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DIRITTO DI CITTADINANZA: morte del coniuge sopravvenuta in pendenza del procedimento.

CORTE COSTITUZIONALE 23 giugno – 26 luglio 2022 SENTENZA N. 195

 

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Cittadinanza - Riconoscimento del diritto - Cause  ostative  -  Morte
  del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza  dei  termini
  previsti per la conclusione del procedimento - Omessa esclusione  -
  Irragionevolezza - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Legge 5 febbraio 1992, n. 91, art. 5. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111. 

(GU n.30 del 27-7-2022 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5  della
legge 5 febbraio  1992,  n.  91  (Nuove  norme  sulla  cittadinanza),
promosso dal Tribunale ordinario  di  Trieste,  sezione  civile,  nel
procedimento vertente tra G. G.  e  il  Ministero  dell'interno,  con
ordinanza del 29 settembre 2021, iscritta  al  n.  214  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nella camera di consiglio del 23  giugno  2022  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 29 settembre 2021 e  iscritta  al
n. 214  del  registro  ordinanze  2021,  il  Tribunale  ordinario  di
Trieste, sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,
24,  97  e  111  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91  (Nuove
norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non esclude dal  novero
delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza la
morte del coniuge  del  richiedente,  sopravvenuta  in  pendenza  dei
termini  previsti  dalla  legge  per  la  conclusione  del   relativo
procedimento. 
    2.- In punto di fatto, il giudice a  quo  riferisce  che  G.  G.,
cittadina ucraina residente in Italia dal 6 settembre  2007,  si  era
sposata, in data 14 marzo 2009, con G. R., cittadino italiano, e che,
successivamente  al  matrimonio,  aveva  mantenuto  la  residenza  in
Italia. 
    2.1.- Il Tribunale rimettente espone che, in data 9 giugno  2011,
G. G. inoltrava alla Prefettura  un'istanza,  ai  sensi  dell'art.  5
della  legge  n.  91  del  1992,  diretta  al  riconoscimento   della
cittadinanza italiana. Tuttavia, in data 22 aprile  2013,  le  veniva
notificato un provvedimento  con  cui  tale  istanza  era  dichiarata
improcedibile a causa del decesso del  coniuge,  verificatosi  il  27
luglio 2012. 
    2.2.- Il giudice a quo riporta, di seguito, che G. G. ha agito in
giudizio per l'accertamento del suo diritto  al  conseguimento  della
cittadinanza italiana, asserendo di aver risieduto in Italia  per  il
prescritto periodo di almeno  due  anni  dopo  il  matrimonio,  cosi'
integrando il presupposto richiesto dall'art. 5 della legge n. 91 del
1992. 
    Nel  giudizio  si  e'  costituito  il   Ministero   dell'interno,
evidenziando che il decesso del  coniuge  dell'istante,  verificatosi
nelle more del procedimento amministrativo, avrebbe dato luogo a  una
delle cause ostative, di cui all'art. 5 della citata  legge,  secondo
cui, «ai fini  dell'acquisto  della  cittadinanza,  non  deve  essere
intervenuto, al momento dell'adozione  del  decreto  prefettizio,  lo
scioglimento   del   matrimonio».   Di   conseguenza,   deduceva   la
legittimita'  dell'operato  dell'amministrazione   convenuta   e   si
opponeva alla domanda della ricorrente, chiedendone il rigetto. 
    3.- Cosi' riferite le premesse in fatto, il rimettente ritiene di
dover sollevare questioni di legittimita' costituzionale «dell'art. 5
della L. n. 91 del 1992 nella parte in cui non  esclude,  dal  novero
delle cause ostative al riconoscimento del diritto  di  cittadinanza,
la morte sopravvenuta del coniuge del  richiedente  in  pendenza  dei
termini  previsti  dalla  legge  per  la  conclusione  del   relativo
procedimento». 
