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RIMEDI GIUDIZIALI A TUTELA DEI DIRITTI LESI DA COMPORTAMENTI INQUINATORI.

LEGITTIMAZIONE, REQUISITI ED ONERE DELLA PROVA.

LA NOVITÀ INTRODOTTA DALL’ART. 840 BIS C.P.C.

Avv.ti Massimo Moretti – Tullio Panteca – Piera Gallo

Abstract in italiano

La tutela ambientale, negli ultimi anni, è stata oggetto di particolare attenzione da parte del nostro legislatore, il quale ha portato non solo ad una modifica degli articoli 9 e 41 della Carta Costituzionale, ampliando le tutele in essi previsti ma ha altresì apportato modifiche alla legislazione nazionale. In particolare con la riforma dell’art. 9 Cost., che già conteneva la tutela del patrimonio paesaggistico e del patrimonio storico e artistico della nazione, è stato previsto ed introdotto il principio di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, e la tutela degli animali. L’art. 41 della nostra Costituzione, così come riformato, sancisce che la salute e l’ambiente sono paradigmi da tutelare da parte dell’economia, al pari della sicurezza, della libertà e della dignità umana. Le istituzioni devono, quindi, orientare l’iniziativa economica pubblica e privata verso fini sociali ed ambientali. Da ricordare, la Legge n. 31/2019 con la quale, nel codice di procedura civile, sono stati introdotti gli articoli dal 840-bis a 840-sexiesdecies, tutti riuniti in un nuovo titolo, il titolo VIII-bis, e relativo ai procedimenti collettivi introducendo, quindi, l’azione di classe, la c.d. class action. Azione che prevede la possibilità di essere esperita da chiunque abbia subito la lesione di diritti individuali omogeni intendendosi con quest’ultimi quelle situazioni soggettive che nascono da rapporti giuridici, tra i danneggiati e il danneggiante: in poche parole quei diritti che hanno in comune causa petendi e petitum. L’azione di classe, in ogni caso, non è esclusiva su ogni altra azione esperibile, potendo il titolare agire con un’ordinaria azione individuale a tutela del proprio diritto leso. Ogni tutela giurisdizionale, tanto individuale quanto collettiva, si fonda su tre pilastri, così disposti in ordine logico e cronologico: prima la tutela inibitoria, per impedire che l’altrui illecito produca danno o continui a produrlo; poi la tutela ripristinatoria, eventualmente restitutoria, per ricostituire, nei limiti del possibile, la situazione precedente; infine la tutela risarcitoria, per compensare con un equivalente monetario il pregiudizio realizzatosi nonostante le precedenti tutele. Infine, la legge n. 31/2019 inserendo, nel libro IV del codice di procedura civile, il titolo VIII-bis sui «procedimenti collettivi», ha invertito la sequenza, collocando al fondo, anziché all’inizio, la tutela inibitoria (a cui ha ricondotto la tutela ripristinatoria, ma non quella restitutoria, che, avendo normalmente ad oggetto somme di denaro, è stata assimilata alla tutela risarcitoria). L’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., è stato quindi dedicato alla «azione inibitoria collettiva», sostituendo l’art. 140 bis cod. cons., sui diritti dei consumatori.

English Abstract

In recent years, environmental protection has been the subject of particular attention from our legislator, who has not only amended Articles 9 and 41 of the Constitutional Charter, expanding the protections provided therein, but has also made changes to national legislation. In particular, with the reform of Article 9 of the Constitution, which already contained the protection of the nation’s landscape heritage and historical and artistic heritage, the principle of protecting the environment, biodiversity and ecosystems, also in the interest of future generations, and the protection of animals was provided for and introduced. Article 41 of our Constitution, as reformed, states that health and the environment are paradigms to be protected by the economy, on a par with security, freedom and human dignity. Institutions must, therefore, orient public and private economic initiative towards social and environmental ends. Worth mentioning is Law No. 31/2019 with which, in the Code of Civil Procedure, Articles 840-bis to 840-sexiesdecies were introduced, all united in a new title, Title VIII-bis, and relating to collective proceedings, thus introducing class action. An action that envisages the possibility of being brought by anyone who has suffered the injury of homogenous individual rights, meaning by the latter those subjective situations arising from legal relations between the injured parties and the damaging party: in short, those rights that have in common causa petendi and petitum. The class action, in any event, is not exclusive over any other action that may be brought, since the holder may bring an ordinary individual action to protect its injured right. Every jurisdictional protection, whether individual or collective, is based on three pillars, arranged as follows in logical and chronological order: first the injunctive protection, to prevent the wrongdoing of others from producing damage or continuing to produce it; then the restorative protection, possibly restitutory, to reconstitute, as far as possible, the previous situation; finally the compensatory protection, to compensate with a monetary equivalent for the prejudice realised despite the previous protections. Lastly, Law No. 31/2019 by inserting, in Book IV of the Code of Civil Procedure, Title VIII-bis on ‘collective proceedings’, inverted the sequence, placing the injunction protection at the end, instead of at the beginning, (to which it brought the restitutory protection, but not the restitutory protection, which, as it normally concerns sums of money, was assimilated to the compensation protection). Art. 840-sexiesdecies of the Code of Civil Proceedings was therefore dedicated to ‘collective injunctions’, replacing Art. 140 bis of the Consumer Rights Code.

