CORTE COSTITUZIONALE, 10 maggio – 13 giugno 2023, SENTENZA N. 116
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Processo penale – Chiusura delle indagini preliminari – Richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato – Possibilita’, per il giudice per le indagini preliminari, di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita’ del fatto, previa fissazione dell’udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell’indagato – Preclusione, in base all’interpretazione della Corte di cassazione – Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di proporzionalita’, di responsabilita’ per il fatto e di personalita’ della responsabilita’ penale, della finalita’ rieducativa della pena, di ragionevolezza, di ragionevole durata del processo, anche nell’accezione convenzionale, e di soggezione dei giudici soltanto alla legge – Non fondatezza delle questioni. – Codice di procedura penale, art. 409, commi 4 e 5, in combinato disposto con l’art. 411, commi 1 e 1-bis, del medesimo codice. – Costituzione, artt. 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, 76, 101, secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, art. 6; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47; Patto internazionale sui diritti civili e politici, art. 14, terzo comma, lettera c). (T-230116) (GU n. 24 del 14-06-2023)
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Silvana SCIARRA;
Giudici :Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto, Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D'ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi
4 e 5, del codice di procedura penale, in combinato disposto con
l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., promosso dal Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola nel
procedimento penale a carico di A. F., con ordinanza del 20 giugno
2022, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 2022 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie
speciale, dell'anno 2022.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2023 il Giudice
relatore Francesco Vigano';
deliberato nella camera di consiglio del 10 maggio 2023.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 20 giugno 2022, il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale ordinario di Nola ha sollevato - in
riferimento agli artt. 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo
comma, 76, 101 (recte: 101, secondo comma), 111, secondo comma, e 117
(recte: 117, primo comma,) della Costituzione, quest'ultimo in
relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo,
all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
e all'art. 14, (recte: 14, terzo comma,) lettera c), del Patto
internazionale sui diritti civili e politici - questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, del codice di
procedura penale, in combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e
1-bis, cod. proc. pen., «nella parte in cui non consentono al giudice
per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di pronunciare
ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, previa
fissazione dell'udienza camerale, sentite le parti e stante la
mancata opposizione dell'indagato».
1.1.- Il rimettente e' investito, nella propria qualita' di
giudice per le indagini preliminari, di una richiesta di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato nei confronti
di A. F., sottoposto a procedimento penale in seguito a querela della
persona offesa per essersi introdotto e trattenuto all'interno di una
strada privata di pertinenza di quest'ultima, nonostante la sua
contraria volonta'.
Non condividendo la valutazione del pubblico ministero sulla
infondatezza della notizia di reato, il rimettente ha fissato udienza
camerale ai sensi dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen., nella
quale, assente il pubblico ministero, ha prospettato alla persona
sottoposta alle indagini, al suo difensore e al difensore della
persona offesa la possibilita' di pronunciare ordinanza di
archiviazione per particolare tenuita' del fatto. A tale possibile
esito «entrambe le parti, rappresentate dai loro difensori, non si
opponevano».
Ad avviso del giudice a quo, la condotta di A. F. integrerebbe in
effetti una violazione di domicilio ai sensi dell'art. 614 del codice
penale. Nel caso di specie sussisterebbero pero' i presupposti della
particolare tenuita' dell'offesa e della non abitualita' del
comportamento, atti a escludere la punibilita' del fatto ai sensi
dell'art. 131-bis cod. pen., poiche' la violazione di domicilio,
avvenuta senza violenza o minaccia alla persona, si sarebbe protratta
per un esiguo lasso temporale e sarebbe stata realizzata da un
soggetto incensurato.
Il rimettente assume tuttavia di non poter fare applicazione
della causa di non punibilita' in parola, poiche' il combinato
disposto degli artt. 409, commi 4 e 5, e 411, commi 1 e 1-bis, cod.
proc. pen., nell'interpretazione offertane dalla giurisprudenza di
legittimita', gli impedirebbe di disporre l'archiviazione per
particolare tenuita' del fatto, a fronte di una richiesta del
pubblico ministero di archiviazione per infondatezza della notizia di
reato. In particolare, secondo la Corte di cassazione il
provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' del fatto,
pronunciato ai sensi dell'art. 411, comma 1, cod. proc. pen., sarebbe
nullo se emesso senza l'osservanza della speciale procedura prevista
al comma 1-bis di detta norma (che presuppone una richiesta in tal
senso del pubblico ministero e l'avviso all'indagato e alla persona
offesa), non essendo le disposizioni generali contenute negli artt.
408 e seguenti cod. proc. pen. idonee a garantire il contraddittorio
dell'indagato e della persona offesa sulla configurabilita' della
causa di non punibilita' (sono richiamate Corte di cassazione,
sezione sesta penale, sentenza 16 gennaio-13 febbraio 2018, n. 6959;
sezione quinta penale, sentenza 15 giugno-5 settembre 2017, n. 40293;
sezione quinta penale, sentenza 7 luglio-5 settembre 2016, n. 36857).
A fronte di tale orientamento della giurisprudenza di
legittimita', sarebbe impraticabile una diversa interpretazione della
disciplina censurata. Ne' si potrebbe ipotizzare la restituzione
degli atti al pubblico ministero, con invito a reiterare la richiesta
di archiviazione, questa volta ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis,
cod. proc. pen., trattandosi di soluzione «non espressamente prevista
dal legislatore, ne' sollecitata dalla giurisprudenza di
legittimita'», e comunque problematica.
Sarebbe dunque necessario promuovere l'incidente di
costituzionalita' onde poter procedere all'archiviazione del
procedimento per particolare tenuita' del fatto: donde la rilevanza
delle questioni sollevate.
1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il
rimettente osserva anzitutto che la previsione della causa di non
punibilita' di cui all'art. 131-bis cod. pen. costituirebbe
«l'attuazione dei principi, di rango costituzionale, di
sussidiarieta' (o extrema ratio) del diritto penale e di
proporzionalita'» e realizzerebbe esigenze di deflazione processuale
(e' citata la relazione illustrativa al decreto legislativo 16 marzo
2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilita' per
particolare tenuita' del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1,
lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», che ha introdotto nel
codice penale l'art. 131-bis).
