VIOLAZIONE DELLA COMPETENZA DEL TRIBUNALE DEI MINORENNI: rilevabilità della nullità della sentenza.
CORTE COSTITUZIONALE 23 novembre 2021 – 13 gennaio 2022 SENTENZA N. 2
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Esecuzione penale - Sentenza di merito passata in giudicato derivante dalla violazione della competenza funzionale del tribunale per i minorenni - Possibilita', per il giudice dell'esecuzione, di rilevare la nullita' - Omessa previsione - Denunciata irragionevolezza, violazione del principio, anche internazionale, di tutela del minore, di inviolabilita' della liberta' personale, dei criteri costituzionali e convenzionali di legalita' della detenzione e del principio del giudice naturale - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. - Codice di procedura penale, art. 670. - Costituzione, artt. 3, 10, 13, 25, primo comma, e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 5, paragrafi 1, lettera a), e 4.
(GU n.3 del 19-1-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 670 del
codice di procedura penale promosso dal Tribunale ordinario di
Bologna, seconda sezione penale, in funzione di giudice
dell'esecuzione, nel procedimento penale a carico di A. S., con
ordinanza del 9 febbraio 2021, iscritta al n. 61 del registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2021.
Visti l'atto di costituzione di A. S., nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 novembre 2021 il Giudice
relatore Francesco Vigano';
uditi l'avvocato Maila Catani per A. S. e l'avvocato dello Stato
Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario
di Bologna, sezione seconda penale, in funzione di giudice
dell'esecuzione, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 670 del codice di procedura penale, in
riferimento agli artt. 3, 10, 13, 25, primo comma, e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 5,
paragrafi 1, lettera a), e 4, della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo (CEDU), «nella parte in cui non consente al giudice
dell'esecuzione di rilevare la nullita' della sentenza di merito
passata in giudicato derivante dalla violazione della competenza
funzionale del Tribunale per i Minorenni».
1.1.- Il giudice a quo si trova a decidere su un incidente di
esecuzione proposto da un detenuto, che si duole in sostanza
dell'illegittimita' della sentenza, risalente al 1998, con la quale
gli era stata applicata su richiesta, ai sensi dell'art. 444 cod.
proc. pen., la pena di due anni di reclusione e di una multa per il
delitto di traffico di sostanze stupefacenti, qualificato come fatto
di lieve entita' ai sensi dell'art. 73, comma 5, del decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza). La pena era stata condizionalmente sospesa; ma il
beneficio era stato revocato nel 2020, e il pubblico ministero aveva
conseguentemente emesso ordine di esecuzione della pena medesima.
Piu' in particolare, secondo quanto espone il giudice a quo, il
ricorrente fu arrestato nel luglio 1997 per il reato in questione.
Trattandosi di straniero sprovvisto di documenti di riconoscimento,
la sua dichiarazione di minore eta' non fu ritenuta credibile,
sicche' egli fu trattenuto in custodia cautelare in un istituto
penitenziario per maggiorenni. In esito a una perizia ordinata dalla
locale Procura per i minorenni, emerse che il suo sviluppo osseo era
compatibile con la maggiore eta'. Nel febbraio 1998, il Tribunale di
Bologna pronuncio' la sentenza di applicazione della pena di cui si
e' detto. Tornato in liberta', il soggetto in questione reperi' e
consegno' al difensore i propri documenti, rilasciati dallo Stato di
provenienza, dai quali risultava essere nato nel dicembre 1979.
Conseguentemente, il difensore propose ricorso per cassazione avverso
la sentenza di patteggiamento, assumendone la nullita' per violazione
della competenza funzionale del tribunale per i minorenni, essendo
l'imputato ancora minorenne all'epoca dei fatti. Nel gennaio 1999 il
ricorso fu tuttavia dichiarato inammissibile, e la sentenza di
applicazione della pena divenne cosi' irrevocabile.
A molti anni di distanza, nel gennaio 2020, il beneficio della
sospensione condizionale della pena originariamente concesso e' stato
revocato, per effetto della commissione di altri reati da parte
dell'imputato nei cinque anni successivi dalla sentenza; e il
pubblico ministero, previo provvedimento di cumulo, ha emesso ordine
di esecuzione della pena per oltre tre anni di detenzione
complessivi, comprendente anche la pena di due anni di reclusione e
la multa applicate nella sentenza di cui ora il ricorrente si duole.
Con istanza manoscritta fatta pervenire dal penitenziario nel
luglio 2020, riferisce il rimettente, il condannato ha chiesto
testualmente il «rifacimento del processo e lo scalaggio dei due anni
dal cumulo n. 773/18 SIEP finche' non avro' un giusto processo dal
Trib. dei minori». Qualificata l'istanza come questione sul titolo
esecutivo ai sensi dell'art. 670 cod. proc. pen., il giudice
dell'esecuzione ha sollevato, d'ufficio, la predetta questione di
legittimita' costituzionale, ritenuta rilevante ai fini della
decisione.
1.2.- Il giudice a quo osserva, anzitutto, che il dato letterale
dell'art. 670 cod. proc. pen. consente al giudice dell'esecuzione di
accertare la mancanza del titolo esecutivo, ovvero la sua non
esecutivita'. Tali formule sono state tradizionalmente interpretate
dalla giurisprudenza come riferite alla regolarita' formale e
sostanziale del titolo su cui si fonda l'esecuzione, escludendosi
invece ogni rilievo alle «nullita' eventualmente verificatesi nel
corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio in
giudicato della sentenza, con la sola eccezione dei vizi che
interferiscono con la formazione del giudicato, come ad esempio
quelli attinenti [...] alla rituale notifica all'imputato
dell'estratto contumaciale o che siano in grado per tale via di
riflettersi sul titolo, avendo compromesso la previa ed autonoma
facolta' d'impugnazione riconosciuta al difensore» (e' citata, tra
l'altro, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 16
luglio 2019, n. 31854). Cio' rifletterebbe l'idea dell'intangibilita'
del giudicato, a sua volta funzionale all'esigenza di certezza del
diritto e di stabilita' dei rapporti giuridici, che si porrebbe come
«argine alla perpetua rivedibilita' dell'assetto cristallizzato nella
res iudicata».
Il giudice a quo sottolinea, peraltro, come la giurisprudenza
penale piu' recente, anche per impulso delle sentenze della Corte EDU
e di questa stessa Corte, abbia progressivamente ampliato gli spazi
per un controllo del giudice dell'esecuzione sulla legalita' del
giudicato e, dunque, del titolo esecutivo, attraverso un percorso
«ispirato dall'esigenza di non lasciare mai senza rimedio
l'illegalita' - lato sensu intesa - della condanna o del trattamento
sanzionatorio, seppur cristallizzati dalla res iudicata»; il che
comporterebbe «un concettuale superamento del "dogma" del giudicato,
richiedendo una sua flessibilizzazione (o cedevolezza) rispetto a
violazioni sostanziali e procedurali che attingono i fondamentali
diritti dell'imputato».
Cionondimeno, nel caso di specie l'art. 670 cod. proc. pen. non
consentirebbe di rilevare la nullita' assoluta pur verificatasi nel
giudizio di merito, stante l'attuale orientamento della
giurisprudenza che esclude la conoscibilita' da parte del giudice
dell'esecuzione delle nullita' verificatesi nel corso del
procedimento.
1.3.- Tale soluzione, tuttavia, appare al giudice a quo di dubbia
tenuta costituzionale.
Dopo aver evidenziato le peculiarita' della disciplina del
processo minorile di cui al d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448
(Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di
imputati minorenni), il rimettente sottolinea come la competenza
funzionale del tribunale per i minorenni costituisca un indefettibile
presidio a garanzia delle specifiche esigenze di tutela del minore,
aventi caratura tanto costituzionale - come riconosciuto da plurime
sentenze di questa Corte - quanto sovranazionale, come attestato in
particolare da varie fonti internazionali. A presidio delle esigenze
di tutela del minore, inoltre, l'ordinamento prevede che, in caso di
dubbio sull'eta' effettiva dell'indagato anche dopo gli accertamenti
di rito, la minore eta' debba essere presunta (art. 8 d.P.R. n. 448
del 1988).