    4.- In punto di rilevanza, il Tribunale di Trieste sostiene  che,
«nel caso di specie, una pronuncia di incostituzionalita' della norma
nel senso sopra indicato consentirebbe alla ricorrente  di  eliminare
l'ostacolo  frapposto  dal  legislatore  al  riconoscimento  del  suo
diritto»  e  che  la   risoluzione   del   dubbio   di   legittimita'
costituzionale  e',  pertanto,  pregiudiziale  alla  definizione  del
giudizio principale. 
    Inoltre,   reputa   non    percorribile    una    interpretazione
costituzionalmente conforme della disposizione censurata,  stante  il
suo tenore testuale. 
    5.- Quanto al  giudizio  sulla  non  manifesta  infondatezza,  il
giudice a quo  ravvisa,  innanzitutto,  una  violazione  dell'art.  3
Cost., «in relazione agli artt. 111 e 24 Cost.». 
    5.1.- In  particolare,  ritiene  «pacifica»  la  qualifica  della
situazione  giuridica  soggettiva  invocata  dalla  ricorrente   come
diritto soggettivo, che «richiede un  preventivo  accertamento  della
P.A. diretto a verificarne i presupposti prestabiliti  dalla  legge».
Su tale premessa, ravvisa «un'irragionevole disparita' di trattamento
di detta posizione giuridica rispetto  a  quei  diritti  che  possono
essere fatti valere direttamente in via giurisdizionale». Per  questi
ultimi opererebbe il principio di retroattivita' degli effetti  della
pronuncia al momento della domanda.  Viceversa,  per  il  diritto  in
esame, l'assetto normativo imporrebbe di «considerare  la  situazione
esistente al momento dell'adozione del provvedimento  amministrativo,
a nulla rilevando che i presupposti legislativi per il riconoscimento
del diritto gia' sussistessero al momento della domanda». 
    In tal modo, il «procedimento amministrativo [...] finirebbe  con
l'assurgere,    surrettiziamente,    a    limite     all'accertamento
giurisdizionale del  diritto,  in  palese  contrasto  con  l'art.  24
Cost.». 
    5.2.- Inoltre, prosegue il rimettente, risulterebbe violato anche
l'art.  97  Cost.,  in  quanto  «il  riconoscimento  della  posizione
giuridica dell'individuo» verrebbe  pregiudicato  «dalla  durata  del
procedimento amministrativo», in contrasto con il principio  di  buon
andamento  della  pubblica  amministrazione,  ivi  disposto.  Questo,
viceversa, esigerebbe che la durata del  procedimento  amministrativo
non vada «a discapito della  domanda  di  accertamento  del  diritto,
analogamente a quanto desumibile dai principi del giusto processo  di
cui all'art. 111 Cost.». 
    5.3.- Infine, secondo il giudice a quo, la norma si dimostrerebbe
intrinsecamente  irragionevole,  e   percio'   ulteriormente   lesiva
dell'art. 3 Cost. L'irragionevolezza risiederebbe nella equiparazione
fra il «decesso del coniuge del  richiedente,  intervenuto  [...]  in
seguito alla presentazione dell'istanza di cui al citato art.  5»,  e
le «altre  situazioni  ivi  contemplate  (separazione,  annullamento,
cessazione degli effetti civili e altre  cause  di  scioglimento  del
matrimonio)», riconducibili alla sfera di volonta' e al  dominio  del
richiedente.  In  tal  modo,  si  finirebbe   irragionevolmente   per
subordinare il riconoscimento del  diritto  a  «una  circostanza  del
tutto aleatoria», estranea alle ragioni  «sottese  al  riconoscimento
del diritto stesso» e  avulsa  dall'obiettivo  di  evitare  matrimoni
preordinati al solo acquisto della cittadinanza. 
    6.- Con atto depositato il 28 gennaio  2022,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  deducendo  la   non
fondatezza delle questioni sollevate. 