L'impossibilita' di pronunciare ordinanza di archiviazione per
particolare tenuita' del fatto, a fronte di una richiesta del
pubblico ministero di archiviazione per infondatezza della notizia di
reato, sarebbe allora «in contrasto con le finalita' sostanziali e
processuali poste a fondamento dell'istituto» di cui all'art. 131-bis
cod. pen., e risulterebbe «contraria ai principi di uguaglianza e
proporzionalita' (art. 3 Cost.), di responsabilita' per il fatto e
personalita' della responsabilita' penale (articoli 25, comma 2 e 27,
comma 1, Cost.), della finalita' rieducativa della pena (art. 27,
comma 3 Cost.), nonche' di ragionevolezza (art. 3 Cost.), anche in
riferimento ai principi e criteri direttivi della legge delega (art.
76 Cost.), di ragionevole durata del processo (art. 101 [recte: 111]
Cost. e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 Cost.) e di soggezione
dei giudici esclusivamente alla legge (art. 101 Cost.)».
1.2.1.- La disciplina censurata lederebbe anzitutto gli artt. 3,
27, primo e terzo comma, e 76 Cost., giacche' precluderebbe al GIP di
operare, in sede di udienza camerale sulla richiesta di
archiviazione, «un vaglio individualizzante del singolo e
irripetibile fatto storico portato alla sua attenzione»,
costringendolo ad «imbastire un processo finalizzato all'applicazione
di una pena virtualmente sproporzionata nell'an ancor prima che nel
quantum, poiche' da applicare ad un fatto che, in base ai criteri
generali fissati dal medesimo legislatore, non ne e' invece
"bisognoso"»; con conseguente violazione «non soltanto del principio
di uguaglianza, sub specie di ragionevolezza e proporzione, ma anche
dei principi di personalita' della responsabilita' penale e della
finalita' rieducativa della pena» (sono richiamate le sentenze n. 102
del 2020, n. 40 del 2019, n. 222 del 2018, n. 236 del 2016, n. 68 del
2012 e n. 313 del 1990 di questa Corte).
La lesione dei richiamati principi costituzionali si produrrebbe
gia' in sede di udienza camerale ex art. 409 cod. proc. pen., in
quanto il GIP, pur non essendo chiamato a irrogare alcuna pena, non
potrebbe «"disapplicare" un virtuale trattamento sanzionatorio nei
confronti dell'indagato, che nel caso concreto risulterebbe
sproporzionato» e dovrebbe invece imporre la celebrazione nei
confronti dell'imputato di «un "immeritato processo" mediante il
ricorso all'imputazione coatta».
La «potenziale applicazione di una pena, anche minima (mediante
un processo, anche breve) all'autore di un illecito considerato di
particolare tenuita'» costituirebbe «una reazione sproporzionata
dell'ordinamento, che sacrifica e banalizza la liberta' personale
dell'individuo, dichiarata "inviolabile" dall'art. 13 Cost., a fronte
di fatti che non dimostrano alcun reale bisogno di pena: la sua
inflizione (peraltro appannaggio di un giudice "diverso" da quello
chiamato a valutare la richiesta di archiviazione del PM)
realizzerebbe, pertanto, un ingiustificato, inutile e intollerabile
sacrificio della liberta' personale» (e' citata la sentenza n. 364
del 1988 di questa Corte).
Tali precetti costituzionali costituirebbero «il plafond dei
principi e criteri direttivi» della legge 28 aprile 2014, n. 67
(Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di
riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di
sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti
degli irreperibili), con conseguente violazione, altresi', dell'art.
76 Cost.
1.2.2.- La disciplina censurata, come interpretata dal diritto
vivente, presenterebbe poi profili di irragionevolezza intrinseca,
con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.
L'impossibilita' per il GIP di procedere all'archiviazione per
particolare tenuita' del fatto, allorche' ne' l'imputato, ne' la
persona offesa abbiano esposto ragioni di dissenso a tale esito nel
corso dell'udienza camerale, costituirebbe il frutto di un'esegesi
non solo «fondamentalmente formalista», ma anche manifestamente
irrazionale e discriminatoria, introducendo un «automatismo che
costringe il giudice per le indagini preliminari a procedere ad
un'imputazione coatta, del tutto dissonante rispetto alle esigenze
processuali poste a base dell'istituto»; e cio' anche in
considerazione della circostanza che, nella procedura di cui all'art.
411, comma 1-bis, cod. proc. pen., le parti, pur dovendo essere
informate della richiesta del pubblico ministero e potendo presentare
opposizione, non possono opporre alcun veto al potere del giudice di
provvedere ex art. 131-bis cod. pen.
1.2.3.- Il plesso normativo sottoposto al vaglio di questa Corte
produrrebbe altresi' irragionevoli disparita' di trattamento rispetto
alle ipotesi in cui, nelle successive fasi processuali, la pronuncia
ex art. 131-bis cod. pen. puo' essere adottata previa audizione delle
parti in camera di consiglio (in sede predibattimentale, ai sensi
dell'art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen.) e addirittura d'ufficio
(sono citate, con riferimento al giudizio di legittimita', Corte di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 9 maggio-5 giugno 2017, n.
27752; sezione sesta penale, sentenza 16 dicembre 2016-17 febbraio
2017, n. 7606; sezione quinta penale, sentenza 2 luglio 2015-11
febbraio 2016, n. 5800), senza necessita' di richiesta conforme da
parte del pubblico ministero.
Ancora, la preclusione a disporre l'archiviazione del
procedimento ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. imporrebbe al GIP
di trattare in modo uguale situazioni disomogenee, segnatamente
disponendo la celebrazione del processo sia per fatti di particolare
tenuita', sia per fatti «connotati da un disvalore oggettivo
effettivamente superiore alla soglia della particolare tenuita'
dell'offesa e, come tali, meritevoli di accertamento processuale e di
eventuale sanzione».
Fatti analoghi, caratterizzati da «paragonabili bassi gradi di
offesa e di colpevolezza» sarebbero invece trattati diversamente a
seconda dell'iter seguito dal pubblico ministero, potendo essere
dichiarati non punibili, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. solo
ove questi abbia proceduto nelle forme di cui all'art. 411, comma
1-bis, cod. proc. pen., e non anche ove la pubblica accusa abbia
formulato una richiesta di archiviazione per infondatezza della
notizia di reato.