Ancora, il rimettente sottolinea come la competenza del tribunale
per i minorenni sia assolutamente inderogabile, anche in caso di
connessione di procedimenti relativi a coimputati maggiorenni (artt.
12 e 14 cod. proc. pen.), ovvero di reati di competenza del giudice
di pace, o di reati continuati commessi prima e dopo la maggiore
eta'. Cio' in relazione alla specificita' del sistema processuale
previsto per i minorenni, «caratterizzato da istituti propri e da
finalita' diverse rispetto a quello previsto per gli imputati
maggiorenni». Da un lato, infatti, l'interesse superiore del minore
assurgerebbe qui a canone ermeneutico primario cui informare l'intera
disciplina processuale; e, dall'altro, sarebbero ivi previste
possibilita' di definizione alternativa del procedimento - come
l'irrilevanza penale del fatto, la sospensione del processo e messa
alla prova, le sanzioni alternative - in termini sconosciuti al
processo ordinario, o comunque entro limiti assai piu' ampi di quanto
non valga per gli imputati maggiorenni, restando in ogni caso
preclusa all'imputato minorenne la possibilita' di accedere al
patteggiamento.
Lo spartiacque tra i due sistemi, tanto diversi nelle finalita'
ispiratrici e nella loro concreta struttura, sarebbe identificato dal
legislatore dalla minore o maggiore eta' dell'imputato al momento del
fatto di reato.
Nel caso di specie, l'accertamento della violazione della
competenza funzionale del tribunale per i minorenni sarebbe invero
rilevabile ictu oculi anche solo dall'esame del certificato penale
dell'imputato, oltre che del suo permesso di soggiorno, dai quali si
evince che egli sarebbe nato nel dicembre 1979. Tali risultanze
documentali sarebbero, d'altronde, assai piu' affidabili rispetto a
quelle della perizia sullo sviluppo osseo a suo tempo effettuata,
come attestato dalla letteratura scientifica in argomento nonche'
dalla circolare del Ministero dell'interno del 9 luglio 2007, n.
17272/7.
Da tutto cio' deriverebbero plurimi profili di illegittimita',
processuali e sostanziali, della sentenza oggetto del procedimento di
esecuzione, emessa da un giudice radicalmente incompetente e nel
quadro di un procedimento - il patteggiamento - in radice non
previsto nel procedimento penale minorile, nell'ambito del quale
l'imputato non sarebbe stato legalmente in grado di prestare un
valido consenso all'applicazione della pena, e che lo ha sottratto al
complessivo sistema processuale di favore previsto per i minorenni.
1.4.- In punto di rilevanza, il rimettente osserva che,
dall'eventuale accoglimento della questione, discenderebbe il potere
dello stesso giudice a quo di rilevare la nullita' per violazione
della competenza funzionale di cui sopra, con esito favorevole
all'interessato, sia sotto il profilo della non eseguibilita' della
sentenza e della conseguente riduzione del quantum di pena da
eseguire in ragione del provvedimento di cumulo, sia sotto il profilo
della possibile riapertura del processo dinanzi al giudice
competente, con la connessa possibilita' di accedere a tutto il
compendio di istituti di favore previsti nel rito minorile.
Ne', in senso contrario, potrebbe essere fatto valere il fatto
che il vizio di incompetenza funzionale in oggetto sia gia' stato
(inutilmente) dedotto con ricorso per cassazione, posto che il
pronunciamento del giudice di legittimita' «non pare costituire una
preclusione processuale rispetto al giudizio in sede di esecuzione».
La Corte di cassazione, infatti, pronunciandosi per
l'inammissibilita' del ricorso, non sarebbe entrata nel merito,
«limitandosi a sostenere che la scelta del rito contenga
implicitamente una rinuncia a far valere il vizio di incompetenza».
Da un lato, infatti, l'imputato non avrebbe potuto esprimere valido
consenso al rito alternativo del patteggiamento; dall'altro lato,
perdurerebbe l'interesse dell'istante all'accertamento della
nullita'; infine, l'interessato avrebbe offerto materiale probatorio
ulteriore rispetto ai documenti prodotti con il ricorso per
cassazione, attestante la sua reale data di nascita.
Ne' sarebbe possibile esaminare la doglianza dell'interessato con
una domanda di revisione, dal momento che la situazione in esame non
corrisponderebbe ad alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 629 e
seguenti cod. proc. pen., e che comunque la revisione mirerebbe ad
accertare la sussistenza di sopravvenuti elementi tali da condurre al
proscioglimento dell'interessato, diversamente dal caso odierno, in
cui non e' prevedibile l'esito del giudizio dinanzi al competente
tribunale per i minorenni. Sarebbe, invece, il giudizio di esecuzione
quello piu' confacente alla situazione dedotta, in cui si discute
della radicale nullita' del titolo esecutivo.
1.5.- La questione sarebbe, altresi', non manifestamente
infondata.
1.5.1.- A essere violato, in primo luogo, sarebbe l'art. 3 Cost.,
in ragione dell'assoggettamento alla medesima disciplina di
situazioni non assimilabili, quali le ipotesi di nullita' per
violazione di norme sulla competenza maturate nel giudizio per i
maggiorenni e la nullita' sulla violazione della competenza
funzionale stabilita per i minorenni dall'art. 3 del d.P.R. n. 448
del 1988.
D'altra parte, il principio di intangibilita' del giudicato,
funzionale alla tutela della ragionevole durata del processo e del
divieto del ne bis in idem a garanzia dell'imputato, si atteggerebbe
diversamente a seconda che ci si trovi in presenza di irregolarita'
formali legate all'incompetenza del giudice maturate all'interno di
procedimenti "ordinari", o di irregolarita' che sottraggano il minore
alla competenza del tribunale per i minorenni. In tale secondo caso
l'incompetenza si riverbererebbe sull'intero impianto processuale e
sostanziale della decisione resa. Cio' perche' l'aggiramento della
procedura propria del minore lederebbe i diritti costituzionalmente e
convenzionalmente riconosciuti all'imputato minorenne, alla cui
tutela il processo minorile e' preposto; e perche' verrebbe precluso
al minore l'accesso a istituti quali il perdono giudiziale e
l'applicazione della specifica circostanza attenuante della minore
eta' prevista all'art. 98 cod. pen., cosi' da far sospettare di
illegalita' manifesta anche il trattamento sanzionatorio.
Alla luce anche della rilevata non omogeneita' delle situazioni
sostanziali sottese e degli interessi costituzionali in gioco, quali
la tutela del minore (art. 31, secondo comma, Cost.) e la funzione
rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.), la
parificazione della nullita' in esame alle altre, operata dalla norma
censurata, esprimerebbe dunque una inadeguata ponderazione della
scelta legislativa, risultando intrinsecamente arbitraria,
sproporzionata e manifestamente irragionevole.
1.5.2.- Un secondo motivo di censura e' incentrato sulla
violazione dell'art. 10 Cost., «laddove prevede che l'ordinamento
giuridico italiano si debba conformare alle norme di diritto
internazionale generalmente riconosciute», espressive del principio
della tutela del minore. Il che sarebbe dimostrato dalle numerose
fonti in materia, quali la Dichiarazione dei diritti del bambino
adottata nel 1924, la Dichiarazione universale dei diritti del
fanciullo adottata dalle Nazioni Unite nel 1959, le cosiddette
"Regole di Pechino" del 1985 e la Raccomandazione del Consiglio
d'Europa n. R (87) 20, i cui principi hanno orientato anche il
legislatore statale, la Convenzione internazionale sui diritti del
fanciullo, adottata a New York dall'Assemblea generale delle Nazioni
Unite il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27 maggio 1991, n.
176, le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa
per una giustizia a misura di minore, adottate dal Comitato dei
ministri del Consiglio d'Europa il 17 novembre 2010.
