PROCESSO PENALE: proscioglimento per particolare tenuita’ del fatto e responsabilita’ civile.
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Sentenza di proscioglimento per la particolare tenuita' del fatto - Possibilita' che il giudice decida sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile - Omessa previsione - Ingiustificata disparita' di trattamento e violazione dei diritti di difesa e alla ragionevole durata del processo - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - Codice di procedura penale, art. 538. - Costituzione, artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6, paragrafo 1.
(GU n.28 del 13-7-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo
PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 538 del
codice di procedura penale, promosso dal Tribunale militare di Roma
nel procedimento penale a carico di F. T., con ordinanza del 27
aprile 2021, iscritta al n. 122 del registro ordinanze 2021 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima
serie speciale, dell'anno 2021.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2022 il Giudice
relatore Giovanni Amoroso;
deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 27 aprile 2021 (reg. ord. n. 122 del 2021),
il Tribunale militare di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt.
3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in
relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 538 del
codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che,
«quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare
tenuita' del fatto, il giudice decide sulla domanda per le
restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli
artt. 74 e seguenti» dello stesso codice.
La sentenza di proscioglimento a cui fa riferimento il giudice a
quo e' quella emessa ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale,
aggiunto dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015,
n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilita' per
particolare tenuita' del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1,
lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», il quale configura
una causa generale di esclusione della punibilita' il cui fondamento
si correla al principio di offensivita': la norma, infatti, prevede
che nei reati per i quali e' prevista la pena detentiva non superiore
nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o
congiunta alla suddetta pena, la punibilita' e' esclusa quando, per
le modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del
pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen.,
l'offesa e' di particolare tenuita' e il comportamento risulta non
abituale (primo comma).
Ai fini della determinazione della pena detentiva non si tiene
conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge
stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e
di quelle ad effetto speciale; in quest'ultimo caso non si tiene
conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art.
69 cod. pen. (quinto comma).
La causa di non punibilita' si applica anche quando la legge
prevede la particolare tenuita' del danno o del pericolo come
circostanza attenuante (sesto comma).
L'art. 538, comma 1, cod. proc. pen. prevede che il giudice
penale «decide» sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento
del danno proposta con la costituzione di parte civile, «[q]uando
pronuncia sentenza di condanna».
La condanna penale, dunque, costituisce il presupposto
indispensabile del provvedimento del giudice penale sulla domanda
civile: se emette sentenza di proscioglimento, tanto in rito
(sentenza di non doversi procedere), quanto nel merito (sentenza di
assoluzione), il giudice non deve provvedere sulla domanda civile; se
invece emette sentenza di condanna, provvede altresi' sulla domanda
restitutoria o risarcitoria, accogliendola o rigettandola.
Il rimettente sospetta che questa norma, nel precludere la
pronuncia del giudice penale sulla domanda civile restitutoria o
risarcitoria anche nell'ipotesi di sentenza di proscioglimento emessa
ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. (ipotesi in cui, contrariamente
alle altre fattispecie di proscioglimento, sarebbe accertata sia la
sussistenza del fatto, gia' qualificabile come illecito civile, sia
la sua commissione da parte dell'imputato), violi i parametri
costituzionali su richiamati, per un verso comprimendo i diritti
costituzionali e convenzionali della vittima del reato, per altro
verso ledendo il principio generale di ragionevolezza e quello piu'
specifico di ragionevole durata del processo.
2.- L'ordinanza e' stata emessa nell'ambito di un giudizio penale
che vede imputato un militare, F. T., per il reato di diffamazione
militare aggravata, commessa in danno di piu' persone.
All'esito dell'istruttoria dibattimentale, il pubblico ministero
ne ha chiesto la condanna alla pena di mesi sei di reclusione
militare e le persone offese, costituite parti civili, ne hanno
invocato la condanna al risarcimento del danno.
Peraltro, secondo il rimettente, pur essendo stata provata sia la
sussistenza del fatto di reato, sia la sua riferibilita'
all'imputato, in seguito al dibattimento sarebbe altresi' emersa la
particolare tenuita' dell'offesa recata alle vittime, dal momento che
la contestazione riguarda un unico episodio, la condotta criminosa e'
stata posta in essere in un contesto informale e in presenza di poche
persone e l'autore e' incensurato.
Avuto riguardo alla pena edittale prevista per il delitto di
diffamazione militare (non superiore nel massimo a cinque anni), alla
«non abitualita'» del comportamento e alla non ricorrenza delle cause
ostative previste dalla legge, risulterebbero, pertanto, integrati i
presupposti di applicabilita' dell'art. 131-bis cod. pen., dovendosi
emettere una sentenza assolutoria per essere l'imputato non punibile
per la particolare tenuita' del fatto.
3.- Tanto premesso, il giudice a quo, in considerazione della
domanda risarcitoria formulata dalle parti civili, ritiene anzitutto
che le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 538 cod.
proc. pen. siano rilevanti nel giudizio principale.
Evidenzia, in proposito, che, avuto riguardo al chiaro disposto
di questa norma, e al consolidato orientamento della giurisprudenza
di legittimita' (vengono citate le sentenze della Corte di
cassazione, sezione quinta penale, 18 dicembre 2020-11 febbraio 2021,
n. 5433 e 6 dicembre 2016-10 febbraio 2017, n. 6347), l'emissione di
una sentenza di proscioglimento, quale che ne sia la formula (dunque,
anche se pronunciata ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., che pure
presuppone l'accertamento del fatto, della sua illiceita' penale e
della sua ascrivibilita' all'imputato), precluderebbe al giudice
penale di provvedere sulla proposta domanda risarcitoria,
costringendo il danneggiato ad esercitare ex novo la relativa azione
dinanzi al giudice civile; tale preclusione verrebbe meno, invece,
nell'ipotesi in cui la norma fosse dichiarata costituzionalmente
illegittima, riconoscendosi in tal guisa al giudice penale il potere
di conoscere della domanda formulata dalla parte civile anche in
mancanza del presupposto (altrimenti necessario) della previa
pronuncia di condanna, e profilandosi, dunque, nel caso concreto, la
possibilita' di liquidare il danno richiesto dalle persone offese,
pur a fronte di una declaratoria di non punibilita' dell'imputato per
l'ascritto delitto di diffamazione militare aggravata.
