CORTE COSTITUZIONALE 28 gennaio – 9 marzo 2021 SENTENZA N. 32
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Stato civile - Stato giuridico del nato (in Italia) a seguito di procreazione medicalmente assistita (PMA) di tipo eterologo, mediante tecniche praticate all'estero nell'ambito di una coppia formata da due donne - Possibilita' di attribuire lo status di figlio riconosciuto anche alla madre c.d. d'intenzione, in assenza delle condizioni per l'adozione in casi particolari e laddove sia accertato giudizialmente l'interesse del minore - Omessa previsione - Denunciata disparita' di trattamento, nonche' violazione dei principi costituzionali e convenzionali con riferimento al diritto del minore al mantenimento, all'educazione, all'istruzione e ai diritti successori nei confronti del genitore intenzionale - Inammissibilita' delle questioni - Riscontrato vuoto di tutela del minore - Intollerabilita' dell'ulteriore inerzia legislativa. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, artt. 8 e 9; codice civile, art. 250. - Costituzione, artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, artt. 8 e 14; Convenzione sui diritti del fanciullo, artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9.
(GU n.10 del 10-3-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 8 e 9
della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita) e 250 del codice civile, promosso dal
Tribunale ordinario di Padova, nel procedimento vertente tra V. B. e
C. R., con ordinanza del 9 dicembre 2019, iscritta al n. 79 del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2020.
Visti gli atti di costituzione di V. B. e C. R., nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 27 gennaio 2021 il Giudice
relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Vittorio Angiolini, in collegamento da remoto,
ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30
ottobre 2020, Sara Valaguzza e Alexander Schuster per V. B.,
l'avvocato Massimo Rossetto per C. R. e l'avvocato dello Stato
Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri, in
collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del
Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 28 gennaio 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 dicembre 2019, il Tribunale ordinario di
Padova ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli
artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita) e 250 del codice civile, in
riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della
Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991,
n. 176, e agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848.
1.1.- Il Collegio premette di essere stato adito dalla madre
intenzionale di due gemelle, nate a seguito del ricorso a tecniche di
procreazione medicalmente assistita (PMA) - cui si e' sottoposta
l'allora partner della stessa - per ottenere, in via principale,
l'autorizzazione a dichiarare all'ufficiale dello stato civile di
essere genitore, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 40 del 2004, o
di essere dichiarata tale dalla sentenza dello stesso Tribunale per
aver prestato il consenso alla fecondazione eterologa, ai sensi
dell'art. 6 della medesima legge.
Il rimettente precisa che la ricorrente ha anche chiesto, in via
subordinata, di essere autorizzata a riconoscere davanti
all'ufficiale di stato civile le minori quali proprie figlie ovvero
di accertare tale riconoscimento, pronunciando ai sensi dell'art.
250, quarto comma, cod. civ., una sentenza che tenga luogo del
consenso da lei stessa prestato e rifiutato dalla madre che ne
dichiaro' la nascita e le riconobbe.
In via ulteriormente subordinata, e' stato chiesto al Tribunale
di Padova di ordinare all'ufficiale dello stato civile la
rettificazione degli atti di nascita delle minori, si' che risulti
che le stesse sono nate a seguito di fecondazione eterologa, sulla
base del consenso prestato dalla madre biologica e dalla ricorrente,
madre intenzionale.
Il Collegio premette che la ricorrente chiede anche di attribuire
alle minori, in forza dell'art. 250, quarto comma, ultimo periodo,
cod. civ. e dell'art. 262 cod. civ., il proprio cognome e che siano
pronunciati gli opportuni provvedimenti in relazione al loro
affidamento e mantenimento, ai sensi dell'art. 315-bis cod. civ.
Dalla discussione della causa in udienza pubblica, dai documenti
prodotti e dalle allegazioni non contestate, il Tribunale dichiara
che e' inequivocabile la condivisione del progetto di PMA. Le parti
hanno convissuto, pur senza residenza anagrafica comune, anche dopo
la nascita delle bambine per quasi cinque anni, con coinvolgimento di
entrambe nella cura, nell'educazione e nella crescita delle stesse.
La peculiarita' della fattispecie in esame - prosegue il rimettente -
e' costituita dalla circostanza che le minori sono nate in Italia, ma
non vi e' stata alcuna dichiarazione congiunta davanti all'ufficiale
di stato civile in occasione della nascita. La relazione fra le due
donne e' cessata e l'adozione in casi particolari, di cui all'art.
44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184
(Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori) e' risultata
impraticabile, in quanto l'art. 46 della medesima legge prescrive
l'assenso del genitore legale dell'adottando, che, nella specie, e'
stato negato.
Il Collegio osserva che, nonostante la partecipazione al progetto
condiviso di maternita', la convivenza durata cinque anni e una
relazione genitoriale di fatto intrattenuta con le bambine fino al
2017, queste ultime sono legalmente figlie della sola madre
biologica, che non consente ne' il riconoscimento, ne' l'adozione e
vieta ogni rapporto con la ricorrente madre intenzionale. Il
Tribunale di Padova segnala, inoltre, che anche il Tribunale per i
minorenni e' intervenuto, ai sensi dell'art. 333 cod. civ., finora
senza esito nel ripristinare i rapporti con la ricorrente.
1.2.- Il Collegio rimettente ritiene pertanto che gli artt. 8 e 9
della legge n. 40 del 2004 - che dispongono che i nati a seguito di
PMA anche di tipo eterologo hanno lo stato di figli «riconosciuti
dalla coppia che ha espresso la volonta' di ricorrere alle tecniche»
di PMA, stato che non puo' essere oggetto di disconoscimento di
paternita', ne' di impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicita' - non possano essere interpretati se non nel senso di
escludere il riconoscimento dello stato di figli dei nati da PMA
praticata da coppie dello stesso sesso, in violazione dell'art. 5
della citata legge n. 40 del 2004.
Analogamente, anche l'art. 250, quarto comma, cod. civ. non
consentirebbe di autorizzare il riconoscimento dello stato di figli
dei nati da PMA eterologa, praticata da una coppia dello stesso
sesso, da parte della madre intenzionale, superando il dissenso della
madre biologica. Il Tribunale di Padova, pertanto, ritiene che -
sulla base delle norme censurate - non sia possibile accogliere le
domande della ricorrente. Proprio per questo riscontra un vuoto di
tutela nel garantire l'interesse delle minori.
Le disposizioni richiamate, infatti, sistematicamente
interpretate, non consentirebbero al nato nell'ambito di un progetto
di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una
coppia dello stesso sesso, l'attribuzione dello status di figlio
riconosciuto anche da parte della madre intenzionale, che ha prestato
il consenso alla pratica fecondativa, se non sia possibile procedere
all'adozione nei casi particolari, qualora sia accertato
giudizialmente l'interesse del minore.