Tali fonti internazionali non farebbero che attestare
l'esistenza, nel diritto internazionale consuetudinario, di una serie
di principi generali sulla tutela del minore, quali «la necessita'
che il minore sia giudicato da un'autorita' competente e
specializzata», secondo un rito funzionale al suo interesse
superiore, e che tenga conto della sua condizione, con il minimo
ricorso alla carcerazione e con strumenti di fuoriuscita dal processo
per evitarne l'effetto stigmatizzante. La disposizione censurata
consentirebbe invece l'aggiramento delle tutele ivi previste
«attraverso lo "scudo" del giudicato», cosi' che autorizzare
l'esecuzione della pena pronunciata da un giudice incompetente a
giudicare chi all'epoca dei fatti era minorenne contrasterebbe con
l'effettivita' delle tutele del diritto internazionale.
1.5.3.- Sarebbero inoltre violati gli artt. 13 e 117, primo
comma, Cost., quest'ultimo in riferimento all'art. 5 CEDU, «laddove
le citate norme affermano il principio di inviolabilita' della
liberta' personale e individuano criteri di legalita' della
detenzione a livello costituzionale e convenzionale».
L'art. 13 Cost., nella parte in cui stabilisce che non e'
consentita alcuna forma di detenzione se non per atto motivato
dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla
legge, affermerebbe implicitamente che la legalita' della detenzione
vada valutata anche sotto il profilo della legalita' della pronuncia
di condanna, in modo che l'illegalita' di quest'ultima
necessariamente si riverberi sulla legalita' della detenzione.
Sebbene una certa dose di fallibilita' del giudizio sia
ineliminabile, l'inviolabilita' della liberta' personale non dovrebbe
poter consentire l'esecuzione di un provvedimento ictu oculi affetto
da nullita' radicale.
Nel medesimo senso sarebbe orientato anche l'art. 5 CEDU,
allorche' stabilisce che la privazione della liberta' personale non
possa considerarsi conforme alla Convenzione se non nei modi previsti
dalla legge e nei casi ivi testualmente indicati. Tra questi, alla
lettera a) del paragrafo 1, e' prevista la condizione che il
condannato sia «detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte
di un tribunale competente». Nel caso Yefimenko contro Russia
(sentenza 12 febbraio 2013), la Corte EDU avrebbe accertato la
violazione della disposizione convenzionale in esame per via del
fatto che l'organo giudicante che aveva emesso la condanna a pena
detentiva, pur avendo in astratto la competenza sul caso, aveva
seduto in una composizione diversa da quella prevista per legge. Si
tratterebbe di un'incompetenza che, nell'ordinamento italiano,
rappresenterebbe un vizio attinente alle condizioni di capacita' del
giudice e alla composizione dei collegi, ai sensi dell'art. 178,
comma 1, lettera a), cod. proc. pen., ossia una nullita' che si
realizza anche in caso di violazione della competenza funzionale del
tribunale per i minorenni.
Lo stesso art. 5 CEDU, al suo paragrafo 4, statuisce anche il
diritto del soggetto privato della liberta' personale di fare ricorso
a un tribunale che possa decidere sulla «legalita' della sua
detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione e'
illegale». L'art. 670 cod. proc. pen., nel limitare il sindacato del
giudice dell'esecuzione alla mera verifica dell'esistenza del titolo
o alla sua definitivita', opererebbe, secondo il rimettente, una
scelta che pare sacrificare sull'altare del giudicato la liberta'
personale del condannato e il suo diritto a far accertare la
legalita' della propria detenzione. Cio', anche in ipotesi in cui
l'illegalita' per incompetenza del giudice sia talmente grave e
manifesta da minare alla radice l'atto della cui esecuzione si
tratta.
1.5.4.- Sarebbe infine violato l'art. 25, primo comma, Cost.,
posto che l'art. 670 cod. proc. pen. consentirebbe l'eseguibilita' di
una pena fondata su una sentenza emessa in violazione della
competenza funzionale del tribunale per i minorenni, ossia del solo
giudice naturale del minore.
1.6.- I dubbi di legittimita' costituzionale cosi' formulati non
sarebbero superabili ricorrendo a un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 670 cod. proc. pen., il quale
circoscrive in modo preciso i limiti del sindacato del giudice
dell'esecuzione, abilitato a valutare anche nel merito la sola
osservanza delle norme sull'irreperibilita', con previsione di
carattere eccezionale. Ne' il rimettente ritiene di poter ricondurre
la fattispecie della nullita' rilevante nel caso a quo alla ipotesi
di «mancanza» del titolo, con un'assimilazione tra nullita' radicale
e inesistenza della pronuncia.
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate manifestamente
inammissibili o, comunque, non fondate.
Osserva l'Avvocatura generale dello Stato che, come riconosciuto
in plurime pronunce della Corte di cassazione, il giudice
dell'esecuzione puo' solo dichiarare ineseguibile la sentenza o
revocarla ai sensi degli artt. 669 e 673 cod. proc. pen., mentre
l'annullamento sarebbe riservato al giudice dell'impugnazione e
rimarrebbe cosi' precluso dalla formazione del giudicato.
Solo nelle eccezionali evenienze della mancanza dei requisiti
essenziali della sentenza, quali «la provenienza da un organo
investito del potere giurisdizionale penale, l'esternazione in forma
scritta, l'adozione nei confronti di una persona in vita e
assoggettabile alla giurisdizione penale», o dell'applicazione di una
pena illegale perche' piu' grave di quella prevista per legge, il
giudice dell'esecuzione sarebbe tenuto a rilevare l'inesistenza
giuridica della sentenza, nonostante la formazione del giudicato (e'
citata Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 4 febbraio
2009, n. 5998).
Tra i casi di inesistenza rientrerebbe, sempre secondo la
giurisprudenza di legittimita', la sentenza emessa nei confronti di
un minore infraquattordicenne, non imputabile ai sensi dell'art. 97
del codice penale, in ragione dell'impossibilita' di costituire ab
initio un valido rapporto processuale. Tale ipotesi di inesistenza,
tuttavia, sarebbe rilevabile dal giudice dell'esecuzione a condizione
che la circostanza della non imputabilita' del minore
infraquattordicenne risulti accertata o, comunque, evidente dagli
atti del giudizio di cognizione (e' citata Corte di cassazione,
sezione prima penale, sentenza 4 dicembre 2018-2 gennaio 2019, n. 35;
sezione prima penale, sentenza 20 maggio 2014, n. 31652). Qualora,
invece, gli elementi idonei a comprovare l'eta' del condannato al
momento dei fatti siano sopraggiunti al giudicato, l'unico rimedio
disponibile sarebbe la revisione del processo ex art. 630, lettera
c), cod. proc. pen., in combinato disposto con gli artt. 631 e 529
cod. proc. pen. (e' citata Corte di cassazione, sezione quinta
penale, sentenza 14 marzo 2017, n. 28627).
Nel diverso caso della condanna pronunciata nei confronti di un
minore di eta' compresa tra i quattordici e i diciotto anni da un
tribunale ordinario anziche' dal tribunale per i minorenni, il vizio
non sarebbe comparabile, per gravita', a quello che si produce in
caso di minore non imputabile e non giustificherebbe un analogo
trattamento in punto di rilevabilita' da parte del giudice
dell'esecuzione, specie laddove la minore eta' sia stata
rappresentata in corso di giudizio ed abbia formato oggetto di
verifica, come nel caso a quo. Cio' anche alla luce del fatto che non
sarebbe scontata la fruizione da parte dell'imputato degli istituti
favorevoli del processo minorile, come il perdono giudiziale o
l'improcedibilita' per l'irrilevanza del fatto, e che il ricorso al
patteggiamento, possibile solo nel processo per gli adulti, comporta
comunque l'effetto favorevole della riduzione di pena, come avvenuto
nel caso in esame.
Dal momento che l'ordinamento e' gia' ricco di garanzie
procedurali volte a soddisfare le esigenze di tutela del minore,
eventuali episodi patologici, sempre possibili in casi marginali, non
potrebbero indurre a sovvertire principi fondamentali del processo,
come quello dell'intangibilita' del giudicato.