4.- Le questioni, poi, sarebbero altresi' non manifestamente
infondate.
4.1.- In primo luogo, il sospetto di illegittimita'
costituzionale della norma si porrebbe in riferimento all'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU,
parametro non esaminato nella sentenza di questa Corte n. 12 del
2016, la quale, nel dichiarare non fondate le questioni di
costituzionalita' dello stesso art. 538 cod. proc. pen., sollevate
per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., aveva osservato che,
nell'ipotesi di sentenza di proscioglimento, il non liquet
sull'azione civile rappresenta la naturale implicazione del carattere
accessorio e subordinato della stessa rispetto all'azione penale e
risponde perfettamente alla finalita' del processo penale,
inscindibilmente connesso alla definizione della pretesa punitiva.
Secondo il rimettente, pero', tale orientamento dovrebbe essere
rimeditato, avuto riguardo ai diritti della vittima del reato,
protetti dalla norma convenzionale richiamata a parametro interposto,
la quale tutelerebbe il duplice diritto, tanto della persona offesa
quanto di quella danneggiata dal reato, sia all'accesso ad un
tribunale sia alla celebrazione di un giusto processo entro un
termine ragionevole.
Tra i numerosi precedenti della Corte europea dei diritti
dell'uomo (sezione prima, sentenza 7 dicembre 2017, Arnoldi contro
Italia; sezione seconda, sentenza 7 novembre 2017, Leuska e altri
contro Estonia; sezione quinta, sentenza 19 novembre 2009, Tonchev
contro Bulgaria; sezione quinta, sentenza 2 ottobre 2008, Atanasova
contro Bulgaria; sezione prima, sentenza 3 aprile 2003,
Anagnostopoulos contro Grecia), il rimettente richiama, in
particolare, la recente decisione (sezione prima, sentenza 18 marzo
2021, Petrella contro Italia), nella quale alla vittima di un reato
di diffamazione era stata preclusa la possibilita' di ottenere il
risarcimento del danno derivante dalla lesione della sua reputazione,
a causa dell'eccessiva durata delle indagini preliminari, che aveva
determinato l'archiviazione del procedimento penale per prescrizione
del reato.
Nell'occasione, evidenzia il rimettente, la ritenuta violazione
dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU avrebbe trovato fondamento nel rilievo
che una limitazione del diritto di accesso ad un tribunale e'
compatibile con la norma convenzionale solo se tende ad uno scopo
legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalita' tra
i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, talche' nessuna importanza,
in senso contrario, avrebbe potuto attribuirsi alla circostanza che
il danneggiato fosse legittimato ad adire, comunque, il giudice
civile.
Sotto tale profilo, dunque, la possibilita' che la parte civile
trasferisca l'azione in sede civile, in ipotesi di proscioglimento
dell'imputato, non inciderebbe sulla illegittimita' costituzionale
della norma, stante l'assenza del rapporto di proporzionalita'.
Inoltre, la norma censurata rallenterebbe, altresi',
irragionevolmente la durata del procedimento, imponendo una non
necessaria dilatazione dei tempi di liquidazione del danno, poiche'
costringerebbe la parte danneggiata ad introdurre un nuovo giudizio,
pur essendo gia' stata accertata, da parte del giudice penale,
l'illiceita' del fatto, rilevante ai fini della responsabilita'
civile. Tale irragionevole allungamento dei tempi processuali sarebbe
fonte di responsabilita' per lo Stato anche ai sensi dell'art. 1-bis
della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in
caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile).
4.2.- Il dubbio di illegittimita' costituzionale dell'art. 538
cod. proc. pen. (nella parte in cui non consente la delibazione della
domanda civile in ipotesi di proscioglimento ai sensi dell'art.
131-bis cod. pen.) si porrebbe, in secondo luogo, in riferimento
all'art. 3 Cost.
Il giudice a quo osserva che la regola secondo cui il giudice
penale decide sulla domanda restitutoria o risarcitoria solo quando
pronuncia sentenza di condanna va incontro a due eccezioni nelle
ipotesi contemplate dall'art. 578 cod. proc. pen., che prevede che il
giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato
estinto per amnistia o prescrizione, nondimeno decidono
sull'impugnazione limitatamente alle questioni civili.
Questa regola particolare troverebbe il suo fondamento nella
circostanza che, nelle ipotesi da essa considerate, il processo
penale si conclude con l'accertamento della sussistenza del fatto e
della sua riferibilita' all'imputato. In questo modo il giudice
penale sarebbe messo in condizione «di risarcire e liquidare il danno
senza alcun ulteriore aggravio istruttorio».
A conforto di tale argomentazione vengono richiamati l'art. 576
cod. proc. pen. (che legittima la parte civile ad impugnare la
sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio ai soli effetti
della responsabilita' civile dell'imputato) e l'art. 622 del medesimo
codice (che, con riguardo all'ipotesi in cui sia necessaria una nuova
determinazione sulle questioni civili, per essere stata la sentenza
di merito annullata solo con riferimento ad esse in seguito alla
cristallizzazione degli effetti penali, stabilisce che la Corte di
cassazione rinvii, quando occorre, al giudice civile competente per
valore in grado di appello), nonche', infine, l'art. 464-septies cod.
proc. pen., sulla sentenza dichiarativa di estinzione del reato per
esito positivo del procedimento con messa alla prova, la quale,
secondo la giurisprudenza di legittimita' (Corte di cassazione,
sezione quinta penale, sentenza 28 marzo-7 luglio 2017, n. 33277),
non potrebbe contenere la condanna al risarcimento del danno in
favore della parte civile, stante il mancato accertamento sul merito
dell'accusa e sulla responsabilita' dell'imputato.