Il rimettente segnala, inoltre, che nella specie non sarebbero
neppure utilizzabili gli strumenti individuati dalla giurisprudenza
di legittimita' in casi simili per tutelare l'interesse dei minori,
consistenti nella trascrizione dell'atto di nascita formato
all'estero, ove la nascita sia avvenuta in un altro Paese la cui
legislazione ammette l'omogenitorialita', e nell'adozione in casi
particolari, per il fatto che l'assenso della madre biologica e
legale, indispensabile ai sensi dell'art. 46 della legge n. 183 del
1984, e' stato negato.
Il denunciato vuoto di tutela si risolverebbe, quindi, nella
lesione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti
dagli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, come interpretati dalla Corte di
Strasburgo, e agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui
diritti del fanciullo.
In particolare, gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250
cod. civ. lascerebbero privo di tutela il diritto inviolabile del
minore all'identita' garantito dall'art. 2 Cost., da cui discende
l'azionabilita' dei suoi diritti nei confronti di chi si e' assunto
la responsabilita' di procreare nell'ambito di una formazione sociale
che, benche' non riconducibile alla famiglia tradizionale, sarebbe
comunque meritevole di tutela. In tal modo sarebbe violato il diritto
di ciascun bambino ad avere due persone che si assumono la
responsabilita' di provvedere al suo mantenimento, alla sua
educazione e istruzione, nei cui confronti poter vantare diritti
successori, ma soprattutto agire in caso di inadempimento e di crisi
della coppia. Il contrasto evidenziato e' con gli artt. 2, 3, 30 e
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU. Il Collegio
rimettente ricorda che tale disposizione e' al centro di numerose
pronunce della Corte EDU (sono richiamate le sentenze 26 giugno 2014,
Mennesson contro Francia, e Labassee contro Francia). Dell'art. 8
CEDU si occupa anche il parere reso il 10 aprile 2019 ai sensi del
Protocollo n. 16 alla CEDU, per affermare che l'assenza di
riconoscimento di un legame tra il bambino e la madre intenzionale
pregiudica il bambino, lasciandolo in una situazione di incertezza
giuridica quanto alla sua identita' nella societa', e puo' ledere
gravemente il suo diritto alla vita privata.
Le norme censurate, inoltre, la' dove non comprendono anche i
nati da PMA eterologa praticata da coppie dello stesso sesso,
determinerebbero una ingiustificata disparita' di trattamento nei
confronti di questi ultimi, rispetto ai nati da PMA praticata da
coppia eterosessuale e anche rispetto ai nati da PMA praticata da
coppie dello stesso sesso, nella situazione in cui la madre biologica
presta il suo assenso all'adozione in casi particolari.
I nati da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, per i quali
non si possa ricorrere all'adozione in casi particolari, sarebbero
destinati a un perenne stato di figli con un solo genitore, non
riconoscibili dall'altra persona che ha contribuito al progetto
procreativo. Essi si troverebbero in una situazione giuridica diversa
e deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati (compresi i
nati da rapporto incestuoso), senza che si possa rinvenire altra
giustificazione se non l'orientamento sessuale delle persone che
hanno partecipato al progetto procreativo, in violazione dell'art. 3
e dell'art. 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione
all'art. 14 CEDU. La nuova categoria di nati "non riconoscibili"
contrasterebbe anche con il principio di unicita' dello status
giuridico dei figli, che ha connotato tutti gli interventi
legislativi piu' recenti in materia di filiazione (la legge 10
dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in materia di
riconoscimento dei figli naturali», e il decreto legislativo 28
dicembre 2013, n. 154 recante «Revisione delle disposizioni vigenti
in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10
dicembre 2012, n. 219»).
Sarebbe, infine, violato l'impegno assunto dallo Stato italiano,
in sede di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo (in
specie agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9) ad adottare «tutti i
provvedimenti appropriati affinche' il fanciullo sia effettivamente
tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate
dalla condizione sociale, dalle attivita', dalle opinioni professate
o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali e dei
suoi familiari» (art. 2), nonche' a tenere in considerazione
«l'interesse prevalente del minore» in tutte le decisioni relative ai
bambini (art. 3).
Pertanto, il Tribunale conclude dichiarando non manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate nei
confronti delle norme di cui agli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del
2004 e 250 cod. civ. la' dove, sistematicamente interpretate, non
consentono al nato nell'ambito di un progetto di procreazione
medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia di donne,
l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche della donna
che, insieme alla madre biologica, abbia prestato il consenso alla
pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere
all'adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente
l'interesse del minore.
Quanto alla rilevanza delle questioni, il Collegio rimettente
osserva che l'applicazione delle norme censurate e' evidentemente
ineliminabile nell'iter logico-giuridico che si deve percorrere per
la decisione. Solo l'accoglimento delle questioni consentirebbe di
accogliere le domande della ricorrente, laddove, in caso opposto,
l'attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto.
2.- Si e' costituita in giudizio la ricorrente nel giudizio
principale, chiedendo che le questioni sollevate con l'ordinanza del
Tribunale di Padova siano accolte.
In via preliminare, la difesa della ricorrente sottolinea che il
carattere additivo della questione di legittimita' costituzionale
sollevata non ne pregiudica l'ammissibilita', poiche' l'addizione
richiesta sarebbe a "rime obbligate".
Il vuoto di tutela potrebbe essere colmato solo nel modo indicato
dal rimettente, estendendo anche ai nati nell'ambito di un progetto
di PMA, praticata da una coppia di donne, quel che gia' le
disposizioni censurate garantiscono agli altri nati da fecondazione
assistita, ossia l'attribuzione dello status di figlio e il
riconoscimento della responsabilita' genitoriale di ambedue i
genitori, che siano tali per aver preso parte e aver consentito in
condivisione al progetto di procreazione, quando sia accertato
l'interesse del minore.
Cio' anche in considerazione dei limiti specifici derivanti dalla
disciplina dell'adozione in casi particolari, per cui e' necessario
l'assenso dei genitori biologici dell'adottando, perche' l'adottante
- che abbia instaurato un rapporto di coniugio o di convivenza con il
genitore biologico - e' soggetto terzo che tipicamente subentra in
una fase successiva al concepimento e alla nascita. Nel caso di
conflittualita', l'impossibilita' di superare il dissenso del
genitore biologico, ai sensi dell'art. 46 della legge sull'adozione,
rivelerebbe la necessita' di applicare direttamente la disciplina
generale di costituzione del rapporto di filiazione fuori dal
matrimonio, unico strumento di tutela dell'interesse del minore.
