...] a tal fine
instaurato» (sentenza n. 11 del 1956).
6.3.- Di seguito, dopo circa tre lustri da quella prima apertura
al risarcimento dei danni non patrimoniali da lesione di uno dei
diritti inviolabili della persona, la regola generale di cui all'art.
2059 cod. civ. e' stata sottoposta a un radicale cambiamento
ermeneutico.
Con cinque pronunce, di identico tenore, la Corte di cassazione
(terza sezione civile, sentenze 31 maggio 2003, n. 8828 e n. 8827 e
12 maggio 2003, n. 7283, n. 7282 e n. 7281), dopo oltre un ventennio
di riflessioni dottrinali incentrate sulla necessita' di estendere, a
tutela della persona, la risarcibilita' dei danni non patrimoniali,
ha optato per un'interpretazione adeguatrice alla Costituzione
dell'art. 2059 cod. civ.
In particolare, la lesione dei diritti inviolabili della persona,
di cui all'art. 2 Cost., e' stata ascritta ai «casi previsti dalla
legge», che ai sensi dell'art. 2059 cod. civ. consentono il
risarcimento dei danni non patrimoniali. Piu' precisamente, sia la
previsione, nell'art. 2 Cost., della "garanzia" dei diritti
inviolabili della persona, sia il senso stesso dell'inviolabilita',
proiettata nei rapporti orizzontali, sono stati ritenuti idonei a
recepire implicitamente il rinvio di cui all'art. 2059 cod. civ. Ai
diritti inviolabili della persona non puo' negarsi la tutela civile
offerta dal risarcimento dei danni non patrimoniali che, non
differenziando i danneggiati in base alla loro capacita' di produrre
reddito, assicura una protezione basilare, riconoscibile a tutti e
idonea a svolgere una funzione solidaristico-satisfattiva, talora
integrata - in presenza di una particolare gravita' soggettiva
dell'illecito e relativamente alla componente del danno morale -
anche da una funzione individual-deterrente.
Il citato diritto vivente ha poi conseguito l'avallo di questa
Corte che, a fronte della tutela assicurata in via ermeneutica agli
«interessi di rango costituzionale inerenti alla persona» (sentenza
n. 233 del 2003), ha giudicato come non fondata «nei sensi di cui in
motivazione» la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
2059 cod. civ., sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. E,
nella motivazione, questa Corte ha riconosciuto alle sentenze della
Cassazione (e specificamente alle pronunce n. 8828 e n. 8827 del
2003) «l'indubbio pregio di [aver] ricond[otto] a razionalita' e
coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno
alla persona», in virtu' di «un'interpretazione costituzionalmente
orientata dell'art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere
nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non
patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona»,
incluso «il danno biologico».
Successivamente, l'intervento nel 2008 di ulteriori sentenze, di
contenuto identico, della Corte di cassazione (sezioni unite civili,
sentenze 11 novembre 2008, n. 26975, n. 26974, n. 26973 e n. 26972)
ha consolidato il revirement, nel solco - per quanto interessa nel
presente giudizio - della necessaria dimostrazione della lesione di
un diritto inviolabile della persona al fine di poter conseguire il
danno non patrimoniale, sulla base del coordinamento tra art. 2059
cod. civ. e art. 2 Cost. Al contempo, allo stesso presupposto
costituito dalla lesione di un diritto inviolabile della persona e'
stata associata la non risarcibilita' di offese bagatellari, in
quanto non idonee a coinvolgere in concreto la categoria di cui
all'art. 2 Cost. Del resto, deve ritenersi immanente alla necessaria
coesistenza pluralistica di liberta' e diritti l'esigenza di non
assecondare mere reazioni idiosincratiche, richiedendo «a ogni
persona inserita nel complesso contesto sociale» il rispetto di un
minimo di tolleranza (cosi' la citata sentenza della Cassazione n.
26972 del 2008, ripresa da questa Corte nella sentenza n. 235 del
2014).