Tali assunti non sarebbero smentiti, secondo l'Avvocatura
generale dello Stato, dalla pronuncia della Corte EDU Yefimenko
contro Russia segnalata dal rimettente, in cui alla gravita' del
vizio di composizione del tribunale, integrato da due giudici laici
che non avevano titolo a comporre il collegio, si aggiungeva la
gravita' della condanna a una pesante pena detentiva pronunciata
dall'organo illegittimamente formato. Si tratterebbe dunque di un
vizio non comparabile a quello lamentato dal giudice a quo, la cui
gravita' non consentirebbe invece il superamento del giudicato.
3.- Si e' costituito in giudizio tramite il proprio difensore il
ricorrente nel procedimento a quo, concludendo nel senso della
fondatezza delle questioni sulla base di un'argomentazione che
ripercorre, adesivamente, le ragioni di censura gia' poste in luce
dall'ordinanza di rimessione.
Con la successiva memoria illustrativa depositata in prossimita'
dell'udienza, il difensore della parte ha contestato gli assunti
dell'Avvocatura generale dello Stato, ribadendo la gravita' dei vizi
che hanno inficiato il processo conclusosi con la sentenza
irrevocabile nei confronti del proprio assistito. Tali vizi non
sarebbero rimediabili mediante lo strumento della revisione, che
presuppone la sopravvenienza di elementi sconosciuti al momento del
giudizio, e che sarebbe invece inidoneo a eliminare vizi che abbiano
inficiato lo stesso giudizio di merito. Ne' i vizi in parola
sarebbero sanabili mediante il rimedio della inesistenza giuridica
della sentenza, che la giurisprudenza considera applicabile soltanto
nell'ipotesi di minore infraquattordicenne. L'unica sede per far
valere tali vizi sarebbe, dunque, rappresentata proprio
dall'incidente di esecuzione, previo accoglimento delle questioni di
legittimita' costituzionale nei termini prospettati dal rimettente,
accoglimento che si renderebbe necessario stante la impraticabilita'
di un'interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 670 cod.
proc. pen.
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario
di Bologna, sezione seconda penale, in funzione di giudice
dell'esecuzione, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 670 del codice di procedura penale in
riferimento agli artt. 3, 13, 10, 25, primo comma, e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 5,
paragrafi 1, lettera a), e 4, della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo (CEDU), «nella parte in cui non consente al giudice
dell'esecuzione di rilevare la nullita' della sentenza di merito
passata in giudicato derivante dalla violazione della competenza
funzionale del Tribunale per i Minorenni».
In sostanza, il giudice a quo ritiene che, sulla base del diritto
vivente, l'attuale disciplina delle questioni sul titolo esecutivo di
cui all'art. 670 cod. proc. pen. non consenta al giudice
dell'esecuzione di rilevare la nullita' di una sentenza passata in
giudicato e pronunciata dal tribunale ordinario nei confronti di un
imputato minorenne all'epoca di commissione del reato, dal momento
che tale nullita' sarebbe rilevabile in ogni stato e grado del
giudizio ai sensi dell'art. 178, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.
ma non, appunto, dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
Tuttavia, il rimettente dubita della compatibilita' di tale soluzione
con i parametri costituzionali evocati, dai quali si evincerebbe il
principio secondo cui l'imputato minorenne debba essere
necessariamente giudicato da un tribunale specializzato, con
conseguente radicale illegittimita' non solo della sua condanna da
parte di un giudice penale ordinario, ma anche della successiva
esecuzione della pena irrogata da quest'ultimo.
In difetto di altri rimedi disponibili nell'ordinamento per
sanare una tale illegittimita' costituzionale, il rimettente chiede,
dunque, a questa Corte di estendere l'ambito dei rimedi adottabili
dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 670 cod. proc. pen.,
in modo da consentire, anche dopo il passaggio in giudicato della
sentenza, la dichiarazione di nullita' della sentenza medesima, da
cui discenderebbe la sua ineseguibilita'.
2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito la manifesta
inammissibilita' delle questioni prospettate, senza - tuttavia -
apportare alcun argomento conferente a sostegno di tale eccezione.
Le questioni appaiono, invero, rilevanti nel giudizio a quo,
dovendo il rimettente necessariamente fare applicazione della norma
della cui legittimita' costituzionale dubita, per decidere sul
ricorso proposto dal condannato. Plausibili appaiono altresi' le
premesse interpretative su cui le questioni si fondano, alla luce
della giurisprudenza puntualmente ricostruita nell'ordinanza di
rimessione. E particolarmente ampia appare la motivazione sulla non
manifesta infondatezza dei dubbi di legittimita' costituzionale
prospettati.
L'eccezione deve, pertanto, essere rigettata.
3.- Ai fini dell'esame del merito delle questioni, e' opportuna
una preliminare ricognizione del significato che assume, dal punto di
vista del diritto costituzionale, l'attribuzione a un tribunale
specializzato della competenza per i procedimenti penali concernenti
reati commessi da minorenni.
3.1.- Ai sensi dell'art. 3, comma 1, del d.P.R. 22 settembre
1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a
carico di imputati minorenni), tutti i reati commessi dai minori di
diciotto anni ricadono entro la competenza del tribunale per i
minorenni: giudice specializzato che, ai sensi dell'art. 50 del regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), e' composto
da un magistrato di corte d'appello, che lo presiede, da un
magistrato di tribunale ordinario e da due esperti, tra loro di sesso
diverso. Tale competenza si applica a qualsiasi reato commesso da un
minorenne, e opera anche in presenza di connessione oggettiva o
soggettiva con altri reati.
Tra le peculiari garanzie previste dalla legislazione vigente in
materia di processo penale avanti il giudice specializzato per i
minori viene anzitutto in considerazione il combinato disposto degli
artt. 98, primo comma, del codice penale e 9 del d.P.R. n. 448 del
1988, a tenore dei quali l'imputabilita' del soggetto che abbia
commesso il fatto nella fascia di eta' compresa tra i quattordici e i
diciotto anni non puo' presumersi, ma deve essere sempre oggetto di
un'apposita valutazione da parte del tribunale, calibrata sulla
peculiare situazione esistenziale del minore. Inoltre, l'imputato
minorenne gode tra l'altro di uno speciale regime cautelare, meno
gravoso di quello previsto per gli adulti (articoli da 19 a 24 del
d.P.R. n. 448 del 1988); puo' ottenere il beneficio della sospensione
del processo con contestuale messa alla prova (art. 28 del d.P.R. n.
448 del 1988), che e' caratterizzato da modalita' applicative e
finalita' distinte rispetto a quelle assegnate all'omonimo istituto
previsto per gli adulti (sentenza n. 68 del 2019) e non e' soggetto
ai medesimi limiti edittali che vigono per quest'ultimo; puo'
ottenere una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del
fatto (art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988), anch'essa sulla base di
presupposti diversi e piu' ampi di quelli che vigono per gli adulti;
puo' ottenere il perdono giudiziale per i reati punibili con una pena
detentiva non superiore nel massimo ai due anni o pecuniaria non
superiore a 1.549 euro (art. 169 cod. pen. in combinato disposto con
l'art. 112 della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche
al sistema penale»).
3.2.- La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che
«[l]a competenza del Tribunale per i minorenni e la speciale
disciplina del processo minorile sono dirette al conseguimento di
finalita' di tutela del minore», queste ultime direttamente
riconducibili al dettato dell'art. 31 Cost. (sentenza n. 17 del
1981).
La sentenza n. 222 del 1983, sulla scorta dell'osservazione che
«il tribunale per i minorenni, considerato nelle sue complessive
attribuzioni, oltre che penali, civili ed amministrative, ben puo'
essere annoverato tra quegli "istituti" dei quali la Repubblica deve
favorire lo sviluppo ed il funzionamento, cosi' adempiendo al
precetto costituzionale che la impegna alla "protezione della
gioventu'"», ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della
previgente disciplina processuale che sottraeva, in caso di concorso
con imputati maggiorenni, l'imputato minorenne al tribunale per i
minorenni, escludendo che potesse invocarsi «l'esigenza del
simultaneus processus, per giustificare la deroga alla competenza del
giudice specializzato».