Avuto riguardo alle richiamate regole processuali, sarebbe dunque
conforme al principio di ragionevolezza che, quando il fatto e' gia'
stato accertato e risulti che lo abbia commesso l'imputato, il
giudice penale possa provvedere sulla domanda civile, restitutoria o
risarcitoria; in tal senso disporrebbe, infatti, il citato art. 578,
con riferimento all'ipotesi in cui venga dichiarata l'estinzione del
reato per amnistia o prescrizione.
La fattispecie prevista dall'art. 131-bis cod. pen. sarebbe,
secondo il rimettente, del tutto sovrapponibile a quelle contemplate
dall'art. 578 cod. proc. pen., che implicano un accertamento pieno
sia della sussistenza del fatto, sia della sua riferibilita'
all'imputato.
Vi sarebbe, dunque, una ingiustificata disparita' di trattamento
tra situazioni analoghe che renderebbe la norma costituzionalmente
illegittima per contrasto con l'art. 3 Cost.
4.3.- Un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale si
porrebbe, ancora, in riferimento all'art. 24 Cost.
Il rimettente, richiamata la sentenza n. 60 del 1996 di questa
Corte (dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 270,
primo comma, del regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303, recante
«Codici penali militari di pace e di guerra»), e ritenuta la
corrispondenza tra l'art. 6 CEDU e l'evocato parametro
costituzionale, osserva che il diritto ad un tribunale «e' davvero
tale non tanto se e' possibile esercitare l'azione innanzi al
giudice, ma piuttosto quando il Tribunale adito puo' in concreto
rendere una decisione».
Una volta adito il giudice penale, la persona offesa avrebbe una
«aspettativa legittima» a che la domanda sia esaminata, anche se
resta impregiudicata la sua possibilita' di rivolgersi
successivamente al giudice civile, poiche', attraverso la
costituzione di parte civile, essa avrebbe esercitato il suo diritto
mediante il ricorso ad un rimedio appositamente previsto
dall'ordinamento.
L'art. 538 cod. proc. pen., frustrando questa «aspettativa
legittima» nell'ipotesi di proscioglimento per particolare tenuita'
del fatto, violerebbe il predetto diritto, in quanto non
consentirebbe di esaminare l'istanza risarcitoria della persona a cui
e' stata riconosciuta la legittimazione a costituirsi parte civile; e
cio' anche quando sia possibile soddisfarla prontamente all'esito del
processo penale, senza necessita' di instaurare un ulteriore giudizio
per la liquidazione del danno dinanzi al giudice civile, essendo gia'
stato effettuato l'accertamento del fatto, nonche' quello della
responsabilita' (civile) dell'imputato.
4.4.- La norma codicistica, infine, sarebbe costituzionalmente
illegittima anche per contrasto con l'art. 111 Cost., in quanto
lesiva del principio di ragionevole durata del processo.
Il rimettente richiama la gia' citata sentenza n. 12 del 2016,
per evidenziarne il rilievo secondo cui possono arrecare un vulnus a
quel principio solo le norme che comportino una dilatazione dei tempi
del processo non sorretta da alcuna logica esigenza.
Questa considerazione, mentre nella predetta sentenza aveva
indotto questa Corte ad escludere l'illegittimita' costituzionale
della norma in relazione all'ipotesi del proscioglimento
dell'imputato per vizio di mente (avuto riguardo al preminente
interesse pubblico alla sollecita definizione del processo penale che
non si concluda con un accertamento di responsabilita'), al contrario
dovrebbe portare a un esito opposto in relazione alla diversa ipotesi
di proscioglimento per particolare tenuita' del fatto. In questo
caso, infatti, il protrarsi, dinanzi al giudice civile, della durata
della procedura giudiziaria per ottenere il risarcimento di un danno
«gia' prontamente liquidabile dal giudice penale» sarebbe un
«illogico aggravio» non giustificato da alcuna ragionevole esigenza,
mentre, l'eventuale (contestuale) decisione del giudice penale sulle
questioni civili non comporterebbe alcun vulnus alla sollecita
definizione del procedimento penale, le cui finalita' prioritarie di
natura pubblicistica non sarebbero in alcun modo pregiudicate.
5.- Nel giudizio incidentale e' intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, il quale ha respinto tutte le prospettate
censure, concludendo per la declaratoria di non fondatezza delle
questioni.
La difesa statale ha osservato, in particolare, che l'assetto
generale del processo, posto a base del codice di procedura penale
del 1988, e' ispirato all'idea della separazione dei giudizi, penale
e civile. La persona offesa costituisce parte necessaria, ma solo
eventuale allorche' essa si costituisce parte civile nel processo
penale.
Il diverso risalto attribuito agli interessi della parte civile e
dell'imputato nel sistema processuale penale viene giustificato dalla
constatazione che alla prima e' comunque assicurato un diretto e
incondizionato ristoro dei propri diritti attraverso l'azione sempre
esercitabile in sede civile.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 27 aprile 2021 (reg. ord. n. 122 del 2021),
il Tribunale militare di Roma ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 538 del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevede che, quando pronuncia sentenza di
proscioglimento per la particolare tenuita' del fatto, ai sensi
dell'art. 131-bis del codice penale, il giudice decida sulla domanda
per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte
civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen.
Le censure sono articolate in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e
117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione
all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU).
La disposizione censurata violerebbe, anzitutto, il diritto della
parte civile all'accesso ad un tribunale e alla celebrazione di un
giusto processo entro un termine ragionevole. Sarebbe leso il diritto
di difesa della parte civile, di cui rimarrebbe frustrata
l'«aspettativa legittima» a che la sua domanda di risarcimento del
danno sia debitamente esaminata dal giudicante (art. 24 Cost.).
Inoltre, sarebbe violato l'art. 3 Cost., stante la ingiustificata
disparita' di trattamento tra la fattispecie contemplata dall'art.
131-bis cod. pen. e altre analoghe, in cui, pur a fronte di una
sentenza penale di proscioglimento dell'imputato, e' invece
consentita la sua condanna civile restitutoria o risarcitoria sul
presupposto dell'accertamento pieno dell'elemento oggettivo e
soggettivo del reato e della sua commissione da parte dell'imputato.