Tanto l'«irragionevole trattamento differenziato di situazioni
omogenee» quanto l'«irragionevole trattamento omogeneo di situazioni
differenti» darebbero dunque luogo ad un ulteriore contrasto con
l'art. 3 Cost.
1.2.4.- Il combinato disposto censurato produrrebbe, ancora, una
«evidente distorsione nell'assetto ordinamentale dei rapporti tra PM
e giudicante», con conseguente violazione dell'art. 101, secondo
comma, Cost.
Pur spettando al giudice l'apprezzamento della sussistenza delle
condizioni indicate dall'art. 131-bis cod. pen., per effetto del
diritto vivente tale prerogativa sarebbe indebitamente «filtrata
dalla preventiva scelta del PM che, adottando un iter procedimentale
anziche' un altro nella procedura di archiviazione, puo' impedire al
giudice per le indagini preliminari una completa disamina della
notitia criminis e delle conseguenze giuridiche» che ne derivano.
Cio' in contraddizione con la stessa giurisprudenza di legittimita',
che, nel delineare i rapporti istituzionali e funzionali tra ufficio
di procura e ufficio del GIP, avrebbe «definitivamente escluso una
logica di formalistica corrispondenza tra il chiesto e il
pronunciato» (e' citata Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 31 maggio-17 giugno 2005, n. 22909).
1.2.5.- La disciplina censurata si porrebbe, infine, in contrasto
con il canone di ragionevole durata del processo, tutelato tanto
dall'art. 111, secondo comma, Cost., quanto dall'art. 6 CEDU,
dall'art. 47 CDFUE e dall'art. 14, terzo comma, lettera c), PIDCP.
La ragionevole durata del processo costituirebbe un vero e
proprio diritto di tutte le parti (sono richiamate le sentenze n. 88
del 2018 e n. 78 del 2002 di questa Corte), che spetta non solo
all'imputato, ma anche all'indagato (sono citate la sentenza n. 184
del 2015 nonche' le sentenze della Corte europea dei diritti
dell'uomo 15 luglio 1982, Eckle contro Germania, paragrafo 73; 10
dicembre 1982, Corigliano contro Italia, paragrafo 34; 5 ottobre
2017, Kaleja contro Lettonia, paragrafo 36; 20 giugno 2019, Chiarello
contro Germania, paragrafo 44); diritto cui corrisponderebbe
l'obbligo del legislatore di «porre le condizioni ordinamentali,
organizzative e processuali piu' idonee al conseguimento degli
obiettivi connessi ad un congruo accertamento processuale» (e'
richiamata la sentenza della grande camera 29 marzo 2006, Scordino
contro Italia, paragrafi da 183 a 187).
Nel caso di specie, il GIP non potrebbe disporre l'archiviazione
per particolare tenuita' del fatto, benche' l'indagato non si sia
opposto a tale decisione e la persona offesa sia stata sentita, e
dovrebbe ordinare l'imputazione coatta «imponendo, di fatto, il
processo».
In contrasto con le esigenze di deflazione e di ragionevole
durata del processo, l'imputato potrebbe dunque essere prosciolto ai
sensi dell'art. 131-bis cod. pen. solo nelle successive fasi
processuali, nelle quali egli potrebbe addirittura vedersi irrogare
la sanzione penale, «nonostante un vaglio giurisdizionale di segno
contrario» operato dal GIP in sede di decisione sulla richiesta di
archiviazione.
A tale situazione il rimettente non potrebbe, d'altra parte,
porre rimedio restituendo gli atti al pubblico ministero e
«invitandolo» a reiterare la richiesta di archiviazione nelle forme
di cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Un simile iter procedimentale, non previsto dal codice di rito,
non risolverebbe i dubbi di costituzionalita' della disciplina
censurata, in quanto «si sostanzierebbe in una irragionevole
protrazione del procedimento a carico dell'indagato», in violazione
dell'art. 111, secondo comma, Cost.; e non escluderebbe il rischio
che, a seguito della restituzione degli atti, il pubblico ministero
si determini in senso diverso da quanto suggerito dal GIP, reiterando
la richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di
reato. Ne' tale soluzione potrebbe dirsi funzionale a tutelare il
diritto al contraddittorio della persona offesa, posto che tale
diritto - salvaguardato con l'audizione nell'udienza camerale - non
includerebbe comunque un potere di veto sull'archiviazione per
particolare tenuita' del fatto.
1.3.- Ad avviso del giudice a quo, l'auspicato accoglimento delle
questioni sollevate, oltre a porre rimedio ai denunciati vulnera
costituzionali, «costituirebbe, in una prospettiva di analisi
economica del diritto, una proattiva innovazione giuridica che, ben
lungi dall'infirmare l'assetto procedimentale delineato dal
legislatore per l'istituto della particolare tenuita' del fatto, vi
si innesterebbe armonicamente, potenziandone l'applicazione». E
invero, al meccanismo di archiviazione per particolare tenuita' del
fatto previsto dall'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. si
affiancherebbe «in via ulteriore e aggiuntiva» la possibilita' per il
GIP, a fronte di una richiesta del pubblico ministero di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di disporre
l'archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., ove questi la
ritenga «maggiormente confacente alla qualificazione giuridica del
fatto e della notitia criminis portati alla sua attenzione».
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la censura del rimettente fondata sull'art. 76
Cost. sia dichiarata inammissibile - per carenza di motivazione circa
il contrasto della disciplina censurata con il parametro - e che le
restanti censure siano dichiarate non fondate.
2.1.- Ad avviso dell'interveniente, l'ipotesi di archiviazione
disciplinata dall'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. sarebbe
connotata, a differenza delle altre previste dal codice di rito,
dalla sussistenza di tutti i presupposti per l'esercizio dell'azione
penale, il che giustificherebbe l'iscrizione della relativa pronuncia
nel casellario giudiziale. La «radicale eterogeneita'»
dell'archiviazione per particolare tenuita' del fatto rispetto alle
altre ipotesi di archiviazione determinerebbe la «palese
infondatezza» della censura di violazione dell'art. 3 Cost. per
irragionevolezza della disciplina censurata.
