IMPIEGO PUBBLICO: segretari comunali e provinciali
CORTE COSTITUZIONALE 8 giugno – 19 luglio 2022 SENTENZA N. 181
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Impiego pubblico - Segretari comunali e provinciali - Abrogazione, in sede di conversione di decreto-legge, dei diritti di rogito - Permanenza limitata ai segretari privi di qualifica dirigenziale o in servizio in enti locali privi di personale con tale qualifica - Denunciata violazione dei principi della decretazione d'urgenza, di ragionevolezza e di uguaglianza, del diritto a una retribuzione proporzionata nonche' dei principi di buon andamento, certezza del diritto e del legittimo affidamento - Inammissibilita' delle questioni. - Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, art. 10, comma 2-bis, anche in combinato disposto con il comma 1 del medesimo articolo. - Costituzione, artt. 3, 36, 77 e 97.
(GU n.29 del 20-7-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo
PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma
2-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, in legge 11
agosto 2014, n. 114, anche in combinato disposto con il comma 1 dello
stesso art. 10, promosso dal Tribunale ordinario di Lucca, sezione
lavoro, nel procedimento vertente tra P.M. L.F. e il Comune di
Massarosa, con ordinanza del 15 luglio 2021, iscritta al n. 174 del
registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2021.
Visti l'atto di costituzione di P.M. L.F., nonche' gli atti di
intervento di V. S. e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore
Maria Rosaria San Giorgio;
uditi gli avvocati Giovanni Pellegrino per V. S., in collegamento
da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della
Corte del 18 maggio 2021, Andrea Pertici per P.M. L.F. e l'avvocato
dello Stato Ruggero di Martino per il Presidente del Consiglio dei
ministri;
deliberato nella camera di consiglio dell'8 giugno 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza iscritta al n. 174 del registro ordinanze del
2021, il Tribunale ordinario di Lucca, sezione lavoro, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2-bis,
del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, in legge 11
agosto 2014, n. 114, anche in combinato disposto con il comma 1 dello
stesso art. 10, nella parte in cui «limita l'attribuzione di una
quota dei diritti di rogito spettanti all'Ente locale ai segretari
comunali che non abbiano qualifica dirigenziale o che prestino
servizio in Enti locali privi di personale con qualifica
dirigenziale, anziche' prevederla per tutti i segretari comunali e
provinciali».
Il rimettente riferisce che, nel procedimento pendente dinnanzi a
se', instaurato con ricorso ai sensi dell'art. 414 del codice di
procedura civile, P.M. L.F. ha domandato, nei confronti del Comune di
Massarosa, il riconoscimento dei diritti di rogito per l'attivita'
prestata in qualita' di segretario comunale, per il periodo di tempo
compreso tra il 2 gennaio 2016 e il 3 novembre 2019. Il Comune le
avrebbe negato la corresponsione di tali diritti proprio in forza
della previsione di cui all'art. 10, comma 2-bis, del d.l. n. 90 del
2014, aggiunto dalla legge di conversione, che cosi' recita: «Negli
enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e
comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica
dirigenziale, una quota del provento annuale spettante al comune ai
sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 15 novembre 1973,
n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente articolo, per gli
atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla
legge 8 giugno 1962, n. 604, e successive modificazioni, e'
attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a
un quinto dello stipendio in godimento».
Le questioni sarebbero rilevanti in quanto, ad avviso del
rimettente, la norma censurata «impedisce, cosi' come formulata, di
accogliere le pretese avanzate dalla ricorrente».