Nel merito, la difesa della ricorrente nel giudizio principale
sottolinea come non sia in discussione la legittimita' del divieto di
accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte
delle coppie formate da persone dello stesso sesso, su cui la Corte
si e' di recente pronunciata con la sentenza n. 221 del 2019, ma
esclusivamente l'irragionevole discriminazione operata nei confronti
dei nati e concepiti da PMA per effetto di un progetto genitoriale
avviato e condotto a termine da due persone dello stesso sesso. Le
norme censurate, infatti, la' dove impediscono il riconoscimento del
legame fra nato e partner della coppia omosessuale femminile non
legata dal punto di vista biologico e genetico, non farebbero altro
che impedire l'adempimento dei doveri di cura da parte di entrambi i
genitori, prescritto dall'art. 30 Cost., sottraendo al minore una
figura che pure intende continuare ad assumersi i compiti insiti
nell'esercizio della responsabilita' genitoriale. La declaratoria di
illegittimita' costituzionale delle norme censurate mirerebbe a
impedire che le vicende personali che intercorrono nella coppia
(eterosessuale o omosessuale) possano compromettere la definizione
dello status di figlio e renderlo oggetto di contrattazione. La
discrezionalita' del legislatore e il favor da quest'ultimo espresso
per la famiglia tradizionale incontrerebbe, comunque, il limite degli
interessi dei minori e del divieto di scelte discriminatorie per
motivi di genere e orientamento sessuale. Tale limite sarebbe
superato, considerato, tra l'altro, che taluni orientamenti nazionali
e internazionali delle scienze psicologiche e cliniche evidenziano
l'assenza di pregiudizi per il benessere dei figli minori quando si
instaura un legame con due figure genitoriali dello stesso sesso.
3.- Si e' costituita in giudizio anche la madre biologica, parte
resistente nel giudizio a quo, e ha chiesto che le questioni di
legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova siano
dichiarate inammissibili.
La difesa della parte resistente ritiene che il riconoscimento
del minore concepito mediante PMA di tipo eterologo, da parte di una
donna legata affettivamente, in quel momento, a quella che lo ha
partorito, ma non avente alcun legame biologico con lo stesso, si
ponga in contrasto con l'art. 5 della legge n. 40 del 2004, e con
l'esclusione del ricorso a tali tecniche da parte di coppie
omosessuali, riconosciuto non illegittimo dalla sentenza di questa
Corte n. 221 del 2019, non essendo consentita, al di fuori dei casi
previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialita'
svincolate dal rapporto biologico. Non sarebbe, quindi, possibile
desumere dall'art. 9 della legge n. 40 del 2004 un principio generale
secondo cui, ai fini dell'instaurazione del rapporto di filiazione,
puo' considerarsi sufficiente il mero dato volontaristico o
intenzionale rappresentato dal consenso prestato alla procreazione
medicalmente assistita o comunque dall'adesione a un comune progetto
genitoriale.
L'intera disciplina del rapporto di filiazione, cosi' come
delineata dal codice civile, sarebbe tuttora saldamente ancorata al
rapporto biologico tra il nato e i genitori, la cui esclusione
richiederebbe, a pena di inevitabili squilibri, radicali modifiche di
sistema, non realizzabili attraverso un intervento episodico del
giudice. La stessa Corte costituzionale - prosegue la difesa della
resistente - pur avendo posto in risalto la liberta' e la
volontarieta' dell'atto che consente di diventare genitori, ne ha
riconosciuto il necessario bilanciamento, da demandare al
legislatore, con altri valori costituzionalmente protetti.
La difesa della parte resistente nel giudizio principale esclude,
inoltre, che sia ravvisabile un contrasto, sul punto, con la
giurisprudenza della Corte EDU, che ha ritenuto non sussistente la
violazione del diritto al rispetto della vita familiare del minore a
causa del mancato riconoscimento del rapporto di filiazione, ove sia
assicurata in concreto la possibilita' di condurre un'esistenza
paragonabile a quella delle altre famiglie. Una simile violazione non
sarebbe configurabile nel caso di specie, in cui non e' in
discussione il rapporto di filiazione con il genitore biologico, ma
solo quello con il genitore d'intenzione, il cui mancato
riconoscimento non precluderebbe al minore l'inserimento nel nucleo
familiare della coppia genitoriale, ne' l'accesso al trattamento
giuridico ricollegabile allo status filiationis, pacificamente
riconosciuto nei confronti dell'altro genitore.
Nessun contrasto si ravviserebbe con il riconoscimento
dell'efficacia nel nostro ordinamento dell'atto di nascita formato
all'estero, da cui risulti che il nato, concepito con il ricorso a
tecniche di PMA, e' figlio di due persone dello stesso sesso,
ancorche' una di esse non abbia alcun rapporto biologico con il
minore. Il riconoscimento dell'atto di nascita straniero non farebbe
venir meno l'estraneita' dello stesso all'ordinamento italiano, che
si limiterebbe a consentire la produzione dei relativi effetti, cosi'
come previsti e regolati dall'ordinamento di provenienza, nei limiti
del rispetto dell'ordine pubblico, inteso quale insieme dei valori
fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico.
4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che chiede che le questioni vengano dichiarate inammissibili.
Anzitutto, la difesa statale ritiene che il rimettente si limiti
a censurare l'inerzia del legislatore, in una materia in cui
quest'ultimo dispone di un ampio ambito di discrezionalita', mentre
questa Corte non avrebbe gli strumenti per imporre al legislatore di
attivarsi.
L'addizione richiesta dal rimettente non sarebbe, pertanto,
costituzionalmente necessaria.
Inoltre, l'ostacolo all'interpretazione estensiva degli artt. 8 e
9 della legge n. 40 del 2004, che consenta il riconoscimento dello
status di figlio del nato da PMA, praticata da coppie dello stesso
sesso, sarebbe rinvenibile non gia' nelle norme citate e censurate,
quanto piuttosto negli artt. 4 e 5 della medesima legge, non
censurati.
Infine, tutte le argomentazioni svolte a sostegno delle questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova
sarebbero prive di rilevanza, in quanto non sarebbe stato fatto
valere in giudizio il diritto delle minori a ottenere il
riconoscimento da parte del secondo genitore, quanto piuttosto il
diritto della madre intenzionale a essere considerata genitore legale
delle minori, come emergerebbe dalla circostanza che le minori non
risultano essere parti del giudizio.
5.- Ai sensi dell'art. 4-ter delle Norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale sono state depositate tre
opinioni scritte, a titolo di amici curiae.