AMBIENTE, RIFORMA E RIMEDI GIUDIZIARI

SOMMARIO

CAPITOLO 1. La riforma costituzionale in materia di tutela dell’ambiente: artt. 9 e 41 della Costituzione; 1.1 Introduzione; 1.2 Le novità introdotte con la riforma dell’art. 9 e 41 Cost.; 1.3 Considerazioni.

CAPITOLO 2: La novità introdotta dall’art. 840 bis c.p.c.; 2.1 Rimedi giudiziali: azione inibitoria e azione di classe; 2.2 Danno ambientale di natura pubblica e danno individuale; 2.3 La Legge n. 31/2019; 2.4 Legittimazione attiva nella class action; 2.5 Instaurazione del procedimento e le novità introdotte; 2.6 Conclusioni. Bibliografia e Sitografia

CAPITOLO 1

La riforma costituzionale in materia di tutela dell’ambiente: artt. 9 e 41 della Costituzione

1.1 Introduzione

L’attenzione dell’uomo rispetto alla salvaguardia dell’ambiente in cui vive cresce in maniera proporzionale allo sviluppo scientifico e tecnologico il quale, se da una parte produce benessere e ricchezza, dall’altra crea pericoli e rischi sempre più gravi e sempre meno controllabili.

Negli ultimi decenni del secolo scorso, il processo di modernizzazione ha avuto come effetto collaterale negativo la nascita di quella che è stata, emblematicamente, definita come “società del rischio”, laddove per rischio si intende “l’eventualità dell’autodistruzione della vita sul pianeta”.

È comprensibile che, davanti ad una prospettiva così catastrofica l’attenzione dell’uomo si sia trasformata in vera e propria paura per le sorti del mondo e l’abbia spinto a chiedere alle istituzioni una migliore protezione delle risorse umane e naturali dallo sfruttamento incontrollato e pericoloso degli ultimi tempi.

Solo recentemente, con il voto parlamentare dell’8 febbraio 2022, che ha portato all’approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2022, approvata con la maggioranza dei due terzi dei componenti, si è intervenuto sugli articoli 9 e 41 della Costituzione per introdurre la tutela dell’ambiente nelle loro previsioni.

1.2 Le novità introdotte con la riforma dell’art. 9 e 41 Cost.

La Legge n. 1 dell’8 febbraio 2022, inserisce nella Carta costituzionale un espresso riferimento alla tutela dell’ambiente e degli animali, recando modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione. In particolare, integrando l’art. 9 della Costituzione con l’aggiunta di un terzo comma, introduce tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Inoltre, nello stesso comma, si introduce una riserva di legge statale sulla tutela degli animali.

È al contempo oggetto di modifica l’articolo 41 della Costituzione in materia di esercizio dell’iniziativa economica. In primo luogo, si interviene sul secondo comma stabilendo che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in danno alla salute e all’ambiente1, premettendo questi due limiti a quelli già vigenti, ovvero la sicurezza, la libertà e la dignità umana. La seconda modifica investe, a sua volta, il terzo comma dell’articolo 41, riservando alla legge la possibilità di indirizzare e coordinare l’attività economica, pubblica e privata, a fini non solo sociali, ma anche ambientali.

Il testo reca infine una clausola di salvaguardia per l’applicazione del principio di tutela degli animali, come introdotto dal progetto di legge costituzionale, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Finalità della modifica, sulla base di quanto evidenziato nel corso dei lavori parlamentari, è in primo luogo quella di dare articolazione al principio della tutela ambientale, ulteriore rispetto alla menzione della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” previsto dall’articolo 117, secondo comma della Costituzione – introdotto con la riforma del Titolo V approvata nel 2001 – nella parte in cui enumera le materie su cui lo Stato abbia competenza legislativa esclusiva.

Accanto a quella dell’ambiente, si attribuisce alla Repubblica la tutela della biodiversità e degli ecosistemi. In tale ambito, viene introdotto un riferimento all’ “interesse delle future generazioni”, espressione utilizzata per la prima volta nel testo costituzionale.