Quanto al requisito della non manifesta infondatezza, il giudice
a quo rinviene anzitutto un vulnus all'art. 3 della Costituzione,
sotto il profilo della disparita' di trattamento all'interno della
categoria dei segretari comunali e provinciali, segnatamente tra
coloro che sono inquadrati nella «prima fascia» e coloro che sono
invece inquadrati nella «fascia inferiore», nonche' tra coloro che
svolgono le funzioni in enti locali privi di personale con qualifica
dirigenziale e coloro che prestano la propria attivita' presso
un'amministrazione che annovera nel proprio organico dipendenti con
tale qualifica. Il rimettente ricorda che la competenza dei segretari
comunali e provinciali a rogare gli atti dell'ente locale risale al
regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 (Approvazione del testo unico
della legge comunale e provinciale), il cui art. 89 delineava «il
carattere autonomo dell'attivita' di rogito» rispetto alle altre
competenze degli stessi segretari, con conseguente attribuzione «di
un autonomo - e ragionevole - compenso». Quella di cui si discute
costituirebbe una competenza «autonoma e del tutto peculiare rispetto
alle altre funzioni che il segretario esercita alle dipendenze
dell'ente locale», cui sono sottese «diverse e specifiche
responsabilita', eccedenti l'ambito delle attribuzioni riconducibili
al segretario in base al rapporto di Pubblico Impiego».
La norma censurata, sotto altro aspetto, confliggerebbe con
l'art. 36 Cost., per la violazione del diritto dei segretari di
ricevere una retribuzione per le proprie prestazioni commisurata alla
quantita' e alla qualita' del lavoro. Costoro vedrebbero, di fatto,
«neutralizzata» l'attivita' di rogito, attraverso il mancato
riconoscimento del relativo compenso.
L'eliminazione dei diritti di rogito violerebbe, altresi', i
principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, posto
che la categoria in questione, ai sensi dell'art. 37 del contratto
collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali,
sottoscritto il 16 maggio 2001, «fa affidamento su tale voce
stipendiale».
Emergerebbe, poi, ancora, il contrasto delle disposizioni
censurate con l'art. 3 Cost., tanto sotto il profilo
dell'eguaglianza, quanto sotto quello della ragionevolezza, poiche'
si determinerebbero trattamenti differenziati all'interno della
categoria dei segretari comunali e provinciali, ancorche' svolgenti
la medesima funzione. Ne' sarebbe dato comprendere il motivo per cui
i diritti di segreteria vengano riconosciuti solo se il segretario
sia inserito in una fascia inferiore o svolga la propria attivita' in
un ente privo di dirigenti. A giudizio del rimettente non potrebbe
invocarsi, in proposito, una presunta funzione «perequativa» di
differenti trattamenti retributivi, non essendo peraltro questa la
ratio della corresponsione dei diritti di segreteria (posto che, come
rimarca il rimettente, si tratta di voce variabile della
retribuzione, e comunque potenzialmente assente).
L'asserita funzione perequativa non potrebbe giustificarsi alla
luce dell'istituto del cosiddetto "galleggiamento", il quale «non
opera automaticamente» e, anche nei casi in cui opera, non sarebbe
tale da escludere che al segretario «galleggiato» possano ugualmente
spettare i diritti di segreteria (condizione che - precisa il
rimettente - ben puo' verificarsi nei casi in cui un segretario
comunale presti la propria opera presso Comuni diversi, dei quali
almeno uno sia dotato di posizioni dirigenziali).
In definitiva, sarebbe da escludere che la norma censurata
persegua una finalita' perequativa, essendo invece «tale da
determinare un'irragionevole disparita' di trattamento fra i
consiglieri [recte: segretari] comunali e provinciali, quindi
un'irragionevole difformita' in grado di inficiare la progressione in
carriera dei lavoratori pubblici, cosi' violando i principi di cui
all'articolo 97 della Costituzione».
Infine, a giudizio del rimettente, la norma censurata -
introdotta in sede di conversione in legge - sarebbe disomogenea
rispetto al contenuto del decreto-legge n. 90 del 2014 e non
giustificata da una situazione di necessita' e di urgenza tale da
legittimare l'utilizzo, da parte del legislatore, della decretazione
d'urgenza: donde il vulnus all'art. 77 Cost.
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l'inammissibilita' e, comunque, per la non
fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale.
