REATI TRIBUTARI: omesso versamento delle ritenute.
CORTE COSTITUZIONALE23 giugno – 14 luglio 2022 SENTENZA N. 175
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati tributari - Omesso versamento delle ritenute - Ampliamento della fattispecie, mediante l'inclusione, per mezzo di decreto legislativo, dell'omesso versamento delle ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del sostituto d'imposta - Violazione dei principi e criteri direttivi della delega legislativa e del principio della riserva di legge in materia penale - Illegittimita' costituzionale parziale - Spettanza al legislatore del compito di rivedere il complessivo regime sanzionatorio. Reati tributari - Omesso versamento delle ritenute - Ampliamento della fattispecie, mediante l'inclusione, per mezzo di decreto legislativo, dell'omesso versamento delle ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del sostituto d'imposta - Norme collegata ad altra dichiarata costituzionalmente illegittima - Illegittimita' costituzionale in via consequenziale. - Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, art. 7, comma 1, lettera b); decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-bis. - Costituzione, artt. 3, 25, secondo comma, 76, e 77, primo comma.
(GU n.29 del 20-7-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo
PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1,
lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158
(Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8,
comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), modificativo dell'art.
10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina
dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a
norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso
dal Tribunale ordinario di Monza, in composizione monocratica, nel
procedimento penale a carico di G. J., con ordinanza del 27 maggio
2021, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 2021 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie
speciale, dell'anno 2021.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2022 il Giudice
relatore Giovanni Amoroso;
deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 27 maggio 2021 (r. o. n. 155 del 2021), il
Tribunale ordinario di Monza, in composizione monocratica, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli artt. 3, 25, secondo comma, 76, 77, primo comma, della
Costituzione, dell'art. 7, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema
sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11
marzo 2014, n. 23), limitatamente alle parole «dovute sulla base
della stessa dichiarazione o» aggiunte nel testo dell'art. 10-bis del
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati
in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma
dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e,
conseguentemente, della suddetta disposizione, come modificata, nella
parte in cui prevede la rilevanza penale di omessi versamenti di
ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del
sostituto d'imposta.
1.1.- Il rimettente riferisce di procedere nei confronti di G.
J., imputato del reato di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del
2000 perche', «quale legale rappresentante della societa' G. J. srl
non versava, entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale di sostituto d'imposta per l'anno di imposta
2015, ritenute risultanti (dichiarazione modello 770) per un
ammontare complessivo di 675.503,69 euro».
Circa l'imputazione, nell'ordinanza di rimessione si evidenzia
che, inizialmente, il reato era stato contestato in termini di omesso
versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai
sostituiti (per importo eccedente la soglia di punibilita'
contemplata dall'art. 10-bis del d.lgs. 74 del 2000), e che,
successivamente, all'udienza del 27 maggio 2021, il pubblico
ministero aveva proceduto ad integrare l'originaria imputazione,
precisandola nel senso dell'omesso versamento di ritenute dovute in
base alla dichiarazione annuale di sostituto di imposta (fermo
l'importo complessivo di imposta evasa gia' indicato).
Il rimettente, in primo luogo, sottolinea come la fattispecie di
«omesso versamento di ritenute certificate» - introdotta dall'art. l,
comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2005)» - si presenti eccentrica, sul
piano politico criminale, rispetto al primigenio assetto del d.lgs.
n. 74 del 2000, calibrato su fattispecie di evasione oggettivamente
organizzate sulla presentazione di una dichiarazione annuale,
connotata da profili di fraudolenza, e soggettivamente orientate da
dolo specifico di evasione, e su tre incriminazioni collaterali,
considerate dagli artt. 8, 10 e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000,
svincolate dal momento dichiarativo, ma colorate da evidente
attitudine lesiva.
La disposizione, rubricata «Omesso versamento di ritenute
certificate», in particolare, puniva «con la reclusione da sei mesi a
due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta
ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti,
per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo
d'imposta».
Cio' precisato, il rimettente rileva come la tipicita' della
fattispecie sia mutata a seguito del d.lgs. n. 158 del 2015,
attuativo della legge delega 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo
recante disposizioni per un sistema fiscale piu' equo, trasparente e
orientato alla crescita).
In particolare, il giudice a quo evidenzia che l'art. 8 della
legge n. 23 del 2014, rubricato «Revisione del sistema
sanzionatorio», ha delegato il Governo, in parte qua, a «procedere
[...] alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario
secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalita' rispetto
alla gravita' dei comportamenti, prevedendo [...] la possibilita' di
ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare
sanzioni amministrative anziche' penali, tenuto anche conto di
adeguate soglie di punibilita'».
In attuazione della norma di delega, l'art. 7 del d.lgs. n. 158
del 2015 ha modificato il paradigma delittuoso dell'art. 10-bis del
d.lgs. n. 74 del 2000 rubricato, ora, «Omesso versamento di ritenute
dovute o certificate», il quale testualmente, dispone: «E' punito con
la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il
termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di
sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa
dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai
sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per
ciascun periodo d'imposta».
Alla luce di tale premessa, il rimettente osserva che per effetto
della disposizione censurata la figura delittuosa in esame e' stata
novellata in relazione a due profili: in primo luogo, si e' ristretto
il perimetro di rilevanza penale, tramite l'innalzamento della soglia
di punibilita'; su un altro versante, si e' ampliato lo spettro della
fattispecie mediante l'aggiunta del riferimento alla debenza delle
ritenute sulla scorta della mera presentazione della dichiarazione
annuale di sostituto di imposta (cosiddetto modello 770).
Di qui «l'arricchimento del presupposto di tipicita' dell'obbligo
di versamento, penalmente presidiato, in capo al sostituto», con
conseguente asserita illegittimita' costituzionale della disposizione
per eccesso di delega nella porzione relativa al sintagma «dovute
sulla base della stessa dichiarazione o».
A tal riguardo il rimettente evidenzia che il sindacato di
costituzionalita' in materia di eccesso di delega in ambito penale si
muova tra due opposte esigenze: da un lato, vi e' il principio, non
flessibile, della riserva di legge in materia penale (art. 25,
secondo comma, Cost.), che si sostanzia nel tendenziale monopolio del
Parlamento, quale rappresentante della volonta' popolare nella
dialettica tra maggioranza e minoranza, sulle scelte d'incriminazione
(e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 230 del 2012), salvi i
casi di legittimo intervento del potere esecutivo (decreto
legislativo e, sebbene piu' problematicamente, decreto-legge);
dall'altro, rileva l'essenza stessa della delega legislativa (artt.
76 e 77, primo comma, Cost.), il cui esercizio non puo' ridursi ad
automatica trasposizione di norme gia' fissate nella loro interezza
nella legge delega (pena lo svilimento della legislazione delegata a
normazione di stampo sostanzialmente «regolamentare») e, tuttavia,
marcata dal limite invalicabile di legittimita' costituzionale del
rispetto dei principi e criteri direttivi fissati nella legge delega,
al fine di scongiurare l'improprio svuotamento delle garanzie sottese
alla riserva di legge.