2.2.- La scelta legislativa di subordinare l'adozione di un
provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' del fatto
all'iniziativa del pubblico ministero sarebbe «imposta dalla
necessita' di conformare la disciplina processuale al principio [...]
di cui all'art. 112 della Costituzione, che attribuisce il monopolio
dell'azione penale al pubblico ministero»; il che dimostrerebbe
l'«assoluta inconsistenza» della censura di violazione dell'art. 101,
secondo comma, Cost.
Ne' rileverebbe che, in fase di giudizio, sia possibile
pronunciare sentenza di proscioglimento indipendentemente da una
richiesta in tale senso del pubblico ministero, essendo la fase
introdotta dalla richiesta di archiviazione precedente e preordinata
ad accertare la sussistenza dei presupposti dell'esercizio
dell'azione penale.
2.3.- Del pari inconsistenti sarebbero le censure di violazione
degli artt. 13 e 27 Cost., atteso che la disciplina censurata non
determinerebbe necessariamente l'applicazione della pena a un fatto
di particolare tenuita'. E invero, al rigetto della richiesta di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato potrebbe
seguire una richiesta del pubblico ministero di archiviazione per
particolare tenuita' del fatto, correttamente formulata ai sensi
dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., ovvero, nell'ipotesi di
successivo esercizio dell'azione penale, il proscioglimento in sede
di giudizio ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen.
2.4.- Sarebbe infine insussistente il dedotto vulnus all'art.
111, secondo comma, Cost.
Da un lato, l'osservanza del canone di ragionevole durata non
potrebbe «di per se'» giustificare la compressione di altri principi
costituzionali, tra cui, in specie, quello del monopolio dell'azione
penale in capo al pubblico ministero, sancito dall'art. 112 Cost.
Dall'altro lato, anche la possibilita', auspicata dal rimettente,
di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita'
del fatto a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza
della notizia di reato comporterebbe un allungamento dei tempi del
procedimento, attesa la necessita' di garantire alle parti
processuali il contraddittorio in ordine a tale esito, in forme
analoghe a quelle previste dall'art. 411, comma 1-bis, cod. proc.
pen., e dunque attraverso «una serie di adempimenti aggiuntivi
(quali, ad esempio, l'avviso alla persona offesa ed alla persona
sottoposta alle indagini che il giudice prospettera' alle parti, nel
corso di un'udienza camerale, la questione della sussistenza dei
presupposti per poter addivenire a siffatta archiviazione, precisando
che nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti
e presentare opposizione a tale archiviazione)».
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il GIP del Tribunale di
Nola ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 13, 25, secondo
comma, 27, primo e terzo comma, 76, 101 secondo comma, 111, secondo
comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art.
6 CEDU, all'art. 47 CDFUE e all'art. 14, terzo comma, lettera c),
PIDCP - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi
4 e 5, cod. proc. pen., in combinato disposto con l'art. 411, commi 1
e 1-bis, cod. proc. pen., «nella parte in cui non consentono al
giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di pronunciare
ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, previa
fissazione dell'udienza camerale, sentite le parti e stante la
mancata opposizione dell'indagato».
Conviene sin d'ora precisare che le questioni cosi' formulate
hanno ad oggetto, in realta', il diritto vivente che il rimettente
desume da una serie di pronunce della Corte di cassazione, nelle
quali e' stata rilevata la nullita' del provvedimento del GIP che,
investito di una richiesta di archiviazione per infondatezza della
notizia di reato ex art. 408 cod. proc. pen., disponga - in esito
all'udienza di cui all'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. -
l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto ai sensi dell'art.
131-bis cod. pen. Proprio tale diritto vivente si porrebbe, in
effetti, in contrasto con i molti parametri costituzionali e
interposti appena menzionati.
2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
l'inammissibilita' della sola questione sollevata in riferimento
all'art. 76 Cost. per carenza di motivazione.
L'eccezione e' fondata, in assenza di qualsiasi confronto, da
parte del rimettente, con i criteri dettati dalla legge n. 67 del
2014, in attuazione della quale e' stata introdotta, con il d.lgs. n.
28 del 2015, la disciplina sostanziale e processuale della non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto.
La relativa questione deve, pertanto, essere dichiarata
inammissibile.
3. - Inammissibili sono, inoltre, le censure formulate in
riferimento agli artt. 13 e 25, secondo comma, Cost., stante la
mancanza di un'adeguata e autonoma motivazione delle ragioni per cui
il combinato disposto censurato violerebbe i parametri indicati.
4.- Inammissibili per inconferenza del parametro sono, infine, le
censure formulate in riferimento all'art. 101, secondo comma, Cost.
(punto 1.2.4. del Ritenuto in fatto).
Ad avviso del rimettente, il combinato disposto censurato, come
interpretato dalla giurisprudenza di legittimita', violerebbe il
principio della soggezione del giudice soltanto alla legge,
precludendogli di apprezzare liberamente la sussistenza dei requisiti
della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis cod. pen. e
vincolandolo, invece, alla previa valutazione del pubblico ministero
che si sia determinato a chiedere l'archiviazione per infondatezza
della notizia di reato.
Come recentemente ribadito da questa Corte (ordinanza n. 28 del
2023), tuttavia, il principio di soggezione del giudice soltanto alla
legge e' posto, «tra l'altro, a presidio del principio
dell'indipendenza (cosiddetta "esterna") del giudice da ogni altro
potere dello Stato, cosi' come della sua indipendenza (cosiddetta
"interna") da tutti gli altri giudici, dai quali si distingue
soltanto per diversita' di funzioni ma rispetto ai quali non si trova
in vincolo di soggezione gerarchica». Mai pero' si e' ritenuto «che
il principio dell'indipendenza "interna" del giudice osti a che la
sua potestas iudicandi sia delimitata, in conformita' alla legge
processuale vigente, da provvedimenti di altri giudici, ovvero da
atti di altri soggetti», essendo anzi «del tutto fisiologico [...]
che il thema decidendum in ogni processo sia determinato e
circoscritto da atti di soggetti diversi dal giudice (come le domande
e le eccezioni delle parti nel processo civile, i motivi di ricorso
nel processo amministrativo, l'imputazione formulata dal pubblico
ministero ed eventualmente modificata dal decreto del GUP che dispone
il giudizio nel processo penale), e che unicamente su tale thema
decidendum il giudice sia chiamato ad esprimersi». Piu' in generale,
ha concluso la Corte, «si deve escludere che possa prodursi un vulnus
all'art. 101, secondo comma, Cost. in presenza di vincoli alla
potestas iudicandi del singolo giudice stabiliti dalla legge
processuale, che e' anch'essa parte integrante di quella "legge" a
cui il giudice e' soggetto in forza della previsione costituzionale
in parola».