Richiamato «l'obiettivo di contenimento della spesa pubblica»,
perseguito dal legislatore del 2014, la difesa erariale osserva che
la disposizione censurata troverebbe giustificazione nelle
«peculiarita' del sistema retributivo dei segretari» e, in
particolare, nel «meccanismo di allineamento retributivo». Essa
assolverebbe «ad una ratio perequativa e recuperatoria» e sarebbe,
pertanto, conforme ai principi di ragionevolezza, proporzionalita' e
sufficienza della retribuzione, oltre che al principio di buon
andamento della pubblica amministrazione. Ne' sarebbe violato il
legittimo affidamento dei segretari in servizio, sia perche' la
disciplina dei diritti di rogito si porrebbe al di fuori del
perimetro della contrattazione collettiva (non rivestendo, dunque,
alcun rilievo la previsione di cui all'art. 37 del CCNL 16 maggio
2001, invocato dal rimettente), sia perche' la legge ha comunque
escluso l'efficacia retroattiva della disposizione in esame (come
previsto dal comma 2-ter dell'art. 10 del d.l. n. 90 del 2014,
anch'esso introdotto in sede di conversione).
Quanto alla dedotta violazione dei requisiti per la decretazione
d'urgenza, la difesa statale osserva che la finalita' perseguita
dalla norma censurata (consistente nell'incremento delle risorse di
bilancio disponibili per le amministrazioni locali) e' coerente con
l'obiettivo di efficienza della pubblica amministrazione, richiamato
dalla rubrica del Titolo I del d.l. n. 90 del 2014 (all'interno del
quale e' collocato l'art. 10). Sarebbe pertanto da escludere
l'ipotesi della «evidente carenza» del requisito della necessita' ed
urgenza di provvedere (e' citata la sentenza di questa Corte n. 133
del 2016). Inoltre, quelle introdotte in sede di conversione non
sarebbero affatto norme estranee rispetto all'oggetto o alla
finalita' del decreto-legge suddetto.
3.- Si e' costituita nel presente giudizio P.M. L.F., parte
ricorrente nel procedimento a quo, concludendo per l'illegittimita'
costituzionale delle disposizioni censurate dal rimettente. A
giudizio della parte la funzione di rogito, «autonoma e del tutto
specifica rispetto alle altre funzioni che il segretario esercita
alle dipendenze dell'ente locale», eccederebbe l'ambito delle
attribuzioni normalmente riconducibili al pubblico impiego, e tanto
giustificherebbe la previsione di un «autonomo compenso».
Nell'aderire alle censure svolte dal giudice rimettente, la parte
osserva che sarebbe, anzitutto, violato il diritto a ricevere un
compenso per le proprie prestazioni, ai sensi dell'art. 36 Cost., in
quanto verrebbe eliminata «la remunerazione di una "attivita'
effettivamente svolta"», anche «avuto riguardo al contratto
collettivo che, nel caso, prevede la corresponsione dei diritti di
segreteria». La fattispecie in questione, peraltro, sarebbe
differente rispetto a quella concernente la riduzione delle
cosiddette "propine" per gli avvocati e procuratori dello Stato,
oggetto della sentenza n. 236 del 2017 di questa Corte: cio', in
quanto non sarebbe praticabile un confronto tra detta categoria e
quella dei segretari comunali e provinciali, sia «in virtu' delle
differenze di status giuridico ed economico», sia perche' - nel caso
oggi all'esame di questa Corte - non verrebbe in considerazione una
«riduzione» di «voci premiali» ma, piuttosto, l'eliminazione dello
specifico corrispettivo per un'attivita' svolta.
La circostanza, poi, che simile eliminazione colpisca solo alcuni
segretari e non altri, in assenza di «alcun criterio ragionevole»,
potrebbe innescare un «disincentivo» a svolgere l'attivita' di rogito
(che, per sua natura, sarebbe una funzione «a richiesta»), con
ripercussioni negative sulle stesse risorse dell'ente (il quale si
vedrebbe, a sua volta, privato dei diritti di segreteria, versati dai
contraenti) e sull'efficienza della pubblica amministrazione (art. 97
Cost.).