L’ambiente è qui inteso nella sua accezione più estesa e sistemica: quale ambiente, ecosistema, biodiversità.

La riforma rappresenta il primo caso di una revisione non solo di uno dei principi fondamentali, ma altresì di uno degli articoli del Titolo III della Costituzione, dedicato ai rapporti economici. Si tratta, inoltre, di una revisione la cui approvazione è avvenuta in tempi estremamente rapidi (meno di undici mesi dall’inizio dei lavori). Si distingue altresì per il numero straordinariamente elevato di proposte di legge unificate nel corso della discussione, raccogliendo ben otto proposte del Senato e nove della Camera, a loro volta distinte tra loro per la varietà di contenuti e per l’oggetto della revisione.

Se è indubbio che la revisione sia stata caratteristica, ci si deve interrogare se questa si possa definire come necessaria o quantomeno opportuna. In altri termini, è stata davvero una svolta epocale, con la quale si è inserito l’ambiente tra i principi fondanti della Costituzione oppure, se l’ambiente era già parte di tali principi, la revisione rappresenta un’innovazione significativa rispetto al passato?

La tutela ambientale, ha trovato accoglimento nel nostro ordinamento e nella Costituzione non solo tramite la legislazione ordinaria, ma anche a mezzo di una costante interpretazione evolutiva della Corte Costituzionale.

Già con la sentenza n. 239 del 1982, infatti, si andava delineando una lettura dell’art. 9 Cost. che andava al di là della tutela estetica dei paesaggi, e che si spingeva a integrarvi la tutela degli interessi ecologici e ambientali. Una giurisprudenza che, come è noto, non ha mai cessato di evolversi e svilupparsi, anche – e a maggior ragione – a seguito della riforma del Titolo V nel 2001, la quale, a ben vedere, è stata la prima a “introdurre l’ambiente” nella Costituzione, con la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema2.

Per quanto attiene alle modifiche dell’art. 41 Cost., già negli anni ’60 si affermò come l’utilità e i fini sociali dovessero necessariamente ricomprendere le considerazioni di tutela ambientale3. A questo si deve aggiungere, inoltre, che la lettura congiunta dell’art. 41 con gli artt. 2 e 3 Cost. ha portato da tempo ad un’interpretazione che supera la semplice (e obsoleta) visione dell’ambiente come limite dell’attività economica, considerandolo al contrario come fattore centrale per il suo sviluppo4. A maggior ragione, dunque, risulta affatto innovativa la formulazione del novellato art. 41, che fa appunto riferimento al danno ambientale come limite dell’iniziativa economica, e ai fini ambientali come suo (eventuale) obiettivo.

La seconda novità, ancorché meno evidente sul piano testuale, sembra potersi rinvenire nella modifica del terzo comma dell’art. 41 Cost., ossia nell’aggiunta dell’espressione «e ambientali» rispetto ai già previsti «fini sociali» cui può essere espressamente funzionalizzata («indirizzata e coordinata») l’attività economica (sia pubblica che privata) mediante i programmi e i controlli opportuni che la legge è abilitata a determinare. Fermo restando, come è stato correttamente rilevato, che una funzionalizzazione delle attività economiche a fini ambientali poteva ritenersi già dotata di adeguata copertura costituzionale (quanto meno nel senso della “possibilità/eventualità”) nel vigore del testo originario del comma in esame e che, in effetti, non sono mancati fino a oggi, nella giurisprudenza del Giudice delle leggi, esempi di «applicazioni concrete del bilanciamento tra interventi pubblici di regolazione/programmazione pubblica (…) e protezione dell’ambiente»5, meritano senz’altro attenta considerazione le tesi di coloro che propongono di leggere in chiave di rinnovata attualità l’intero impianto della disposizione costituzionale sull’intervento positivo dei poteri pubblici nell’economia e che, in questa ottica, sono portati a ritenere che l’addendum introdotto dalla riforma in esame, potendosi configurare a tutti gli effetti quale primo fondamento costituzionale esplicito legittimante la programmazione verde delle attività economiche, costituisca «una vera e propria rivoluzione destinata a modificare la Costituzione economica del nostro Paese»6.

1.3 Considerazioni.

In buona sostanza, secondo questa ricostruzione, l’intero art. 41 Cost. risulterebbe oggi comprensivo delle tre definizioni di economia che si sono progressivamente succedute nel tempo e che vi troverebbero, grazie alla riforma costituzionale, formale emersione: la brown (o red) economy, nel primo comma, che fa leva sul solo principio di libertà e segue il modello produttivo “usa e getta”; la green economy, nel secondo comma, che impone i vincoli negativi all’attività economica e, tra questi, quello di rispettare l’ambiente, secondo il modello “produci ma non recare danno all’ambiente”; la blue economy, nel terzo comma, che consente di imporre vincoli positivi all’attività economica, orientandola alla transizione verso un sistema che indirizza la produzione e i modelli di consumo al perseguimento degli obiettivi di tutela ambientale, secondo il modello “produci per migliorare l’ambiente”.