    6.1.-   Ad   avviso   dell'Avvocatura,    l'acquisizione    della
cittadinanza  per   matrimonio,   disciplinata   dalla   disposizione
censurata, troverebbe il suo fondamento nella particolare tutela  che
il legislatore ha inteso riservare al nucleo familiare costituito dal
vincolo  matrimoniale  fra  un  cittadino  italiano  e  un  cittadino
straniero o apolide. 
    La  norma  censurata  non  sarebbe  finalizzata  «a  tutelare  un
autonomo  e  personale  interesse  dello  straniero  a  ottenere   la
cittadinanza per matrimonio avulso dalla sua condizione di coniuge da
almeno due anni di un cittadino italiano, ma a offrire  al  cittadino
straniero  o  apolide»,  in  quanto  sposato  con  un  italiano,  uno
strumento di speciale rafforzamento  della  sua  posizione,  rispetto
alla sua possibile permanenza sul  territorio  nazionale  e  «al  suo
diritto di entrare e uscire liberamente da tale territorio». 
    La disciplina censurata  sarebbe  coerente  con  tale  ratio,  in
quanto volta ad assicurare ai  componenti  del  nucleo  familiare  la
speciale forma di stabilizzazione prevista dal censurato art. 5,  sul
presupposto  che  tale  nucleo,  al   momento   dell'emanazione   del
provvedimento, sussista. 
    In sostanza, l'Avvocatura  ritiene  che  l'esistenza  del  nucleo
familiare costituisca elemento costitutivo «del diritto  o  interesse
legittimo alla naturalizzazione», secondo quanto previsto dall'art. 5
della  legge  n.  91  del  1992,  il  che  comporterebbe  -  con   il
sopravvenuto  venir  meno  di  tale  presupposto  -  non  un  rigetto
dell'istanza,  ma  la  definitiva  interruzione  della  procedura  di
naturalizzazione. 
    Da cio' l'Avvocatura desume l'esito irragionevole che deriverebbe
da un eventuale accoglimento delle questioni sollevate, in quanto  si
consentirebbe,  soltanto  nel  caso  del  decesso  del  coniuge   del
cittadino   italiano,   il   completamento   della    procedura    di
naturalizzazione, nonostante il venir meno del vincolo matrimoniale. 
    7.- Con atto depositato il 26  maggio  2022,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  presentato  memoria,   reiterando   gli
argomenti gia' svolti in sede di intervento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 29 settembre 2021 e  iscritta  al
n. 214  del  registro  ordinanze  2021,  il  Tribunale  ordinario  di
Trieste, sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,
24,  97  e  111  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91  (Nuove
norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non esclude dal  novero
delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza la
morte del coniuge  del  richiedente,  sopravvenuta  in  pendenza  dei
termini  previsti  dalla  legge  per  la  conclusione  del   relativo
procedimento. 
    2.- L'art. 5 della  legge  n.  91  del  1992  dispone  che  «[i]l
coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano  puo'  acquistare
la  cittadinanza  italiana  quando,  dopo  il   matrimonio,   risieda
legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure
dopo tre anni dalla data  del  matrimonio  se  residente  all'estero,
qualora, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo  7,
comma 1, non sia intervenuto lo  scioglimento,  l'annullamento  o  la
cessazione degli effetti civili del  matrimonio  e  non  sussista  la
separazione personale dei coniugi». 
    3.-  Ad   avviso   del   rimettente,   la   citata   disposizione
includerebbe,  tra  le   cause   ostative   al   conferimento   della
cittadinanza, lo scioglimento del matrimonio  derivante  dalla  morte
del  coniuge  del  richiedente  in  pendenza  del  procedimento   per
l'attribuzione della cittadinanza. 
    Simile  norma  comporterebbe  la  lesione  di  plurimi  parametri
costituzionali. 