In relazione a tale profilo, il giudice a quo si sofferma sulla
copiosa giurisprudenza costituzionale in tema di eccesso di delega,
richiamando i principi affermati, tra le tante, nella sentenza n. 5
del 2014, adottata in relazione ad una ipotesi di abolitio criminis,
(introdotta dal decreto legislativo al di fuori della norma di
delega), predicabili a fortiori nella fattispecie in esame, in cui la
norma delegata amplia una figura delittuosa gia' esistente, in
assenza di copertura nei criteri direttivi della delega.
Premesso tale quadro giurisprudenziale, il rimettente afferma che
nella fattispecie in esame e' evidente il contrasto tra i criteri e i
principi fissati nella delega e «il prodotto del decreto delegato,
quanto alla novellata calibrazione della omissione propria dell'art.
10 bis d.lgs.74/2000».
Infatti, mentre anteriormente alla norma delegata, nella cornice
delittuosa ricadevano esclusivamente le condotte di omesso versamento
di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti,
componendosi la norma incriminatrice di un primo segmento commissivo
costituito dal rilascio delle certificazioni, seguito dall'inerzia
nel versamento, con la novella in esame la pura omissione del
versamento acquista tipicita', purche' dalla dichiarazione risulti la
debenza delle somme a titolo di ritenute sulla scorta della
dichiarazione (modello 770), a prescindere dal rilascio delle
certificazioni ai sostituiti.
Il rimettente, in particolare, rileva che, attraverso la nuova
formulazione della fattispecie incriminatrice, il legislatore avrebbe
risolto il contrasto giurisprudenziale, insorto con riferimento alla
valenza probatoria del modello 770, circa l'esistenza del rilascio
delle certificazioni; contrasto poi risolto dalle sezioni unite della
Corte di cassazione, in relazione ai fatti commessi anteriormente
alla novella, dalla sentenza 22 marzo-1° giugno 2018, n. 24782, nella
quale si e' affermato che, al fine del rilascio delle certificazioni,
non e' sufficiente la mera acquisizione del modello 770, occorrendo
piuttosto la prova di tale elemento della fattispecie.
Ad avviso del giudice a quo, con l'arresto in esame le Sezioni
unite avrebbero ribadito che il legislatore del 2004, nell'inserire
l'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 nel micro settore penale
tributario, ha espressamente condizionato la tipicita' dell'omissione
al rilascio delle certificazioni ai sostituiti, e dall'altro,
avrebbero rinvenuto nella novella del 2015 un rafforzamento
dell'interpretazione accolta.
Cio' precisato, il rimettente rileva che nel delegare l'esecutivo
alla «revisione» del sistema penale tributario, l'art. 8 della legge
n. 23 del 2014 avrebbe limitato lo spazio d'azione del legislatore
delegato vincolandolo alla «mera "possibilita' di ridurre le sanzioni
per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative
anziche' penali, tenuto conto anche di adeguate soglie di
punibilita'"».
A parere del giudice a quo, inoltre, non vi sarebbe alcun dubbio
sulla ascrivibilita' del reato di omesso versamento delle ritenute
alla categoria delle «fattispecie meno gravi» tra quelle che
compongono il settore tributario; e cio' alla luce delle numerose
disposizioni di maggior favore contenute nel d.lgs. n. 74 del 2000,
dettate in riferimento al delitto in esame.
Nella direzione della minore gravita' della fattispecie,
peraltro, assumerebbero rilievo anche gli altri criteri direttivi
dell'art. 8 della legge delega, concernenti le norme incriminatrici
penali tributarie connotate da fraudolenza, da comportamenti
simulatori o finalizzati alla creazione o all'utilizzo di falsa
documentazione, e che individuano un piu' preciso discrimen tra
condotte di effettiva evasione e di mera elusione di imposta, e che
influiscono sul regime della dichiarazione infedele.
Si tratterebbe di categorie in alcun modo riferibili alle
omissioni in esame, nelle quali difetta il requisito della
fraudolenza, e non vi sono interrelazioni con il tema dell'elusione
fiscale, trattandosi di condotte distinte dalla dichiarazione
infedele, ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000.
Secondo il rimettente il legislatore delegato, ad onta di tali
criteri direttivi, arrogandosi scelte di politica criminale spettanti
al Parlamento, avrebbe impresso un deciso ampliamento dell'area di
rilevanza penale di tale delitto, la' dove la delega in assenza di
«elementi testuali suscettibili di divergenti letture» (e' citata la
sentenza di questa Corte n. 127 del 2017) precludeva senz'altro la
possibilita' di attrarre nel perimetro della tipicita' della
fattispecie, condotte penalmente irrilevanti all'epoca in cui la
legge delega e' stata promulgata.
Ne', afferma il rimettente, si puo' ritenere che la nuova
formulazione dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 sia
rispettosa della delega perche' e' stata innalzata la soglia di
punibilita'.
Per effetto dell'art. 7 del d.lgs. n. 158 del 2015, infatti,
diventano penalmente rilevanti comportamenti che in precedenza
esulavano dalla tipicita', quali gli omessi versamenti delle ritenute
risultanti esclusivamente dalla dichiarazione annuale del sostituto
di imposta per importi eccedenti 150.000 euro.
Il rimettente, poi, espone ulteriori censure in punto di
contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione dei
principi di uguaglianza e di ragionevolezza.
In primo luogo, nell'ordinanza si afferma che la fattispecie,
come modificata dall'art. 7 del d.lgs. n. 158 del 2015, si porrebbe
in frizione con il parametro costituzionale indicato, tanto se il
sindacato di ragionevolezza fosse condotto secondo il tradizionale
giudizio triadico, tanto se, alla luce del piu' recente orientamento
della giurisprudenza costituzionale, si soffermasse l'analisi sulla
verifica della offensivita' e proporzionalita' della risposta
repressiva rispetto all'effettivo disvalore condensato nella norma
incriminatrice sospettata di incostituzionalita'.
Infatti, evidenziando l'assenza nel sistema penale tributario di
una figura delittuosa che tipizzi la presentazione di dichiarazioni
fraudolente del sostituto di imposta, il rimettente rileva che
attraverso l'ampliamento della tipicita' del reato acquista rilevanza
penale l'omissione liquidatoria di ritenute unicamente risultanti
dalla dichiarazione del sostituto di imposta.
Cosi' operando, il legislatore avrebbe innalzato lo standard
della tutela per il bene giuridico di categoria, prevedendo il
presidio penale per una condotta di omesso versamento che, pur
rinvenendo nella dichiarazione il proprio presupposto operativo, e'
comunque circoscritta alla fase finale, prettamente liquidatoria, del
tributo, e che nel contesto complessivo del sistema penale tributario
si colloca a un livello inferiore di disvalore astratto, come
dimostrato dalla mitezza delle sanzioni edittali delle figure
omissivo-liquidatorie rispetto ai piu' gravi illeciti dichiarativi.