La norma censurata, poi, lederebbe l'art. 111 Cost., dal momento
che pone a carico della parte civile l'aggravio di dover introdurre
un nuovo giudizio dinanzi al giudice civile, per ottenere il
risarcimento di un danno «gia' prontamente liquidabile dal giudice
penale», dando cosi' luogo ad una irragionevole dilatazione dei tempi
del processo non giustificata da alcuna logica esigenza. Al
contrario, l'eventuale (contestuale) decisione del giudice penale
sulle questioni civili non comporterebbe alcun vulnus alla sollecita
definizione del procedimento penale, le cui finalita' prioritarie di
natura pubblicistica non sarebbero in alcun modo pregiudicate.
Per la stessa ragione sarebbe violato il diritto a un processo
equo, garantito dall'art. 6 CEDU.
2.- Preliminarmente, va osservato, sotto il profilo della
rilevanza, che sussiste l'ammissibilita' delle questioni.
Il rimettente ha, infatti, evidenziato che, nella fattispecie,
pur essendo stato accertato il fatto di diffamazione e la sua
commissione da parte dell'imputato, tuttavia l'unicita' dell'episodio
criminoso contestato, la ridotta offensivita' della condotta e
l'incensuratezza dell'autore (unitamente ai limiti edittali della
pena stabilita per il delitto di diffamazione militare e alla non
ricorrenza di cause ostative) inducono a ritenere integrati i
presupposti previsti dall'art. 131-bis cod. pen. per l'emissione di
una pronuncia assolutoria per particolare tenuita' del fatto.
Le questioni di legittimita' costituzionale devono, allora,
ritenersi rilevanti, atteso che, una volta emessa siffatta pronuncia
assolutoria, per il disposto dell'art. 538 cod. proc. pen.,
resterebbe preclusa la possibilita' di provvedere sulla domanda di
risarcimento del danno proposta dalle parti civili costituite.
Questa disposizione, infatti, consente al giudice penale di
decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del
danno proposta con la costituzione di parte civile solo «[q]uando
pronuncia sentenza di condanna», mentre gli preclude di provvedere,
al riguardo, se emette sentenza di proscioglimento.
Tale preclusione, pero', verrebbe meno se la norma fosse
dichiarata costituzionalmente illegittima, riconoscendosi in tal
guisa al giudice penale il potere di conoscere della domanda
risarcitoria proposta dalle persone offese (costituite parti civili
nel processo a quo), anche in mancanza del presupposto (altrimenti
necessario) della previa pronuncia di condanna.
Il giudice rimettente ha poi adeguatamente motivato anche la non
manifesta infondatezza delle sollevate questioni in riferimento a
tutti i suddetti parametri, sicche' esse sono sotto ogni profilo
ammissibili.
3.- Nel merito, le questioni sono fondate con riferimento agli
artt. 3, 24 e 111 Cost.
4.- L'art. 131-bis cod. pen., rubricato «Esclusione della
punibilita' per particolare tenuita' del fatto», e' stato introdotto
dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28,
recante «Disposizioni in materia di non punibilita' per particolare
tenuita' del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m),
della legge 28 aprile 2014, n. 67».
Il legislatore delegato, nel contesto di una piu' ampia riforma
del sistema sanzionatorio, ha anche previsto l'introduzione di nuovi
istituti processuali, diretti ad escludere la punibilita' della
condotta con possibile dichiarazione di estinzione del reato, vuoi
per la particolare tenuita' dell'offesa, vuoi per l'esito positivo
della messa alla prova dell'imputato con sospensione del
procedimento.
In particolare, il Governo era delegato (art. 1, comma 1, lettera
m, della legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe al Governo in
materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema
sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del
procedimento con messa alla prova e nei confronti degli
irreperibili») a «escludere la punibilita' di condotte sanzionate con
la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel
massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuita'
dell'offesa e la non abitualita' del comportamento, senza pregiudizio
per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e
adeguando la relativa normativa processuale penale».
Questo specifico criterio di delega aveva, quindi, una duplice
direttrice, in quanto concerneva non solo l'imputato, la cui condotta
avrebbe potuto essere dichiarata non punibile in ragione della
«particolare tenuita' dell'offesa», ma anche la parte civile, la
quale non avrebbe dovuto subire «pregiudizio» nell'esercizio della
sua azione per il risarcimento del danno.
Il legislatore delegato avrebbe, dunque, dovuto bilanciare la
rinuncia dello Stato a sanzionare penalmente l'imputato per
determinate condotte "minori" con la garanzia, al contempo, che alcun
pregiudizio ne derivasse per le pretese risarcitorie e restitutorie
della parte civile.
Ed e' cio' che ha fatto il legislatore delegato introducendo
rispettivamente due disposizioni, di nuovo conio, in chiaro
parallelismo: l'art. 131-bis cod. pen. e l'art. 651-bis cod. proc.
pen.
5.- L'art. 131-bis cod. pen. prevede, al primo comma, che «[n]ei
reati per i quali e' prevista la pena detentiva non superiore nel
massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta
alla predetta pena, la punibilita' e' esclusa quando, per le
modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del pericolo,
valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa e' di
particolare tenuita' e il comportamento risulta non abituale».
Il fondamento dell'istituto e' stato, da ultimo, posto in luce
dal giudice della nomofilachia, nel suo massimo consesso, il quale ha
evidenziato che «il fatto non e' punibile non perche' inoffensivo, ma
perche' il legislatore, pur in presenza di un fatto tipico,
antigiuridico e colpevole, ritiene che sia inopportuno punirlo, ove
ricorrano le condizioni indicate nella richiamata disposizione
normativa» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 gennaio-12
maggio 2022, n. 18891).
In proposito anche questa Corte (ordinanza n. 279 del 2017) ha
affermato che «il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento
l'art. 131-bis cod. pen., e' comunque un fatto offensivo, che
costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per
riaffermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la
"rieducazione del condannato", sia per contenere il gravoso carico di
contenzioso penale gravante sulla giurisdizione».
L'esimente, dunque, trova fondamento non gia' nella mancanza di
offensivita' del fatto, ma nel rilievo per cui, in corrispondenza di
un giudizio di "lieve" offensivita', l'esigenza punitiva diviene
recessiva.