    3.1.-  Innanzitutto,  secondo  quanto  affermato  nell'ordinanza,
violerebbe l'art. 3 Cost., in relazione agli artt. 111 e 24 Cost. 
    A differenza di quanto accade nel caso dei  diritti  che  possono
essere fatti valere in via giurisdizionale,  per  i  quali  opera  il
principio di retroattivita' degli effetti della pronuncia al  momento
della domanda, nel caso di specie, una circostanza verificatasi nella
pendenza   del    procedimento    amministrativo    impedirebbe    il
riconoscimento del diritto alla cittadinanza. 
    In tal modo, lo stesso procedimento «finirebbe  con  l'assurgere,
surrettiziamente,  a  limite  all'accertamento  giurisdizionale   del
diritto, in palese contrasto con l'art. 24 Cost.» e con il  principio
«del giusto processo di cui all'art. 111 Cost.». 
    3.2.- Cosi' operando, la norma censurata  violerebbe  -  in  base
alla ricostruzione del  rimettente  -  anche  il  principio  di  buon
andamento  della  pubblica  amministrazione,  disposto  dall'art.  97
Cost., in quanto la «posizione giuridica dell'individuo» risulterebbe
pregiudicata «dalla durata del procedimento amministrativo». 
    3.3.- Infine, il giudice  a  quo  ritiene  autonomamente  violato
l'art. 3 Cost. sotto il  profilo  della  irragionevolezza  intrinseca
della norma, che include la morte del  coniuge,  nella  pendenza  del
procedimento amministrativo, fra le cause ostative del riconoscimento
della cittadinanza al coniuge superstite, considerandola alla  stessa
stregua delle altre fattispecie previste dall'art. 5, comma 1,  della
legge n. 91 del 1992. 
    Non  sarebbe,  infatti,  giustificata  l'equiparazione   fra   il
«decesso del coniuge del richiedente, intervenuto  [...]  in  seguito
alla presentazione dell'istanza di cui al  citato  art.  5»,  ipotesi
«del tutto aleatoria» e indipendente  dal  comportamento  dell'avente
diritto alla cittadinanza, e le  «altre  situazioni  ivi  contemplate
(separazione, annullamento, cessazione degli effetti civili  e  altre
cause di scioglimento del matrimonio)», riconducibili alla  sfera  di
volonta' e al dominio del richiedente. 
    Individuata la ratio dell'art. 5, comma 1, della legge n. 91  del
1992 nell'esigenza di evitare matrimoni preordinati al solo  acquisto
della cittadinanza,  il  rimettente  reputa  irragionevole  che  essa
ricomprenda anche il caso del decesso del coniuge,  che  e'  estraneo
sia alla citata motivazione, sia,  piu'  in  generale,  alle  ragioni
«sottese al riconoscimento del diritto stesso». 
    4.-  La  questione  di  legittimita'  costituzionale   incentrata
sull'art.   3   Cost.,   sotto   il    profilo    della    intrinseca
irragionevolezza, e' fondata. 
    5.-  In  via  preliminare,   si   rende   necessario   un   breve
inquadramento sistematico della norma censurata. 
    L'art. 5 della legge n. 91 del 1992 disciplina uno  dei  modi  di
acquisto di diritto della cittadinanza italiana. 
    Nella  sua  formulazione  originaria,   la   disposizione   aveva
riprodotto l'art. 1 della precedente legge 21  aprile  1983,  n.  123
(Disposizioni in  materia  di  cittadinanza),  stabilendo  che  «[i]l
coniuge, straniero o  apolide,  di  cittadino  italiano  acquista  la
cittadinanza  italiana  quando  risieda  da  almeno  sei   mesi   nel
territorio della Repubblica, ovvero dopo  tre  anni  dalla  data  del
matrimonio,  se  non  vi  e'  stato  scioglimento,   annullamento   o
cessazione  degli  effetti  civili  e  se  non  sussiste  separazione
legale». 