Con decreto presidenziale del 3 dicembre 2020, sono state ammesse
- perche' conformi ai criteri previsti al citato art. 4-ter delle
Norme integrative - le opinioni scritte del "Centro Studi Rosario
Livatino" e della "Avvocatura per i diritti LGBTI - Associazione di
promozione sociale".
Il Centro Studi Rosario Livatino chiede che la Corte dichiari
manifestamente infondate le questioni sollevate dal Tribunale di
Padova. L'accoglimento delle questioni introdurrebbe una
genitorialita' omosessuale fondata su uno status filiationis pieno
anche nei confronti del genitore non biologico, che priverebbe il
minore di ogni diritto verso il genitore biologico di sesso diverso
dall'altro, rispetto al quale la filiazione resterebbe sempre
accertabile, eludendosi, inoltre, la necessita' dell'assenso del
genitore biologico esercente la responsabilita'.
L'Avvocatura per i diritti LGBTI auspica che questa Corte
individui una soluzione in linea con la giurisprudenza di Corti
costituzionali straniere, ampiamente illustrata nell'opinione
scritta, al fine di offrire adeguata tutela al nato, reputando
applicabile l'art. 8 della legge n. 40 del 2004, o accogliendo la
questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale di
Padova. Il consenso alla PMA - espresso all'estero da due donne in
forme equivalenti a quelle previste dall'art. 6 della medesima legge
n. 40 del 2004 - sarebbe idoneo e sufficiente all'assunzione della
responsabilita' genitoriale rispetto al nato in Italia, dal momento
che l'art. 8 della citata legge tutela il nato a prescindere dalle
concrete condotte di chi lo ha voluto.
6.- All'udienza pubblica le parti e la difesa statale hanno
insistito per l'accoglimento delle conclusioni formulate nelle
memorie scritte.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Padova dubita della legittimita'
costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40
(Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e 250 del
codice civile, in quanto, sistematicamente interpretati, non
consentirebbero al nato nell'ambito di un progetto di procreazione
medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia dello
stesso sesso, l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto
anche dalla madre intenzionale che abbia prestato il consenso alla
pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere
all'adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente
l'interesse del minore.
Secondo il rimettente, le citate disposizioni garantirebbero il
riconoscimento del legame di filiazione del nato, a seguito del
ricorso a tecniche di PMA eterologa, nei confronti di entrambi i
soggetti che hanno prestato il consenso e che si sono,
conseguentemente, assunti la responsabilita' genitoriale, solo ove
tali soggetti rientrino fra coloro che hanno potuto accedere a una
tale tecnica procreativa ai sensi dell'art. 5 della medesima legge n.
40 del 2004 e cioe' solo ove siano di sesso diverso.
Pertanto, esse lascerebbero privo di tutela l'interesse del
minore, nato a seguito di fecondazione assistita praticata da due
donne, al riconoscimento del rapporto di filiazione con la madre
intenzionale, non essendovi nella fattispecie in esame neppure le
condizioni per procedere all'adozione in casi particolari, di cui
all'art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184
(Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), a causa del
mancato assenso del genitore biologico-legale, previsto quale
condizione insuperabile (art. 46).
Tale vuoto di tutela esorbiterebbe dal margine di
discrezionalita' riservata in tale materia al legislatore e
determinerebbe la violazione di una serie di diritti e interessi
costituzionalmente e convenzionalmente garantiti.
Anzitutto, sarebbe violato il diritto del nato a far valere, nei
confronti delle due persone, pur dello stesso sesso, che si sono
comunque assunte la responsabilita' della procreazione, i propri
diritti al mantenimento, all'educazione, all'istruzione, ma anche i
diritti successori, soprattutto in caso di inadempimento e di crisi
della coppia, in contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma,
Cost., quest'ultimo, in specie, in relazione all'art. 8 CEDU. Si
profilerebbe - in linea con la giurisprudenza della Corte EDU - una
grave lesione del diritto alla vita privata del bambino, cui sia
impedito il riconoscimento del legame con la madre intenzionale,
lasciandolo cosi' esposto a una situazione di incertezza giuridica
nelle relazioni sociali, quanto alla sua identita' personale.
Si realizzerebbe, in tal modo, una ingiustificata disparita' di
trattamento sia rispetto ai nati da PMA praticata da coppia
eterosessuale, sia rispetto ai nati da PMA praticata da coppie dello
stesso sesso, che possano accedere all'adozione in casi particolari,
in virtu' del consenso prestato dalla madre biologica. In mancanza di
tale assenso, i nati a seguito di PMA eterologa praticata da coppie
dello stesso sesso sarebbero destinati perennemente a uno stato di
figli con un solo genitore, non riconoscibili dall'altra persona che
ha intenzionalmente contribuito al progetto procreativo. Essi si
troverebbero in una situazione giuridica deteriore rispetto a quella
di tutti gli altri nati (compresi i nati da rapporto incestuoso), per
il solo fatto dell'orientamento sessuale delle persone che hanno
condiviso la scelta di procreare con ricorso alle tecniche citate, in
violazione dell'art. 3 e dell'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 14 CEDU.
Un tale vuoto di tutela entrerebbe in contrasto con l'impegno
assunto dallo Stato italiano, in sede di ratifica della Convenzione
sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 (in
specie agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9), volto a considerare
«l'interesse prevalente del minore» in tutte le decisioni relative ai
bambini (art. 3) e, comunque, ad adottare «tutti i provvedimenti
appropriati affinche' il fanciullo sia effettivamente tutelato contro
ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione
sociale, dalle attivita', dalle opinioni professate o convinzioni dei
suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari»
(art. 2).
2.- In linea preliminare, occorre esaminare le eccezioni di
inammissibilita' sollevate dalla difesa statale.
2.1.- L'Avvocatura generale dello Stato ritiene che le questioni
sollevate dal Tribunale di Padova siano prive di rilevanza. Nella
specie, non sarebbe fatto valere nel giudizio principale il diritto
delle minori a essere riconosciute quali figlie di entrambe le madri,
ma la pretesa della ricorrente di essere riconosciuta genitore
legale. Cio' sarebbe dimostrato dalla circostanza che la convenuta,
madre biologica delle minori, non sarebbe stata citata in giudizio
come esercente la responsabilita' genitoriale sulle minori e il
Tribunale non ha ritenuto di disporre l'integrazione del
contraddittorio nei confronti delle stesse. Non sarebbe, quindi,
chiara la fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale, tanto da
non consentire di comprendere l'individuazione delle norme censurate,
quali norme applicabili nel giudizio principale.
2.1.1.- L'eccezione e' priva di fondamento.
