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LA DEMOCRAZIA INTERNA AI PARTITI POLITICI: UN VECCHIO TEMA ANCORA ATTUALE.

Gianluca Trenta*

Abstract [It]: Il presente lavoro affronta il tema della democrazia interna dei partiti politici che appare, ancora ai nostri giorni, un argomento di estrema attualità e di notevole complessità.

Abstract [En]: This work addresses the topic of internal democracy of political parties which still appears to be an extremely topical and highly complex topic today.

Keywords: Political parties; Democratic method in parties; political representation.

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La questione della democrazia interna nei partiti politici nell’era dello Stato costituzionale. – 3. Il dibattito sulla democrazia interna dei partiti politici in Assemblea Costituente. – 4. Alcune osservazioni alla luce degli esiti dei lavori dei Costituenti. – 5. Il dibattito in dottrina sul tema della democrazia interna ai partiti politici. –6. Note conclusive.

  1. Premessa.

Il tema della democrazia interna dei partiti politici appare, ancora ad oggi, un argomento attuale in un percorso in itinere. Oggi siamo di fronte ad una crisi della tradizionale rappresentanza politica, congiuntamente ad una crisi della rappresentanza da parte dei partiti politici delle istanze provenienti dalla società civile1.

Nonostante l’avvento di tali crisi, le forze politiche non sono riuscite a trovare una soluzione unanime per un’adozione di una disciplina dei partiti politici con il fine di conseguire l’obiettivo del dialogo tra partiti politici e cittadini2.

Nel contempo, però, i partiti politici non soltanto non hanno avuto un ridimensionamento della loro capacità di rappresentanza nelle istituzioni pubbliche ma continuano ad avere un grado di influenza nel processo decisionale3.

Appare quindi chiaro che le cause della crisi della rappresentanza politica devono essere ricercate nella difficoltà di legittimazione dei partiti politici intesi quali strumenti della rappresentanza4.

Solo attraverso la relazione fra la politica nazionale prodotta dai partiti politici e l’indirizzo politico dello Stato è possibile rafforzare il legame permanente tra il popolo sovrano e l’organizzazione dello Stato quale organo decisionale richiamato proprio nell’art. 1 della Costituzione5.

A tal proposito, i partiti politici nel tempo, soprattutto dopo la seconda metà del novecento, hanno assunto un ruolo fondamentale c.d. di cerniera, tra i cittadini e il potere politico, è quindi palese che le dinamiche della rappresentanza sono fortemente influenzate dal sistema partitico e soprattutto dalla democrazia interna di ogni singolo partito6.

Per tale ragione è possibile ritenere che il livello di organizzazione interna dei partiti sia un elemento essenziale nel valutare il livello della qualità della rappresentanza politica nazionale di uno Stato7.

La maggior parte della dottrina, infatti, sostiene che la democrazia interna dei partiti fa da riferimento a tutte quelle attività finalizzate a coinvolgere i cittadini e, quindi, a tutti gli iscritti, nel processo decisionale interno ai partiti politici8: la selezione della governance interna sia a livello centrale che periferico; i diritti e i doveri degli iscritti al partito; le modalità di accesso ed eventualmente alle procedure di espulsione degli iscritti e la tutela delle minoranze interne9. In ciò si concretizza quel modello di democrazia rappresentativa disposto proprio dall’art. 49 Cost., ossia «associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Dunque il ruolo che l’art. 49 Cost. assegna ai partiti politici ha anche la finalità di impedire taluni rischi della democrazia rappresentativa come ad esempio il distacco tra gli elettori e gli eletti così da delegare il rappresentante eletto nelle decisioni politiche.

Nel contesto italiano la dimensione privatistica ha prevalso sulla dimensione pubblicistica in relazione alle norme di regolamentazione della vita dei partiti anche se il connubio tra il diritto pubblico e diritto privato concorrono a disegnare la disciplina giuridica dei partiti politici, nello stesso modo con cui l’assetto costituzionale del sistema partitico risente della posizione fatta nell’ordine giuridico ai partiti politici10.