    Successivamente, l'art. 1, comma 11, della legge 15 luglio  2009,
n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza  pubblica)  ha  novellato
l'art. 5 sotto diversi profili. 
    Da un lato, e' stato innalzato da sei mesi a due anni il  termine
a partire dal quale, ove l'istante abbia risieduto in Italia dopo  il
matrimonio, puo' essere richiesta la cittadinanza, mentre e'  rimasto
invariato il periodo di tre anni previsto qualora  la  residenza  sia
all'estero. Al contempo, e' stata aggiunta, al comma 2, la previsione
secondo la quale, «in presenza di figli nati o adottati dai coniugi»,
entrambi i termini, sopra richiamati, vengono ridotti della meta'. 
    Da un altro lato,  l'art.  5,  comma  1,  ha  stabilito  che  «lo
scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del
matrimonio» o «la separazione personale dei coniugi», che  ostano  al
riconoscimento della cittadinanza, non devono sussistere  al  momento
dell'adozione del decreto di conferimento, di cui all'art.  7,  comma
1, della legge n. 91 del 1992. E  tale  decreto,  in  base  a  quanto
dispone l'art. 9-ter della medesima legge - introdotto dall'art.  14,
comma 1, lettera  c),  del  decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.  113
(Disposizioni urgenti  in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni  sequestrati  e  confiscati  alla   criminalita'   organizzata),
convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 -
puo'  essere  adottato  entro  un  termine  di   «ventiquattro   mesi
prorogabile  sino  al  massimo  di  trentasei  mesi  dalla  data   di
presentazione della domanda». 
    Infine,  sono  previste   cause   ostative   all'acquisto   della
cittadinanza, correlate alla condanna per taluni illeciti penali, dal
successivo art. 6 della stessa legge n. 91 del 1992, che, al comma 1,
lettera c),  aggiunge  anche  un'ulteriore  preclusione  all'acquisto
della  cittadinanza,  costituita  dalla  sussistenza  di  «comprovati
motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica». 
    6.- La ratio della disciplina di cui all'art. 5 della legge n. 91
del 1992, e delle norme a esso correlate, e' quella di  offrire  allo
straniero o  all'apolide  un  modo  di  acquisto  della  cittadinanza
agevolato rispetto ai meccanismi concessori,  sul  presupposto  della
sua appartenenza a  una  comunita'  familiare,  fondata  sul  vincolo
matrimoniale con un cittadino italiano. 
    6.1.- In particolare, il prolungamento del termine relativo  alla
durata del rapporto matrimoniale, introdotto con la legge n.  94  del
2009, ha posto l'accento, oltre che sull'atto del  matrimonio,  sulla
partecipazione a un nucleo  familiare,  protratta  per  un  lasso  di
tempo, che, come si e' visto, va da un minimo di un anno, nel caso in
cui vi siano figli e la residenza in Italia, a tre anni,  in  assenza
di figli e con la residenza all'estero. 
    Elementi  costitutivi  della  situazione   giuridica   soggettiva
diretta  al  conseguimento  della  cittadinanza   sono,   dunque,   i
requisiti, positivi e negativi, indicati dagli  artt.  5  e  6  della
legge n. 91 del 1992. 
    Nello specifico, se e' vero che la mancanza  dello  scioglimento,
dell'annullamento  o  della  cessazione  degli  effetti  civili   del
matrimonio, nonche' l'assenza della separazione personale dei coniugi
sono riferite, dall'art. 5, comma 1, - come novellato nel 2009 -, «al
momento dell'adozione del decreto di cui all'art. 7, comma 1»,  esse,
a  ben  vedere,  rilevano  gia'  al   momento   della   presentazione
dell'istanza, in quanto elementi costitutivi del  diritto,  il  quale
presuppone l'attualita' del rapporto coniugale. 