Nell'ordinanza di rimessione emerge chiaramente che le domande,
proposte nel giudizio principale dalla ricorrente sulla base degli
artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, oltre che, in subordine,
dell'art. 250 cod. civ., mirano alla tutela delle minori, proprio
perche' volte a consentire l'esercizio della responsabilita'
genitoriale nei confronti delle stesse anche da parte della madre
intenzionale, in virtu' del riconoscimento formale dello status di
figlie dalla stessa auspicato. Il rimettente chiarisce che si tratta
di una richiesta orientata a garantire stabilita' nel rapporto
genitoriale, impostato in modo continuativo fin dalla nascita delle
bambine e tale da non arrecare pregiudizio alle stesse. Si fa
riferimento all'intervento, pur infruttuoso, del Tribunale per i
minorenni, a seguito della brusca interruzione di contatti regolari,
causata dalla madre biologica, con l'insorgere di una situazione
conflittuale all'interno della coppia, di ogni rapporto tra le
medesime minori e la madre intenzionale, nonostante il consolidato
legame affettivo fra le stesse.
Il riconoscimento dello status di figlio, oggetto delle norme
censurate, corrisponde, secondo l'art. 30 Cost., al dovere di cura
del genitore che e', al contempo, garanzia del diritto del minore di
essere curato. Tanto basta per ritenere che gli argomenti del
rimettente non siano implausibili nell'individuare come oggetto del
giudizio che lo occupa il diritto delle minori a essere riconosciute
figlie di entrambe le madri, in linea con l'indirizzo costante di
questa Corte, che, nel delibare l'ammissibilita' della questione,
«effettua in ordine alla rilevanza solo un controllo "esterno",
applicando un parametro di non implausibilita' della relativa
motivazione» (sentenza n. 267 del 2020; nello stesso senso, sentenze
n. 224 e n. 32 del 2020).
2.2.- La difesa statale eccepisce, inoltre, l'inammissibilita'
delle questioni per aberratio ictus.
L'ostacolo giuridico all'accoglimento della domanda della
ricorrente nel giudizio principale, volta al riconoscimento dello
status di figlie nei confronti delle bambine nate a seguito di PMA
eterologa praticata da una coppia di donne, risiederebbe non gia'
nelle disposizioni censurate, ma nelle norme della medesima legge n.
40 del 2004 che fissano i limiti all'accesso alla PMA eterologa,
contenute negli artt. 4 e 5 della legge n. 40 del 2004, non oggetto
di censure.
2.2.1.- Anche questa eccezione e' priva di fondamento.
Il rimettente premette che la domanda proposta, in prima istanza,
dalla ricorrente e' proprio quella di riconoscere lo status di figlie
delle minori, applicando estensivamente gli artt. 8 e 9 della legge
n. 40 del 2004, muovendo dal loro tenore letterale. L'art. 8,
infatti, si limita a stabilire che i nati a seguito dell'applicazione
delle tecniche di procreazione medicalmente assistita «hanno lo stato
di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti dalla coppia che
ha espresso la volonta' di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi
dell'art. 6», il che vuol dire prestando il consenso informato.
L'art. 9, inoltre, sanciva il divieto del disconoscimento della
paternita' e di impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicita' nel caso di fecondazione eterologa, anche quando
quest'ultima non era ancora consentita (prima dell'intervento di
questa Corte con la sentenza n. 162 del 2014).
Il Tribunale di Padova, tuttavia, afferma di non poter accogliere
l'istanza della ricorrente, ritenendo che l'ambito di applicazione
delle citate disposizioni, sulla base dell'interpretazione
sistematica e logica delle stesse e a seguito della sentenza n. 237
del 2019 di questa Corte, sia implicitamente limitato ai nati da PMA
eterologa praticata da coppie di sesso diverso, in base a quanto
previsto dall'art. 5 della medesima legge n. 40 del 2004.
Il rimettente, pero', rileva che, sebbene la fecondazione
eterologa fra coppie dello stesso sesso non sia consentita in Italia
per una scelta del legislatore non costituzionalmente censurabile
(sentenza n. 221 del 2019), essa e' comunque praticata e praticabile
in altri Paesi. I nati a seguito del ricorso a queste tecniche sono,
dunque, titolari di diritti, indipendentemente dalle modalita' del
loro concepimento.
Il rimettente non contesta la legittimita' costituzionale dei
limiti posti alle coppie omosessuali nell'accesso alla PMA. Denuncia,
piuttosto, l'illegittimita' costituzionale della compressione dei
diritti dei nati, su cui si farebbe ricadere la responsabilita'
inerente all'illiceita' delle tecniche adottate nella procreazione.
Poiche' «ricorre l'inammissibilita' delle questioni per aberratio
ictus solo ove sia erroneamente individuata la norma in riferimento
alla quale sono formulate le censure di illegittimita'
costituzionale» (sentenza n. 224 del 2020), si deve ritenere che
questo non accada nel caso qui esaminato.
Il Collegio rimettente correttamente censura gli artt. 8 e 9
della legge n. 40 del 2004, poiche' da essi si desume
l'impossibilita' di riconoscere lo status di figli ai nati da PMA
eterologa, praticata da una coppia di donne, e da essi si fa
discendere il vuoto di tutela, quando si manifesta il dissenso della
madre biologica all'accesso della madre intenzionale all'adozione in
casi particolari, con conseguente pretesa lesione degli indicati
parametri costituzionali.
2.3.- Gli argomenti appena richiamati inducono a escludere un
ulteriore profilo - pur non eccepito - di inammissibilita', inerente
alla mancata sperimentazione dell'interpretazione costituzionalmente
orientata delle disposizioni censurate, auspicata dalla ricorrente
nel giudizio principale.
2.3.1.- Come gia' sottolineato, il Collegio rimettente muove
dalla verifica della possibilita' di un'interpretazione dei citati
artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, che consenta di assicurare la
tutela dei nati a seguito del ricorso a tecniche di PMA eterologa da
parte di due donne, effettuato all'estero, riconoscendo loro lo
status di figli di entrambe. La ritiene, tuttavia, impraticabile
muovendo da un'interpretazione sistematica e logica, poiche' «allo
stato della legislazione, il requisito soggettivo della diversita' di
sesso per accedere alla procreazione medicalmente assistita»,
prescritto dall'art. 5 della legge n. 40 del 2004, ma anche «letto
[...] in relazione alle norme del codice civile sulla filiazione,
esclude l'opzione ermeneutica proposta dalla ricorrente».