Da ciò scaturirebbe un radicale mutamento di prospettiva, destinato ad avere concrete e immediate ricadute, ad esempio, nel «ritorno di una programmazione economica di tipo generale che dovrà riportare in un quadro unitario e di razionalizzazione le decine e decine di atti di programmazione settoriali di livello globale, europeo e nazionale», consentendo di intravedere oggi, nell’art. 41 Cost., un nuovo modello di sviluppo economico nel quale si realizzerebbe la transizione «dal modello teorico dello Stato del benessere a quello dello Stato circolare o, in altri termini, dal Welfare State all’Environmental State» . Si tratta, com’è agevole comprendere, di una prospettiva di grandissimo rilievo sul piano costituzionale, che è in grado di segnare un deciso cambio di passo per le politiche pubbliche in materia di sviluppo economico, giacché le “finalità ambientali” non si configureranno più, per queste ultime, come semplici cause di possibile “giustificazione ragionevole” dell’intervento pubblico conformativo nell’economia, bensì quali specifici obiettivi in grado di fondare e imporre giuridicamente quell’intervento, orientando nel senso della transizione ecologica, con il vincolo del “compito” affidato da una norma costituzionale esplicita, l’intera produzione legislativa in materia economica. Proprio da questo ultimo punto di vista, potrebbe assumere un significato tutt’altro che secondario un elemento testuale della modifica del terzo comma dell’art. 41 fino a oggi rimasto sostanzialmente nell’ombra, ossia che il legislatore di revisione, anziché aggiungere (giustapponendoli) i “fini ambientali” ai “fini sociali” già presenti nella formulazione originaria dell’enunciato, abbia optato per la sola introduzione dell’aggettivo “ambientali”, legandolo all’altro aggettivo con la semplice congiunzione “e”. Le due categorie di finalità, dunque, non si presentano scisse l’una dall’altra, come se le attività economiche pubbliche e private potessero essere indirizzate e coordinate liberamente verso quelle del primo tipo e/o verso quelle del secondo; il compito intestato al legislatore è di perseguirle insieme, necessariamente armonizzando le une con le altre e viceversa; i fini ambientali non possono costituire un obiettivo autonomo, ma debbono essere realizzati congiuntamente ai fini sociali, assicurando che la transizione ecologica verso cui deve essere indirizzato lo sviluppo dell’economia proceda di pari passo con lo sviluppo sociale e con una specifica attenzione alle esigenze di giustizia, di equità nell’allocazione dei costi e di eguaglianza sostanziale. In definitiva, il principio che ci consegna, nella sua essenzialità, la nuova formula costituzionale dell’art. 41, terzo comma, sembra chiarissimo e di grandissima lungimiranza: le politiche pubbliche cui la Costituzione affida l’implementazione in concreto del valore riconosciuto alla tutela dell’ambiente nell’art. 9 dovranno necessariamente configurarsi come “politiche della complessità” e coniugare indissolubilmente economia, ambiente e sviluppo sociale.

CAPITOLO 2

La novità introdotta dall’art. 840 bis c.p.c.

2.1 Rimedi giudiziali: azione inibitoria e azione di classe

Ogni tutela giurisdizionale, tanto individuale quanto collettiva, si fonda su tre pilastri, così disposti in ordine logico e cronologico: prima la tutela inibitoria, per impedire che l’altrui illecito produca danno o continui a produrlo; poi la tutela ripristinatoria, eventualmente restitutoria, per ricostituire, nei limiti del possibile, la situazione precedente; infine la tutela risarcitoria, per compensare con un equivalente monetario il pregiudizio realizzatosi nonostante le precedenti tutele.

La legge n. 31/2019 inserendo, nel libro IV del codice di procedura civile, il titolo VIII-bis sui «procedimenti collettivi», ha invertito la sequenza, collocando al fondo, anziché all’inizio, la tutela inibitoria (a cui ha ricondotto la tutela ripristinatoria, ma non quella restitutoria, che, avendo normalmente ad oggetto somme di denaro, è stata assimilata alla tutela risarcitoria).

L’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., è stato quindi dedicato alla «azione inibitoria collettiva», sostituendo l’art. 140 bis cod. cons., sui diritti dei consumatori.

L’azione risarcitoria, invece, è disciplinata dagli artt. da 840-bis a 840-quinquesdecies cod. proc. civ.