L’art. 49 Cost. se da un lato garantisce il diritto dei cittadini di associarsi in partiti politici dall’altro demanda la libertà di tale diritto alla dimensione privatistica per cui vengono identificati quali associazioni non riconosciute. In tale dimensione, però, viene sacrificata l’organizzazione interna, comprimendo i diritti dei cittadini iscritti ai partiti politici11.

2. La questione della democrazia interna nei partiti politici nell’era dello Stato costituzionale.

La questione della democrazia interna, collocata all’interno della disciplina giuridica dei partiti politici, in origine nello Stato liberale e successivamente nello Stato costituzionale, è stata argomento di discussione.

In principio, soprattutto nelle polis greche e nell’era repubblicana romana, i partiti politici venivano considerati dei gruppi di potere, i quali si trovavano in competizione tra loro per l’esercizio del potere politico12.

Bisogna però attendere la metà del secolo scorso affinché i partiti politici vengano riconosciuti quali fondamentale azione politica all’interno dello Stato costituzionale di democrazia pluralista in cui compaiono nelle istituzioni degli ordinamenti statali13.

Lo sviluppo del ruolo dei partiti politici, in era costituzionale, prende forma intorno agli anni trenta attraverso quattro fasi, ossia quando essi dopo una forte ostilità nei confronti del partito politico tradizionale del tempo mostrano una sostanziale indifferenza del diritto costituzionale, rivendicando un riconoscimento giuridico per essere annessi nell’organizzazione statale14.

In tale momento storico i partiti politici attraversano una profonda trasformazione dai partiti dello Stato liberale in partiti di massa all’interno dello Stato costituzionale di democrazia pluralistica15.

In principio, nello Stato liberale, il modello di rappresentanza esercitato dai partiti politici non prevedeva formazioni politiche ben definite e organizzate per il timore che potessero agire come forze disgreganti all’unità statale e concentravano la loro azione politica prettamente nell’Assemblea parlamentare, trascurando l’assetto nella società che per tale ragione venivano definiti partiti di notabili distinti dal gruppo politico della Destra e in quello della Sinistra16. Sostanzialmente il partito, pur essendo un espressione della libertà di associazione e di opinione, non poteva invadere il campo delle sfere di competenza esercitate dai poteri dello Stato17.

Con la fine dello Stato liberale e con l’avvento del suffragio universale, legata oltretutto alla crisi della rappresentanza, i partiti politici modificano il loro riassetto politico passando da partiti politici di notabili a partiti di massa18.

In tale contesto, i partiti politici si evolvono, modificando i rispettivi assetti organizzativi per coinvolgere maggiormente il corpo elettorale con il fine di aggregare le istanze provenienti dalla società e trasferirle nel circuito decisionale tra il parlamento e l’esecutivo19.

Pertanto sin dall’inizio del secolo scorso vengono poste le basi per un riconoscimento costituzionale dei partiti politici quali soggetti di diritto nella determinazione dell’indirizzo politico del Paese, che con il finire del secondo conflitto mondiale, acquisiranno definitivamente nella carta costituzionale rappresentando quel ruolo centrale in uno Stato di democrazia pluralista20.

Con tale riconoscimento costituzionale i partiti politici modificano profondamente il loro assetto organizzativo, trascurando l’aspetto interno per concentrarsi soprattutto sulla neonata funzione nella mediazione tra la società civile e il potere politico. I partiti, quindi, concentrano la loro attività nel principio democratico delle democrazie rappresentative con una certa continuità temporale radicandosi nel territorio per non ridursi alle semplici tornate elettorali ed è proprio in questo contesto che si pone il quesito del carattere democratico anche nella loro vita interna attraverso regole certe che ne disciplinano il loro funzionamento21.