Nella sentenza n. 135 del 1995 e' stata poi ritenuta non
irragionevole l'esclusione del patteggiamento nel rito minorile,
rilevandosi tra l'altro come tale rito, come attualmente delineato
per il processo per gli adulti, sarebbe in contrasto con la funzione
del giudice minorile, il quale «e' dotato di amplissimi poteri
caratterizzati dall'esigenza primaria del recupero del minore, un
soggetto dalla personalita' ancora in formazione (v. da ultimo
sentenza n. 168/1994) per cui sono previste misure che, in vista di
tale esigenza, possono portare a far concludere il processo in modi e
con contenuti diversi da quelli propri del processo penale
ordinario».
Nella sentenza n. 272 del 2000, che nuovamente ha rigettato
questioni concernenti la mancata estensione del patteggiamento al
rito minorile, si e' ancora evidenziato come tale esclusione sia del
tutto conforme alla peculiare natura del processo minorile, che e'
«sorretto dalla prevalente finalita' di recupero del minorenne e di
tutela della sua personalita', nonche' da obiettivi
pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi».
Piu' recentemente, la sentenza n. 1 del 2015, in linea con la
soluzione cui erano nel frattempo gia' giunte le sezioni unite della
Corte di cassazione, ha ritenuto costituzionalmente illegittima, per
violazione dell'art. 31, secondo comma, Cost., la disposizione che
affidava il giudizio abbreviato minorile, a seguito di decreto di
giudizio immediato, al giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale per i minorenni anziche' al collegio, sottolineando la
necessita', per l'imputato minorenne, di una «valutazione del giudice
collegiale e degli esperti che lo compongono, perche' e' proprio per
garantire decisioni attente alla personalita' del minore e alle sue
esigenze formative ed educative che il tribunale per i minorenni e'
stato strutturato»; e ha evidenziato come la composizione del
tribunale per i minorenni rispecchi la peculiare funzione del
processo minorile, in cui le logiche retributive e special-preventive
del processo penale debbono contemperarsi con il «principio di minima
offensivita', che impone di evitare, nell'esercizio della
giurisdizione penale, ogni pregiudizio al corretto sviluppo
psicofisico del minore e di adottare le opportune cautele per
salvaguardare le correlate esigenze educative».
Un compendio di ulteriori precedenti della Corte e', infine,
contenuto nella recente sentenza n. 139 del 2020, secondo cui «nella
prospettiva dell'adeguata protezione della gioventu' di cui all'art.
31, secondo comma, Cost., la preminente funzione rieducativa del
procedimento penale minorile trov[a] una fondamentale rispondenza
nella particolare composizione "mista" del giudice specializzato,
arricchita dalla dialettica interna tra la componente togata e quella
esperta: "[e'], infatti, grazie alle competenze scientifiche dei
soggetti che compongono il collegio giudicante che viene svolta una
corretta valutazione delle particolari situazioni dei minori, la cui
evoluzione psicologica, non ancora giunta a maturazione, richiede
l'adozione di particolari trattamenti penali che consentano il loro
completo recupero, ponendosi, quest'ultimo, quale obiettivo primario,
cui tende l'intero sistema penale minorile" (sentenza n. 310 del
2008). Invero, "la specializzazione del giudice minorile, finalizzata
alla protezione della gioventu' sancita dalla Costituzione, e'
assicurata dalla struttura complessiva di tale organo giudiziario,
qualificato dall'apporto degli esperti laici" (ordinanza n. 330 del
2003). [...] Oltre alla conformazione interdisciplinare dell'organo,
la Corte ne ha illustrato la diversificazione di genere, poiche'
l'art. 50-bis, comma 2, del r.d. n. 12 del 1941, esigendo che i
componenti onorari siano "un uomo e una donna", garantisce che "nelle
sue decisioni il collegio possa sempre avvalersi del peculiare
contributo di esperienza e di sensibilita' proprie del sesso di
appartenenza" (ordinanza n. 172 del 2001)».
3.3.- Questa Corte ha, altresi', frequentemente valorizzato, a
fini interpretativi dei parametri costituzionali di volta in volta
evocati, le fonti internazionali sulle speciali tutele dovute ai
minori che vengono a contatto con la giustizia penale (ex multis,
sentenze n. 139 del 2020, n. 109 del 1997, n. 168 del 1994 e n. 222
del 1983).
Tra tali fonti, meritano speciale menzione le Regole minime delle
Nazioni Unite sull'amministrazione della giustizia minorile
(cosiddette "Regole di Pechino"), adottate dall'Assemblea generale
con la risoluzione 40/33 del 29 novembre 1985, le quali al numero 6
prevedono che, «[i]n considerazione delle speciali esigenze del
minore», sia «previsto un potere discrezionale appropriato a diversi
livelli dell'amministrazione della giustizia minorile, sia
nell'istruttoria che nel processo e nella fase esecutiva»,
precisandosi che «[l]e persone che esercitano il potere discrezionale
dovranno essere particolarmente qualificate o specializzate per
esercitarlo responsabilmente e secondo le rispettive funzioni».
La Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con la legge 27 maggio
1991, n. 176, impegna dal canto suo gli Stati parti, tra l'altro,
alla «costituzione di autorita' e di istituzioni destinate
specificamente ai fanciulli sospettati, accusati o riconosciuti
colpevoli di aver commesso reato», in particolare stabilendo un'eta'
minima sotto la quale il fanciullo debba presumersi non imputabile e
adottando provvedimenti «per trattare questi fanciulli senza
ricorrere a procedure giudiziarie» (art. 40, comma 3). Il Comitato
ONU per i diritti del fanciullo, nel General Comment n. 10 (2007)
sulla giustizia minorile, ha chiarito, in riferimento specifico a
tali disposizioni, che un sistema organico di giustizia minorile
dovrebbe comportare l'istituzione di sezioni specializzate nella
polizia e nel sistema giudiziario e delle procure, raccomandando agli
Stati parti di istituire autorita' giudiziarie per i minori, vuoi
come unita' separate o come sezioni degli organi giudiziari
esistenti, e, qualora cio' non sia immediatamente realizzabile, di
assicurare la presenza di giudici o magistrati specializzati nella
giustizia minorile (paragrafi 92 e 93).
Analoga raccomandazione e' formulata dalle Linee guida del
Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa su una "giustizia a
misura di minore", adottata il 17 novembre 2010, in cui si afferma
l'esigenza di istituire dei «tribunali (o sezioni) speciali,
procedure e istituzioni per i minori in conflitto con la legge» (n.
63).
Per quanto riguarda infine l'Unione europea, la direttiva
2016/800/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio
2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei
procedimenti penali, stabilisce tra l'altro che «il minore indagato o
imputato in procedimenti penali e' sottoposto a valutazione
individuale. Tale valutazione individuale tiene conto, in
particolare, della personalita' e maturita' del minore, della sua
situazione economica, sociale e familiare, nonche' di eventuali
vulnerabilita' specifiche del minore» (art. 7, paragrafo 2);
chiarendo altresi' che la valutazione in parola «e' condotta da
personale qualificato, con un approccio per quanto possibile
multidisciplinare» (art. 7, paragrafo 7). Agli Stati membri si
impone, inoltre, l'obbligo di adottare «misure appropriate per
garantire che i giudici e i magistrati inquirenti che si occupano di
procedimenti penali riguardanti minori abbiano una competenza
specifica in tale settore e/o abbiano effettivamente accesso a una
formazione specifica» (art. 20, paragrafo 2).