Infatti, prosegue il rimettente, tra tali piu' gravi illeciti
dichiarativi non rientrano previsioni delittuose in materia di
dichiarazioni fraudolente o infedeli del sostituto di imposta, se non
nel contesto dell'art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 il quale, per
effetto dell'art. 5, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 158 del 2015
contempla, ora, anche l'omessa dichiarazione del sostituto di
imposta, che, secondo il rimettente, sarebbe gravemente indiziata di
illegittimita' costituzionale.
Conseguirebbe da cio' che, in difetto del rilascio delle
certificazioni, e' punito il contribuente che presenti un modello 770
veritiero e ometta di versare le ritenute per un importo superiore a
150.000 euro, mentre andra' esente da pena il sostituto di imposta
che, rendendosi ugualmente inadempiente a un debito tributario di
pari entita', abbia presentato una dichiarazione falsa, indicando un
debito inferiore alla soglia di punibilita'.
Ad avviso del rimettente, il legislatore avrebbe, dunque,
regolato in termini deteriori, con il ricorso al presidio penale,
condotte meno gravi di quelle ricadenti sempre sulle ritenute del
sostituto di imposta, caratterizzate da un piu' intenso disvalore e
tuttavia sfornite di tutela penale.
Inoltre, sussisterebbe una intrinseca irragionevolezza della
fattispecie, come modificata, in quanto essa affiderebbe,
interamente, alla dichiarazione del sostituto uno dei due alternativi
criteri del calcolo dell'imposta evasa e, in conseguenza, di verifica
del superamento della soglia di punibilita'.
Un tale disegno normativo, ad avviso del rimettente gia'
irragionevole quando sia mancato il rilascio delle certificazioni,
assumerebbe contorni paradossali quando le ritenute fossero anche
certificate.
L'assenza di incriminazioni a presidio della veridicita' del
sostituto si tradurrebbe, a parer del rimettente, in un improprio
incentivo a presentare un modello 770 mendace in punto di quantum
effettivamente dovuto, con indicazione di importi inferiori alla
soglia di punibilita'; in tal caso il PM sarebbe comunque onerato di
dimostrare, oltre alla falsita' del modello 770, non piu'
utilizzabile come presupposto dell'omissione, anche l'avvenuto
rilascio delle certificazioni ai sostituiti esattamente come accadeva
prima del d.lgs. n. 158 del 2015.
1.2.- Quanto alla rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale, il rimettente osserva che il procedimento incardinato
innanzi a se' vede imputata una persona del delitto di omesso
versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione in
relazione a un fatto commesso il 15 settembre 2016, e, quindi,
successivamente al 22 ottobre 2015, data di entrata in vigore del
d.gs n. 158 del 2015, e con imposta evasa ampliamente eccedente la
soglia di punibilita' della fattispecie incriminatrice.
Inoltre, il giudice a quo da' atto che dal fascicolo del PM,
acquisito con il consenso della difesa, ed in particolare dalla
lettura della dichiarazione del modello 770, emerge la sussistenza
del nuovo presupposto di tipicita' della fattispecie, integrata anche
sul piano del coefficiente psicologico, non risultando una crisi di
liquidita' che, ad avviso della giurisprudenza di legittimita',
potrebbe assumere efficacia scusante rispetto alla realizzazione
della condotta tipica.
Pertanto, alla luce della nuova formulazione della norma
incriminatrice, il processo, con elevata probabilita', dovrebbe
concludersi con l'affermazione della responsabilita' penale
dell'imputato, risultando la prova degli elementi costitutivi del
reato, e non rilevando in senso contrario la possibilita' di accedere
a riti alternativi, i quali comunque, richiedono una preliminare
valutazione dei presupposti per la pronuncia della sentenza di
proscioglimento, ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura
penale.
1.3.- Con atto depositato l'8 novembre 2021, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto nel presente giudizio di
legittimita' costituzionale chiedendo alla Corte di dichiarare le
questioni manifestamente infondate.
La difesa dello Stato osserva che in aderenza alle indicazioni
del legislatore delegante, il Governo avrebbe chiarito la portata
della norma senza estendere la condotta incriminatrice, non
incorrendo nel vizio di eccesso di delega.
A tal riguardo, la difesa statale rileva che, dalla lettura dei
lavori parlamentari della legge delega n. 23 del 2014 e della
relazione illustrativa al d.lgs. n. 158 del 2015, emergerebbero
spunti decisivi a sostegno della natura interpretativa e non novativa
della fattispecie di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000
nella versione attualmente vigente.
In particolare, nell'atto di intervento evidenzia che se, da un
lato, la norma, nella sua formulazione originaria, effettuava il
richiamo alla sola certificazione per il fondamentale rilievo che
essa impedisce all'Erario di agire nei confronti del sostituito;
dall'altro, pero', si rileva che in tal modo si finiva per lasciare
al sostituto ampi margini per sottrarsi alla responsabilita' penale;
sarebbe stato, infatti, sufficiente non certificare le ritenute dopo
averle regolarmente eseguite per sfuggire completamente alla
sanzione.
La difesa, inoltre, rileva che gia' sotto la vigenza della
formulazione originaria, le indicazioni della giurisprudenza e della
prassi, come evidenziato dalla Risoluzione dell'Agenzia delle entrate
n. 68/E del 19 marzo 2009, erano dirette a sollevare il sostituito
dal proprio obbligo, una volta dimostrata in qualsiasi modo
l'effettuazione della ritenuta (a tal riguardo e' richiamata la
sentenza della Corta di cassazione, sezioni unite civili, 12 aprile
2019, n. 10378).
Inoltre, prosegue la difesa statale, in sede amministrativa, la
responsabilita' solidale del sostituito era stata in molti casi
esclusa a seguito della semplice dimostrazione della avvenuta
applicazione della ritenuta, a prescindere, quindi, dalla
certificazione (ad esempio, producendo la prova della trattenuta
attraverso gli assegni rilasciati per il pagamento dei compensi
ovvero tramite le buste paga).
La modifica apportata dal d.lgs. n. 158 del 2015, a parere
dell'Avvocatura, recepirebbe tali indicazioni, dal momento che il
comportamento fraudolento che si intende colpire con la norma penale,
posta a tutela dell'interesse patrimoniale alla corretta e puntuale
percezione del tributo, si manifesta a prescindere dalla
certificazione o dalle interferenze amministrative legate alla
responsabilita' solidale del sostituito.
Quanto alla violazione dell'art. 25 Cost., la difesa statale,
oltre a dubitare dell'ammissibilita' della questione, deducendo una
mera motivazione di stile da parte del giudice a quo, reputa che essa
sia comunque priva di fondamento, ed a tal riguardo richiama numerose
pronunce della Corte costituzionale in ordine alla possibilita' di
legiferare in materia penale attraverso il ricorso al decreto
legislativo.
Nel caso in esame, poi, contrariamente a quanto ritenuto dal
rimettente, il legislatore delegato non solo non avrebbe introdotto
alcuna nuova figura incriminatrice, ma, anzi, in virtu' della legge
delega, avrebbe ristretto la portata incriminatrice del fatto
elevando la soglia di punibilita' penalmente rilevante.