7.- L'evoluzione ermeneutica dell'art. 2059 cod. civ., pur se ha
visto richiamare l'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988,
quale esempio di «ampliamento dei casi di espresso riconoscimento del
risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori
dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori
personali (art. 2 della legge 13/4/1988 n. 117 [...])» (Corte di
cassazione, sentenze n. 8828 e n. 8827 del 2003 e, in senso analogo,
la sentenza di questa Corte n. 233 del 2003), di fatto ha finito per
rendere ancora piu' evidente il contrasto fra la scelta selettiva
operata dall'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988 e
l'esigenza di una piena tutela risarcitoria di tutti i diritti
inviolabili della persona.
D'altro canto, il carattere precursore di una maggiore apertura
alla risarcibilita' dei danni non patrimoniali, proprio della citata
disciplina, non basta a suffragare l'ipotesi di una applicazione
sopravvenuta, alla responsabilita' civile del magistrato, dell'art.
2059 cod. civ., raccordato con l'art. 2 Cost., nei termini di una
interpretazione costituzionalmente orientata.
Si frappongono a una tale ricostruzione sia il dato testuale
della disposizione censurata, frutto della consapevole e meditata
decisione del legislatore del 1988 di recepire il rinvio dell'art.
2059 cod. civ., limitando la tutela al solo caso della privazione
della liberta' personale, sia la stessa scelta operata dal
legislatore del 2015, che e' intervenuto per eliminare il citato
richiamo, onde consentire il riespandersi della norma generale. Non a
caso, la pur limitata giurisprudenza che si e' espressa in materia
(Corte d'appello di Palermo, sezione terza civile, sentenza 25
gennaio 2022; Tribunale ordinario di Trento, sezione civile, sentenza
20 maggio 2020; Tribunale ordinario di Messina, sezione prima civile,
sentenza 30 maggio 2017) ha negato il risarcimento dei danni non
patrimoniali da lesione di diritti diversi dalla liberta' personale,
nell'applicazione della disciplina della responsabilita' del
magistrato antecedente alla riforma del 2015. Inoltre, la stessa
Corte di cassazione ha evidenziato il carattere non retroattivo, e di
riflesso innovativo, della legge n. 18 del 2015 (Corte di cassazione,
sezioni unite civili, sentenza 3 maggio 2019, n. 11747 e sezione
terza civile, sentenza 15 dicembre 2015, n. 25216, cui si aggiunge
l'ordinanza in epigrafe).
8.- Esclusa, dunque, una possibile soluzione ermeneutica dei
dubbi di legittimita' costituzionale sollevati in merito all'art. 2,
comma 1, della legge n. 117 del 1988, l'irragionevolezza che, in
contrasto con l'art. 3 Cost., il rimettente lamenta rispetto agli
artt. 2 e 32 Cost., si ravvisa nella scelta del legislatore di negare
la piena tutela risarcitoria, estesa ai danni non patrimoniali, ai
diritti inviolabili della persona diversi dalla liberta' personale,
che la Costituzione «riconosce e garantisce» all'art. 2 Cost. e ai
quali si ascrive certamente anche il diritto alla salute di cui
all'art. 32 Cost.
La selezione di un unico diritto inviolabile della persona (la
liberta' di cui all'art. 13 Cost.), cui garantire, a fronte di un
illecito civile, piena ed effettiva tutela risarcitoria, appalesa
oggi, con il maturare della consapevolezza circa la rilevanza e le
funzioni del risarcimento dei danni non patrimoniali a tutela dei
diritti inviolabili della persona, i tratti della irragionevolezza e,
dunque, della contrarieta' all'art. 3 Cost.
8.1.- In particolare, non e' dato rinvenire alcuna
giustificazione che possa sottrarre la valutazione effettuata dal
legislatore al giudizio di irragionevolezza.
8.1.1.- In primo luogo, la selezione di un solo diritto
inviolabile della persona da proteggere con il risarcimento dei danni
non patrimoniali, anche fuori dai casi di reato, non e' giustificata
dalla specificita' dell'illecito civile da esercizio della funzione
giudiziaria.