    Non  e'  dato,  viceversa,  ritenere  -  come  sembra   sostenere
l'Avvocatura - che elemento  costitutivo  «del  diritto  o  interesse
legittimo alla naturalizzazione» sia l'esistenza del nucleo familiare
al momento dell'adozione del decreto, poiche'  cio'  equivarrebbe  ad
affermare che il soggetto  che  presenta  l'istanza,  in  un  momento
necessariamente antecedente alla emanazione del provvedimento,  possa
invocare il riconoscimento di un  diritto  non  ancora  integrato  in
tutti i suoi presupposti costitutivi. Oltretutto, ne  deriverebbe  la
possibilita' di attribuire la cittadinanza al coniuge che, al momento
della presentazione dell'istanza sia legalmente separato, qualora  lo
stesso, prima dell'emanazione del provvedimento, si sia riconciliato. 
    Di conseguenza, elementi costitutivi per il riconoscimento  della
cittadinanza, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 91 del  1992,  sono
la sussistenza, al momento della presentazione  dell'istanza,  di  un
rapporto coniugale, protratto per il periodo di tempo richiesto dalla
legge, in mancanza delle vicende che inficiano  il  matrimonio  o  il
relativo  rapporto.  Se,  poi,  tali  vicende  sopraggiungono   nella
pendenza del procedimento amministrativo, esse vengono a configurarsi
quali cause ostative al riconoscimento del diritto stesso. 
    6.2.-  Tanto  premesso,  occorre  individuare  la   ratio   della
peculiare previsione delle citate cause ostative, le quali, di fatto,
finiscono  per  prolungare  di  un  periodo  variabile,  che  dipende
dall'attivita' amministrativa e che puo' arrivare ad aggiungere  sino
a ulteriori tre anni (art. 9-ter della legge  n.  91  del  1992),  la
durata  del  vincolo  matrimoniale  richiesta   per   conseguire   la
cittadinanza. 
    Una prima giustificazione di tale previsione potrebbe  ravvisarsi
-  come  sostiene  l'Avvocatura  -  nella  scelta  di   far   gravare
sull'istante il rischio del venir meno  dei  presupposti  costitutivi
del diritto nella pendenza del procedimento,  al  fine  di  garantire
l'attualita' della appartenenza al nucleo familiare  dello  straniero
(o dell'apolide), al momento dell'attribuzione della cittadinanza. 
    In alternativa, dovrebbe ipotizzarsi  che  la  ratio  sia  quella
prospettata dal Tribunale rimettente, in base  alla  quale  la  norma
avrebbe il compito  di  prevenire  usi  strumentali  del  matrimonio,
contratto al solo scopo di conseguire la cittadinanza. 
    7.- Ebbene, nessuna delle due rationes sopra prospettate consente
di superare il vaglio  di  ragionevolezza  rispetto  alla  norma  che
ricomprende  fra  gli  elementi  ostativi   al   conferimento   della
cittadinanza il decesso del  coniuge  dell'istante,  verificatosi  in
pendenza del procedimento per il riconoscimento del diritto. 
    7.1.- Innanzitutto, se e' vero che la disciplina di cui  all'art.
5 della legge n. 91 del 1992 intende agevolare  l'integrazione  nella
comunita' statale di chi abbia fatto parte per un periodo di tempo di
un nucleo familiare fondato sul vincolo matrimoniale con un cittadino
italiano, pretendere in aggiunta l'attualita' di  tale  appartenenza,
al momento dell'adozione del decreto,  facendo  gravare  sull'istante
anche il rischio  della  morte  del  coniuge  -  nella  pendenza  del
procedimento - equivale a porre a carico di chi ha  gia'  maturato  i
presupposti  costitutivi  del   diritto   al   riconoscimento   della
cittadinanza un'alea che gli e' totalmente estranea, che sfugge  alla
sua sfera di controllo e che non attiene alle ragioni costitutive del
diritto alla cittadinanza. Lo straniero (o l'apolide) rimasto  vedovo
ha vissuto  nella  comunita'  familiare,  costituita  in  virtu'  del
vincolo matrimoniale con il cittadino italiano, non solo per tutto il
tempo richiesto dalla legge per presentare l'istanza di cittadinanza,
ma anche per tutto il tempo successivo, sino a che l'evento  naturale
della morte ha reso impossibile la prosecuzione di tale rapporto. 