Quanto, infine, alla violazione del principio di
eguaglianza-ragionevolezza, la difesa dello Stato evidenzia, in primo
luogo, come il giudizio comparativo su cui il rimettente basa la
censura sarebbe errato in se'.
A tal riguardo, osserva che le asserite condotte poste a base
della ritenuta violazione del principio di eguaglianza
caratterizzate, secondo la prospettazione del rimettente, da un piu'
intenso disvalore, quali la presentazione di dichiarazioni false o
infedeli, che per il sostituto di imposta sarebbero penalmente
irrilevanti, sono solo quelle sotto la soglia (di rilevanza penale)
e, dunque, non possono porsi a valido fondamento di comparazione
riguardando situazioni giuridiche disomogenee tra loro.
L'Avvocatura, infine, osserva che il sindacato del merito delle
scelte sanzionatorie presuppone che l'opzione normativa contrasti in
modo manifesto con il canone della ragionevolezza, tale da
atteggiarsi alla stregua di una figura per cosi' dire sintomatica di
«eccesso di potere» e, dunque, «di sviamento rispetto alle
attribuzioni che l'ordinamento assegna alla funzione legislativa»
(sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 313 del 1995 e n. 146
del 1996).
Nel caso in esame, tra l'altro, l'aumento della soglia di
punibilita' penale comproverebbe proprio il contrario di quanto
prospettato dal giudice a quo, ovvero un restringimento dell'alveo
penale della fattispecie con trattamento sanzionatorio inalterato
rispetto al passato.
1.4.- La Camera degli avvocati tributaristi del Veneto ha
depositato un'opinione scritta, in qualita' di amicus curiae,
sottolineando in particolare, che la nuova formulazione della norma
operata dall'intervento normativo censurato, riaprirebbe tutti i
dubbi applicativi concernenti la differenziazione tra illecito
tributario e illecito amministrativo, in punto di divieto di bis in
idem.
L'opinione e' stata ammessa, ai sensi dell'art. 4, comma 3, delle
Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale,
vigenti ratione temporis, con decreto presidenziale del 16 maggio
2022.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 27 maggio 2021 (r. o. n. 155 del 2021), il
Tribunale ordinario di Monza, in composizione monocratica, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli artt. 3, 25, secondo comma, 76, 77, primo comma, della
Costituzione, sia dell'art. 7, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema
sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11
marzo 2014, n. 23) - nella parte in cui ha inserito le parole «dovute
sulla base della stessa dichiarazione o» nel testo dell'art. 10-bis
del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei
reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a
norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205) - sia,
conseguentemente, dello stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000,
come modificato, nella parte in cui prevede la rilevanza penale di
omessi versamenti di ritenute dovute sulla base della mera
dichiarazione annuale del sostituto d'imposta.
Quanto alla violazione degli artt. 25, secondo comma, 76 e 77,
primo comma, Cost., il rimettente ritiene che l'ampliamento della
fattispecie incriminatrice del delitto di omesso versamento delle
ritenute, di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, non trovi
alcuna copertura nella delega di cui all'art. 8 della legge 11 marzo
2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema
fiscale piu' equo, trasparente e orientato alla crescita).
Tale disposizione infatti - secondo il rimettente - avrebbe
delegato il Governo alla «revisione del sistema sanzionatorio penale
tributario», limitando lo spazio d'azione del legislatore delegato
alla mera «possibilita' di ridurre le sanzioni per le fattispecie
meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziche' penali,
tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilita'».
Il Governo non avrebbe potuto introdurre una nuova fattispecie
penale, prima non prevista, cosi' violando anche il principio di
stretta legalita' di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.
Le disposizioni censurate violerebbero, poi, anche il principio
di uguaglianza e quello di ragionevolezza (art. 3 Cost.). In
particolare osserva il rimettente che sarebbe punito il contribuente
che presenti un modello 770 veritiero e ometta di versare le ritenute
per un importo superiore alla soglia di euro 150.000, mentre andrebbe
esente da pena il sostituto di imposta che, rendendosi ugualmente
inadempiente a un debito tributario di pari entita', abbia presentato
una dichiarazione infedele, indicando un debito inferiore alla soglia
di punibilita'.
2. - In via preliminare, le questioni sono ammissibili.
Il giudice rimettente ha puntualmente motivato in punto di
rilevanza.
Le questioni sono infatti senz'altro rilevanti in quanto nel
giudizio a quo l'imputato deve rispondere del delitto di omesso
versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione in
relazione a un fatto commesso il 15 settembre 2016 e dunque,
successivo al 22 ottobre 2015, data di entrata in vigore del d.lgs.
n. 158 del 2015, e con imposta evasa per un ammontare complessivo
superiore alla soglia di punibilita' prevista dalla fattispecie
incriminatrice.
Inoltre, il giudice rimettente ha sufficientemente motivato la
non manifesta infondatezza delle questioni.
3.- Le censure del giudice rimettente vanno inquadrate nel
contesto dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale, relativamente
alla fattispecie incriminatrice in esame.
Il primo assetto organico del sistema sanzionatorio penale
tributario e' contenuto nel decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429
(Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui
redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle
pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella
legge 7 agosto 1982, n. 516. In particolare, con riguardo alle
condotte illecite attribuibili al sostituto di imposta, l'art. 2
aveva previsto una disciplina sanzionatoria articolata in reati di
natura sia contravvenzionale (art. 2, comma 1, numeri 1, 2 e 3), sia
delittuosa (art. 2, comma 2).
Accanto alle contravvenzioni di omessa e infedele dichiarazione
del sostituto di imposta (con la previsione di differenti soglie di
punibilita'), l'art. 2, comma 2, sanzionava con la reclusione da due
mesi a tre anni e con la multa da un quarto alla meta' della somma
non versata, chiunque non pagava all'erario le «ritenute
effettivamente operate» a titolo di acconto o di imposta sulle somme
pagate.
Tale disciplina aveva, dunque, introdotto un regime sanzionatorio
decisamente piu' severo di quello previsto dall'art. 92, terzo comma,
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione
delle imposte sul reddito), che sanzionava con la sola pena della
multa la condotta di «[r]itardati od omessi versamenti diretti» e,
ancor prima, dall'art. 260 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645
(Approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette), il
quale stabiliva la pena dell'arresto fino a sei mesi per la condotta
di «[o]missione del versamento in tesoreria» di ritenute operate.
La disciplina penale recata dall'art. 2 del d.l. n. 429 del 1982,
come convertito, era stata, poi, novellata dall'art. 3 del
decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83 (Modifiche al decreto-legge 10
luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 1982, n. 516, in materia di repressione delle violazioni
tributarie e disposizioni per definire le relative pendenze),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 maggio 1991, n. 154.
Pur mantenendo ferma la previsione dell'omessa dichiarazione
annuale del sostituto di imposta, quale illecito penale di natura
contravvenzionale, la novella aveva disciplinato l'omesso versamento
delle ritenute secondo due distinte fattispecie incriminatrici.