Per tale azione, il legislatore ha scelto il nomen iuris di «azione di classe». Infatti, nel suo ambito è necessario formare una «classe» di beneficiari ai quali possano essere assegnati, in caso di esito positivo, i risarcimenti individuali; mentre la creazione di una analoga categoria di soggetti appare superflua in sede inibitoria, dove il provvedimento finale, se favorevole, è destinato a incidere automaticamente a vantaggio di tutti i potenziali interessati.

La legittimazione attiva nell’azione inibitoria spetta a chiunque si affermi titolare dell’interesse alla tutela giurisdizionale, e alle organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro la cui idoneità a far valere il diritto in giudizio sia certificata dall’appartenere all’elenco, di cui all’art. 196-ter disp. att. cod. proc. civ. e 840-bis, 2° comma, cod. proc. civ., dei soggetti legittimati a proporre i procedimenti collettivi disciplinati dal titolo VIII-bis del libro IV del codice di rito.

L’azione inibitoria può essere esperita nei confronti delle imprese o degli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività.

Non è agevole ricostruire la disciplina procedimentale dell’azione, infatti il 3° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. rinvia agli artt. 737 e segg. cod. proc. civ. sulle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, distinguendo in tal modo, per questo aspetto, l’azione inibitoria da quella risarcitoria, rivolta invece, ai sensi del rinvio operato dall’art. 840-ter, 3° comma, cod. proc. civ., al modello del procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ. Il successivo 4° comma rinvia ad altra disciplina e precisamente all’art. 840-quinquies cod. proc. civ., che detta norme particolari in ordine al procedimento nell’azione di classe. Ed infine il 6° comma, a propria volta rimanda, alle misure di coercizione indiretta di cui all’art. 614-bis cod. proc. civ.

L’azione inibitoria, nonostante abbia ad oggetto l’accertamento dei medesimi illeciti, si distingue da quella risarcitoria non solo per il rinvio al rito camerale anziché al procedimento sommario di cognizione, di per sé giustificabile in forza delle esigenze di maggiore celerità e speditezza, caratteristiche della tutela inibitoria, ma anche sotto altri profili. Così, in virtù dell’ultima parte del 3° comma dell’art. 840-ter cod. proc. civ., si trova traccia del pubblico ministero esclusivamente con riferimento all’azione inibitoria, o, ex art. 840-novies cod. proc. civ., si attribuisce al regime delle spese carattere premiale per gli avvocati della parte ricorrente unicamente quando venga esercitata una azione di classe.

Il tribunale quando condanna alla cessazione della condotta omissiva può, su istanza di parte, adottare i provvedimenti di coercizione indiretta anche fuori dei casi ivi previsti.

Con tale condanna il tribunale può, su richiesta del P.M. o delle parti, ordinare che la parte soccombente adotti le misure idonee a eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate.

Il giudice, su istanza di parte, condanna la parte soccombente a dare diffusione del provvedimento, nei modi e nei tempi definiti nello stesso, attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazioni ritenuti più appropriati.

Quando l’azione inibitoria collettiva è proposta congiuntamente all’azione di classe, il giudice dispone la separazione delle cause7.

2.2 Danno ambientale di natura pubblica e danno individuale

Occorre tuttavia preliminarmente operare un fondamentale distinguo, tra:

– danno ambientale di natura pubblica, ossia il danno a quel bene unitario che appartiene a tutti e che ci circonda, l’ambiente esteso per l’appunto; di questo danno si occupa principalmente il Testo Unico Ambiente introdotto con D.Lgs. 152/2006 (più brevemente T.U);

– danno individuale alla salute o alla proprietà che il singolo subisce in conseguenza di un danno all’ambiente, disciplinato dalle norme ordinarie.

Il danno ambientale di natura pubblica costituisce una speciale categoria di danno, disciplinato da norme speciali, nel senso che sono diverse da quelle generali del nostro ordinamento; in primis perché per la normativa pubblica prevede come primo step il ripristino, mediante bonifica, del sito danneggiato, mentre per le norme generali il risarcimento può avvenire alternativamente in forma specifica ovvero per equivalente monetario.

Inoltre, tutte le attività afferenti la prevenzione dei rischi di danno, la individuazione delle misure di ripristino, la titolarità ad avviare un procedimento amministrativo e/o la legittimazione ad avviare azione giudiziale verso il responsabile per ottenere il risarcimento del danno, spettano al Ministero dell’Ambiente. Certamente questo si avvarrà della cooperazione degli Enti locali e di vari organismi e comitati tecnici, ma il “dominus” per la gestione di questo danno è il citato Ministero.