L'esigenza di preservare l'autonomia e l'indipendenza della
magistratura rileva nella definizione del confine fra lecito e
illecito e nella dialettica tra azione civile diretta nei confronti
dello Stato e azione di rivalsa nei riguardi del magistrato. Sono
questi i profili della disciplina volti a realizzare il «delicato
bilanciamento» tra i principi di cui agli artt. 101 e 103 Cost. e gli
interessi di chi risulta «ingiustamente danneggiato» (sentenza n. 164
del 2017, che richiama affermazioni gia' svolte nella sentenza n. 2
del 1968). Viceversa, una volta delimitato il campo dell'illecito, a
beneficio della serenita' e dell'autonomia del giudice nello
svolgimento delle sue funzioni (sentenze n. 49 del 2022, n. 164 del
2017, n. 18 del 1989, n. 26 del 1987 e n. 2 del 1968), non si
ravvisano ragioni idonee a giustificare una compressione di quella
tutela essenziale dei diritti inviolabili della persona, che e' data
dal risarcimento dei danni non patrimoniali.
E l'irragionevolezza diviene ancora piu' evidente, ove si
consideri che l'autonomia del magistrato e' preservata anche dal
carattere indiretto della responsabilita', nonche' dai limiti posti
all'azione di rivalsa.
In un simile contesto, la compressione della tutela civile dei
diritti inviolabili della persona si traduce in una irragionevole
limitazione della responsabilita' civile dello Stato e del
magistrato.
8.1.2.- In secondo luogo, se e' vero che la liberta' personale,
di cui all'art. 13 Cost., puo' ritenersi esposta a subire pregiudizi
particolarmente gravi per effetto dell'illecito del magistrato,
simile circostanza rileva su un piano meramente di fatto, del tutto
inidoneo a giustificare l'esclusione dalla tutela degli altri diritti
inviolabili della persona, parimenti suscettibili di subire danni in
conseguenza di una acclarata responsabilita' del magistrato. Al
contempo, pur potendosi ben configurare, in concreto, diversi livelli
di gravita' dell'illecito, nondimeno e' certamente da escludere una
astratta differenziazione, rispetto a un rimedio civile che offre una
tutela basilare, dei diritti inviolabili della persona, evocatrice,
in tale ambito, di una insostenibile gerarchia interna a tale
categoria di diritti.
8.2.- Infine, non e' dato neppure invocare - come si legge nella
difesa dell'Avvocatura generale dello Stato - la necessita' di
preservare un presunto affidamento nella pregressa normativa, sul
presupposto che una pronuncia di illegittimita' costituzionale
andrebbe a rendere illecito cio' che tale non era sulla base della
precedente disciplina.
Un simile assunto non puo' essere, infatti, condiviso.
Il raggio dell'illecito civile da esercizio della funzione
giudiziaria abbracciava sin dal 1988 - tramite il riferimento al
danno ingiusto - la lesione di qualsivoglia interesse giuridicamente
rilevante, paradigma ovviamente comprensivo dei diritti inviolabili
della persona. Ed e' rispetto al sintagma del danno ingiusto, e
specificamente rispetto all'evento lesivo, che si valutano tanto il
nesso di causalita' di fatto (o causalita' materiale), quanto gli
elementi soggettivi dell'illecito.
Di conseguenza, affermare la possibile liquidazione dei danni non
patrimoniali da lesione dei diritti inviolabili della persona non
equivale a un ampliamento del raggio dell'illecito, ma implica
soltanto un'estensione dei danni risarcibili. Ed e' noto che,
nell'illecito aquiliano, i danni risarcibili sono sottratti alla
sfera di controllo del danneggiante e sono unicamente circoscritti
dall'elemento oggettivo costituito dal nesso di causalita' giuridica.
9.- L'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988, nel testo
antecedente alla modifica apportata dall'art. 2, comma 1, lettera a),
della legge n. 18 del 2015, e', dunque, costituzionalmente
illegittimo, nella parte in cui limita il risarcimento dei danni non
patrimoniali alla sola lesione della liberta' personale, escludendo
dalla medesima tutela gli altri diritti inviolabili della persona
garantiti dall'art. 2 Cost. (compreso il diritto alla salute di cui
all'art. 32 Cost.).
In definitiva, la norma e' costituzionalmente illegittima nella
parte in cui non prevede il risarcimento dei danni non patrimoniali
da lesione di diritti inviolabili della persona anche diversi dalla
liberta' personale.
10.- Passando ora a considerare il secondo gruppo di censure,
sollevate sempre in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., ma
relativamente all'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 18 del
2015, esse sono non fondate alla luce della declaratoria di parziale
illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge n.