La prima, di natura contravvenzionale, prevista al comma 2 del
novellato art. 2, del d.l. n. 429 del 1982, come convertito, con cui
si sanzionava, con la pena dell'arresto fino a tre anni o con
l'ammenda fino a lire sei milioni, l'omesso versamento entro il
termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di
ritenute alle quali il sostituto di imposta era obbligato per legge
relativamente a somme pagate per un ammontare complessivo per ciascun
periodo di imposta superiore a cinquanta milioni di lire.
La seconda, di natura delittuosa, prevista al comma 3, secondo
cui: «Chiunque non versa entro il termine previsto per la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta
ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti,
per un ammontare complessivo superiore a lire venticinque milioni per
ciascun periodo d'imposta, e' punito con la reclusione da tre mesi a
tre anni e con la multa da lire tre milioni a lire cinque milioni; se
il predetto ammontare complessivo e' superiore a dieci milioni di
lire ma non a venticinque milioni di lire per ciascuno periodo
d'imposta si applica la pena dell'arresto fino a tre anni o
dell'ammenda fino a lire sei milioni».
Su tale assetto sanzionatorio e', poi, intervenuto il d.lgs. n.
74 del 2000, adottato in attuazione dell'art. 9 della legge 25 giugno
1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati
minori e modifiche al sistema penale e tributario), che aveva
conferito la delega al Governo «per la depenalizzazione dei reati
minori e modifiche al sistema penale e tributario». Tale nuova
disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto ha, in via generale, limitato la rilevanza penale delle
fattispecie in materia tributaria alle sole condotte caratterizzate
da un comportamento fraudolento, richiedendo un quid pluris rispetto
al semplice sottrarsi all'obbligazione tributaria; con cio' non
prevedendo fattispecie incriminatrici concernenti il sostituto di
imposta. Le nuove fattispecie incriminatrici, introdotte dagli artt.
da 2 a 5 del d. lgs. n. 74 del 2000, non hanno riguardato
comportamenti del sostituto di imposta e, quindi, il comportamento
consistente nell'omesso versamento delle ritenute e' risultato
depenalizzato, rimanendo sanzionato sul solo piano amministrativo, ai
sensi degli artt. 13 e 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997,
n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in
materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di
riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera
q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662».
Tale piu' mite disciplina, per gli illeciti commessi dal
sostituto di imposta, e' rimasta inalterata fino a quando il
legislatore e' tornato a prevedere la sanzione penale.
Infatti, l'art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n.
311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», ha arricchito il
catalogo dei reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 introducendo
l'art. 10-bis che prevede il delitto di omesso versamento delle
ritenute secondo la seguente formulazione: «E' punito con la
reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine
previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di
sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione
rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila
euro per ciascun periodo di imposta».
La norma della finanziaria del 2005 ha, in sostanza,
reintrodotto, sia pure con alcune modifiche, il delitto di omesso
versamento di ritenute certificate, gia' disciplinato dall'art. 2,
comma 3, del d.l. n. 429 del 1982, come convertito, e come sostituito
dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 1991, come convertito,
lasciando pero' immuni da sanzione penale i casi di mancato
versamento all'erario di ritenute che non fossero state certificate.
Successivamente, con la legge n. 23 del 2014, il Parlamento ha
conferito un'ampia delega al Governo finalizzata a ridisegnare
l'ordinamento tributario per «un sistema fiscale piu' equo,
trasparente e orientato alla crescita».
La delega ha, tra l'altro, specificamente riguardato la
«revisione del sistema sanzionatorio», da attuarsi secondo i criteri
dettati dall'art. 8 della legge n. 23 del 2014.
Tale disposizione ha delegato il Governo a procedere «alla
revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri
di predeterminazione e di proporzionalita' rispetto alla gravita' dei
comportamenti, prevedendo: la punibilita' con la pena detentiva
compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni, dando
rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilita', alla
configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori
o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa,
per i quali non possono comunque essere ridotte le pene minime
previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
l'individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle
di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie;
l'efficacia attenuante o esimente dell'adesione alle forme di
comunicazione e di cooperazione rafforzata di cui all'articolo 6,
comma 1; la revisione del regime della dichiarazione infedele e del
sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel
rispetto del principio di proporzionalita', le sanzioni all'effettiva
gravita' dei comportamenti; la possibilita' di ridurre le sanzioni
per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative
anziche' penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di
punibilita'; l'estensione della possibilita', per l'autorita'
giudiziaria, di affidare in custodia giudiziale i beni sequestrati
nell'ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari agli
organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta al
fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative».
In attuazione di tale delega, l'art. 7, comma 1, lettere a) e b),
del d.lgs. n. 158 del 2015 ha modificato la previsione di cui
all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, rispettivamente nella
rubrica e nella descrizione della fattispecie, che ora reca la
seguente formulazione «[e'] punito con la reclusione da sei mesi a
due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la
presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta
ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti
dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare
superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta».
Deve aggiungersi che sul punto si era sviluppato un contrasto in
seno alla giurisprudenza di legittimita'.
Da una parte (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza
15 novembre 2012-11 gennaio 2013, n. 1443), si riconosceva alla
dichiarazione annuale del sostituto di imposta (modello 770) valenza
probatoria in ordine all'avvenuto rilascio delle certificazioni ai
sostituiti.
Dall'altra, si negava cio' ritenendo che occorresse la prova del
rilascio delle certificazioni ai sostituiti da parte del sostituto
(Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 8 aprile-1°
ottobre 2014, n. 40526).
Il contrasto e' stato composto dalle sezioni unite della Corte di
cassazione, (sentenza 22 marzo-1° giugno 2018, n. 24782) che hanno
affermato che «con riferimento all'art. 10-bis nella formulazione
anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015, la
dichiarazione modello 770 proveniente dal sostituto di imposta non
puo' essere ritenuta di per se' sola sufficiente ad integrare la
prova della avvenuta consegna al sostituito della certificazione
fiscale».
4.- Cio' premesso, sussiste il denunciato eccesso di delega
(artt. 76 e 77, primo comma, Cost.) che, concernendo l'introduzione
di una fattispecie di reato da parte del legislatore delegato, va
valutato congiuntamente al rispetto della riserva di legge e del
principio di stretta legalita' di cui all'art. 25, secondo comma,
Cost.
Se per un verso, in generale, la delega legislativa comporta una
discrezionalita' del legislatore delegato, piu' o meno ampia in
relazione al grado di specificita' dei «principi e criteri direttivi»
determinati nella legge delega, tenendo anche conto della sua ratio e
della finalita' da quest'ultima perseguita (ex plurimis, sentenze n.
142 del 2020, n. 96 del 2020 e n. 10 del 2018); per l'altro, in
particolare, il legislatore delegante deve adottare, nella materia
penale, criteri direttivi e principi configurati in modo assai
preciso, sia definendo la specie e l'entita' massima delle pene, sia
dettando il criterio, in se' restrittivo, del ricorso alla sanzione
penale solo per la tutela di determinati interessi rilevanti
(sentenze n. 49 del 1999 e n. 53 del 1997, ordinanza n. 134 del
2003).