Quindi in materia di danno ambientale, la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta, in via esclusiva, allo Stato, e per esso al Ministero dell’Ambiente, che può, ai sensi dell’art. 311 del D.L.vo 152/2006, esercitarla per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, ossia la lesione dell’interesse pubblico alla integrità e salubrità dell’ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, comprese le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, possono, invece, esercitare l’azione civile in sede penale (come prevede l’art. 2043 cod. civ.) solo per ottenere il risarcimento di un danno ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente, anche se derivante dalla stessa condotta lesiva.
Quanto al
danno individuale alla salute o alla proprietà,8 il T.U. stesso riconosce la distinzione tra le due tipologie di danno nella parte in cui (art. 313, 7° comma) precisa che “resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute e nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi”.

Per l’accertamento della sussistenza e la liquidazione di questi danni vigono non la legislazione speciale del T.U., ma le norme ed i principi generali del nostro ordinamento, tra cui anche le norme della nuova class action come strumento processuale per far valere il relativo diritto.

2.3 La Legge n. 31/2019.

Con la Legge n. 31/2019 entrata in vigore il 19.04.2020 è stata rilanciata l’azione collettiva già prevista dall’art. 140 bis del Codice del Consumo.

La nuova disciplina, infatti, ne amplia l’ambito di applicazione dal punto di vista sia oggettivo (si supera il limite dei rapporti di consumo, della responsabilità del produttore e di quella per pratiche commerciali scorrette e per pratiche anticoncorrenziali), sia soggettivo (non più solo consumatori ma qualunque soggetto giuridico, incluse le imprese, titolare di diritti individuali omogenei) collocando il rimedio nell’ambito del codice di procedura civile. L’ampliamento dell’ambito di applicazione soggettivo apre, senza dubbi, nuovi spazi alle azioni antitrust follow-on, visto che i soggetti direttamente danneggiati dalle condotte illecite sono spesso imprese.9

La nuova class action è diretta all’accertamento della responsabilità del soggetto convenuto e alla sua condanna al risarcimento del danno o alla restituzione ma, rispetto al passato, l’ambito di applicazione dell’azione di classe è stato ampliato in modo significativo.

Sotto il profilo soggettivo, l’azione di classe diventa uno strumento a disposizione di chiunque sia portatore di un diritto individuale omogeneo. Quindi della classe potranno fare parte non solo consumatori e utenti ma anche professionisti, imprese, investitori, ecc. A proposito del requisito dell’omogeneità dei diritti individuali in capo ai soggetti membri della classe, la nuova normativa non impone alcuna revisione dell’orientamento interpretativo maggioritario che si è già affermato con riferimento all’azione di classe disciplinata dal Codice del Consumo e in base al quale l’omogeneità è ravvisabile:

in presenza di diritti individuali che traggono origine dal medesimo fatto illecito, che abbia dato vita a un unico danno-evento, anche se si tratta di diritti differenziati sotto il profilo del danno-conseguenza (fermo restando che il quantum debeatur potrà essere diverso per ciascun componente della classe);

purché le questioni personali ovvero le questioni di fatto o di diritto che connotano specificamente le singole posizioni individuali – siano del tutto inesistenti o marginali.

2.4 Legittimazione attiva nella class action

Nella nuova disciplina legittimato a promuovere l’azione è, anzitutto, ogni soggetto facente parte della classe. Peraltro, la legittimazione attiva spetta anche alle organizzazioni o alle associazioni senza scopo di lucro, iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia, che abbiano tra i propri obiettivi statutari la tutela dei diritti individuali omogenei dedotti in giudizio: tali enti, in particolare, potranno agire senza necessità di avere ricevuto un mandato in tal senso da un componente della classe.

Sul piano oggettivo la nuova disciplina fa semplicemente riferimento all’esistenza di un diritto individuale omogeneo da tutelare, a prescindere dalla condotta posta in essere dal convenuto, da cui derivi la lesione di quel diritto. L’azione di classe può, dunque, essere esercitata in relazione ad illeciti di natura contrattuale ed extracontrattuale (anche in materia ambientale) o, ancora, a fattispecie di responsabilità precontrattuale.

Una limitazione dei diritti tutelabili può, tuttavia, essere ricavata dall’individuazione dei legittimati passivi della nuova class action: l’azione, infatti, può essere promossa solo nei confronti di imprese e di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, in relazione ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle rispettive attività.

Per quanto riguarda l’ambito temporale di applicazione, il legislatore ha disposto che le nuove norme si applichino alle condotte illecite poste in essere successivamente alla loro entrata in vigore. Tale previsione legislativa non sarà, però, di facile applicazione pratica. Da un lato, non è agevole dare una precisa collocazione temporale alle condotte lesive che si protraggono nel tempo o che lasciano permanere i loro effetti nel tempo (si pensi, ad esempio, agli illeciti e ai danni in ambito ambientale o medico-sanitario). Dall’altro, la condotta a cui il legislatore fa riferimento non è il fatto illecito che lede il singolo soggetto, bensì la condotta plurioffensiva che comprende l’insieme degli atti posti in essere nei confronti dei soggetti appartenenti a una determinata “classe” e, a prescindere dall’elemento temporale, appare equo che situazioni giuridiche riconducibili ad un’unica condotta plurioffensiva reiterata nel tempo siano sottoposte alla medesima tutela processuale. È, dunque, probabile che la nuova disciplina trovi applicazione anche in presenza di più atti illeciti reiterati nel tempo dal medesimo soggetto, di cui solo alcuni riferibili temporalmente ad un momento successivo al 19 maggio 2021, nella misura in cui essi ledano diritti individuali omogenei.

2.5 Instaurazione del procedimento e le novità introdotte

L’azione di classe si propone con ricorso dinanzi alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo in cui ha sede la parte convenuta in giudizio10.

Si può sintetizzare, quindi, che, il procedimento – regolato dal rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c., – si articola in tre fasi.

La prima fase è volta a verificare l’ammissibilità dell’azione. Il Tribunale, previa fissazione dell’udienza di discussione, decide con ordinanza, applicando gli stessi criteri già previsti dalla disciplina anteriore.

La seconda fase è caratterizzata dal compimento di atti istruttori diretti ad accertare la fondatezza della pretesa dell’attore e della classe nel suo complesso. In caso di accoglimento, viene resa una sentenza, che, fra l’altro: (i) accerta la condotta illecita del resistente, (ii) definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei rilevanti e (iii) nomina il giudice delegato e il rappresentante comune degli aderenti.

La terza fase è funzionale alla liquidazione degli importi dovuti agli aderenti, si svolge con una procedura simile a quella di accertamento del passivo fallimentare e si chiude con decreto motivato del giudice delegato. Tale provvedimento è predisposto, sulla base del “progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti” redatto ed eventualmente modificato dal rappresentante comune degli aderenti.

2.6 Conclusioni

Gli asseriti titolari di diritti individuali omogenei possono aderire all’azione collettiva in due momenti, ossia (i) dopo l’emanazione dell’ordinanza di ammissibilità oppure (ii) dopo l’emanazione della sentenza, entrambe pubblicate sul Portale dei Servizi Telematici gestito dal Ministero della Giustizia (“PST”) del giudizio.

La facoltà di adesione successiva alla sentenza è stata oggetto di censure, perché: (i) creando incertezze sulle dimensioni della classe, disincentiverebbe potenziali definizioni transattive; (ii) consentirebbe agli aderenti di avvalersi di una pronuncia favorevole, senza correre il rischio della soccombenza.

A differenza della “vecchia” class action, riservata ai consumatori in relazione ad illeciti commessi a loro danno in questo ristretto ambito, per l’appunto, consumeristico, la nuova class action, invece, è applicabile ad ogni tipologia di danno derivante da illecito, nel campo della responsabilità contrattuale, precontrattuale, extracontrattuale.

In quest’ultima categoria rientrano certamente i danni alla salute o ai loro beni che i singoli subiscono in conseguenza della compromissione dell’ambiente e, tra questi, anche quelli da immissioni (art. 844 c.c.).

A titolo esemplificativo, si può pensare ai danni alla salute o alla proprietà delle persone che vivono su un territorio che è stato contaminato a seguito di sversamento di sostanze tossiche causa malfunzionamento di qualche impianto oppure ai danni subiti dagli abitanti di una zona ove si trova una attività che produca un esteso e grave inquinamento acustico.

In conclusione si può affermare che la nuova class action è un rimedio di tutela giurisdizionale non del tutto inedito per il nostro sistema processuale, in quanto mutua la sua essenza dalla class action di stampo consumeristico, già previsto dall’art. 140 bis cod. cons., riadattandone il funzionamento ad una platea più ampia di beneficiari e di illeciti. L’apertura del nuovo impianto a fattispecie che esulano dalla materia consumeristica, a ben vedere, rappresenta un punto di svolta per il sistema di tutela collettiva. Numerose sono state le riforme che hanno interessato il settore senza riuscire a plasmare un rimedio effettivamente capace di tutelare i danneggiati dai torti di massa. Non possiamo dire, tuttavia, che le innovazioni apportate dal legislatore rappresentino un punto di arrivo. Il futuro dell’azione di classe appare, infatti, scolpito dalla direttiva 1828/2020 che ha fatto ingresso nel panorama sovranazionale per fornire agli Stati membri indicazioni programmatiche cui adeguare, mediante una legge interna di recepimento, i procedimenti collettivi in vigore a livello locale. Sebbene con una portata limitata agli illeciti commessi in danno di utenti e consumatori, la direttiva prepara il sistema di tutela collettiva ad un ulteriore riassetto. Al momento non è dato capire come il legislatore italiano realizzerà tale adeguamento (intervenendo ad ampio raggio sulla disciplina entrata in vigore, o introducendo a latere della class action codicistica uno strumento aderente agli standard fissati dalle Istituzioni europee.