Le medesime considerazioni valgono a escludere gia' in limine,
nel caso ora all'esame, che il rimettente possa dolersi, al metro
dell'art. 101, secondo comma, Cost., del vincolo che deriverebbe alla
propria potestas decidendi dalle determinazioni del pubblico
ministero circa l'esercizio dell'azione penale, riservate allo stesso
pubblico ministero dal sistema processuale vigente (infra, punto
6.2.2.).
5.- Prima di esaminare il merito delle rimanenti censure, e'
necessario succintamente ricostruire il quadro normativo e
giurisprudenziale che ne costituisce lo sfondo.
5.1.- Nel testo vigente ratione temporis alla data dell'ordinanza
di rimessione, l'art. 408 cod. proc. pen. prevedeva in via generale
che il pubblico ministero richiedesse l'archiviazione al GIP
allorche' ritenesse infondata la notizia di reato. In seguito alle
modifiche apportate dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150
(Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al
Governo per l'efficienza del processo penale, nonche´ in materia di
giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei
procedimenti giudiziari), il pubblico ministero e' oggi tenuto a
chiedere l'archiviazione «[q]uando gli elementi acquisiti nel corso
delle indagini preliminari non consentono di formulare una
ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di
sicurezza diversa dalla confisca».
A fronte di tale richiesta del pubblico ministero, il GIP puo',
ai sensi dell'art. 409, comma 1, cod. proc. pen., disporre de plano,
con decreto motivato, l'archiviazione. Qualora invece ritenga di non
accogliere la richiesta, ovvero quando sia presentata opposizione da
parte della persona offesa (art. 410 cod. proc. pen.), egli deve
invece fissare, ai sensi dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen.,
udienza in camera di consiglio, facendone dare avviso al pubblico
ministero, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona
offesa.
In esito a tale udienza, il GIP potra' alternativamente: a)
accogliere la richiesta di archiviazione; b) disporre che il pubblico
ministero compia nuove indagini; o ancora c) disporre che il pubblico
ministero formuli l'imputazione (art. 409, commi 4 e 5, cod. proc.
pen.).
5.2.- Una speciale disciplina e' stata introdotta dal d.lgs. n.
28 del 2015 in materia di archiviazione per particolare tenuita' del
fatto.
Ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., il pubblico
ministero che ritenga il fatto di reato sussistente, ma meritevole
della causa di non punibilita' in parola, presenta al GIP richiesta
di archiviazione dandone avviso alla persona sottoposta alle indagini
e alla persona offesa, avvertendole della possibilita' di presentare
opposizione avverso tale richiesta. La possibilita' di opposizione
della persona sottoposta alle indagini, non prevista allorche'
l'archiviazione sia richiesta per insussistenza del fatto, si spiega
qui, evidentemente, in ragione degli effetti pregiudizievoli per
l'interessato prodotti da una tale archiviazione, destinata a essere
iscritta nel casellario giudiziale (Corte di cassazione, sezioni
unite penali, sentenza 30 maggio-24 settembre 2019, n. 38954) e
preclusiva di una nuova concessione della causa di non punibilita'.
In assenza di opposizione, o nel caso in cui essa sia
inammissibile, il giudice potra', alternativamente, accogliere con
decreto motivato la richiesta, e per l'effetto disporre
l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, ovvero restituire
gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi
dei gia' esaminati commi 4 e 5 dell'art. 409 cod. proc. pen.
Nel caso invece in cui sia proposta opposizione, il GIP
procedera' nelle stesse forme indicate nell'art. 409 cod. proc. pen.,
decidendo con ordinanza - e dunque disponendo l'archiviazione del
procedimento per particolare tenuita' del fatto, oppure restituendo
gli atti al pubblico ministero perche' proceda, se del caso, a nuove
indagini ovvero a formulare l'imputazione.
5.3.- La legge non disciplina espressamente l'ipotesi in cui
pubblico ministero e GIP convergano sull'esito di archiviazione della
notizia di reato, ma ritengano l'uno che essa debba fondarsi
sull'infondatezza tout court della notizia (ovvero, oggi,
sull'impossibilita' di formulare una ragionevole previsione di
condanna), e l'altro che un reato sia stato bensi' commesso, ma sia
di particolare tenuita' e per tale ragione risulti non punibile in
forza dell'art. 131-bis cod. pen.
La Corte di cassazione ha escluso, in proposito, che debba
ritenersi abnorme il provvedimento con cui il GIP, investito di una
richiesta di archiviazione per particolare tenuita' del fatto ai
sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., abbia invece
disposto l'archiviazione per infondatezza della notitia criminis, e
in particolare per non essere il fatto previsto dalla legge come
reato (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 13
settembre-7 ottobre 2019, n. 41104).
Nel caso opposto in cui il pubblico ministero abbia richiesto
l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato, la
giurisprudenza di legittimita' - come esattamente osservato dal
rimettente - appare invece compatta nel non riconoscere al GIP la
possibilita' di accogliere la richiesta sotto il diverso profilo
della particolare tenuita' del fatto di reato, comunque ritenuto
sussistente; dovendo anzi un tale provvedimento ritenersi nullo.
Gia' in una pronuncia del 2016 la Corte di cassazione e'
pervenuta a tale soluzione, in accoglimento di un ricorso promosso da
una persona indagata contro un'ordinanza di archiviazione per
particolare tenuita' dell'offesa pronunciata in esito all'udienza ex
art. 409, comma 2, cod. proc. pen. Il giudice di legittimita' ha, in
particolare, ritenuto che l'archiviazione per particolare tenuita'
del fatto deve essere necessariamente preceduta, ai sensi dell'art.