L'interpretazione accolta dal Collegio rimettente, peraltro, e'
stata successivamente confermata dalla giurisprudenza di legittimita'
(Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 aprile 2020,
n. 8029, e sentenza 3 aprile 2020, n. 7668). Alcune pronunce di
merito l'hanno, invece, disattesa, proprio in considerazione della
preminente esigenza, costituzionalmente garantita, «di tutelare la
condizione giuridica del nato, conferendogli, da principio, certezza
e stabilita'», tenendo distinta la questione relativa allo stato del
figlio da quella inerente alla liceita' della tecnica prescelta per
farlo nascere (fra gli altri, Tribunale di Brescia, decreto 11
novembre 2020, Tribunale di Cagliari, sentenza n. 1146 del 28 aprile
2020. In termini analoghi, Corte d'appello di Roma, decreto 27 aprile
2020).
In ogni caso, l'interpretazione costituzionalmente orientata
della normativa denunciata e' stata esplorata e consapevolmente
scartata dal Collegio rimettente, «il che basta ai fini
dell'ammissibilita' della questione (sentenza n. 189 del 2019)»
(sentenza n. 32 del 2020).
2.4.- La difesa statale eccepisce, infine, che le questioni
sollevate dal Tribunale di Padova siano inammissibili, poiche' le
integrazioni alla disciplina vigente, richieste dal giudice a quo,
sarebbero protese a colmare un vuoto di tutela in una materia
caratterizzata da ampia discrezionalita' del legislatore.
2.4.1.- L'eccezione e' fondata nei termini di seguito precisati.
2.4.1.1.- In epoca antecedente all'adozione della legge n. 40 del
2004, in relazione a una questione inerente alla tutela dello status
filiationis del concepito tramite fecondazione eterologa, ancora non
disciplinata, questa Corte ha evidenziato «una situazione di carenza
dell'attuale ordinamento, con implicazioni costituzionali» (sentenza
n. 347 del 1998). Senza addentrarsi nel valutare la legittimita' di
quella tecnica, e' stata in quell'occasione espressa l'urgenza di
individuare idonei strumenti di tutela del nato a seguito di
fecondazione assistita, «non solo in relazione ai diritti e ai doveri
previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31
della Costituzione, ma ancor prima - in base all'art. 2 della
Costituzione - ai suoi diritti nei confronti di chi si sia
liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative
responsabilita': diritti che e' compito del legislatore specificare»
(sentenza n. 347 del 1998).
Gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 stanno a dimostrare
che, nell'ascoltare quel monito, il legislatore ha inteso definire lo
status di figlio del nato da PMA anche eterologa, ancor prima che
fosse dichiarata l'illegittimita' costituzionale del relativo divieto
(sentenza n. 162 del 2014). Nel fondare un progetto genitoriale
comune, i soggetti maggiorenni che, all'interno di coppie di sesso
diverso, coniugate o conviventi, avessero consensualmente fatto
ricorso a PMA (art. 5 della legge n. 40 del 2004), divenivano, per
cio' stesso, responsabili nei confronti dei nati, destinatari
naturali dei doveri di cura, pur in assenza di un legame biologico.
L'evoluzione dell'ordinamento, del resto, muovendo dalla nozione
tradizionale di famiglia, ha progressivamente riconosciuto - e questa
Corte lo ha evidenziato - rilievo giuridico alla genitorialita'
sociale, ove non coincidente con quella biologica (sentenza n. 272
del 2017), tenuto conto che «il dato della provenienza genetica non
costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa»
(sentenza n. 162 del 2014).
L'art. 9 della legge n. 40 del 2004, nel valorizzare, rispetto al
favor veritatis, il consenso alla genitorialita' e l'assunzione della
conseguente responsabilita' nell'ambito di una formazione sociale
idonea ad accogliere il minore - come questa Corte ha rimarcato -
«dimostra la volonta' di tutelare gli interessi del figlio»,
garantendo «il consolidamento in capo al figlio di una propria
identita' affettiva, relazionale, sociale, da cui deriva l'interesse
a mantenere il legame genitoriale acquisito, anche eventualmente in
contrasto con la verita' biologica della procreazione» (sentenza n.
127 del 2020).
A questo intervento del legislatore hanno fatto seguito, in
progressione armonica, le modifiche successivamente apportate dal
decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo
2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219) in tema di filiazione. Al
centro si pongono i diritti del minore: «crescere in famiglia e [...]
mantenere rapporti significativi con i parenti» (art. 315-bis cod.
civ.); «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno
dei genitori, [...] ricevere cura, educazione, istruzione e
assistenza morale da entrambi» (art. 337-ter cod. civ.).
Parallelamente, al posto dell'originario istituto della potesta'
genitoriale si introduce la responsabilita' genitoriale (art. 316
cod. civ.), che recepisce l'indicazione dell'art. 30 Cost., nella
formula sintetica, gia' da tempo espressamente individuata da questa
Corte, volta a "tradurre" «gli obblighi di mantenimento ed educazione
della prole, derivanti dalla qualita' di genitore» (sentenza n. 308
del 2008; nello stesso senso sentenza n. 394 del 2005). L'evoluzione
dell'ordinamento segna dunque un'ancor piu' accentuata consonanza con
i diritti sanciti nella Costituzione.
Inoltre, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, all'art. 24, comma 2, si afferma che
e' "preminente" la considerazione dell'interesse del minore in tutti
gli atti che lo riguardano. In questa direzione, proprio con
riferimento a tale disposizione, si e' orientata anche la Corte di
giustizia dell'Unione europea, che ha affermato il diritto dei figli
di mantenere relazioni regolari e contatti diretti con entrambi i
genitori, se questo corrisponde al loro interesse (sentenza 5 ottobre
2010, in causa C-400/10 PPU, J. McB.).
2.4.1.2.- Come questa Corte ha gia' ricordato (sentenza n. 102
del 2020), il principio posto a tutela del miglior interesse del
minore si afferma nell'ambito degli strumenti internazionali dei
diritti umani, in specie nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui
diritti del fanciullo del 1959 (principio 2), in cui si prevede che,
nell'approvazione di leggi e nell'adozione di tutti i provvedimenti
che incidano sulla condizione del minore, ai best interests of the
child deve attribuirsi rilievo determinante ("paramount
consideration"). Successivamente esso e' ribadito nella Convenzione
sui diritti del fanciullo, in cui, all'art. 3, paragrafo 1, si fa
menzione del rilievo preminente ("primary consideration") da
riservare agli interessi del minore.
Pur in assenza di una espressa base testuale riferita al minore,
la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ricondotto all'art. 8,
spesso in combinato disposto con l'art. 14 CEDU, l'affermazione che i
diritti alla vita privata e familiare del fanciullo devono costituire
un elemento determinante di valutazione («the child's rights must be
the paramount consideration»: Corte EDU, sezione seconda, sentenza 5
novembre 2002, Yousef contro Paesi Bassi; sezione prima, sentenza 28
giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo, paragrafo 133:
«Bearing in mind that the best interests of the child are paramount
in such a case»; grande camera, sentenza del 26 novembre 2013, X
contro Lettonia, paragrafo 95: «the best interests of the child must
be of primary consideration»).