    Non  e',  dunque,  ragionevole  negare  il  riconoscimento  della
cittadinanza a chi ha  presentato,  nella  qualita'  di  coniuge,  la
relativa istanza, gia' supportata  dai  presupposti  costitutivi  del
diritto, per effetto di un evento naturale sottratto al suo  dominio,
del tutto estraneo alla sua condotta e che spezza fisiologicamente il
legame giuridico; tant'e' che l'ordinamento riconosce la  piu'  ampia
protezione al coniuge superstite, in ambito non solo successorio,  ma
anche previdenziale e assistenziale. 
    La morte, pur se scioglie il vincolo matrimoniale, non  fa  venir
meno,  tuttavia,  la   pienezza   delle   tutele,   privatistiche   e
pubblicistiche,  fondate  sull'aver  fatto  parte  di  una  comunita'
familiare, basata sulla solidarieta' coniugale,  e  dunque  non  puo'
inibire la spettanza di un diritto sostenuto dai relativi presupposti
costitutivi. 
    In  definitiva,  e'  irragionevole  negare  all'istante,  che  ha
presentato la domanda  di  cittadinanza  e  ha  maturato  i  relativi
presupposti, il riconoscimento della stessa, in ragione di un  evento
- qual e' la morte del coniuge - del  tutto  indipendente  sia  dalla
sfera  di  controllo  dello   stesso   istante,   sia   dalla   ratio
dell'attribuzione della cittadinanza. 
    E cio' e' tanto piu' irragionevole in quanto potrebbe  sussistere
finanche un nucleo familiare attuale costituito dal coniuge,  rimasto
vedovo, con gli eventuali figli nati o adottati dai coniugi. 
    7.2.- Quanto all'altra ipotetica ratio, riferita a una  possibile
volonta' legislativa di prevenire  usi  strumentali  del  matrimonio,
finalizzato al mero scopo di conseguire la cittadinanza, si tratta di
una prospettiva che rende parimenti irragionevole  l'inclusione,  fra
le  cause  ostative  al  riconoscimento  del  diritto,  del   decesso
verificatosi in pendenza del procedimento. 
    Va premesso, a riguardo, che manca -  nella  disciplina  relativa
alla cittadinanza - una disposizione specifica inerente ai  matrimoni
fittizi, ossia ai matrimoni contratti in frode  alla  legge,  cui  si
riferiscono gli artt. 29, comma 9, e 30,  comma  1-bis,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero). Tali disposizioni prevedono,  rispettivamente,  che
venga respinta la richiesta  di  ricongiungimento  familiare  «se  e'
accertato che il matrimonio [ha] avuto luogo allo scopo esclusivo  di
consentire all'interessato di entrare o  soggiornare  nel  territorio
dello Stato» e che «[i]l permesso di soggiorno nei  casi  di  cui  al
comma 1, lettera b), e' immediatamente revocato qualora sia accertato
che al matrimonio non e' seguita l'effettiva convivenza salvo che dal
matrimonio sia nata prole. La richiesta di rilascio o di rinnovo  del
permesso di soggiorno dello straniero, di cui al comma 1, lettera a),
e' rigettata e il permesso di soggiorno e' revocato se  e'  accertato
che il matrimonio [ha] avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere
all'interessato di soggiornare nel territorio dello Stato». 