In altre parole, l'istituto - che costituisce «innovazione di
diritto penale sostanziale» (Corte di cassazione, sezioni unite
penali, sentenza 25 febbraio-6 aprile 2016, n. 13681) - si iscrive
nella logica dell'extrema ratio della sanzione penale.
Ci sono casi concreti che - pur non essendo privi di offensivita'
e quindi pur in presenza di un «fatto tipico, antigiuridico e
colpevole» (Cass., sez. un., n. 18891 del 2022) - possono essere
valutati dal giudice come di «particolare tenuita'», si' che la
irrogazione della sanzione penale sarebbe non opportuna per eccesso
del mezzo rispetto a questa logica. L'applicazione della pena,
quand'anche nel minimo, sarebbe una reazione non necessaria, giacche'
l'ordinamento giuridico conosce anche altri rimedi - tra i quali,
altresi', in senso lato, il risarcimento del danno quando il fatto e'
di particolare tenuita' - piu' adatti a "riparare" il vulnus.
Il distinto piano - quello dell'offensivita' (che permane) e
quello della punibilita' (che viene meno) - emerge in particolare
nelle fattispecie in cui la legge contempla gia' la particolare
tenuita' del danno come circostanza attenuante del reato. Anche
quando, talora, la «particolare tenuita'», come circostanza, riduce
la gravita' di alcuni reati, ma li lascia sussistere, cio' non
esclude che in concreto il giudice possa, comunque, accertare tale
«particolare tenuita'» che fa venir meno la punibilita' (cosi' il
quinto comma dell'art. 131-bis cod. pen.).
Parimenti, se il legislatore stabilisce in generale soglie di
punibilita' che gia' configurano condotte non punibili, perche'
relative a fatti ritenuti di minore gravita', non di meno una
condotta "sopra soglia" puo' essere ritenuta dal giudice come di
«particolare tenuita'» (Cass., sentenza n. 13681 del 2016).
Si ha finanche che la punibilita' - che permane sempre in caso di
comportamento abituale, come prevede l'art. 131-bis cod. pen. - puo'
non di meno essere esclusa, in concreto, in caso di plurime condotte
legate dal vincolo della continuazione (Cass., sentenza n. 18891 del
2022).
5.1.- Indubbio e', poi, anche l'effetto deflattivo dei processi
penali, atteso che l'applicazione dell'istituto riduce la pressione
sulla giustizia penale.
Tanto la funzione riparativa quanto la finalita' deflattiva sono
alla base della recente scelta del legislatore di ampliare il
perimetro applicativo dell'istituto.
La legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per
l'efficienza del processo penale nonche' in materia di giustizia
riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti
giudiziari) prevede, infatti, al riguardo, due criteri di delega: il
primo, volto a dare rilievo al minimo edittale, in conformita' alla
sentenza di questa Corte n. 156 del 2020, che ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 131-bis cod. pen., nella
parte in cui non consentiva l'applicazione della causa di non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto ai reati per i quali
non e' previsto un minimo edittale di pena detentiva; il secondo,
volto a dare rilievo alla condotta dell'imputato susseguente al
reato, ai fini della valutazione del carattere di particolare
tenuita' dell'offesa (art. 1, comma 21).
Dunque, le ragioni fondanti dell'istituto hanno anche impresso ad
esso una forza espansiva, nella prospettiva di un sempre maggiore
contenimento della sanzione penale vera e propria secondo il criterio
dell'extrema ratio, pur in un sistema che vede, come canone
costituzionale, l'obbligatorieta' dell'azione penale.
6.- In simmetria con l'art. 131-bis cod. pen. si colloca l'art.
651-bis cod. proc. pen.
Il legislatore delegato, per evitare il «pregiudizio per
l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno», come
prescriveva il criterio di delega, e' intervenuto sulla disciplina
sostanziale del giudicato penale introducendo, appunto, l'art.
651-bis cod. proc. pen. In passato, invece, per la simmetrica
fattispecie dei reati di competenza del giudice di pace, quando il
fatto e' di «particolare tenuita'», altro legislatore delegato (art.
34 del d.lgs. n. 274 del 2000) ha presidiato la tutela della parte
civile prevedendo che essa possa finanche opporsi, precludendo al
giudice la possibilita' di dichiarare l'improcedibilita' dell'azione
penale (sentenza n. 120 del 2019).
In particolare, l'art. 651-bis cod. proc. pen. prevede, al primo
comma, che «[l]a sentenza penale irrevocabile di proscioglimento
pronunciata per particolare tenuita' del fatto in seguito a
dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della
sussistenza del fatto, della sua illiceita' penale e all'affermazione
che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo
per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei
confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato
citato ovvero sia intervenuto nel processo penale».
L'esigenza che l'esimente fondata sulla particolare tenuita'
dell'offesa e la non abitualita' del comportamento fosse introdotta
nell'ordinamento penalistico sostanziale «senza pregiudizio per
l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno» era
contenuta - come gia' rilevato - espressamente nel criterio di delega
in base al quale il legislatore delegato e' stato facoltizzato a
prevedere l'istituto di cui all'art. 131-bis cod. pen.
Il legislatore delegato, in attuazione anche di questo criterio,
si e' preoccupato di approntare una speciale tutela alla parte civile
a fronte del beneficio per l'imputato, costituito dall'introdotta non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto.
La relazione al Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, di
accompagnamento al testo del decreto legislativo, pone in evidenza
che «l'esclusione della punibilita' per la particolare tenuita' del
fatto - accertata con sentenza passata in giudicato in esito ad un
rituale processo - non e' una pronuncia tipicamente assolutoria, ma,
al contrario, accerta, in via definitiva, che il reato e' stato
commesso dalla persona dichiarata non punibile. A questo accertamento
penale, passato in giudicato in ordine all'entita' del fatto illecito
causativo del danno di cui si chiede (con l'azione civile) il
risarcimento, deve attribuirsi efficacia nel processo civile, tenuto
conto che l'imputato ha avuto ogni possibilita' di difesa nel
giudizio penale in cui la particolare tenuita' del fatto e' stata
accertata (non con un decreto di archiviazione, ma con una sentenza
dibattimentale passata in giudicato)».