Questa e' la prospettiva prescelta dalla Corte EDU per
riconoscere la permanenza e la stabilita' dei legami che si
instaurano tra il bambino e la sua famiglia e per salvaguardare il
suo diritto a beneficiare di relazioni e contatto continuativo con
entrambi i genitori (Corte EDU, grande camera, sentenza 10 settembre
2019, Strand Lobben e altri contro Norvegia, paragrafo 202). A meno
che un distacco si renda necessario nel suo superiore interesse, di
volta in volta rimesso alla valutazione del giudice, il minore non
deve essere separato dai genitori contro la sua volonta' (Corte EDU,
grande camera, sentenza 10 settembre 2019, Strand Lobben e altri
contro Norvegia, paragrafo 207). Incombe, infatti, sugli Stati
aderenti alla Convenzione di New York (art. 9, paragrafo 1) l'obbligo
di rendere effettivi tali diritti e di garantire (art. 9, paragrafo
3) la stabilita' dei legami e delle relazioni del minore in
riferimento a tutte le persone con cui quest'ultimo abbia instaurato
un rapporto personale stretto, pur in assenza di un legame biologico
(«persons with whom the child has had strong personal relationships»:
cosi' il paragrafo 64 del General Comment No. 14 (2013) on the right
of the child to have his or her best interests taken as a primary
consideration (art. 3, para. 1), adottato dal Comitato sui diritti
del fanciullo il 29 maggio 2013, CRC/C/GC/14; una simile affermazione
anche nel paragrafo 60 dello stesso documento) a meno che cio' non
sia contrario ai suoi superiori interessi.
La Corte EDU ha ripetutamente ricondotto all'art. 8 CEDU la
garanzia di legami affettivi stabili con chi, indipendentemente dal
vincolo biologico, abbia in concreto svolto una funzione genitoriale,
prendendosi cura del minore per un lasso di tempo sufficientemente
ampio (Corte EDU, sezione prima, sentenza del 16 luglio 2015,
Nazarenko contro Russia, paragrafo 66). Ha inoltre assimilato al
rapporto di filiazione il legame esistente tra la madre d'intenzione
e la figlia nata per procreazione assistita, cui si era sottoposta
l'allora partner (legame che «tient donc, de facto, du lien
parent-enfant»), coerentemente con la nozione di "vita familiare" di
cui al medesimo art. 8 CEDU (Corte EDU, sezione quinta, sentenza 12
novembre 2020, Honner contro Francia, paragrafo 51).
La considerazione che la tutela del preminente interesse del
minore comprende la garanzia del suo diritto all'identita' affettiva,
relazionale, sociale, fondato sulla stabilita' dei rapporti familiari
e di cura e sul loro riconoscimento giuridico e', inoltre, al centro
delle stesse pronunce "gemelle" (Corte EDU, sezione quinta, sentenze
26 giugno 2014, Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia),
richiamate dall'odierno rimettente. In esse la Corte EDU ha ravvisato
la violazione del diritto alla vita privata del minore nel mancato
riconoscimento del legame di filiazione tra lo stesso, concepito
all'estero ricorrendo alla specifica tecnica della surrogazione di
maternita', e i genitori intenzionali, proprio in considerazione
dell'incidenza del rapporto di filiazione sulla costruzione
dell'identita' personale (Corte EDU, sezione quinta, sentenze 26
giugno 2014, Mennesson contro Francia, paragrafo 96, e Labassee
contro Francia, paragrafo 75).
Tale indirizzo - confermato da successive pronunce (fra le altre,
Corte EDU, sezione quinta, sentenza 16 luglio 2020, D. contro
Francia) che hanno richiamato il parere consultivo reso, ai sensi del
Protocollo n. 16, dalla Corte EDU, grande camera, il 10 aprile 2019,
relativo al riconoscimento nel diritto interno di un rapporto di
filiazione tra un minore nato da una gestazione per altri effettuata
all'estero e la madre intenzionale, richiesto dalla Corte di
cassazione francese - fonda proprio nell'art. 8 CEDU l'obbligo degli
Stati di prevedere il riconoscimento legale del legame di filiazione
tra il minore e i genitori intenzionali. Pur lasciando agli stessi un
margine di discrezionalita' circa i mezzi da adottare - fra cui anche
l'adozione - per pervenire a tale riconoscimento, li vincola alla
condizione che essi siano idonei a garantire la tutela dei diritti
dei minori in maniera piena. Se il rapporto di filiazione e' gia'
diventato una «realta' pratica», la procedura prevista per il
riconoscimento deve essere «attuata in modo tempestivo ed efficace».
L'identita' del minore e' dunque incisa quale componente della
sua vita pivata, identita' che il legame di filiazione rafforza in
modo significativo.
Tutte queste precisazioni aggiungono chiarezza al riscontro che
la Corte EDU opera di ogni elemento volto a rafforzare la tutela dei
minori dentro un perimetro di diritti concretamente azionabili, che
si traducono in altrettanti obblighi degli Stati a intervenire se la
tutela non e' effettiva.
2.4.1.3.- Le norme oggetto delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova riguardano, come si
e' detto, la condizione di nati a seguito di PMA eterologa praticata
in un altro paese, in conformita' alla legge dello stesso, da una
donna, che aveva intenzionalmente condiviso il progetto genitoriale
con un'altra donna e, per un lasso di tempo sufficientemente ampio,
esercitato le funzioni genitoriali congiuntamente, dando vita con le
figlie minori a una comunita' di affetti e di cure. La circostanza
che ha indotto la madre biologica a recidere un tale legame nei
confronti della madre intenzionale, coincidente con il manifestarsi
di situazioni conflittuali all'interno della coppia, ha reso affatto
evidente un vuoto di tutela. Pur in presenza di un rapporto di
filiazione effettivo, consolidatosi nella pratica della vita
quotidiana con la medesima madre intenzionale, nessuno strumento puo'
essere utilmente adoprato per far valere i diritti delle minori: il
mantenimento, la cura, l'educazione, l'istruzione, la successione e,
piu' semplicemente, la continuita' e il conforto di abitudini
condivise.