3.4.- Dal complesso delle pertinenti norme costituzionali, come
interpretate da questa Corte, e dalle fonti internazionali appena
menzionate - produttive o meno che siano di obblighi internazionali
vincolanti ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., ma tutte
certamente rilevanti ai fini dell'interpretazione delle garanzie
costituzionali - si evince dunque il principio secondo cui il minore
autore di reato deve essere giudicato da una giurisdizione
specializzata, i cui operatori siano selezionati anche sulla base
della specifica competenza professionale in materia di minori, e che
operi secondo finalita' e sulla base di regole differenti da quelle
che caratterizzano la giurisdizione penale ordinaria. Di talche' la
scelta, compiuta dal legislatore italiano, di attribuire a tale
giurisdizione specializzata la competenza per i reati compiuti da
minorenni deve ritenersi costituzionalmente vincolata.
4.- Le questioni ora sottoposte al vaglio di questa Corte
concernono l'ipotesi patologica di un processo penale, ormai
conclusosi con sentenza definitiva, che si sia svolto avanti al
giudice penale ordinario in conseguenza di un errore
nell'attribuzione dell'eta' dell'imputato al momento del fatto. E il
tema di fondo ora in discussione e' se, in tal caso, la natura
costituzionalmente vincolata della competenza funzionale del
tribunale per i minorenni necessariamente imponga il travolgimento
del giudicato in sede di incidente di esecuzione.
4.1.- Il caso oggetto del giudizio a quo evidenzia in modo
emblematico le gravi conseguenze di un errore siffatto, come
esattamente sottolinea il rimettente. Assumendo che effettivamente il
ricorrente fosse minorenne al momento del fatto - dato, questo, che
il giudice a quo considera pacifico, sulla base di quanto risulta dal
suo certificato penale e dallo stesso permesso di soggiorno, entrambi
formati dalle autorita' italiane -, egli risulterebbe:
- essere stato giudicato da un giudice diverso da quello
funzionalmente competente a giudicarlo, in violazione non solo
dell'art. 3 del d.P.R. n. 448 del 1988, ma anche dei principi
costituzionali poc'anzi richiamati;
- essere stato sottoposto a un rito (il patteggiamento) non
consentito per gli imputati minorenni all'epoca del fatto, per le
ragioni ampiamente illustrate dalle menzionate sentenze n. 135 del
1995 e n. 272 del 2000;
- non essere stato sottoposto alla valutazione individualizzata
della propria imputabilita', prescritta dall'art. 9 del d.P.R. n. 448
del 1988;
- non avere avuto accesso a tutta la serie di possibili
definizioni alternative del procedimento previste specificamente per
i minori (su cui supra, punto 3.1.), tra cui segnatamente la
sospensione del processo con messa alla prova e contestuale
affidamento ai servizi minorili, che avrebbero potuto impostare nei
suoi confronti un programma di trattamento individualizzato dalla
spiccata connotazione (ri)educativa;
- essere stato condannato a una pena detentiva verosimilmente
piu' severa di quella consentita, non essendogli stata riconosciuta
(neppure ai limitati fini del bilanciamento con eventuali altre
circostanti aggravanti) la circostanza attenuante obbligatoria della
minore eta' di cui all'art. 98, primo comma, cod. pen.
4.2.- Il giudice rimettente esclude anzitutto che, in una
situazione come quella sottoposta al suo esame, la revisione della
sentenza costituisca un rimedio idoneo. Osserva, in proposito, che il
caso non rientra in alcuna delle ipotesi espressamente previste dal
codice di procedura penale, e che comunque tale rimedio e'
normalmente funzionale a ottenere il proscioglimento
dell'interessato, mentre nella situazione all'esame si tratterebbe
soltanto di dichiarare nullo il titolo esecutivo, per poi procedere
ad un nuovo giudizio innanzi al competente tribunale per i minorenni.
Ancorche' il giudice a quo argomenti, in altro passaggio
dell'ordinanza di rimessione, nel senso della novita', rispetto al
momento della formazione del giudicato, dei documenti che
attesterebbero in modo inoppugnabile la reale eta' del ricorrente, il
presupposto interpretativo relativo alla inesperibilita' del rimedio
della revisione nel caso in esame appare motivato in modo non
implausibile dal rimettente. Pertanto, questa Corte non puo' in
questa sede che prendere atto di tale presupposto interpretativo; e
cio' anche perche' la valutazione se nel caso in esame sussistano i
presupposti di una revisione della sentenza di condanna sulla base
della relativa disciplina - ed eventualmente se tale disciplina sia
essa stessa conforme alla Costituzione - spetterebbe comunque a un
giudice diverso da quello a quo, e in particolare alla corte
d'appello competente ai fini di un eventuale procedimento di
revisione.
4.3.- Il giudice rimettente esclude altresi', succintamente, che
il vizio dedotto possa essere ricondotto all'ipotesi, pure
contemplata dall'art. 670, comma 1, cod. proc. pen., della "mancanza"
del titolo esecutivo, e dunque alla categoria della "inesistenza" del
titolo stesso - categoria, quest'ultima, di origine
giurisprudenziale, funzionale a consentire la rilevazione, anche
oltre lo sbarramento del giudicato, dei vizi procedimentali piu'
macroscopici da parte dello stesso giudice dell'esecuzione
(recentemente, sul punto, Corte di cassazione, sezioni unite penali,
sentenza 26 novembre 2020-23 aprile 2021, n. 15498, punto 3.3. dei
motivi della decisione); e insiste, invece, nel qualificare il vizio
a suo avviso verificatosi nei confronti del ricorrente come ipotesi
di "nullita' assoluta", in quanto tale soggetta alla disciplina di
cui all'art. 179 cod. proc. pen.
Anche di tale presupposto ermeneutico - fatto proprio, e anzi
argomentato estesamente dalla parte costituita in giudizio,
ricorrente nel procedimento a quo, nella propria memoria illustrativa
- questa Corte non puo' che prendere atto; e cio' anche in
considerazione dell'attuale stato della giurisprudenza di
legittimita', che il rimettente non intende porre in discussione,
neppure sotto il profilo della sua compatibilita' con i parametri
costituzionali evocati. Tale giurisprudenza riconosce, invero, la
radicale inesistenza della sentenza pronunciata nei confronti di un
imputato che risulti avere commesso il reato in eta' inferiore ai
quattordici anni (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza
4 dicembre 2018-2 gennaio 2019, n. 35; sezione prima penale, sentenza
20 maggio 2014, n. 31652); ma ritiene invece affetta da (mera)
nullita' assoluta la sentenza pronunciata dal tribunale penale
ordinario nei confronti di un imputato che risulti di eta' compresa
tra i quattordici e diciotto anni al momento del fatto: con
conseguente impossibilita' di dedurre il relativo vizio, una volta
formatosi il giudicato, in sede di incidente di esecuzione (Corte di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 14 marzo 2017, n. 28627;
sezione terza penale, sentenza 19 ottobre 2016, n. 54996).
4.4.- Il giudice a quo sollecita, piuttosto, questa Corte a
intervenire con una pronuncia additiva sul testo dell'art. 670, comma
1, cod. proc. pen., la quale consenta al giudice dell'esecuzione di
dichiarare (non gia' la "mancanza" o l'"inesistenza", bensi') la
nullita' del titolo esecutivo, sulla base di un vizio - verificatosi
nel processo ormai conclusosi con sentenza definitiva - esso stesso
qualificato dal rimettente in termini di "nullita'".
5.- Nei termini cosi' precisati, le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dal rimettente non sono fondate.
5.1.- Un primo nucleo di censure, sollevate in riferimento agli
artt. 3 e 10 Cost., ruota attorno all'asserita impossibilita', per
effetto dei limiti dell'incidente di esecuzione imposti dall'art. 670
cod. proc. pen., di assicurare la tutela costituzionalmente doverosa
agli interessi preminenti del minore, attraverso una pronuncia che,
dichiarando la nullita' della sentenza del giudice penale ordinario,
consenta eventualmente alla competente procura per i minorenni di
esercitare l'azione penale davanti alla giurisdizione specializzata.