Quanto al parametro di cui all'art. 3 Cost., la parte ricorda
che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le differenze di
trattamento previste dalla legge, per risultare legittime, dovrebbero
essere giustificabili in vista della tutela di diversi valori o
diritti costituzionalmente rilevanti (e' citata la sentenza n. 163
del 1993). Nel caso di specie, idonea giustificazione non potrebbe
essere rinvenuta nel supposto intento della norma di svolgere una
«funzione perequativa» in favore di quei segretari che godono di
retribuzioni inferiori. Al contrario, proprio la norma censurata
finirebbe con il determinare «gravi e irragionevoli sperequazioni»,
in considerazione degli effetti prodotti dall'istituto del cosiddetto
"galleggiamento" che trova applicazione per i segretari comunali e
provinciali ai quali, a determinate condizioni, e' riconosciuto un
trattamento retributivo equiparato a quello dei dirigenti dell'ente
locale.
Sotto altro aspetto, non potrebbe sostenersi la prevalenza
dell'interesse pubblico al mantenimento, in favore degli enti locali,
di maggiori risorse. I diritti di rogito sarebbero infatti estranei
alla questione della riduzione della spesa pubblica, «trattandosi di
compensi che si autoalimentano», e la loro eliminazione potrebbe
addirittura cagionare un costo all'amministrazione laddove
quest'ultima, a fronte del rifiuto del proprio segretario di rogare
gli atti (in quanto disincentivato dalle norme sospettate di
illegittimita' costituzionale), dovesse rivolgersi all'esterno.
Riguardo, infine, alla dedotta violazione dei principi sulla
decretazione d'urgenza, di cui all'art. 77 Cost., la parte osserva
che la norma di cui al comma 2-bis dell'art. 10 del d.l. n. 90 del
2014, introdotta in sede di conversione, sarebbe «disomogenea
rispetto al contenuto del decreto-legge», non essendo volta ne' a un
piu' razionale impiego dei dipendenti pubblici ne' a una
semplificazione dell'azione amministrativa, che costituivano le
esplicite finalita' del decreto. Sotto altro profilo, essa poi
sconterebbe una «evidente mancanza» dei presupposti straordinari di
necessita' e di urgenza, come richiesto dalla costante giurisprudenza
costituzionale.
4.- Nel giudizio dinnanzi a questa Corte e' intervenuto ad
adiuvandum V. S., sostenendo di essere a cio' legittimato in quanto
segretario comunale, con idoneita' alla titolarita' delle funzioni
presso Comuni «di classe 1^A», ed avendo svolto le relative funzioni
presso il Comune di Lecce.
L'interveniente riferisce che l'amministrazione comunale ha
rigettato la sua istanza di liquidazione della quota dei diritti di
rogito, afferente agli atti da lui rogati dopo l'entrata in vigore
del d.l. n. 90 del 2014. Avverso tale diniego lo stesso ha proposto
ricorso, attualmente pendente in grado di appello dinnanzi alla Corte
d'appello di Lecce.
5.- Sono pervenute in giudizio alcune opinioni scritte, in
qualita' di amici curiae, ai sensi dell'art. 4-ter delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente
ratione temporis. Tali opinioni sono state ammesse con decreti del
Presidente di questa Corte del 19 e del 28 aprile 2022.
5.1.- In particolare, e' pervenuta un'opinione scritta da parte
dell'Associazione nazionale professionale segretari comunali e
provinciali "G.B. Vighenzi". L'associazione lamenta la «grave lesione
della professionalita', delle aspettative e dell'immagine dei
segretari comunali e provinciali» come conseguenza dell'introduzione
delle norme censurate, e si sofferma, in particolare, sulla censura
relativa alla violazione dell'art. 3 Cost., anche con riguardo alle
conseguenze che derivano dall'applicazione dell'istituto del
cosiddetto "galleggiamento", oltreche' sugli altri parametri evocati
nell'ordinanza di rimessione.
5.2.- L'associazione FEDIR- Federazione dirigenti e direttivi
pubblici ha depositato un'opinione scritta dall'analogo tenore,
insistendo per la declaratoria di illegittimita' costituzionale per
violazione di tutti i parametri evocati dal rimettente.