Infatti, nella materia penale e' piu' elevato il grado di
determinatezza richiesto per le regole fissate nella legge delega;
cio' perche' il controllo del rispetto, da parte del Governo, dei
«principi e criteri direttivi», e' anche strumento di garanzia della
riserva di legge e del rispetto del principio di stretta legalita',
spettando al Parlamento l'individuazione dei fatti da sottoporre a
pena e delle sanzioni loro applicabili (sentenze n. 174 del 2021, n.
127 del 2017 e n. 5 del 2014).
5.- La disposizione censurata ha, per l'appunto, introdotto una
nuova fattispecie di reato, nel senso che ha previsto come condotta
penalmente perseguibile cio' che prima costituiva un illecito
amministrativo tributario: l'omesso versamento, entro il termine
previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di
sostituto di imposta, delle ritenute dovute sulla base della stessa
dichiarazione per un ammontare superiore a una determinata soglia di
punibilita' (fissata in 150.000 euro per ciascun periodo d'imposta).
Le alterne vicende del sistema sanzionatorio penale, sopra
esaminate per grandi linee, mostrano che l'assoggettamento a sanzione
(da parte della disposizione censurata) della condotta suddetta
costituisce una nuova e distinta fattispecie penale, che si affianca
a quella dell'omesso versamento, alle stesse condizioni, delle
ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti.
Benche' vi sia una contiguita' delle due condotte, perche'
concernono pur sempre le stesse ritenute operate dal sostituto, le
vicende normative sopra descritte mostrano che si tratta di condotte
diverse, le quali hanno avuto un trattamento giuridico nettamente
distinto.
Per lungo tempo, fino alla depenalizzazione del d.lgs. n. 74 del
2000, due erano state le fattispecie di condotte, penalmente
sanzionate dalla norma incriminatrice (l'art. 2 del d.l. n. 429 del
1982, come convertito e come sostituito), e ben diverse tra loro.
Il comma 2 dell'indicato art. 2 riguardava le ritenute dovute in
base alla relativa dichiarazione del sostituto. Si trattava di un
reato contravvenzionale (punito con la pena alternativa dell'arresto
o dell'ammenda), che aveva ad oggetto l'omesso versamento di ritenute
tout court sopra una certa soglia (all'epoca 50 milioni di lire)
entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione
annuale.
Il comma 3 della stessa disposizione sanzionava, invece, l'omesso
versamento delle «ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata
ai sostituiti» entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale di sostituto di imposta. Si trattava di una
condotta specifica, all'epoca valutata come piu' grave. Il reato era
configurato come delitto, punito con reclusione e multa, per l'omesso
versamento oltre la soglia di lire 25 milioni; e come
contravvenzione, sanzionato con la pena alternativa dell'arresto o
dell'ammenda, per l'omesso versamento di ritenute al di sotto della
soglia predetta, ma di importo superiore a lire10 milioni.
Era quindi ben chiara la distinzione tra le due fattispecie, la
seconda (quella del comma 3 dell'art. 2) piu' grave della prima
(quella del comma 2 dell'art. 2), sia perche' la soglia della
punibilita' era collocata piu' in alto per la contravvenzione di cui
al secondo comma rispetto al reato (delitto o contravvenzione) di cui
al terzo comma, sia perche' solo per il delitto - che concerneva
unicamente l'omesso versamento delle «ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituiti» - la pena detentiva e quella
pecuniaria erano congiunte, mentre per la contravvenzione erano
alternative.
L'elemento differenziale era costituito proprio dalle
certificazioni delle ritenute rilasciate dal sostituto ai sostituiti.
Il legislatore dell'epoca riteneva piu' grave la condotta del
sostituto, che metteva in circolazione le certificazioni,
utilizzabili dai sostituiti per l'assolvimento del loro obbligo
tributario, e poi ometteva il versamento delle ritenute certificate.
Queste erano quindi le due distinte fattispecie di reato, che poi
sarebbero state depenalizzate con il d.lgs. n. 74 del 2000, nel nuovo
assetto dei reati tributari, si' da essere sanzionate entrambe solo
come illeciti amministrativi tributari.
6.- Il legislatore del 2004, invertendo la rotta nel senso di
voler contrastare con la sanzione penale anche l'omesso versamento
delle ritenute, non poteva non aver presente che due erano le
fattispecie che avevano ad oggetto tale condotta. E in effetti ha
operato una scelta con l'introduzione, nel sistema sanzionatorio del
d.lgs. n. 74 del 2000, dell'art. 10-bis, disposizione di nuovo conio,
la quale e' stata chiaramente indirizzata a ripristinare la
sanzionabilita' penale della sola fattispecie piu' grave, in
precedenza prevista dall'art. 2, comma 3, del d.l. n. 429 del 1982,
come convertito e sostituito (l'omesso versamento delle ritenute
certificate), e non anche della fattispecie meno grave, quella
prevista dal comma 2 dello stesso art. 2 (l'omesso versamento delle
ritenute dovute in base alla dichiarazione del sostituto), che e'
rimasta soggetta solo alle sanzioni amministrative.
Il dato testuale della nuova disposizione rispecchiava tale
scelta perche', anche nella rubrica dell'art. 10-bis, si faceva
riferimento all'«omesso versamento di ritenute certificate» negli
stessi termini in cui, in passato, l'art. 2, comma 3, del d.l. n. 429
del 1982, come convertito e sostituito, riguardava l'omesso
versamento di «ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai
sostituiti». Il sostanziale ripristino di quella fattispecie penale
emergeva anche dal fatto che il reato di cui all'art. 10-bis era
configurato come delitto, e non gia' come contravvenzione, e che le
pene, della reclusione e della multa, erano congiunte, esattamente
come nell'art. 2, comma 3, del d.l. n. 429 del 1982, come convertito.
Anche l'entita' della pena era pressoche' identica.
Invece, la condotta gia' prevista come reato contravvenzionale -
quindi meno grave - dal comma 2 dell'art. 2 citato, ma poi
depenalizzata dal d.lgs. n. 74 del 2000, continuava ad essere non
sanzionata penalmente pur dopo l'introduzione dell'art. 10-bis nel
d.lgs. n. 74 del 2000, proprio perche' questa nuova fattispecie non
prevedeva anche l'ipotesi dell'omesso versamento delle ritenute
dovute in base alla dichiarazione del sostituto. Tale condotta
rimaneva un illecito amministrativo tributario.
Quindi, determinante al fine della rilevanza penale della
condotta omissiva del mancato pagamento delle ritenute era che queste
stesse fossero state certificate dal sostituto ai sostituiti; cio'
completava la fattispecie e l'elemento oggettivo del reato.
Questa e' stata la scelta del legislatore del 2004.