L'elusione del limite stabilito dall'art. 5 della legge n. 40 del
2004, come gia' detto, non evoca scenari di contrasto con principi e
valori costituzionali. Questa Corte ha gia' avuto occasione di
affermare, in linea con la giurisprudenza di legittimita' in materia
di accesso alla PMA, che, da un lato, non e' configurabile un divieto
costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, pur
spettando alla discrezionalita' del legislatore la relativa
disciplina; dall'altro, «non esistono neppure certezze scientifiche o
dati di esperienza in ordine al fatto che l'inserimento del figlio in
una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni
negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalita' del
minore» (sentenza n. 221 del 2019).
Al contrario, la concomitanza degli eventi prima descritti, svela
una preoccupante lacuna dell'ordinamento nel garantire tutela ai
minori e ai loro migliori interessi, a fronte di quanto in forte
sintonia affermato dalla giurisprudenza delle due corti europee,
oltre che dalla giurisprudenza costituzionale, come necessaria
permanenza dei legami affettivi e familiari, anche se non biologici,
e riconoscimento giuridico degli stessi, al fine di conferire
certezza nella costruzione dell'identita' personale.
Nell'escludere l'esistenza di un diritto alla genitorialita'
delle coppie dello stesso sesso, questa Corte (sentenza n. 230 del
2020) ha lasciato emergere un profilo speculare, direttamente
inerente alla tutela del miglior interesse del minore, nato a seguito
di PMA praticata da due donne. Pur richiamando gli approdi della
giurisprudenza di legittimita', che, al fine di evitare un vulnus, ha
ritenuto applicabile l'adozione cosiddetta non legittimante in base a
un'interpretazione estensiva dell'art. 44, comma 1, lettera d), della
legge n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del
genitore biologico del minore, questa Corte ha preannunciato
l'urgenza di una «diversa tutela del miglior interesse del minore, in
direzione di piu' penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo
rapporto con la "madre intenzionale", che ne attenui il divario tra
realta' fattuale e realta' legale», invocando l'intervento del
legislatore.
Le questioni sollevate dal Tribunale di Padova confermano, in
modo ancor piu' incisivo, l'impellenza di tale intervento. Esse
rivelano in maniera tangibile l'insufficienza del ricorso
all'adozione in casi particolari, per come attualmente regolato,
tant'e' che nello specifico caso e' resa impraticabile proprio nelle
situazioni piu' delicate per il benessere del minore, quali sono,
indubitabilmente, la crisi della coppia e la negazione dell'assenso
da parte del genitore biologico/legale, reso necessario dall'art. 46
della medesima legge n. 184 del 1983. La previsione di tale
necessario assenso, d'altro canto, si lega alle caratteristiche
peculiari dell'adozione in casi particolari, che opera in ipotesi
tipiche e circoscritte, producendo effetti limitati, visto che non
conferisce al minore lo status di figlio legittimo dell'adottante,
non assicura la creazione di un rapporto di parentela tra l'adottato
e la famiglia dell'adottante (considerata l'incerta incidenza della
modifica dell'art. 74 cod. civ. operata dall'art. 1, comma 1, della
legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in materia di
riconoscimento dei figli naturali») e non interrompe i rapporti con
la famiglia d'origine.
Da quanto detto risulta evidente che i nati a seguito di PMA
eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore
rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione
dell'orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il
progetto procreativo. Essi, destinati a restare incardinati nel
rapporto con un solo genitore, proprio perche' non riconoscibili
dall'altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono
gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi.
La loro condizione rivela caratteri solo in parte assimilabili a
un'altra categoria di nati cui, per molti anni, e' stato precluso il
riconoscimento dello status di figli (i cosiddetti figli incestuosi),
destinatari di limitate forme di tutela, a causa della condotta dei
genitori. Cio' ha indotto questa Corte a ravvisare una «capitis
deminutio perpetua e irrimediabile», lesiva del diritto al
riconoscimento formale di un proprio status filiationis, che e'
«elemento costitutivo dell'identita' personale, protetta, oltre che
dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo,
dall'art. 2 della Costituzione», e in contrasto con il principio
costituzionale di eguaglianza (sentenza n. 494 del 2002).
2.4.1.4.- Al riscontrato vuoto di tutela dell'interesse del
minore, che ha pieno riscontro nei richiamati principi
costituzionali, questa Corte ritiene di non poter ora porre rimedio.
Serve, ancora una volta, attirare su questa materia eticamente
sensibile l'attenzione del legislatore, al fine di individuare, come
gia' auspicato in passato, un «ragionevole punto di equilibrio tra i
diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignita'
della persona umana» (sentenza n. 347 del 1998). Un intervento
puntuale di questa Corte rischierebbe di generare disarmonie nel
sistema complessivamente considerato.
Il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalita', dovra'
al piu' presto colmare il denunciato vuoto di tutela, a fronte di
incomprimibili diritti dei minori. Si auspica una disciplina della
materia che, in maniera organica, individui le modalita' piu' congrue
di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da
PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della
madre intenzionale.
In via esemplificativa, puo' trattarsi di una riscrittura delle
previsioni in materia di riconoscimento, ovvero dell'introduzione di
una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura
tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla
filiazione. Solo un intervento del legislatore, che disciplini in
modo organico la condizione dei nati da PMA da coppie dello stesso
sesso, consentirebbe di ovviare alla frammentarieta' e alla scarsa
idoneita' degli strumenti normativi ora impiegati per tutelare il
"miglior interesse del minore". Esso, inoltre, eviterebbe le
"disarmonie" che potrebbero prodursi per effetto di un intervento
mirato solo a risolvere il problema specificamente sottoposto
all'attenzione di questa Corte. Come nel caso in cui si preveda, per
il nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, il
riconoscimento dello status di figlio, in caso di crisi della coppia
e rifiuto dell'assenso all'adozione in casi particolari, laddove,
invece, lo status - meno pieno e garantito - di figlio adottivo, ai
sensi dell'art. 44 della legge n. 184 del 1983, verrebbe a essere
riconosciuto nel caso di accordo e quindi di assenso della madre
biologica alla adozione. Il terreno aperto all'intervento del
legislatore e' dunque assai vasto e le misure necessarie a colmare il
vuoto di tutela dei minori sono differenziate e fra se' sinergiche.
Nel dichiarare l'inammissibilita' della questione ora esaminata,
per il rispetto dovuto alla prioritaria valutazione del legislatore
circa la congruita' dei mezzi adatti a raggiungere un fine
costituzionalmente necessario, questa Corte non puo' esimersi
dall'affermare che non sarebbe piu' tollerabile il protrarsi
dell'inerzia legislativa, tanto e' grave il vuoto di tutela del
preminente interesse del minore, riscontrato in questa pronuncia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40
(Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e 250 del
codice civile, sollevate - in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt.
2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo,
firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva
con legge 27 maggio 1991, n. 176, e agli artt. 8 e 14 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - dal
Tribunale ordinario di Padova, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