Si tratta, quindi, di una sentenza di proscioglimento che
presenta una marcata peculiarita': la disciplina dell'efficacia di
giudicato di tale pronuncia nel giudizio civile di danno sta non gia'
nell'art. 652 cod. proc. pen. (che riguarda le sentenze di
assoluzione), bensi' nell'art. 651-bis dello stesso codice,
ripetitivo della formulazione dell'art. 651 cod. proc. pen. (che
concerne le sentenze di condanna).
Al pari della sentenza penale irrevocabile di condanna
pronunciata in seguito a dibattimento (art. 651 cod. proc. pen.),
anche quella dibattimentale di proscioglimento per particolare
tenuita' del fatto ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento
della sussistenza del fatto, della sua illiceita' penale e
all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile
restitutorio o risarcitorio promosso nei confronti dell'imputato
(condannato, nel primo caso; prosciolto nel secondo), nonche' del
responsabile civile che sia stato citato o sia intervenuto nel
processo penale (art. 651-bis cod. proc. pen.).
Il giudicato, in tal modo, e' modellato su quello tipico delle
sentenze di condanna e non gia' su quello delle sentenze di
assoluzione.
Ed e' percio' che, a differenza di ogni altra pronuncia di
proscioglimento che accerti la sussistenza di una causa di non
punibilita', la sentenza di proscioglimento per non punibilita' ex
art. 131-bis cod. pen. va iscritta nel casellario giudiziario, ai
sensi dell'art. 3, comma 1, lettera f), del d.P.R. 14 novembre 2002,
n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario
giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti. (Testo A)».
La sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza n. 13681 del
2016) hanno ritenuto in via interpretativa che, con la sentenza di
proscioglimento per non punibilita' ex art. 131-bis cod. pen. per il
reato di guida in stato di ebbrezza, il giudice possa non di meno
applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione
della patente di guida, anche se l'art. 186 del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) richiede
testualmente una sentenza di condanna o di applicazione della pena su
richiesta delle parti, mentre in generale, con una sentenza di
proscioglimento, il giudice non applica la sanzione amministrativa.
La sentenza che dichiara la non punibilita' del fatto ex art.
131-bis cod. pen., pur integrando una decisione di proscioglimento,
contiene, dunque, gia' l'accertamento, con efficacia di giudicato,
delle circostanze che possono essere poste a fondamento di una
pretesa risarcitoria.
Si ha, in sintesi, che «[l]a perdurante illiceita' penale della
condotta, anche quando il fatto e' di lieve entita', risulta
inequivocabilmente dall'art. 651-bis cod. proc. pen.» (sentenza n.
120 del 2019).
La pronuncia di proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen. si
atteggia, pertanto, come una vera e propria sentenza di accertamento
dell'illecito penale, che, in quanto avente efficacia di giudicato,
puo' costituire presupposto di una domanda di risarcimento del danno
nel successivo giudizio civile, rimanendo al giudice adito il compito
della determinazione, di norma, del danno risarcibile, sempre che ne
sussistano sussistano i presupposti nella specificita' dell'illecito
civile, avente comunque carattere di ontologica autonomia rispetto
all'illecito penale.
7.- Questo parallelismo di cui si e' finora detto (sopra ai punti
5 e 6) - tra la regola dell'estinzione del reato per la particolare
tenuita' del fatto (art. 131-bis cod. pen.) e quella dell'efficacia
della relativa sentenza di proscioglimento nel giudizio civile o
amministrativo di danno (art. 651-bis cod. proc. pen.) - disvela,
pero', un deficit di tutela per la parte civile, quando si viene a
ragionare della prescrizione processuale dettata dalla disposizione
censurata (art. 538 cod. proc. pen.), secondo cui il giudice decide
sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno,
proposta dalla parte civile, «[q]uando pronuncia sentenza di
condanna».
L'idoneita' dell'istituto ad adempiere pienamente alla sua
funzione riparativa «senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione
civile per il risarcimento del danno» trova un limite nella
impossibilita', derivante dalla norma suddetta, per il giudice penale
di conoscere della domanda restitutoria o risarcitoria formulata
dalla parte civile quando, con sentenza resa all'esito del
dibattimento, dichiara la non punibilita' dell'imputato per la
particolare tenuita' del fatto; impossibilita' che discende dalla
qualificazione formale della sentenza, la quale e' pur sempre di
proscioglimento per estinzione del reato, anche se - come si e' gia'
osservato - ha un contenuto positivo di accertamento dei presupposti
di tale reato.
Una volta che nel processo si e' accertato, con pronuncia idonea
ad acquisire efficacia di giudicato (ex art. 651-bis cod. proc.
pen.), che sussiste il fatto ascritto all'imputato e che egli lo ha
commesso e, altresi', che tale fatto integra una fattispecie di
illecito penale, sussistendo il relativo elemento soggettivo del dolo
o della colpa, risulta irragionevole l'impossibilita' di una
pronuncia sulla pretesa risarcitoria (o restitutoria) della parte
civile, ad opera dello stesso giudice penale che contestualmente
adotti una sentenza di proscioglimento dell'imputato per non
punibilita' ex art. 131-bis cod. pen.
La mancanza di una pronuncia sulla pretesa risarcitoria o
restitutoria della parte civile comporta che quest'ultima debba
promuovere ex novo un distinto giudizio civile in cui azionare la
medesima pretesa, nonostante il giudicato che si forma gia' nella
sede penale in senso favorevole alla possibile fondatezza della sua
domanda (ai sensi dell'art. 651-bis cod. proc. pen.).
Inoltre, la parte civile soffre anche il pregiudizio che,
nell'immediato, le spese da essa sostenute nel processo penale
restino a suo carico, non potendo il giudice penale porle a carico
dell'imputato in mancanza di una formale soccombenza (cosi', Corte di
cassazione, sezione seconda penale, sentenza 13 novembre 2020-11
febbraio 2021, n. 5423).