5.3.- Anche l'associazione UNADIS- Unione nazionale dei dirigenti
dello Stato ha depositato un'opinione scritta in qualita' di amicus
curiae, argomentando la fondatezza della questione in particolare in
riferimento all'art. 36 Cost. L'associazione evidenzia la necessita'
di una specifica remunerazione per l'esercizio della funzione di
rogito, qualificata come attivita' autonoma e peculiare rispetto ai
compiti ordinariamente svolti dai segretari comunali e provinciali:
donde la lamentata violazione anche dell'art. 3 Cost.
5.4.- Altra opinione scritta, a sostegno delle censure di
illegittimita' costituzionale, e' pervenuta dall'amicus curiae UNSCP
- Unione nazionale segretari comunali e provinciali, che si sofferma
sulla natura dei diritti di rogito (definiti quale distinta voce
retributiva) e approfondisce gli aspetti afferenti alla dedotta
violazione degli artt. 36 e 3 Cost., alla luce del principio di
onnicomprensivita' e di quelli di uguaglianza e di parita' di
trattamento, oltre ad esaminare gli ulteriori profili di
illegittimita' costituzionale sollevati dal rimettente, evidenziando
la «conseguenza paradossale che la retribuzione dei segretari
diminuisce col progredire della carriera».
5.5.- Infine, anche l'associazione DIREL- Federazione nazionale
dirigenti degli enti pubblici locali ha presentato un'opinione
scritta con cui ha aderito alle censure di illegittimita'
costituzionale formulate dal giudice rimettente.
L'associazione esamina, in particolare, il tema della
responsabilita' del segretario comunale e provinciale che si correla
alla natura dell'attivita' di rogito. Il predetto amicus curiae
compie uno specifico approfondimento sulla questione concernente le
cosiddette "propine" degli avvocati dipendenti da amministrazioni
pubbliche non statali.
6.- Con memorie depositate nell'imminenza dell'udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri e la parte hanno svolto difese,
per lo piu' ribadendo le argomentazioni gia' spese nei rispettivi
atti di costituzione in giudizio.
La parte, in particolare, ha ribadito la non consistenza delle
giustificazioni, esposte dall'Avvocatura dello Stato, che
sorreggerebbero le norme censurate. Queste ultime, invero, non
sarebbero in grado di realizzare l'obiettivo del contenimento della
spesa pubblica (ovvero, dell'aumento delle entrate degli enti locali)
che, piuttosto, il legislatore avrebbe potuto perseguire con
modalita' alternative e ben piu' soddisfacenti, tali - soprattutto -
da non discriminare irragionevolmente le diverse categorie di
segretari.
6.1.- Anche l'interveniente V. S. ha depositato una memoria
illustrativa.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Lucca, sezione lavoro, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 10,
comma 2-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti
per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per
l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni,
in legge 11 agosto 2014, n. 114, anche in combinato disposto con il
comma 1 dello stesso art. 10, nella parte in cui «limita
l'attribuzione di una quota dei diritti di rogito spettanti all'Ente
locale ai segretari comunali che non abbiano qualifica dirigenziale o
che prestino servizio in Enti locali privi di personale con qualifica
dirigenziale, anziche' prevederla per tutti i segretari comunali e
provinciali».
L'art. 10 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, rubricato
«Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e
provinciale e abrogazione della ripartizione del provento annuale dei
diritti di segreteria», dispone, al comma 1, l'abrogazione dell'art.
41, quarto comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto
retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato),
che, da ultimo, aveva attribuito ai segretari comunali e provinciali
una quota dei diritti di segreteria spettanti al Comune o alla
Provincia ai sensi dell'art. 30, secondo comma, della legge 15
novembre 1973, n. 734 (Concessione di un assegno perequativo ai
dipendenti civili dello Stato e soppressione di indennita'
particolari). Il comma 2-bis dello stesso art. 10, inserito in sede
di conversione, stabilisce quanto segue: «Negli enti locali privi di
dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari
comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento
annuale spettante al comune ai sensi dell'articolo 30, secondo comma,
della legge 15 novembre 1973, n. 734, come sostituito dal comma 2 del
presente articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della
tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, e successive
modificazioni, e' attribuita al segretario comunale rogante, in
misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento».