7.- Puo' aggiungersi - inoltre - che l'esistenza di un'unica
fattispecie penale nell'art. 10-bis, che vedeva come elemento
costitutivo il rilascio delle certificazioni ai sostituiti da parte
del sostituto, non e' inficiata, ne' messa in dubbio dal contrasto
giurisprudenziale che si e' sviluppato in ordine all'applicazione di
tale disposizione e di cui si e' gia' fatto cenno.
La rilevanza della dichiarazione del sostituto, contenente
l'indicazione delle ritenute, e' si' venuta all'esame della
giurisprudenza, ma sotto un aspetto diverso: quello della prova del
rilascio delle certificazioni che integrava la fattispecie penale,
l'unica sanzionata.
Come sopra gia' ricordato, il contrasto di giurisprudenza,
insorto in riferimento a tale disposizione, e' stato infine composto
dalla indicata pronuncia delle Sezioni unite (sentenza n. 24782 del
2018), che ha escluso che la dichiarazione del sostituto possa
costituire di per se' sola piena prova, in via induttiva - quasi una
(inammissibile) prova legale -, del rilascio delle certificazioni ai
sostituiti.
Ma non si e' dubitato che la condotta costituente reato fosse pur
sempre solo quella del mancato versamento delle ritenute certificate.
8.- Quindi, al momento della delega del 2014, il reato previsto,
concernente la condotta omissiva del sostituto, era solo quello
dell'omesso versamento delle ritenute certificate, per effetto del
ripristino della sanzione penale di dieci anni prima, mentre la
condotta di omesso versamento delle ritenute dovute in base alla
dichiarazione del sostituto rimaneva distinta e non sanzionata
penalmente, pur costituendo anch'essa un illecito in ragione
dell'inadempimento dell'obbligo fiscale, assoggettato a sanzione
amministrativa tributaria.
Il legislatore avrebbe potuto, in ipotesi, ripristinare la
sanzionabilita' penale anche di questa condotta, come dieci anni
prima era stato fatto, ma con legge ordinaria (legge n. 311 del
2004), per quella di omesso versamento delle ritenute certificate.
Cio' invece il legislatore, nel porre la delega di cui all'art.
8, comma 1, della legge n. 23 del 2014, non ha fatto, ne' ha
autorizzato il legislatore delegato a fare, sicche' quest'ultimo, nel
reintrodurre questa fattispecie penale, equiparandola a quella gia'
prevista dall'art. 10-bis, ha violato i principi e criteri direttivi
della delega.
9.- La delega (art. 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014) -
sopra riportata nella sua formulazione testuale - concerneva la
revisione del sistema sanzionatorio penale tributario declinato in
specifici criteri, secondo una duplice direttrice.
La prima riguardava la determinazione della pena.
In questa parte la revisione doveva avvenire secondo criteri di
predeterminazione e di proporzionalita' (della pena, appunto)
rispetto alla gravita' dei comportamenti, prevedendo in particolare
la punibilita' con la pena detentiva compresa fra un minimo di sei
mesi e un massimo di sei anni, tenendo conto di adeguate soglie di
punibilita'.
Quindi il legislatore delegato era facoltizzato, in linea
generale, a rivedere le pene, nel rispetto di un intervallo della
pena detentiva compreso fra un minimo e un massimo.
Inoltre, si prevedeva - come ulteriore criterio - la possibilita'
di ridurre le sanzioni per le «fattispecie meno gravi» o di applicare
sanzioni amministrative anziche' penali, tenuto anche conto di
adeguate soglie di punibilita'. Questo era anche il verso della
delega: il legislatore delegato avrebbe potuto mitigare e finanche
depenalizzare reati per condotte meno gravi.
L'altra direttrice della delega concerneva si' la configurazione
di fattispecie penali, ma con riferimento a condotte tipiche di
particolare gravita'. Il legislatore delegato era, infatti,
facoltizzato alla configurazione del reato per «i comportamenti
fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo
di documentazione falsa». Anche il regime della «dichiarazione
infedele» avrebbe potuto essere rivisto; cosi' anche l'individuazione
dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione
fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie.
Si tratta di gravi condotte insidiose per il fisco, poste in
essere da chi con frode o falsificazione di documenti mira a
sottrarsi all'obbligo tributario.
10.- Invece, la condotta di chi non versa le ritenute indicate
nella relativa dichiarazione come sostituto d'imposta - che al
momento della delega non costituiva reato, ma illecito amministrativo
tributario, e solo in passato, fino alla riforma del 2000, e' stata
punita come reato contravvenzionale - non e' certo ascrivibile a
«comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e
all'utilizzo di documentazione falsa». Ne' e' riconducibile al regime
della «dichiarazione infedele» dal momento che cio' che rileva e'
l'omesso versamento delle ritenute «dovute in base alla
dichiarazione», a prescindere dal fatto che essa sia fedele o
infedele.
Tale condotta - che, quando era penalmente rilevante (fino al
2000), integrava una mera contravvenzione punita con pena alternativa
e che successivamente, e cosi' al momento della delega in esame,
costituiva un illecito assoggettato a sanzione amministrativa
tributaria - sarebbe semmai rientrata tra le «fattispecie meno gravi»
per le quali la pena, ove il fatto costituisse reato, avrebbe potuto
essere mitigata e finanche trasformata in sanzione amministrativa.
Anche nella relazione illustrativa dello schema di decreto
legislativo, si evidenziava in particolare che il Governo, recependo
i principi e criteri direttivi dell'art. 8 della legge n. 23 del
2014, aveva inteso «ridurre l'area di intervento della sanzione
punitiva per eccellenza - quella penale - ai soli casi connotati da
un particolare disvalore giuridico, oltre che etico e sociale,
identificati, in particolare, nei comportamenti artificiosi,
fraudolenti e simulatori, oggettivamente o soggettivamente
inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto all'attivita' di
controllo».
Se, dunque, l'innalzamento della tutela penale era rivolto a tali
piu' insidiosi comportamenti, in ordine ai fatti privi dei suddetti
connotati di fraudolenza nella medesima relazione illustrativa si
evidenziava che il legislatore delegato era, invece, chiamato ad un
intervento «tendenzialmente mitigatore», da effettuarsi in relazione
al delitto di omesso versamento delle ritenute certificate (art.
10-bis) e di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (art.
10-ter), e da attuarsi attraverso l'introduzione di soglie di
punibilita' al di sotto delle quali «il ricorso a misure
sanzionatorie di tipo amministrativo - peraltro gia' previste dalla
legislazione vigente - appare proporzionato alle caratteristiche
dell'illecito».
Il delitto introdotto dalla disposizione censurata attiene ad una
condotta puramente omissiva, non fraudolenta, ne' simulatoria, il che
incentra il disvalore del fatto sul momento dell'adempimento del
debito tributario, perche' colpisce il sostituto di imposta che non
versa le ritenute dovute sulla base della dichiarazione annuale o
certificate.
Anche il trattamento sanzionatorio accessorio risponde ad un
minore rigore rispetto a quello riservato alle altre fattispecie
incriminatrici tributarie, come emerge anche dall'art. 12 del d.lgs.
n. 74 del 2000, che esclude per tale reato l'applicazione
dell'interdizione dai pubblici uffici, di cui al comma 2 del medesimo
art. 12.