8.- E' ben vero che - come ribadito da questa Corte (sentenza n.
176 del 2019) - nel processo penale l'azione civile «assume carattere
accessorio e subordinato rispetto all'azione penale, sicche' e'
destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti
dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioe' dalle
esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei reati
e alla rapida definizione dei processi». L'assetto generale del nuovo
processo penale e', infatti, ispirato all'idea della separazione dei
giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice,
l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo
penale, rispetto all'interesse del soggetto danneggiato di esperire
la propria azione nel processo medesimo.
Si e' anche sottolineato che l'esercizio, nel giudizio penale,
del diritto della parte civile alla restituzione o al risarcimento
del danno, avendo carattere accessorio, ha un orizzonte piu'
limitato, di cui quest'ultima non puo' non essere consapevole nel
momento in cui opta per far valere le sue pretese civilistiche nella
sede penale piuttosto che in quella civile. Nel fare questa opzione,
l'eventuale «impossibilita' di ottenere una decisione sulla domanda
risarcitoria laddove il processo penale si concluda con una sentenza
di proscioglimento per qualunque causa (salvo che nei limitati casi
previsti dall'art. 578 cod. proc. pen.) costituisce [...] uno degli
elementi dei quali il danneggiato deve tener conto nel quadro della
valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi delle due
alternative che gli sono offerte» (sentenza n. 12 del 2016).
Di qui la regola posta dalla disposizione censurata (art. 538
cod. proc. pen.): il giudice penale decide sulla domanda per le
restituzioni e il risarcimento del danno «[q]uando pronuncia sentenza
di condanna» dell'imputato, soggetto debitore quanto alle
obbligazioni civili.
9.- Questa regola, pero', non e' assoluta, ma deflette in varie
fattispecie in cui si giustifica, all'opposto, che possa esservi una
decisione sui capi civili, vuoi dello stesso giudice penale, vuoi in
prosecuzione dell'originario giudizio penale in cui e' stata
azionata, dalla parte civile, la domanda risarcitoria (o
restitutoria).
La prima e piu' vistosa eccezione e' quella dell'art. 578 cod.
proc. pen., che, al comma 1, prescrive: «Quando nei confronti
dell'imputato e' stata pronunciata condanna, anche generica, alle
restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a
favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di
cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per
prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle
disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi
civili». In queste due fattispecie (quella piu' frequente della
prescrizione, ma anche quella dell'amnistia) ci puo' essere, al
contempo, la condanna al risarcimento del danno, nella misura in cui
il giudice penale accerta che l'imputato ha commesso l'atto illecito
e che la parte civile ha diritto al risarcimento del danno, e
contestualmente il proscioglimento dall'accusa penale per
prescrizione o amnistia, laddove dalle risultanze processuali,
valutate dal giudice, non risulti che il fatto non sussiste o che
l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o
non e' previsto dalla legge come reato (art. 129 cod. proc. pen.).
Il proscioglimento penale convive con la condanna civile da parte
dello stesso giudice penale, senza che venga in sofferenza - come
gia' ritenuto da questa Corte (sentenza n. 182 del 2021) - il canone
della presunzione di innocenza di cui all'art. 6, paragrafo 2, CEDU e
all'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE).
Una ulteriore eccezione alla regola dell'art. 538 cod. proc. pen.
e' quella posta dall'art. 576, comma 1, cod. proc. pen., secondo cui
la parte civile puo' proporre impugnazione, oltre che contro i capi
della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile, anche, ai
soli effetti della responsabilita' civile, contro la sentenza di
proscioglimento pronunciata nel giudizio. E' noto che, dopo la legge
20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in
materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), che,
mediante il suo art. 6, comma 1, lettera a), ha eliminato dal comma 1
dell'art. 576 cod. proc. pen. l'espressione «con il mezzo previsto
per il pubblico ministero», la giurisprudenza della Corte di
cassazione (sezioni unite penali, sentenze 29 marzo-12 luglio 2007,
n. 27614 e 28 marzo-3 luglio 2019, n. 28911) ha ritenuto che la parte
civile possa impugnare la sentenza di proscioglimento, che reca anche
il rigetto della domanda di risarcimento del danno, si' che il
giudice dell'impugnazione (quale la corte d'appello) puo' riformare
la pronuncia impugnata e - se non c'e' impugnazione del pubblico
ministero - accogliere solo la domanda di risarcimento del danno
anche in presenza del proscioglimento dell'imputato dall'accusa
penale.
Pertanto, in questo caso, il processo penale si puo' concludere
con un giudicato penale assolutorio e uno civile di condanna senza
che siano in sofferenza il principio di eguaglianza e quello del
giusto processo.
Questa Corte (sentenza n. 176 del 2019) - nel dichiarare non
fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 576
cod. proc. pen., sollevate in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo
comma, Cost. - ha ritenuto che anche tale eccezione sia compatibile
con la regola dell'art. 538 cod. proc. pen.: essendo stata la
sentenza di primo grado pronunciata da un giudice penale con il
rispetto delle regole processualpenalistiche, e' ragionevole che
anche il giudizio d'appello sia devoluto a un giudice penale (quello
dell'impugnazione) secondo le norme dello stesso codice di rito.
Sulla scia di queste eccezioni si colloca, altresi', la
previsione dell'art. 622 cod. proc. pen., secondo la quale, fermi gli
effetti penali della sentenza, la Corte di cassazione, se ne annulla
solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile,
ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza
di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando occorre al giudice
civile competente per valore in grado di appello, anche se
l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile. Pure in
questo caso il giudizio sui capi civili prosegue e la parte civile
non deve promuovere un nuovo giudizio. Trovano applicazione le regole
processuali e probatorie proprie del processo civile e l'accertamento
richiesto al giudice del "rinvio" ha ad oggetto gli elementi
costitutivi dell'illecito civile, prescindendosi da ogni
apprezzamento, sia pure incidentale, sulla responsabilita' penale
dell'imputato (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28
gennaio-4 giugno 2021, n. 22065).