Il rimettente deduce anzitutto la violazione dell'art. 3 Cost.,
sotto il profilo della disparita' di trattamento, all'interno della
categoria dei segretari comunali e provinciali, segnatamente tra
coloro che sono inquadrati nella «prima fascia» e coloro che sono
invece inquadrati nella «fascia inferiore», nonche' tra coloro che
svolgono le funzioni in enti locali privi di personale con qualifica
dirigenziale e coloro che prestano la propria attivita' presso
un'amministrazione che annovera nel proprio organico dipendenti con
tale qualifica.
Lamenta, poi, il giudice a quo ancora il contrasto con l'art. 3
Cost., tanto sotto il profilo dell'eguaglianza, quanto sotto quello
della ragionevolezza, poiche' si determinerebbero trattamenti
differenziati all'interno della categoria dei segretari comunali e
provinciali, ancorche' svolgenti la medesima funzione. A giudizio del
rimettente, non potrebbe invocarsi, in proposito, una presunta
funzione «perequativa» di differenti trattamenti retributivi, che
nemmeno potrebbe giustificarsi alla luce dell'istituto del cosiddetto
"galleggiamento". Questo, infatti, «non opera automaticamente» e,
anche nei casi in cui opera, non sarebbe tale da escludere che al
segretario «galleggiato» possano ugualmente spettare i diritti di
segreteria.
In definitiva, sarebbe da escludere che la norma censurata
persegua una finalita' perequativa, essendo invece «tale da
determinare un'irragionevole disparita' di trattamento fra i
segretari comunali e provinciali, quindi un'irragionevole difformita'
in grado di inficiare la progressione in carriera dei lavoratori
pubblici, cosi' violando i principi di cui all'articolo 97 della
Costituzione».
La norma censurata si porrebbe ancora in contrasto con l'art. 36
Cost., per la violazione del diritto dei segretari di ricevere una
retribuzione per le proprie prestazioni commisurata alla quantita' e
alla qualita' del lavoro svolto. Costoro vedrebbero, di fatto,
«neutralizzata» l'attivita' di rogito, attraverso il mancato
riconoscimento del relativo compenso.
L'eliminazione dei diritti di rogito violerebbe, altresi', i
principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, posto
che la categoria in questione, ai sensi dell'art. 37 del contratto
collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali
per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico
1998-1999, sottoscritto il 16 maggio 2001, «fa affidamento su tale
voce stipendiale».
Infine, il rimettente lamenta il vulnus all'art. 77 Cost. per la
insussistenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza,
e per la disomogeneita' della norma censurata, inserita in sede di
conversione, rispetto al restante contenuto del decreto-legge.
2.- Preliminarmente, deve essere richiamata la dichiarazione
d'inammissibilita' dell'intervento ad adiuvandum spiegato da V. S.,
per le ragioni esposte nell'ordinanza letta nel corso dell'udienza
pubblica e allegata alla presente sentenza.
3.- Le questioni sono inammissibili - a prescindere dalla
conclusione in tal senso dell'Avvocatura generale dello Stato,
intervenuta in giudizio in rappresentanza e a difesa del Presidente
del Consiglio dei ministri, costituente mera clausola di stile, non
sostenuta da qualsivoglia argomentazione - per carente motivazione
sul requisito della rilevanza.
Il giudice a quo, pur riferendo che la ricorrente «ha svolto le
funzioni di segretario comunale di prima fascia (con qualifica
dirigenziale e abilitazione a prestare servizio presso gli enti
territoriali di classe 1^A e 1^B) presso il Comune di Massarosa», non
ha chiarito se tale Comune avesse, o meno, dirigenti nel proprio
organico. Di conseguenza, non si e' dato conto del presupposto
fondamentale per ritenere applicabile, nel giudizio a quo, la
normativa sospettata di illegittimita' costituzionale.