411, comma 1-bis, cod. proc. pen., da una conforme richiesta del
pubblico ministero, la quale deve essere portata a conoscenza della
persona sottoposta alle indagini e della persona offesa (quest'ultima
anche laddove non ne abbia fatto esplicita richiesta ai sensi
dell'art. 408, comma 2, cod. proc. pen.), in modo che, all'eventuale
udienza in camera di consiglio, il contraddittorio fra le parti possa
svolgersi proprio su tale questione (sentenza n. 36857 del 2016).
Tale principio di diritto e' stato poi confermato in varie altre
pronunce della Cassazione, originate da ricorsi promossi ora dalla
persona sottoposta a indagini (sentenze n. 6959 del 2018 e n. 40293
del 2017), ora dalla persona offesa (sezione sesta penale, sentenza
14 febbraio-7 marzo 2018, n. 10455), con la precisazione che l'invito
del giudice alle parti a prendere in esame anche la possibilita' di
un'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, rivolto
oralmente nel corso dell'udienza camerale disposta a seguito
dell'opposizione alla richiesta di archiviazione per infondatezza
della notizia di reato, non puo' considerarsi equipollente alla
richiesta del pubblico ministero ex art. 411, comma 1-bis, cod. proc.
pen. (sentenza n. 6959 del 2018). In ciascuna di tali pronunce si e'
inoltre ribadita la cogenza dello schema procedimentale ordinario,
che il GIP e' tenuto a seguire nel caso in cui non condivida la
valutazione del pubblico ministero di infondatezza della notizia di
reato: il GIP dovra' restituire gli atti al pubblico ministero ai
sensi dei commi 4 e 5 dell'art. 409 cod. proc. pen., affinche' compia
nuove indagini, formuli l'imputazione, ovvero valuti la possibilita'
di richiedere egli stesso l'archiviazione per particolare tenuita'
del fatto con le modalita' previste dall'art. 411, comma 1-bis, cod.
proc. pen., informando cosi' le parti di tale possibile esito
processuale e consentendo loro di esercitare la pienezza del
contraddittorio su questo specifico profilo.
6.- Con due distinti gruppi di censure (punti 1.2.2. e 1.2.5. del
Ritenuto in fatto), che conviene esaminare congiuntamente per primi,
il rimettente dubita della compatibilita' di tale diritto vivente con
i principi di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e di ragionevole
durata del processo, quest'ultimo sancito dall'art. 111, secondo
comma, Cost. e dai corrispondenti parametri sovranazionali, rilevanti
nell'ordinamento nazionale in forza dell'art. 117, primo comma, Cost.
In sostanza, il giudice a quo si duole dell'irragionevolezza di
una interpretazione della disciplina vigente che impone la
restituzione degli atti al pubblico ministero, e dunque una
regressione del procedimento, pur a fronte della mancata opposizione
delle parti a un esito processuale - l'archiviazione per particolare
tenuita' del fatto - prospettato loro dal GIP nel corso dell'udienza
di cui all'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. Tale regressione
determinerebbe, d'altra parte, l'inutile dilazione di un procedimento
che potrebbe essere direttamente definito dal GIP, con conseguente
pregiudizio all'interesse - costituzionalmente e convenzionalmente
tutelato - della ragionevole durata del processo.
Le censure non sono fondate.
6.1.- Rammenta, invero, giustamente il rimettente che, gia'
all'indomani della riforma dell'art. 111 Cost., questa Corte ha
affermato che la ragionevole durata del processo «e' oggetto, oltre
che di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti,
costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo e
imparziale» (sentenza n. 78 del 2002, punto 3 del Considerato in
diritto).
Piu' recentemente, questa stessa Corte ha avuto modo di
riconoscere - con riferimento, in quell'occasione, al giudizio di
sorveglianza - che corrisponde a un «preciso dovere costituzionale»
per il legislatore conformare la disciplina vigente all'obiettivo di
assicurare una sollecita definizione dei processi, dal momento che
«[l]a ragionevole durata e' un connotato identitario della giustizia
del processo» (sentenza n. 74 del 2022, punto 5.1. del Considerato in
diritto).
Un tale dovere non puo' non vincolare in linea di principio anche
la giurisprudenza, nella propria attivita' di interpretazione delle
disposizioni legislative in materia processuale, si' da evitare
letture il cui effetto sia unicamente quello di rallentare la
definizione dei procedimenti, senza alcuna apprezzabile utilita' in
termini di tutela effettiva degli interessi delle parti o della
collettivita'.
Tuttavia, questa Corte ha anche osservato come «la nozione di
"ragionevole" durata del processo (in particolare penale) sia sempre
il frutto di un bilanciamento particolarmente delicato tra i
molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici e privati
coinvolti dal processo medesimo»: cio' che «impone una cautela
speciale nell'esercizio del controllo, in base all'art. 111, secondo
comma, Cost., della legittimita' costituzionale delle scelte
processuali compiute dal legislatore, al quale compete individuare le
soluzioni piu' idonee a coniugare l'obiettivo di un processo in grado
di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e
dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilita', nel pieno
rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza pur essenziale
di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo.
Sicche' una violazione del principio della ragionevole durata del
processo di cui all'art. 111, secondo comma, Cost. potra' essere
ravvisata soltanto allorche' l'effetto di dilatazione dei tempi
processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto
da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi
legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 12 del 2016,
n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009)» (sentenza n. 260 del 2020,
punto 10.2. del Considerato in diritto).
Ancora piu' di recente questa Corte ha precisato che la
ragionevole durata e' declinata dalla Costituzione e dalla CEDU «come
canone oggettivo di efficienza dell'amministrazione della giustizia e
come diritto delle parti, comunque correlati ad un processo che si
svolge in contraddittorio davanti ad un giudice imparziale» (sentenza
n. 111 del 2022, punto 7.1. del Considerato in diritto).