Ne' operano i limiti restrittivi di cui all'art. 12, comma 2-bis,
del d.lgs. n. 74 del 2000 sul riconoscimento del beneficio della
sospensione condizionale della pena, con la conseguenza che al
delitto di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 si applica
l'istituto come regolato dall'art. 163 del codice penale.
Diversamente dalle altre fattispecie incriminatrici, per il
delitto in esame (e per quelli di cui agli artt. 10-ter e 10-quater
del d.lgs. n. 74 del 2000) trova applicazione la causa di non
punibilita' di cui all'art. 13, comma 1, dello stesso decreto
legislativo, specificamente introdotta dall'art. 11, comma 1, del
d.lgs. n. 158 del 2015. I reati non sono punibili se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti
tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati
estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.
Inoltre, a questi reati non si applica l'art. 17, comma 1-bis,
del d.lgs. n. 74 del 2000 che, soltanto per i delitti previsti dagli
articoli da 2 a 10, stabilisce che «i termini di prescrizione sono
elevati di un terzo».
E' poi stata innalzata la soglia di punibilita' - quanto al reato
di cui all'art. 10-bis - fino ad un importo superiore a 150.000 euro
per ciascun anno di imposta; con cio' determinando la
depenalizzazione delle condotte omissive per importi superiori alla
precedente meno elevata soglia di punibilita' (50.000 euro).
11.- In definitiva, il legislatore delegato ha introdotto
nell'art. 10-bis una nuova fattispecie penale (omesso versamento di
ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione del sostituto),
affiancandola a quella gia' esistente (omesso versamento di ritenute
risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti), senza
essere autorizzato a farlo dalla legge di delega, mentre sarebbe
stato necessario un criterio preciso e definito per poter essere
rispettoso anche del principio di stretta legalita' in materia penale
(art. 25, secondo comma, Cost.).
12.- L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio
in rappresentanza e a difesa del Presidente del Consiglio dei
ministri, ha dedotto una finalita' latamente interpretativa che il
legislatore delegato avrebbe perseguito: non quella di introdurre una
nuova fattispecie di reato, bensi' quella di chiarire la portata
della fattispecie gia' esistente, contemplata dall'art. 10-bis che
sanzionava (solo) l'omesso versamento delle ritenute certificate.
Ossia si e' ipotizzato che l'intento del legislatore delegato
fosse quello di "chiarire" il punto controverso del dibattito
giurisprudenziale in corso, intervenendo a sostegno della tesi, in
passato maggioritaria, ma poi oggetto di revirement e infine smentita
dalle Sezioni unite del 2018 (sentenza n. 24782 del 2018), secondo
cui dalla dichiarazione del sostituto poteva desumersi,
induttivamente, la prova del rilascio delle certificazioni ai
sostituiti.
In effetti, nella relazione illustrativa allo schema di decreto
legislativo concernente la revisione del sistema sanzionatorio si
legge che veniva chiarita la portata dell'omesso versamento delle
ritenute di cui all'art. 10-bis.
Cio' forse spiega, ma non legittima, l'introduzione della nuova
fattispecie penale da parte del legislatore delegato.
Questa ipotizzata valenza interpretativa - comunque
successivamente esclusa dalla giurisprudenza (ancora Corte di
cassazione, sentenza n. 24782 del 2018) - non solo era smentita dalla
lettera della disposizione, che non aveva la formulazione tipica
delle norme di interpretazione autentica, ma era anche, in tesi,
inammissibile perche' il principio di non retroattivita' della legge
penale esclude una tale possibilita' in malam partem con ampliamento
del perimetro della condotta penalmente sanzionata.
Deve, quindi, escludersi che il legislatore delegato potesse
intervenire in un dibattito giurisprudenziale ancora in corso per
offrire un "soccorso normativo" alla tesi di maggior rigore, secondo
cui era sufficiente, sul piano probatorio, che le ritenute
risultassero dalla dichiarazione perche' potesse ritenersi provato il
rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti.
13.- In conclusione, la scelta del legislatore delegato di
inserire le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o»
nella fattispecie incriminatrice del delitto di omesso versamento
delle ritenute di cui all'art.10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000
contrasta con gli artt. 25, secondo comma, 76 e 77, primo comma,
Cost., non essendo sorretta dai principi e dai criteri direttivi
della delega legislativa.
Pertanto, assorbito l'ulteriore parametro evocato dal giudice
rimettente (l'art. 3 Cost.), deve dichiararsi l'illegittimita'
costituzionale sia dell'art. 7, comma 1, lettera b), del d.lgs. n.
158 del 2015, sia dell'art. 10-bis del d.lgs. 74 del 2000, come
modificato dall'art. 7, comma 1, lettera b), del d. lgs. n. 158 del
2015, limitatamente alle parole «dovute sulla base della stessa
dichiarazione o».
Dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale, stante la
sussistenza di «un rapporto di chiara consequenzialita' con la
decisione assunta», discende, ai sensi dell'art. 27 della legge 11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale consequenziale dell'art. 7, comma 1, lettera a), del
d.lgs. n. 158 del 2015, che ha inserito nella rubrica del reato
previsto dall'art. 10-bis le parole «dovute o». Analoga declaratoria
investe anche la rubrica di quest'ultima disposizione limitatamente
alle parole «dovute o».
14.- Per effetto della presente dichiarazione di illegittimita'
costituzionale viene ripristinato il regime vigente prima del d.lgs.
n. 158 del 2015, che ha introdotto la disposizione censurata, sicche'
da una parte l'integrazione della fattispecie penale dell'art. 10-bis
richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un
importo superiore alla soglia di punibilita', riguardi le ritenute
certificate; dall'altra il mancato versamento delle ritenute
risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c'e' prova del
rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce
illecito amministrativo tributario.
Su questo assetto del regime sanzionatorio non e' privo di
rilevanza il recente sviluppo della giurisprudenza civile (Corte di
cassazione, sezioni unite civili, sentenza 12 aprile 2019, n. 10378),
secondo cui, nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme,
per le quali ha operato le ritenute, il sostituito non e' tenuto in
solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilita' solidale
prevista dall'art. 35 del d.P.R. n. 602 del 1973 e' espressamente
condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le
ritenute.
In questa prospettiva il rilascio della relativa certificazione
da parte del sostituto sta, quindi, perdendo quella valenza che in
passato consentiva di identificare una fattispecie piu' grave,
sanzionata penalmente, rispetto a una meno grave, sanzionata solo in
via amministrativa.
Spetta al legislatore rivedere tale complessivo regime
sanzionatorio per renderlo maggiormente funzionale e coerente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1,
lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158
(Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8,
comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23) - nella parte in cui ha
inserito le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o»
nel testo dell'art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n.
74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno
1999, n. 205) e dello stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000
limitatamente alle parole «dovute sulla base della stessa
dichiarazione o»;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 158
del 2015, e dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 limitatamente
alle parole «dovute o» contenute nella rubrica della disposizione.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