Quest'ultima, invero, individua le situazioni che consentono il
mantenimento dei diritti di rogito, pur a fronte della generale
soppressione degli stessi per intervenuta abrogazione della norma
che, da ultimo, li aveva introdotti (l'art. 41, quarto comma, della
legge n. 312 del 1980, per l'appunto abrogato dal comma 1 dell'art.
10 in esame). Tali situazioni, in base al testo del comma 2-bis del
richiamato art. 10, concernono, da un lato, «tutti i segretari
comunali che non hanno qualifica dirigenziale» e, dall'altro, quelli
che prestano servizio presso gli «enti locali privi di dipendenti con
qualifica dirigenziale». Come da ultimo precisato dalla
giurisprudenza della Corte dei conti, alla stregua della disposizione
in esame i diritti di rogito, nei limiti stabiliti dalla legge,
competono sia ai segretari comunali di fascia «C», non aventi cioe'
qualifica dirigenziale, sia a quelli appartenenti alle fasce
professionali «A» e «B», aventi cioe' qualifica dirigenziale, purche'
esercitino le loro funzioni presso enti nei quali siano assenti
figure dirigenziali (Corte dei conti, sezione per le autonomie,
delibera 30 luglio 2018, n. 18).
Il rimettente avrebbe dovuto, pertanto, chiarire se la ricorrente
non rientrasse in alcuna delle due categorie indicate dalla norma e
se, pertanto, non le potessero piu' essere attribuiti i diritti di
rogito, in applicazione della medesima norma censurata. Da quanto
riferisce l'ordinanza di rimessione risulta unicamente che la
ricorrente non appartiene alla prima delle due categorie (in quanto,
come viene precisato, «ha svolto le funzioni di segretario di prima
fascia», con conseguente possesso della «qualifica dirigenziale»).
Non si hanno, invece, elementi certi - in base ai dati forniti dal
giudice a quo - tali da escludere che la stessa rientri nella seconda
delle due categorie: non viene, cioe', precisato dal rimettente se il
Comune ove ella ha prestato servizio abbia, nel proprio ruolo,
dipendenti con qualifica dirigenziale. In mancanza di tale
precisazione, non puo' darsi per accertata l'unica altra situazione
che, in base alla normativa censurata, giustificherebbe il diniego
dei diritti di rogito nella fattispecie de qua.
3.1.- Peraltro, anche a volere ammettere, pur nel silenzio
dell'ordinanza di rimessione, che la parte ricorrente abbia prestato
servizio presso un Comune avente, nel proprio organico, personale con
qualifica dirigenziale, il giudice rimettente tace del tutto su un
ulteriore aspetto decisivo ai fini dell'apprezzamento del requisito
della rilevanza. Egli, infatti, omette di precisare se la ricorrente
abbia, o meno, beneficiato dell'istituto dell'allineamento
stipendiale (noto anche, nel linguaggio comune, con il termine
"galleggiamento"), in base al quale la retribuzione di posizione del
segretario e' innalzata fino a quella stabilita dalla contrattazione
collettiva per la funzione dirigenziale piu' elevata nell'ente.
L'istituto e' stato previsto, per i segretari comunali e provinciali,
dall'art. 41, comma 5, del contratto collettivo nazionale di lavoro
dei segretari comunali e provinciali per il quadriennio normativo
1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 (come, oggi,
richiamato dall'art. 107, comma 2, del contratto collettivo nazionale
di lavoro relativo al personale dell'area delle funzioni locali, per
il triennio 2016-2018, sottoscritto il 17 dicembre 2020).