    Orbene,  in  mancanza  di  un'analoga   disciplina   che   regoli
espressamente, nella materia dell'attribuzione della cittadinanza, le
conseguenze della dimostrazione di un matrimonio  fittizio,  potrebbe
ritenersi che il legislatore abbia  voluto  assicurarsi  che,  almeno
sino all'adozione del decreto di conferimento della cittadinanza, non
sussistano patologie dell'atto o cause di scioglimento del vincolo  o
di cessazione degli effetti civili o di sospensione degli stessi, che
potrebbero essere indirettamente indici di un matrimonio  fittizio  o
di una reazione ad esso da parte dell'altro coniuge. 
    Sennonche',   anche   a   voler   ravvisare   nell'obiettivo   di
fronteggiare il  citato  fenomeno  la  ratio  dello  spostamento,  al
momento dell'adozione del decreto di cui all'art. 7, comma  1,  della
legge n. 91 del 1992, del vaglio  sulla  attualita'  della  relazione
familiare, resta, in ogni caso,  confermata  l'assoluta  estraneita',
rispetto a simile motivazione,  della  fattispecie  del  decesso  del
coniuge, sopraggiunto in pendenza del procedimento amministrativo. 
    L'uso strumentale dell'istituto matrimoniale per poter conseguire
la cittadinanza, ossia un negozio in frode alla legge, caratterizzato
da una predeterminazione di eventi - il  contrarre  matrimonio  senza
dar seguito agli effetti giuridici dell'atto, con il  solo  scopo  di
conseguire la cittadinanza  -  risulta,  infatti,  del  tutto  alieno
rispetto all'evento naturale della morte, che  non  consente  di  far
presumere la sussistenza di un matrimonio fittizio. 
    8.- Deve, dunque, concludersi che la norma che ascrive il decesso
del coniuge, nella pendenza del procedimento per l'attribuzione della
cittadinanza, tra i fattori  ostativi  al  suo  riconoscimento  -  in
quanto causa  di  scioglimento  del  matrimonio  -  e'  irragionevole
rispetto a qualsivoglia giustificazione riferibile all'art. 5,  comma
1, della legge n. 91 del 1992. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il  principio
di ragionevolezza e', infatti, leso «quando si accerti l'esistenza di
una  irrazionalita'  intra  legem,  intesa  come  "contraddittorieta'
intrinseca tra la complessiva finalita' perseguita dal legislatore  e
la disposizione espressa dalla norma censurata" (sentenza n. 416  del
2000)» (sentenza n. 6 del  2019;  nello  stesso  senso,  di  recente,
sentenza n. 125 del 2022). In tal caso, il giudizio di ragionevolezza
consiste  «in  un  "apprezzamento  di  conformita'  tra   la   regola
introdotta e la 'causa' normativa che la deve assistere" (sentenze n.
89 del 1996 e n. 245 del 2007)" (sentenza n. 86 del 2017)»  (sentenza
n. 6 del 2019). 
    Tale  conformita'  non  sussiste  nella  norma   censurata   che,
pertanto, viola l'art.  3  Cost.  sotto  il  profilo  dell'intrinseca
irragionevolezza. 
    9.- L'art. 5, comma 1, della legge n. 91  del  1992  deve  essere
allora dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in  cui
non esclude, dal novero delle cause ostative  al  riconoscimento  del
diritto di  cittadinanza,  la  morte  del  coniuge  del  richiedente,
sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione  del
procedimento di cui al successivo art. 7, comma 1. In altri  termini,
la norma e' illegittima in quanto riferisce al momento  dell'adozione
del decreto, di cui all'art. 7, comma 1, anziche'  al  momento  della
presentazione dell'istanza, l'accertamento del  mancato  scioglimento
del matrimonio per morte del coniuge. 
    Rimangono  assorbite  le  ulteriori  questioni  di   legittimita'
costituzionale sollevate dall'ordinanza in epigrafe. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 della  legge
5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella  parte
in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento
del diritto di cittadinanza, la morte del  coniuge  del  richiedente,
sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione  del
procedimento di cui al successivo art. 7, comma 1. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA