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Di Stefano Nespor. I giochi olimpici di Londra 2012 hanno rilanciato il tema degli interventi biotecnologici di miglioramento delle prestazioni atletiche e della loro ammissibilità dal punto di vista etico e liceità dal punto di vista del diritto sportivo o del diritto in generale.
In realtà, la questione del miglioramento biologico delle prestazioni sportive si inserisce in un tema di più vasta portata consistente nella ammissibilità etica e giuridica degli interventi di miglioramento psicobiologico del corpo umano.
Cominciamo con la definizione del filosofo e bioeticista statunitense Allen Buchanan: il miglioramento delle prestazioni biologiche è il risultato di un intervento biomedico che si propone di migliorare capacità che tutti gli esseri umani già hanno oppure di creare nuove capacità. Un’altra definizione ricorrente  si propone di distinguere questo tipo di interventi da quelli – generalmente ritenuti accettabili dal punto di vista etico – rivolti a eliminare una invalidità o a curare una malattia: il miglioramento biologico consiste quindi in tutti gli interventi biomedici finalizzati non ad eliminare una malattia o una inabilità ma a migliorare una persona sana, oppure a rendere superiore al normale una persona disabile. Quale che sia la definizione adottata, in questa generale categoria rientrano, per fare alcuni esempi, gli interventi di cosmesi chirurgica, quelli rivolti al miglioramento delle prestazioni non solo fisiche, ma anche intellettuali e mnemoniche (spesso indicati come neuroscience technologies) ed anche quelli che si propongono di prolungare la vita o di prevenire l’invecchiamento mediante tecniche di riparazione e mantenimento del corpo. Ma non solo. Vi rientrano anche interventi – praticati da migliaia di anni – che creano menomazioni fisiche o  disabilità per finalità rituali, religiose o estetiche: è il caso dei tatuaggi tribali, della circoncisione, della clitoridectomia e di altre menomazione corporali variamente diffuse nella storia dell’umanità e più o meno socialmente ritenute accettabili a seconda dei tempi e dei luoghi. Per esempio, a partire dal xvi secolo è stata praticata e ritenuta  accettabile la castrazione di giovani maschi dotati di una bella voce  per impiegarli prima nella musica cantata religiosa, poi nel melodramma: alcuni castrati – il più celebre è stato Farinelli – hanno ottenuto celebrità e ricchezza per le loro doti straordinarie. La pratica è poi caduta in disuso ed è divenuta illegale alla fine del xviii secolo.
In realtà l’intera storia dell’evoluzione umana è un lungo percorso di interventi volti a produrre miglioramenti psicofisici, a partire dall’allenamento per il fisico e dall’istruzione per la mente.  L’argomento è stato oggetto, negli ultimi anni, di crescente attenzione e di una cospicua produzione saggistica da parte di medici e biologi, sociologi, bioetici e giuristi.
Voglio qui ricordare, senza alcuna pretesa di completezza, i contributi più importanti per la conoscenza di questa materia.
Un  primo organico contributo allo studio del miglioramento umano è stato offerto da un numero speciale della Southern California Law Review pubblicato nel novembre del 1991, contenente gli atti del Symposium on Biomedical Technology and Health Care: Social and Conceptual Transformations. In particolare, va segnalato l’articolo di Michael Shapiro The technology of Perfection: Performance Enhancement and the Control of Attributes (pagg.11 – 113).
Di qualche anno successivo è il libro di Daniel Kevles, In the Name of Eugenics: Genetics and the Uses of Human Heredity (Harvard Uni Press 1998) che ricostruisce la storia dell’eugenetica a partire dalle sue origini nel xix secolo, con finalità più o meno dichiaratamente razziste, fino all’affermarsi nella seconda metà del secolo scorso delle tecniche biotecnologiche come conseguenza dello sviluppo della genetica.
Un panorama delle prospettive che si aprono dall’applicazione delle tecniche  genetiche a finalità di miglioramento delle prestazioni umane è offerto da un giornalista del Washington Post, Joel Garreau, con interviste a scienziati, giuristi e bioeticisti raccolte in Radical Evolution: The Promise and Peril of Enhancing Our Minds, Our Bodies – And What It Means to Be Human (Doubleday, 2005).
Una ampia notorietà (ma anche molte contestazioni) ha ottenuto negli Stati Uniti – e in misura assai minore in Italia – il libro dell’inventore, informatico e futurologo statunitense, Ray Kurzweil, The singularity is Near: When Human Trascend Biology (Viking press, 2005; dal libro è stato anche tratto un film The Trascendent Man). L’autore, sostenitore di ogni tipo di miglioramento biologico delle prestazioni umane, prevede per la seconda metà di questo secolo un aumento della longevità umana e addirittura un inversione del processo di invecchiamento per effetto dell’intrecciarsi di tre rivoluzioni, Genetica, Nanotecnologie e Robotica. Alle tesi di Kurweil e alla sua idea di singolarità (mutuata dall’astrofisica, dove indica un punto spaziotemporale all’interno del quale le regole generali della fiusica non si applicano, e utilizzata nel 1965 dal matematico inglese I.J. Good per definire l’”esplosione dell’intelligenza” provocata dalla creazione di macchine con capacità superiori a quelle dell’uomo)  è stata dedicata anche una copertina di Time http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,2048299-2,00.html
Tra i libri più recenti che contestano l’ammissibilità etica degli interventi di miglioramento delle prestazioni psicofisiche umane ricordo Nicholas Agar, Humanity’s End: Why We Should Reject Radical Enhancement, (Bradford Book 2010) e soprattutto il saggio polemico del bioeticista di Harvard Michael J. Sandel The Case against Perfection: Ethics in the Age of Genetic Engineering (Belknap Press of Harvard University Press 2009). Sandel afferma che la ricerca del miglioramento psicofisico del corpo mette a repentaglio la concezione della vita umana come dono e altera il modo con il quale l’uomo ha costruito i concetti di responsabilità e solidarietà.
Nel gruppo delle opere contrarie all’ammissibilità etica del miglioramento del corpo umano la più importante è certamente il testo, entrato nei classici della letteratura bioetica, del filosofo tedesco Jurgen Habermas Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale (Einaudi 2002; il libro è stato pubblicato in Germania nel 2001). Secondo Habermas la programmazione genetica del corpo umano guidata dai meccanismi del mercato della salute e dalle scelte dei genitori che intendono riprodursi per soddisfare i loro desideri mette a rischio i diritti delle generazioni future.  Il principio di responsabilità che deve guidare l’azione umana impone di mantenere invalicabile la distinzione tra intervento terapeutico per eliminare disabilità o patologie esistenti e intervento volto a potenziare le prestazioni dell’uomo: la genetica migliorativa “positiva”, eliminando le barriere tra “artificiale” e “naturale” altera i principi dell’etica sulla quale si è costruita la nostra società democratica.
Una visione esattamente opposta a quella di Habermas è esposta dal bioetico statunitense Ronald M. Green, sostenitore della “genetica cosmetica” nel libro  Babies by Design: The Ethics of Genetic Choice (Yale Uni. Press 2008). Secondo Green è giusta l’aspirazione dei genitori  di offrire ai propri figli un gradevole aspetto estetico e una buona  intelligenza, in modo da permettergli di condurre decentemente la loro vita.
Una informazione completa, approfondita ed equilibrata sugli attuali sviluppi delle tecnologie biologiche per il miglioramento del corpo umano e sui connessi aspetti etico-giuridici è data dal filosofo e bioetico statunitense Allen Buchanan in due libri pubblicati nel 2011 dalla Oxford University Press:  Beyond Humanity?: The Ethics of Biomedical Enhancement Better than Human: The Promise and Perils of Enhancing Ourselves. Buchanan, basando le sue riflessioni sui principi che reggono l’evoluzione, considera errate le tesi che ritengono che l’uomo attuale abbia raggiunto un suo punto di sviluppo “finale”, migliore di quelli precedenti o di quelli successivi: l’evoluzione non produce risultati ottimali, ma risultati che tengono conto dell’ambiente circostante e dei vincoli che esso impone, in un continuo e quindi necessariamente imperfetto processo di adattamento. Pertanto, non ha senso difendere il casuale risultato di un processo evolutivo come un ideale da difendere.
Infine, tra i pochi testi italiani sull’argomento, va segnalato il recente libro di Carlo Alberto Defanti: “Eugenetica: un tabù contemporaneo” (ed.Codice, 2012); inoltre, entrambi pubblicati nel 2011, la raccolta di scritti di Stephan Kampowski e Prof. Dino Moltisanti, Migliorare l’uomo? La sfida etica dell’enhancement, Cantagalli 2011 che affronta le varie tematiche dal punto di vista dell’etica cristiana e soprattutto il saggio di Maurizio Balistreri, Superumani. Etica ed enhancement, Espress 2011, che offre un panorama critico di tutti i principali interventi sull’argomento prendendo posizione a favore dell’utilizzo delle tecniche di miglioramento.
Come si può comprendere da questa breve rassegna, la materia del miglioramento biotecnologico del corpo umano è oggetto da vari anni di un ampio dibattito, soprattutto per i suoi profili etici e per le conseguenze sociali che esso porta con sé (il dibattito è quasi inesistente in Italia, come del resto, in generale, il dibattito sui più importanti temi bioetici, per l’effetto monopolizzante dell’etica cattolica). ed è questa la cornice nell’ambito della quale deve essere iscritto il tema del miglioramento delle prestazioni sportive.

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