117 del 1988, nel testo antecedente alla riforma.
Con le citate questioni si lamenta, infatti, la mancata
applicazione retroattiva, ai processi in corso per fatti commessi
prima dell'entrata in vigore della legge n. 18 del 2015, della
modifica apportata dalla medesima legge all'art. 2, comma 1, della
legge n. 117 del 1988. Sennonche', la norma di cui si prospetta
l'applicazione retroattiva ha un contenuto che finisce per
combaciare, salvo per l'appunto il profilo temporale, con quello
della norma che, all'esito del giudizio di legittimita'
costituzionalita' sull'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988,
nel testo antecedente alla riforma, risulta applicabile ai fatti
antecedenti al 2015.
Vero e' che la disciplina novellata sembrerebbe avere un respiro
piu' ampio della mera risarcibilita' dei danni non patrimoniali da
lesione dei diritti inviolabili della persona, cui conduce la
declaratoria di parziale illegittimita' costituzionale della
pregressa disciplina. Infatti, con la rimozione nel 2015 del
riferimento alla privazione della liberta' personale, e' stata
correlata la risarcibilita' dei danni patrimoniali e non patrimoniali
al paradigma del danno ingiusto, il che potrebbe indurre a ritenere
che si possano liquidare i danni non patrimoniali in conseguenza
della lesione di qualsivoglia interesse giuridicamente rilevante.
Tuttavia, cosi' interpretata, la disposizione paleserebbe un
senso del tutto divergente rispetto all'intentio legis desumibile dai
lavori preparatori. Ivi, infatti, si giustificava l'abrogazione del
richiamo alla liberta' personale, facendo riferimento agli «ormai
costanti orientamenti della giurisprudenza (v. tra le altre, Cass.
SS. UU., sent. 26972/2008 e la recente Corte cost., sent. 235/2014)»
che riconoscono i danni non patrimoniali conseguenti alla lesione di
«interessi costituzionalmente protetti» e, piu' precisamente, - come
chiarito proprio nella sentenza della Corte di cassazione che viene
citata, la n. 26972 del 2008 - conseguenti alla lesione di diritti
inviolabili della persona. Del resto, l'intentio legis era proprio
quella di garantire, nel caso dell'illecito derivante da esercizio
della funzione giudiziaria, la medesima tutela risarcitoria prevista
per gli altri illeciti. Sulla base di tali premesse, e in linea con
la pur sporadica giurisprudenza che si e' confrontata con il problema
ermeneutico posto dalla nuova formulazione dell'art. 2 della legge n.
117 del 1988 (in particolare, e' esplicita in proposito la citata
sentenza della Corte d'appello di Palermo del 25 gennaio 2022), si
puo', dunque, ritenere che la rimozione, attuata nel 2015, del limite
costituito dalla lesione della liberta' personale, abbia avuto il
senso di eliminare un ostacolo testuale alla piena riespansione
dell'art. 2059 cod. civ., nel suo coordinamento con l'art. 2 Cost.
In definitiva, sia la corrispondenza fra la disciplina che deriva
dalla declaratoria di parziale illegittimita' costituzionale
dell'art. 2, comma 1, della legge n. 117 del 1988, antecedente alla
riforma del 2015, e la norma che si desume dalla modifica introdotta
nel 2015, sia la considerazione che, in ogni caso, il secondo gruppo
di censure mirava alla retroattivita' della nuova regola, ma solo a
difesa dei diritti di cui agli artt. 2 e 32 Cost., che oramai
risultano protetti dall'intervento di questa Corte, determinano il
venir meno del vulnus lamentato e, dunque, la sicura non fondatezza
delle questioni poste con riferimento all'art. 2, comma 1, lettera
a), della legge n. 18 del 2015.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1,
della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile
dei magistrati), nel testo antecedente alla modifica apportata
dall'art. 2, comma 1, lettera a), della legge 27 febbraio 2015, n. 18
(Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati), nella parte
in cui non prevede il risarcimento dei danni non patrimoniali da
lesione dei diritti inviolabili della persona anche diversi dalla
liberta' personale;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 18
del 2015, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della
Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione terza civile, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