 

1 Le modifiche dell’articolo 41 riprendono i principi sul bilanciamento tra i vari interessi costituzionali già affermati dalla Corte Costituzionale nelle varie interpretazioni del dettato costituzionale. In particolare la Corte, nel cd. “caso ILVA” ha ricordato che la tutela della libera iniziativa economica deve essere comunque bilanciata con il diritto alla salute (da cui deriva il diritto all’ambiente salubre) e al lavoro.

La cristallizzazione degli indirizzi giurisprudenziali della Consulta rafforza dunque il peso dell’ambiente e della salute nel bilanciamento con altri interessi costituzionalmente rilevanti.

2 La formulazione dà svolgimento e sviluppo ad orientamenti di tutela affermati dalla Corte costituzionale in via interpretativa, espressi in base alle disposizioni costituzionali vigenti. La tutela degli ecosistemi richiama la competenza legislativa dello Stato, di cui alla lettera s) del secondo comma dell’articolo 117.In particolare, la tutela del “paesaggio” costituzionalmente sancita dall’articolo 9 è stata declinata dalla giurisprudenza costituzionale come tutela paesaggistico-ambientale con una lettura ‘espansiva’.

In tale prospettiva l’ambiente si configura non come mero bene o materia competenziale bensì come valore primario e sistemico.

3 Alberto Predieri, Urbanistica. Tutela del Paesaggio. Espropriazione, Milano, Giuffrè, 1969, p. 39 ss.

4 Giampaolo Rossi, Dallo sviluppo sostenibile all’ambiente per lo sviluppo, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, 1/2020, 4-14

5 Cfr. L. Cass etti, Riformare l’art. 41 della Costituzione: alla ricerca di “nuovi” equilibri tra iniziative economica privata e ambiente, cit., in part. 200, la quale richiama, per tutte, la sent. n. 267/2016.

6 Cfr. F. De Leonardis, La transizione ecologica come modello di sviluppo di sistema: spunti sul ruolo delle amministrazioni, in Dir. Amm., n. 4/2021, 779 ss., in part. 795; più in generale, cfr. altresì A. Moliterni, La transizione alla green economy e il ruolo dei pubblici poteri, in G. Ross i, M. Monteduro (a cura di), L’ambiente per lo sviluppo. Profili giuridici ed economici, Torino, 2020, 51 ss.

7 https://blog.ilcaso.it

8 Facciamo qualche esempio. In caso di grave contaminazione del terreno o delle acque di una determinata porzione di territorio, potranno verificarsi danni alla salute/qualità della vita degli abitanti o di tipo economico per la svalutazione degli immobili o per le spese che sono stati costretti a sostenere.

Parimenti potranno verificarsi questo tipo di danni individuali in caso di fenomeno di inquinamento acustico o odorigeno prodotte dalla attività di una grande impresa.

9 www.belex.com

10 Non si comprende se il riferimento alla “sede” designi solo il foro della sede legale o rinvii al foro generale delle persone giuridiche ex art. 19 c.p.c. In quest’ultimo caso, l’attore potrebbe anche agire davanti al giudice del luogo in cui la persona giuridica ha uno stabilimento o un rappresentante autorizzato a stare in giudizio e ciò consentirebbe un certo margine di forum shopping, specie quando la convenuta ha centri operativi su tutto il territorio nazionale.

 

Bibliografia

  • Alberto Predieri, Urbanistica. Tutela del Paesaggio, Espropriazione, Milano, Giuffrè, 1969, p. 3 ss.;

  • Giampaolo Rossi, Dallo sviluppo sostenibile all’ambiente per lo sviluppo, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, 1/2020, pag. 4-14;

  • F. De Leonardis, La transizione ecologica come modello di sviluppo di sistema: spunti sul ruolo delle amministrazioni, in Dir. Amm., n. 4/2021, 779 ss., in part. 795; più in generale, cfr. altresì A. Moliterni, La transizione alla green economy e il ruolo dei pubblici poteri, in G. Ross i, M. Monteduro (a cura di), L’ambiente per lo sviluppo. Profili giuridici ed eco-nomici, Torino, 2020, 51 ss.;

    Sitografia

  • https://blog.ilcaso.it;

  • www.belex.com