In effetti, la censura ex art. 3 Cost. - arricchita dalla
concorrente evocazione, nel relativo impianto motivazionale, del
riferimento al dovere di tutela degli interessi del minore di cui
all'art. 31, secondo comma, Cost., nonche' alla finalita' rieducativa
della pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., che assume
speciale pregnanza nei riguardi del minore - si fonda, nella
prospettiva del rimettente, sull'allegata manifesta irragionevolezza
della parificazione tra le ipotesi di nullita' derivanti da
violazioni delle norme sulla competenza in relazione a imputati
maggiorenni e quella derivante dalla violazione della competenza del
tribunale per i minorenni: una competenza, quest'ultima, funzionale e
inderogabile, e alla quale soggiacciono ragioni costituzionalmente
rilevanti di tutela degli interessi preminenti del minore. Per altro
verso, la censura formulata in riferimento all'art. 10, primo comma,
Cost. e, mediatamente, alle fonti di diritto internazionale che il
rimettente ritiene espressive di norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute, si basa essenzialmente sul principio
secondo cui il minore debba essere giudicato da un'autorita'
competente e specializzata; principio la cui inderogabilita' dovrebbe
essere salvaguardata, nella prospettiva del rimettente, anche oltre
la formazione della cosa giudicata.
5.1.1.- Questa Corte ritiene, tuttavia, che il rimedio -
auspicato dal giudice a quo - della dichiarazione di nullita' della
sentenza nel quadro di un incidente di esecuzione ai sensi dell'art.
670 cod. proc. pen. non sia costituzionalmente imposto; e stima,
anzi, che l'introduzione di tale rimedio risulterebbe foriero di
gravi squilibri nel sistema della rilevazione delle nullita', cosi'
come disegnato dal codice di procedura penale.
Tale sistema e' imperniato attorno al principio di tassativita'
delle nullita' (art. 177 cod. proc. pen.): un principio che e', esso
stesso, il frutto di un delicato bilanciamento che coinvolge, tra
l'altro, la necessita' di tutelare in maniera effettiva i diritti
processuali dell'imputato e l'esigenza di assicurare la capacita' del
processo medesimo di pervenire, entro un termine ragionevole, ad
accertamenti in linea di principio definitivi, anche relativamente
alla sussistenza di eventuali errores in procedendo nelle fasi e
gradi precedenti. Nel compiere tale bilanciamento, il legislatore ha
distinto tra nullita' assolute (art. 179 cod. proc. pen.), nullita'
cosiddette a regime intermedio (art. 180 cod. proc. pen.) e nullita'
relative (art. 181 cod. proc. pen.), stabilendo precise regole sui
limiti anche temporali per la loro deducibilita', nonche' sulle loro
eventuali sanatorie nel corso del processo; tenendo pero' ferma la
regola - implicita, ma operante a chiusura del sistema - che la
formazione della cosa giudicata preclude qualsiasi ulteriore
rilevazione delle nullita', anche di quelle definite «assolute» e
«insanabili»: le quali debbono si' essere rilevate, anche d'ufficio,
«in ogni stato e grado del procedimento», ma non oltre - appunto - la
sua definiva conclusione (sentenza n. 224 del 1996, che richiama la
sentenza n. 294 del 1995).
D'altra parte, e' vero che il codice di procedura penale prevede
vari rimedi che consentono di superare il giudicato penale, e che la
recente giurisprudenza di legittimita' ne ha significativamente
esteso in via pretoria l'ambito di applicazione: ad esempio
ammettendo la revoca di una condanna pronunciata sulla base di una
disposizione penale giudicata incompatibile con il diritto
dell'Unione europea dalla Corte di giustizia (Corte di cassazione,
sezione prima penale, sentenza 12 aprile 2012, n. 14276) ovvero di
una condanna fondata su una norma incriminatrice gia' abrogata al
momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato (Corte di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 ottobre 2015-23 giugno
2016, n. 26259), nonche' la rideterminazione della pena nel caso di
sopravvenienza di una sentenza della Corte europea dei diritti
dell'uomo dichiarativa di una violazione convenzionale relativa al
quantum della pena inflitta (Corte di cassazione, sezioni unite
penali, sentenza 24 ottobre 2013-7 maggio 2014, n. 18821) ovvero nel
caso di sopravvenuta dichiarazione di illegittimita' costituzionale
della comminatoria edittale (Corte di cassazione, sezioni unite
penali, sentenza 29 maggio 2014, n. 42858). Tuttavia, nessuno di tali
rimedi e' funzionale a rilevare, in sede esecutiva, errores in
procedendo e relative nullita' verificatesi durante il processo:
siano state esse allegate e discusse dalle parti durante il processo
stesso, ovvero rilevate per la prima volta dopo la formazione del
giudicato.
La pronuncia additiva auspicata dal rimettente finirebbe, cosi',
per introdurre nel sistema un'ipotesi del tutto anomala di nullita',
resistente alla formazione del giudicato, e derogatoria rispetto alla
regola implicita di chiusura del sistema di cui si e' detto. Il che
spalancherebbe inevitabilmente la strada al riconoscimento di sempre
nuove ipotesi di nullita' "resistenti al giudicato", con le quali chi
sia stato condannato in via definitiva potrebbe rimettere in
discussione accertamenti gia' compiuti nei successivi gradi di
giudizio sulla sussistenza di vizi procedimentali.
Ad arginare tale rischio non varrebbe, d'altra parte, il
tentativo - pure compiuto dall'ordinanza di rimessione - di confinare
l'eventuale rilevabilita' di errores in procedendo in sede esecutiva
a quelle sole violazioni di regole procedimentali che ridondino in
altrettante lesioni dei diritti fondamentali dell'imputato, come
quelle che in questa sede vengono indubitabilmente in considerazione,
giacche' della gran parte delle nullita' previste dal codice di
procedura penale potrebbe parimenti predicarsi l'incidenza sul
diritto alla difesa di cui all'art. 24 Cost., o comunque sui principi
(e diritti fondamentali) inerenti al giusto processo di cui all'art.
111 Cost.
Un simile scenario rischierebbe di pregiudicare gravemente
l'interesse, di respiro costituzionale, all'efficiente, e
ragionevolmente spedito, funzionamento della giustizia penale:
interesse che esige di essere contemperato con le ragioni di tutela
effettiva dei diritti fondamentali dell'imputato, assicurata
quest'ultima dalla presenza, nell'ordinamento italiano, di un
articolato regime delle impugnazioni, comprensivo del ricorso per
cassazione, nonche', per i reati piu' gravi, del filtro dell'udienza
preliminare. Della necessita' di un tale ragionevole bilanciamento -
di cui si fa carico il sistema di rilevazione delle nullita'
disegnato dal codice di rito, con il correlativo sbarramento
rappresentato dalla res iudicata - questa Corte non puo' non tenere
conto, nell'assicurare una tutela «sistemica e non frazionata» dei
diritti e dei principi costituzionali (sentenza n. 317 del 2009).
Da cio' consegue la non fondatezza delle censure in esame.
5.2.- Un secondo gruppo di censure, formulate in riferimento
all'art. 13 Cost. e all'art. 117, primo comma, Cost. in relazione
all'art. 5, paragrafi 1, lettera a), e 4, CEDU, lamenta che
l'impossibilita' di rimuovere il titolo esecutivo attraverso la sua
dichiarazione di nullita' in sede esecutiva comporterebbe la
necessita' di dare concreta attuazione a una pena detentiva illegale,
in quanto inflitta non solo da un'autorita' giudiziaria
funzionalmente incompetente, ma anche sulla base di un quadro
normativo che non contemplava tutte le possibilita' di definizioni
alternative del procedimento applicabili agli imputati minorenni
(supra, punto 3.1.), oltre che commisurata senza tenere conto
dell'obbligatoria applicazione della circostanza attenuante della
minore eta' di cui all'art. 98, primo comma, cod. pen. Un tale esito
determinerebbe, secondo il rimettente, l'illegittima compressione del
diritto fondamentale alla liberta' personale del ricorrente, che
tanto l'art. 13 Cost. quanto l'art. 5, paragrafo 1, CEDU pretendono
si attui in conformita' alla legge; nonche' una violazione del
diritto, previsto dall'art. 5, paragrafo 4, CEDU, ad un ricorso
effettivo contro le detenzioni illegittime, a sua volta funzionale
alla scarcerazione dell'interessato nel caso in cui la privazione
della liberta' personale risulti illegittima.