Ed ancora, con l’affermarsi del pluralismo dei partiti nell’ambito di una democrazia pluralistica e rappresentativa, nascono i primi dibattiti in dottrina se il partito politico debba ricondursi ad un profilo privatistico o se al contrario debba essere di rilievo prettamente pubblicistico22.

Mentre Smith sosteneva che i partiti politici non dovevano avere un chiaro riconoscimento costituzionale in quanto portatori di interessi particolari e non collettivi23, Hans Kelsen sosteneva il contrario, in quanto i partiti politici dovevano mantenere un profilo costituzionale e democratico al fine di formare una volontà generale24.

E’ da questi assunti che inizieranno le prime mosse per un’analisi dell’importanza di una democrazia dei partiti politici e soprattutto dell’organizzazione democratica interna di ogni singolo partito politico.

3. Il dibattito sulla democrazia interna dei partiti politici in Assemblea Costituente.

Il dibattito dei Padri costituenti sul ruolo che avrebbero dovuto assumere i partiti politici nello Stato costituzionale, fu un confronto acceso su due posizioni diametralmente opposte25: la prima più minimalista ossia di disciplinare l’indispensabile con il fine di preservare la libertà di associazione e la seconda, più massimalista, che prediligeva il riconoscimento della personalità giuridica ai partiti politici definendo le norme di funzionamento26.

In tal senso, nella seduta del 19 novembre 1946 della prima Sottocommissione, sia l’On. Merlin27 che l’On. Mancini28, appartenente al gruppo dei socialisti italiani, espressero la loro posizione proponendo la formulazione costituzionale: «i cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi di libertà ed eguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare». In tal senso, anche il costituente Basso, appartenente allo stesso gruppo dei Socialisti italiani, proponeva che «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese»29.

Da queste formulazioni è possibile constatate come per la prima volta in Italia si tentava di dare un chiaro riconoscimento costituzionale ai partiti politici collegandolo al diritto di associazione con metodo democratico con la funzione di determinare la politica nazionale.

Invece, ciò che riguardava le regole di funzionamento vengono proposte di rinviarle alla legge ordinaria senza alcuna traccia sul riferimento alla democrazia interna dei partiti, pur se il riferimento al metodo democratico e al diritto di organizzazione democratica dei partiti politici doveva implicitamente includerla.

Il dibattito, infatti, rimase del tutto circoscritto ai partiti politici con un vivace confronto tra i democristiani, comunisti e socialisti. Ma l’acceso dibattito, sviluppatosi nella prima sottocommissione dell’Assemblea Costituente, fu talmente vivace che l’On. Palmiro Togliatti riteneva che la proposta dei socialisti fosse lesiva per la libertà di organizzazione dei partiti politici e che con il tempo avrebbero potuto estromettere il partito Comunista dal Parlamento in quanto quest’ultimo si richiamava alla dittatura del proletariato e della mancanza di metodo democratico nella sua attività politica.

L’On. Togliatti, infatti, affermava che i partiti politici non dovessero avere alcun tipo di riconoscimento costituzionale anche se fosse disponibile a votare eventualmente la proposta dell’on. Basso, purché fosse stata integrata da un puntuale divieto di riorganizzazione del partito fascista.

Ciò, però, portò a un duro scontro politico con il costituente democristiano Giorgio La Pira, il quale riteneva che la proposta fosse troppo semplicistica poiché non sarebbe stato semplice determinare un partito fascista, inoltre, lo stesso La Pira, come anche Dossetti, affermavano che in futuro anche il Partito Comunista poteva ravvisarsi nelle sembianze del fascismo30.

In conclusione del dibattito si trovò quindi una mediazione sulla proposta dell’On. Basso, che con un solo voto contrario, venne approvata nelle Disposizioni transitorie e finali definendo così che: «È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»31.

Sempre lo stesso on. Basso propose nella stessa Commissione un ulteriore articolo con cui «Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti, sono riconosciute, sino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi»32.

