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La raccomandazione non costituisce reato se proviene da un soggetto esterno all’azienda o ufficio pubblico in questione.
La “segnalazione”, infatti, costituisce un comportamento incriminabile solo se esercitata all’interno della struttura di appartenenza del “raccomandante”, all’esterno di questa sfera di influenza si tratta di un comportamento sanzionabile esclusivamente sul piano morale o politico, ma che non integra alcuna fattispecie di reato. E non conta nulla la circostanza che il “raccomdandante” riceva un regalo come “compenso” per il suo interessamento.
Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Suprema Corte, con la sentenza n.38762 con la quale ha rigettato il ricorso del pm di Pescara che si era opposto al non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste” nei confronti di un ex sindaco accusato di concussione per avere raccomandato al direttore generale della locale Asl  il trasferimento di un medico il quale,  in segno di gratitudine per il trasferimento accordato, aveva omaggiato l’allora primo cittadino di un pc.
La sentenza – che ha destato un certo interesse negli organi di stampa e numerosi commenti – poggia sulla considerazione che la raccomandazione  rileva sul piano penale solo se la condotta posta in essere integra gli estremi della concussione o della corruzione impropria.
Ma la prima fattispecie incriminatrice implica l’accertamento di una condotta caratterizzata dall’ abuso della qualità o dei poteri: requisiti che mancano nell’ipotesi della segnalazione rivolta a soggetto esterno all’amministrazione di appartenenza o alla sfera di influenza del raccomandante.
Il delitto di corruzione, invece,  richiede che l’atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientri nella competenza o nella sfera di influenza dell’ufficio al quale appartiene l’ipotetico soggetto corrotto, nel senso che occorre che sia espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata dal medesimo. Un requisito, questo, non ravvisabile nella condotta pubblico ufficiale che non implichi l’esercizio di poteri istituzionali propri del suo ufficio e non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, ma sia diretto ad incidere nella sfera di attribuzione di un pubblico ufficiale terzo, rispetto al quale il soggetto agente è assolutamente carente di potere funzionale».
La raccomandazione “esterna”, quindi deve considerarsi una condotta che esula dalla nozione di atto d’ufficio,  e non concreta, pertanto, l’uso dei poteri funzionali connessi alla qualifica soggettiva dell’agente.
Né il reato di concussione è ipotizzabile in relazione alla percezione di un regalo per l’interessamento dimostrato dal primo cittadino, poiché il presupposto per la punibilità della condotta è costituito dalla costrizione o induzione di terzi alla promessa o alla dazione di una qualche utilità. Nel caso di specie, invece, il dono del computer, avvenuto in occasione del compleanno e delle feste natalizie, “era riconducibile ad una iniziativa spontanea, quale segno di apprezzamento e riconoscimento della disponibilità ricevuta”. Ma nulla più, visto che l’interessamento del sindaco non era stato condizionato alla promessa di qualche utilità.
In altri termini la raccomandazione da parte del primo cittadino avrebbe assunto profili di illegittimità qualora fosse stata esercitata all’interno del comune di appartenenza, al di fuori di questa “area” non costituisce una condotta penalmente sanzionabile.

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