5.2.1.- Neppure tali censure possono essere accolte.
E' vero che, come giustamente rileva il rimettente, tanto la
giurisprudenza della Corte di cassazione poc'anzi rammentata (supra,
punto 5.1.1.), quanto la giurisprudenza di questa Corte hanno
ridimensionato significativamente il tradizionale principio
dell'intangibilita' del giudicato penale rispetto a sentenze di
condanna che abbiano irrogato pene illegali, essendosi in particolare
affermato - in consonanza con analoghi approdi delle sezioni unite
della Corte di cassazione (in particolare, Sezioni unite penali,
sentenza n. 18821 del 2014) - che «il principio di legalita'
costituzionale della pena [...] prevale sulle esigenze di certezza e
stabilita' dei rapporti giuridici, a presidio delle quali e' posto
l'istituto del giudicato» (sentenza n. 147 del 2021, punto 13. del
Considerato in diritto; in senso analogo, sentenze n. 68 del 2021,
punto 2.2. del Considerato in diritto, e n. 210 del 2013, punto 7.3.
del Considerato in diritto).
Tuttavia, proprio la giurisprudenza appena menzionata di questa
Corte ha avuto cura di confinare la necessita' di rideterminare la
pena in sede esecutiva all'ipotesi di una «sopravvenienza
costituzionalmente rilevante» - come una sentenza della Corte EDU che
attivi l'obbligo conformativo di cui all'art. 46 CEDU, o a fortiori
una pronuncia di illegittimita' costituzionale che abbia colpito una
comminatoria edittale. In difetto di una tale sopravvenienza, si e'
affermato, «l'intervento "a ritroso" del giudice dell'esecuzione non
avrebbe giustificazione alcuna» (sentenza n. 147 del 2021, punto 13.
del Considerato in diritto).
Anche la necessita' di tutela della legalita' della pena - nel
senso della sua conformita' alle norme processuali e sostanziali che
ne regolano l'irrogazione - trova dunque un fisiologico argine nella
irrevocabilita' della res iudicata, che segna normalmente il limite
estremo alla possibilita' di interventi correttivi, da parte dei
giudici delle successive impugnazioni, rispetto a eventuali errori
compiuti nel giudizio di cognizione: e cio' salva, per l'appunto,
l'ipotesi di sopravvenienze costituzionalmente rilevanti successive
al giudicato, che proiettino retrospettivamente una valutazione di
illegittimita' costituzionale sulla pena inflitta nel giudizio di
cognizione.
Mai, d'altra parte, la giurisprudenza di questa Corte e quella
della Corte EDU hanno dedotto dalle disposizioni della Costituzione e
della CEDU che ammettono una compressione della liberta' personale
soltanto nei «casi e modi previsti dalla legge» (art. 13, secondo
comma, Cost.), ovvero «nei modi previsti dalla legge» (art. 5,
paragrafo 1, CEDU), la possibilita' di rimettere in discussione una
sentenza di condanna che abbia applicato una pena detentiva, una
volta esauriti gli ordinari mezzi di gravame previsti
dall'ordinamento.
Ne' tale possibilita' potrebbe essere dedotta dall'art. 5,
paragrafo 4, CEDU, che garantisce il diritto di presentare un ricorso
a un tribunale perche' verifichi la legalita' degli arresti o delle
detenzioni compiute o ordinate da autorita' non giurisdizionali:
diritto che non puo' essere inteso come passe-partout per rimettere
in discussione la legittimita' di sentenze di condanna a pene
detentive passate in giudicato. Come ritenuto infatti dalla costante
giurisprudenza di Strasburgo, il controllo giudiziale imposto dalla
disposizione convenzionale sulla legittimita' della privazione di
liberta' e', di regola, gia' incorporato nella stessa sentenza di
condanna, in assenza almeno di «questioni nuove» che non siano gia'
state affrontate nel giudizio di cognizione (ex multis, Corte EDU,
sentenza 19 gennaio 2017, Ivan Todorov contro Bulgaria, paragrafo 59;
sentenza 14 gennaio 2014, Sâncrăian contro Romania, paragrafo 84;
sentenza 6 novembre 2008, Gavril Yossifov contro Bulgaria, paragrafo
57; sentenza 24 marzo 2005, Stoichkov contro Bulgaria, paragrafo 65).
Ne', infine, persuade il richiamo operato dal rimettente alla
sentenza della Corte EDU 12 febbraio 2013, Yefimenko contro Russia,
nella quale - come giustamente rileva l'Avvocatura generale dello
Stato - i giudici di Strasburgo hanno bensi' riscontrato una
violazione dell'art. 5, paragrafo 1, lettera a), CEDU, in presenza di
una sentenza di condanna a pena detentiva inflitta da un tribunale di
per se' competente a giudicare del reato in questione, ma composto in
modo macroscopicamente difforme dalle previsioni della legge; mentre
la questione che in questa sede si agita concerne la diversa ipotesi
di un difetto di competenza funzionale del giudice che ha pronunciato
la sentenza.
5.3.- Infine, il rimettente ritiene che la disciplina censurata -
nel non prevedere la possibilita' di dichiarare nulla la sentenza
pronunciata erroneamente da un giudice penale ordinario nei confronti
di un imputato minorenne all'epoca del fatto - determini una
violazione del principio del giudice naturale, sancito dall'art. 25,
primo comma, Cost.
5.3.1.- Nemmeno questa censura, peraltro solo succintamente
motivata, merita accoglimento.
La giurisprudenza costituzionale e' costante nell'affermare che
tale principio e' rispettato «tutte le volte che l'organo giudicante
risulti istituito sulla base di criteri generali prefissati per legge
(ordinanza n. 159 del 2000), essendo sufficiente che la legge
determini criteri oggettivi e generali, capaci di costituire un
discrimen della competenza o della giurisdizione di ogni giudice
(ordinanza n. 176 del 1998; v. anche sentenza n. 419 del 1998, n. 217
del 1993 e n. 269 del 1992; ordinanza n. 257 del 1995)» (ordinanza n.
343 del 2001).
Ora, i criteri in base ai quali e' predeterminata la competenza
penale del tribunale per i minorenni sono fissati in modo chiaro
dall'art. 3 del d.P.R. n. 448 del 1988 (nonche' dall'art. 14 cod.
proc. pen., e dall'art. 4, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del
giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre
1999, n. 468»), senza che residuino spazi per un'arbitraria
applicazione di tali disposizioni: il che basta per dimostrare
l'infondatezza della censura. Contro la possibilita' di errori, nella
pratica giudiziaria, circa l'individuazione del giudice competente
nei singoli casi concreti l'ordinamento appresta specifici rimedi, e
in particolare le nullita' processuali disciplinate dagli artt. 177 e
seguenti cod. proc. pen.; ma sarebbe certamente incongruo far
derivare dall'esigenza di precostituzione per legge del giudice di
cui all'art. 25 Cost. la necessita' di prevedere un meccanismo che
consenta di rimettere in discussione le statuizioni sulla competenza
del giudice, la cui conformita' alla legge sia stata verificata e
confermata nei gradi successivi del processo. Ove cosi' fosse,
infatti, risulterebbe impossibile pervenire a statuizioni definitive
non solo sulla competenza, ma anche sulla stessa legittimita' di
tutti i provvedimenti assunti dai giudici che di volta in volta si
siano pronunciati sul caso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 670 del codice di procedura penale, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 10, 13, 25, primo comma, e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 5,
paragrafi 1, lettera a), e 4, della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo (CEDU), dal Tribunale ordinario di Bologna, sezione seconda
penale, in funzione di giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