6.2.- E' dunque alla luce di questi principi - enunciati con
riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost., ma evidentemente
applicabili anche laddove si lamenti, al metro dell'art. 3 Cost.,
l'irragionevolezza di una disciplina proprio in relazione al suo
effetto di dilatazione dei tempi di definizione del processo - che
deve essere vagliato il diritto vivente oggetto delle censure del
rimettente. Diritto vivente del quale - e' appena il caso di
precisarlo - questa Corte non puo' che prendere atto, non potendo
sostituirsi alla giurisprudenza di legittimita' nell'interpretazione
delle disposizioni legislative, ed essendo piuttosto il proprio
compito confinato alla verifica se il risultato di tale
interpretazione sia compatibile con i parametri costituzionali
evocati dal giudice a quo.
6.2.1.- Perno dell'argomentazione del rimettente e' l'asserita
inutilita' della restituzione degli atti al pubblico ministero,
allorche' la possibile archiviazione per particolare tenuita' del
fatto sia stata prospettata alle parti all'udienza di cui all'art.
409, comma 2, cod. proc. pen., e la persona sottoposta alle indagini
non si sia opposta a tale esito. Nella prospettiva del giudice a quo,
la complessiva disciplina disegnata dal legislatore del d.lgs. n. 28
del 2015 esige, in ogni fase e grado del processo, che tutti i
soggetti processuali abbiano la possibilita' di interloquire rispetto
all'eventuale proscioglimento per particolare tenuita' del fatto, ma
non attribuisce ad alcuno un potere di "veto" rispetto a una
valutazione che resta di esclusiva competenza del giudice. Una volta
assicurato il pieno contraddittorio tra le parti, tramite la
fissazione dell'udienza e l'invito a discutere in quella sede di tale
possibile esito, risulterebbe irragionevole, in quanto foriera di un
rallentamento non funzionale ad alcun apprezzabile interesse dei
diversi soggetti processuali, la regola - cristallizzata dalla
giurisprudenza della Corte di cassazione di cui si e' poc'anzi dato
conto (supra, punto 5.3.) - che vieta al GIP, sotto pena di nullita',
di disporre direttamente con ordinanza, all'esito dell'udienza, il
proscioglimento per particolare tenuita' del fatto.
6.2.2.- Questa Corte non e', tuttavia, persuasa da tale
argomento.
Nelle pronunce riferite, la Corte di cassazione sottolinea come
il legislatore del 2015 abbia disegnato, all'art. 411, comma 1-bis,
cod. proc. pen., uno specifico meccanismo procedurale per il
proscioglimento per particolare tenuita' del fatto in sede di
indagini preliminari. Tale meccanismo prevede, da un lato,
l'iniziativa del pubblico ministero, al quale spetta la prima
valutazione dei presupposti della causa di non punibilita' di cui
all'art. 131-bis cod. pen.; e, dall'altro, la notifica preventiva di
un avviso scritto alla persona sottoposta alle indagini e alla
persona offesa, mediante il quale esse sono invitate a manifestare la
propria eventuale opposizione nei successivi dieci giorni. L'effetto
potenzialmente pregiudizievole per gli interessi di entrambi questi
soggetti di un'archiviazione per particolare tenuita' del fatto ha
dunque indotto il legislatore ad assicurare un pieno contraddittorio
su questo possibile esito, che deve essere preannunciato in termini
espliciti dallo stesso pubblico ministero. Per l'esercizio di tale
contraddittorio e', inoltre, espressamente previsto uno spatium
deliberandi di almeno dieci giorni, onde consentire a ciascun
soggetto processuale di compiere le proprie valutazioni in merito,
anche consultandosi con il proprio difensore.
Questo schema legislativo, funzionale al pieno esercizio del
diritto di difesa di entrambi i soggetti processuali coinvolti,
verrebbe sensibilmente alterato ove si consentisse al GIP di disporre
direttamente l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, in
difformita' dalla richiesta del pubblico ministero e in esito a
un'udienza fissata ai sensi dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen.,
senza che sia stata previamente notificata alle parti la possibilita'
di una formula di archiviazione diversa da quella prospettata dal
pubblico ministero, e sulla base soltanto di un contraddittorio
sollecitato per la prima volta durante l'udienza.
Inoltre, se e' vero che dopo l'esercizio dell'azione penale il
pubblico ministero non e' piu' dominus del proscioglimento per
particolare tenuita' del fatto, non disponendo di alcun potere di
veto rispetto al riconoscimento dell'esimente da parte del giudice,
e' anche vero che una pronuncia di non punibilita' ex art. 131-bis
cod. pen., in qualunque fase procedimentale o processuale sia
collocata, presuppone logicamente la valutazione che un reato,
completo di tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, sia stato
commesso dalla persona sottoposta a indagini o dall'imputato.
L'intero sistema processuale vigente non consente, pero', che tale
valutazione sia compiuta ex officio dal giudice: e', invece, al
pubblico ministero, e a lui soltanto, che spetta apprezzare in prima
battuta se un reato sia stato commesso, e in caso affermativo
esercitare l'azione penale, di cui egli ha il monopolio, sia pure
sotto il controllo del giudice. Tant'e' vero che, nello stesso
contesto configurato dall'art. 409 cod. proc. pen., il GIP puo' - al
piu' - ordinare al pubblico ministero di formulare l'imputazione, ma
non puo' formularla direttamente, esercitando cosi' l'azione penale
in sua vece.
In effetti, la dichiarazione di non punibilita' per particolare
tenuita' del fatto presuppone normalmente il previo esercizio
dell'azione penale da parte del pubblico ministero; e la stessa
richiesta di proscioglimento per particolare tenuita' del fatto di
cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., come si e' rilevato
in dottrina, rappresenta qualcosa di assai prossimo al vero e proprio
esercizio dell'azione penale, tale richiesta mirando a una pronuncia
soltanto parzialmente liberatoria, con la quale si da' pur sempre
atto dell'avvenuta commissione di un fatto di reato, ancorche' in
concreto non punibile per la particolare esiguita' del danno o del
pericolo cagionato.
Di talche', laddove il pubblico ministero abbia invece richiesto
l'archiviazione ai sensi dell'art. 408 cod. proc. pen., ritenendo
insussistente o comunque non sufficientemente provato il fatto di
reato, e' del tutto coerente con il sistema disegnato dal legislatore
la soluzione interpretativa, cui e' pervenuta la Corte di cassazione,
di non consentire al GIP di surrogarsi al pubblico ministero e di
apprezzare direttamente l'avvenuta commissione del fatto medesimo,
anche soltanto al fine di dichiararlo non punibile ai sensi dell'art.