Nonostante il giudice rimettente abbia effettuato un esplicito
riferimento all'istituto dell'allineamento stipendiale - che la norma
certamente presuppone - , esaminando la possibilita' che esso sia
stato considerato dal legislatore del 2014 in chiave "perequativa"
della disciplina concernente il riconoscimento dei diritti di rogito,
la motivazione che sul punto viene spesa dall'ordinanza di rimessione
risulta comunque carente. Ed infatti, pur correttamente sottolineando
che l'istituto dell'allineamento stipendiale - del quale, per altro,
non vengono neanche richiamate le fonti normative - per come e'
attualmente disciplinato dalla fonte collettiva, «non opera
automaticamente» nei Comuni aventi personale con qualifica
dirigenziale, il giudice a quo non si sofferma sulla situazione che
si e' verificata nel caso di specie, omettendo di precisare se, nella
vicenda sottesa al giudizio a quo, la parte ricorrente abbia o meno
beneficiato, per tale via, di un aumento del proprio trattamento
economico. La ricorrenza di simili condizioni, nel caso di specie,
non e' stata oggetto di disamina da parte del giudice a quo.
Deve pertanto concludersi che le indicate lacune descrittive
dell'ordinanza rendono inammissibili le questioni sollevate, non
consentendo di verificarne l'effettiva rilevanza nel giudizio a quo
(ex plurimis, ordinanze n. 76 del 2022, n. 210 e n. 92 del 2020).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 2-bis, del decreto-legge 24 giugno
2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari),
convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114,
sollevate, anche in combinato disposto con il comma 1 dello stesso
art. 10, in riferimento agli artt. 3, 36, 77 e 97 della Costituzione,
dal Tribunale ordinario di Lucca, sezione lavoro, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2022.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
Allegato:
Ordinanza letta all'udienza del 7 giugno 2022
ORDINANZA
Visti gli atti relativi al giudizio di legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 2-bis, del decreto-legge 24 giugno
2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari),
convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, anche
in combinato disposto con il comma 1, promosso dal Tribunale
ordinario di Lucca, sezione lavoro, con ordinanza del 15 luglio 2021,
iscritta al numero 174 del registro ordinanze 2021, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, del
17 novembre 2021.
Visto l'atto di intervento ad adiuvandum depositato nel predetto
procedimento da V. S.
Ritenuto che V. S. ha dedotto di essere legittimato a intervenire
in giudizio in quanto segretario comunale, iscritto al relativo albo
nazionale, e di avere svolto le funzioni di Segretario generale del
Comune di Lecce fino al 1° luglio 2018;
che egli, inoltre, deduce di aver presentato ricorso al Tribunale
di Lecce, sezione lavoro, per l'accertamento del proprio diritto a
percepire dal Comune di Lecce la quota parte dei diritti di
segreteria per tutti gli atti da lui rogati dopo l'entrata in vigore
del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, in legge 11
agosto 2014, n. 114, contestando il diniego dell'amministrazione;
che il relativo procedimento, dopo la decisione di rigetto, in
primo grado, del Tribunale di Lecce, e' attualmente pendente, in
grado di appello, dinnanzi alla Corte d'appello di Lecce.
Considerato che, secondo il disposto dell'art. 4, comma 7, delle
Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale,
nei giudizi in via incidentale «possono intervenire i titolari di un
interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al
rapporto dedotto in giudizio»;
che tale disposizione recepisce la costante giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui la partecipazione al giudizio incidentale
di legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti
del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei
ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta
regionale (artt. 3 e 4 delle suddette Norme integrative);
che a questa regola e' possibile derogare soltanto a favore di
terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente
inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di
censura (ex multis, ordinanze n. 225, n. 191 e n. 24 del 2021 e n.
202 del 2020);
che tale interesse qualificato sussiste solo allorche' si
configuri una posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata
immediatamente e irrimediabilmente dall'esito del giudizio
incidentale (ordinanze n. 225 del 2021 e n. 111 del 2020 e sentenza
n. 159 del 2019);
che pertanto non puo' reputarsi sufficiente, in funzione
dell'ammissibilita' dell'intervento, la circostanza che il soggetto
interveniente sia titolare di interessi analoghi a quelli dedotti nel
giudizio principale o che sia parte in un giudizio analogo, ma
diverso dal giudizio a quo;
che, pertanto, l'intervento di V. S. deve essere dichiarato
inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento di V. S. nel giudizio di cui
all'ordinanza di rimessione iscritta al n. 174 del registro generale
dell'anno 2021.
F.to: Giuliano Amato, Presidente