Una ulteriore ipotesi di continuita' tra accertamento penale e
accertamento civile e' disegnata dall'art. 578, comma 1-bis, cod.
proc. pen., introdotto dall'art. 2, comma 3, della recente legge n.
134 del 2021, che, nel contesto della nuova disciplina della
prescrizione dei reati, ha previsto (per i reati commessi a far data
dal 1° gennaio 2020) che «[q]uando nei confronti dell'imputato e'
stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al
risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte
civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel
dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei
termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis, rinviano per la
prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado di
appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo
penale». Sara' il giudice civile in grado d'appello, investito della
«prosecuzione» del giudizio (non gia' di un "nuovo" giudizio), a
confermare o riformare la condanna dell'imputato al risarcimento del
danno in favore della parte civile.
In tutti questi casi e' ben possibile che la pronuncia di
accoglimento della domanda di risarcimento del danno non si
accompagni a una pronuncia di condanna penale, per esserci stata,
invece, una pronuncia di proscioglimento, o che vi sia, in
prosecuzione dello stesso giudizio, una pronuncia in ordine alla
pretesa restitutoria o risarcitoria della parte civile.
10.- Diversa - va peraltro precisato - e', invece, la fattispecie
oggetto della sentenza n. 12 del 2016. Questa Corte ha dichiarato non
fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 538
cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111
Cost., nella parte in cui non consente al giudice di decidere sulla
domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta
dalla parte civile, quando pronuncia sentenza di assoluzione
dell'imputato in quanto non imputabile per vizio totale di mente.
Cio' si giustifica perche' l'accertamento penale, che in tale
evenienza ha il diverso effetto di giudicato previsto dall'art. 652
cod. proc. pen. e non certo quello di cui all'art. 651-bis cod. proc.
pen., comporta il mutamento della prospettiva e dei presupposti della
pretesa risarcitoria della parte civile: per il danno cagionato
dall'incapace risponde chi e' tenuto alla sua sorveglianza (art.
2047, primo comma, del codice civile). Invece, nel caso della non
punibilita' per «particolare tenuita'» dell'offesa, vengono accertate
la sussistenza del fatto e la sua illiceita' penale, e si afferma che
l'imputato lo ha commesso. Su tutto cio' si forma il ben piu'
pregnante giudicato di cui all'art. 651-bis cod. proc. pen., per cui
l'accertamento necessario per il proscioglimento per difetto di
punibilita' ex art. 131-bis cod. pen. ridonda anche in accertamento
utile al fine dell'an della pretesa risarcitoria civile.
11.- La logica di fondo, che complessivamente emerge da queste
fattispecie, e' quella di evitare, finche' possibile e compatibile
con l'esito del giudizio in ordine all'azione penale, una situazione
di absolutio ab instantia in riferimento alla domanda della parte
civile e di salvare il procedimento in cui quest'ultima ha promosso
la pretesa risarcitoria o restitutoria, senza che la stessa sia
gravata dell'onere di promuovere un nuovo giudizio.
Nelle fattispecie sopra esaminate, sia quelle che vedono lo
stesso giudice penale pronunciarsi nel merito della pretesa civile
risarcitoria (o restitutoria), pur senza che contestualmente emetta
una condanna penale (cio' in deroga alla regola dell'art. 538 cod.
proc. pen.), sia quelle connotate comunque dalla distinta
prosecuzione del giudizio solo sui capi civili, c'e' una risposta di
giustizia alla domanda della parte civile, anche in mancanza
dell'accertamento, da parte del giudice penale, con effetto di
giudicato, quanto «[a]lla sussistenza del fatto, della sua illiceita'
penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso».
Invece, una risposta di giustizia manca proprio quando tale
accertamento sussiste, ex art. 651-bis cod. proc. pen., allorche' il
giudice penale prosciolga l'imputato per la particolare tenuita' del
fatto, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen.
In questo caso la regola generale, posta dall'art. 538 cod. proc.
pen., non deflette, non consentendo al giudice penale di pronunciarsi
anche sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile.
Cio' rende la norma censurata contrastante con il principio di
eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), per l'argomento a fortiori
che puo' trarsi dalla comparazione con le fattispecie in cui non c'e'
l'absolutio ab instantia pur in mancanza di siffatto accertamento,
vuoi perche' il giudice penale e' chiamato a pronunciarsi sulla
domanda risarcitoria (o restitutoria) civile anche se non vi e' una
condanna penale, vuoi perche' il giudizio prosegue comunque per la
definizione anche solo delle pretese civilistiche; essa inoltre si
pone in violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24,
secondo comma, Cost.), nella specie della parte civile, la quale
subisce la mancata decisione in ordine alla sua pretesa risarcitoria
(o restitutoria) anche quando essa appare fondata e meritevole di
accoglimento proprio in ragione del contestuale accertamento, ad
opera del giudice penale, della sussistenza del fatto, della sua
illiceita' penale e della riferibilita' della condotta illecita
all'imputato nel contesto del proscioglimento di quest'ultimo ex art.
131-bis cod. pen. Infine, essa collide con il canone della
ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) a
causa dell'arresto del giudizio che ne deriva, quanto alla domanda
risarcitoria (o restitutoria), con soluzione di continuita' rispetto
a un nuovo giudizio civile, del cui promovimento e' onerata la parte
civile, anche solo per recuperare le spese sostenute nel processo
penale.
12.- La reductio ad legitimitatem della disposizione censurata
richiede, dunque, di riconoscere al giudice penale, come necessaria
deroga alla regola posta dalla disposizione stessa, la possibilita'
di pronunciarsi anche sulla domanda di risarcimento del danno quando
accerti che sussistono i presupposti per dichiarare la non
punibilita' dell'imputato in ragione della particolare tenuita' del
fatto, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen.
13.- L'accoglimento delle questioni sollevate in riferimento agli
artt. 3, 24 e 111 Cost. comporta l'assorbimento dell'altro parametro
evocato dal giudice rimettente (art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 538 del codice
di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice,
quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare
tenuita' del fatto, ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale,
decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno
proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod.
proc. pen.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
