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Di Stefano Nespor. È ormai nota e ampiamente commentata sulle principali riviste la sentenza della CGUE 24 novembre 2011, Commissione europea – Repubblica Italiana. La sentenza ha stabilito che con l’art.2 della L.13\4\1988 n.117 (ove si esclude qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione dei fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo) la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.
Di conseguenza, le sentenze emesse dalla Corte di Cassazione, dal Consiglio di Stato o dalla Corte dei Conti che siano in violazione di principi del diritto comunitari determinano il diritto al risarcimento da parte dei singoli purché a) la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli b) la violazione sia sufficientemente caratterizzata e c) vi sia un nesso causale tra violazione dell’obbligo e il danno subito.
La sentenza è stata emessa a conclusione di un procedimento di infrazione avviato dalla Commissione a seguito di un ostinata e protratta inottemperanza dello Stato italiano a quanto disposto nella sentenza Traghetti del Mediterraneo  dalla CGUE – Grande Sezione il 13 giugno 2006 (causa C-173/03), nonostante ripetuti solleciti da parte degli organi comunitari.
A questo proposito, voglio richiamare l’importante nota di Alessandro Pace “Le ricadute sull’ordinamento italiano della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 24 novembre 2011 sulla responsabilità dello Stato-giudice, pubblicata su Giur.Cost. del 2011, fascicolo 6, pag.4724 e seguenti.
Due sono i punti di particolare rilievo.
Il primo concerne il mito della libertà interpretativa. Osserva Pace  che “d’ora in avanti non sarà più applicabile la giurisprudenza della Corte di Cassazione”, espressamente censurata perché troppo restrittiva nella sentenza della CGUE annotata “che identificava.. talune ipotesi difficilmente concretizzabili (violazioni evidenti, grossolane e macroscopiche delle norme di diritto, lettura di esse in termini contrastanti con ogni criterio logico; adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, manipolazione arbitraria del testo normativo”. Scompare così dal nostro ordinamento, per merito dell’Unione europea, il “mito dell’assoluta libertà interpretativa” in qualche modo giustificato proprio dall’art.2 della L.117, che ha finito per coinvolgere un po’ tutti, mettendo sullo stesso piano sia lo studioso che si muove in piena autonomia, sia il magistrato che esercita una funzione pubblica che quindi ha dei limiti intrinseci e ulteriori rispetto allo studioso, costituiti dall’etica professionale e dalla responsabilità disciplinare.
Il secondo punto è di ancora maggiore rilievo sul piano degli sviluppi futuri della giurisprudenza. Infatti, Pace pone il problema se i principi del diritto al risarcimento del singolo per violazione del diritto commesso da organi di ultima istanza stabiliti dalla CGUE valgano solo allorché entra in gioco il diritto dell’Unione oppure se debbano essere estesi anche all’ordinamento interno. La risposta è che “sarebbe paradossale sostenere… che essi possano valere solo con riferimento al diritto dell’Unione europea. Con la conseguenza, in tal caso, che con riferimento al solo diritto nazionale si dovrebbe continuare a sostenere che chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento di un atto o di un provvedimento giudiziario non può essere risarcito dallo Stato se non in caso di dolo o colpa grave del magistrato”. La conclusione è che “la distinta considerazione.. del diritto dell’Unione europea e del diritto interno, per quanto riguarda l’attività dei giudici, deve ritenersi assolutamente improponibile”.
Ovviamente, mancando, nel caso del diritto interno, un organo giurisdizionale sovranazionale che “certifichi” le violazioni commesse dai giudici di ultima istanza, così come è accaduto anche recentemente per la vicenda dei dipendenti scolastici ATA, non è altrettanto agevole individuare dove cessi la libertà interpretativa e cominci l’arbitrio che dà diritto al risarcimento. Ma è importante comunque la conclusione che, dal punto di vista giuridico, questa possibilità vi sia, e non permanga la barriera posta dall’art.2 della L.117.

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