131-bis cod. pen.
Il sistema del codice di procedura penale, cosi' come tutt'altro
che irragionevolmente ricostruito dalla giurisprudenza di
legittimita', esige insomma che in caso di dissenso del GIP sulla
richiesta del pubblico ministero la parola torni a quest'ultimo per
le determinazioni di sua competenza; e impone che tutti i soggetti
processuali siano posti in condizioni di interloquire su tali
eventuali determinazioni, contando sullo spatium deliberandi
specificamente previsto dal legislatore all'art. 411, comma 1-bis,
cod. proc. pen. L'effetto di allungamento dei tempi processuali che
ne deriva non puo', allora, ritenersi sfornito di ogni legittima
ratio giustificativa; e per tale ragione non entra in collisione ne'
con il generale principio di ragionevolezza, ne' con quello della
ragionevole durata del processo.
7.- Un secondo gruppo di censure investe il medesimo diritto
vivente sotto i distinti profili, tutti parimenti riconducibili
all'art. 3 Cost., dell'irragionevole disparita' di trattamento di
situazioni analoghe e di irragionevole equiparazione di trattamento
di situazioni diverse (punto 1.2.3. del Ritenuto in fatto).
Neppure queste censure sono fondate.
7.1.- Ad avviso del rimettente, la censurata giurisprudenza della
Corte di cassazione produrrebbe anzitutto una irragionevole
disparita' di trattamento rispetto all'ipotesi in cui il
riconoscimento della non punibilita' per particolare tenuita' del
fatto puo' avvenire previa audizione delle parti in camera di
consiglio (in sede predibattimentale, ai sensi dell'art. 469, comma
1-bis, cod. proc. pen.) e addirittura d'ufficio (nel giudizio di
cassazione, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimita'
citata dal rimettente).
I tertia comparationis evocati non sono tuttavia omogenei, dal
momento che il pubblico ministero ha, in tutti quei casi, esercitato
l'azione penale, avendo ritenuto sussistente il reato: cio' che,
invece, non accade nell'ipotesi ora all'esame, in cui il rimettente
vorrebbe che il GIP si sostituisse al pubblico ministero nella
sostanziale contestazione di un fatto di reato, sia pure al solo fine
di dichiararlo non punibile ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen.
(supra, punto 6.2.2.).
7.2.- Il giudice a quo ritiene poi che il diritto vivente da lui
censurato determini una indebita omologazione nel trattamento di
ipotesi differenti, costringendo il GIP a disporre la celebrazione
del processo sia per fatti connotati da disvalore significativo, sia
per fatti di particolare tenuita'.
Al riguardo, e' pero' agevole replicare che - come prefigurato
anche dalla giurisprudenza di legittimita' sopra ricordata - il GIP,
il quale non condivida la richiesta di archiviazione del pubblico
ministero per infondatezza della notizia di reato, non e' affatto
tenuto a disporre la celebrazione del processo a carico della persona
sottoposta alle indagini (o meglio, a disporre che il pubblico
ministero formuli l'imputazione), ma ben puo' restituire gli atti
invitando il pubblico ministero a considerare, altresi', la
possibilita' di richiederne il proscioglimento per particolare
tenuita' del fatto, con le forme indicate nell'art. 411, comma 1-bis,
cod. proc. pen.; consentendo cosi' a tutti i soggetti processuali di
dispiegare ritualmente il contraddittorio su questa diversa formula
di archiviazione.
7.3.- In terzo luogo, il rimettente denuncia una irragionevole
disparita' di trattamento per fatti di particolare tenuita', tra
l'ipotesi in cui il pubblico ministero abbia proceduto nelle forme di
cui all'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. e quella in cui abbia
richiesto l'archiviazione ai sensi dell'art. 408 cod. proc. pen.
Anche in questo caso occorre pero' sottolineare l'essenziale
differenza che intercorre tra le due ipotesi, la prima delle quali
caratterizzata da una richiesta del pubblico ministero che muove dal
presupposto dell'apprezzamento, da parte di questi, dell'avvenuta
commissione di un fatto di reato; richiesta che, sola, legittima il
GIP a una pronuncia che, parimenti, presuppone l'avvenuta commissione
di tale reato.
8.- Il giudice a quo ritiene, infine, che il diritto vivente
censurato violi gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost.,
costringendo il GIP a «imbastire un processo finalizzato
all'applicazione di una pena virtualmente sproporzionata nell'an
ancor prima che nel quantum, poiche' da applicare ad un fatto che, in
base ai criteri generali fissati dal medesimo legislatore, non ne e'
invece "bisognoso"», in violazione dei principi di ragionevolezza,
proporzione, personalita' della responsabilita' penale e finalita'
rieducativa della pena (punto 1.2.1. del Ritenuto in fatto).
Nemmeno queste ultime censure sono, tuttavia, fondate, dal
momento che - come appena rilevato (supra, punto 7.2.) - nulla impone
al GIP di disporre che sia formulata un'imputazione, e che sia
conseguentemente celebrato un processo, nel caso in cui il reato
ascritto alla persona sottoposta alle indagini gli appaia di
particolare tenuita'.
D'altra parte, anche nell'ipotesi in cui il pubblico ministero
richiedesse il rinvio a giudizio o, a seconda dei casi, disponesse la
citazione diretta della persona sottoposta alle indagini, nulla
vieterebbe poi al giudice di assolvere l'imputato proprio ai sensi
dell'art. 131-bis cod. pen., evitando cosi' di applicare una pena
sproporzionata rispetto alla gravita' del reato commesso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, del codice di procedura
penale, in combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod.
proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 13, 25, secondo
comma, 76 e 101, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola con
l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 409, commi 4 e 5, cod. proc. pen., in
combinato disposto con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen.,
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, primo e terzo comma, 111,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione
all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'art.
47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e
all'art. 14, terzo comma, lettera c), del Patto internazionale sui
diritti civili e politici, dal GIP del Tribunale ordinario di Nola
con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2023.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