Al fine di garantire ai partiti politici un rilevo costituzionale l’on. Moro sosteneva che i partiti politici dovessero avere personalità giuridica.

L’On. Togliatti, invece, in continuità con le posizioni espresse nella precedente seduta riteneva che le funzioni da attribuire ai partiti non avrebbero dovuto avere come conseguenza «una rigidità nella loro organizzazione».

In conclusione dei lavori nella Sottocommissione, si deliberò, a maggioranza, che la Costituzione avrebbe dovuto includere quei principi per il riconoscimento giuridico dei partiti ma ciò poteva avvenire solo attraverso un esame congiunto con la Seconda Sottocommissione. Tuttavia tale decisione non ebbe alcun proseguo in quanto la riunione non ebbe mai luogo. Pertanto il testo licenziato dalla Prima Sottocommissione fu la proposta originaria presentata dall’On. Basso nella seduta del 19 novembre, la quale recitava: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»33.

Bisogna sottolineare che tale processo di formazione dell’art. 47, poi divenuto l’art 49 Cost., venne svolto in un clima totalmente differente rispetto a quello svolto in Assemblea costituente, avvenuto, difatti, alla vigilia della crisi definitiva del terzo Governo De Gasperi che avrebbe condotto all’esclusione delle sinistre dal Governo. In Commissione, pur manifestandosi contrasti molto forti su visioni differenti, il clima di dialogo e di fiducia reciproca era rimasto positivo, tanto da dare l’impressione ad alcuni costituenti come l’on. Basso, Moro e Mortati che l’Assemblea sarebbe riuscita a superare le difficoltà del momento ed approvare un testo sui partiti politici più evoluto di quello elaborato dalla commissione34.

Nel corso della discussione da parte dell’Assemblea, nella seduta del 22 maggio 1947, emerse nel dibattito la questione della democrazia interna dei partiti, che era già stato richiamato in sede di Assemblea nella discussione generale sul progetto di Costituzione, facendo emergere le forti divergenze tra le sinistre e i democristiani35.

Il tema dei partiti politici venne affrontata in via preliminare nella discussione generale sul progetto di Costituzione che si svolse in Assemblea il 4 marzo 1947. Gli Onorevoli Aldo Bozzi e Piero Calamandrei chiedevano una migliore specificazione del significato di «metodo democratico». Nello specifico, Calamandrei riteneva che l’organizzazione democratica all’interno dei partiti fosse un presupposto necessario affinché vi fosse democrazia anche all’esterno dei partiti. In risposta alle parole di Calamandrei, il Presidente della I Sottocommissione, Umberto Tupini, aveva ritenuto essenziale che i partiti, nello svolgimento del loro ruolo costituzionale, attuassero il metodo democratico «a cominciare dal loro interno»36.

Ritornando alla discussione da parte dell’Assemblea, il dibattito si concentrò sull’emendamento presentato da Costantino Mortati, il quale chiedeva di inserire esplicitamente il requisito della democrazia interna, prevedendo che i partiti si uniformassero «al metodo democratico nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla determinazione della politica nazionale»37.

L’intervento dell’On. Mortati, con cui presentò il proprio emendamento, rappresenta, a tutt’oggi, uno degli interventi più lucidi a sostegno di una disciplina sulla democrazia nei partiti, in modo da far emergere «tutto lo spirito della nostra Costituzione» ed era tanto più necessaria nei riguardi dei partiti che rappresentavano, a suo giudizio, la base dello Stato democratico: «È nei partiti, infatti, che si preparano i cittadini alla vita politica e si dà modo ad essi di esprimere organicamente la loro volontà, è nei partiti che si selezionano gli uomini che rappresenteranno la nazione nel Parlamento. Mi pare quindi che non si possa prescindere anche per essi dall’esigere una organizzazione democratica»38.

Tale argomentazione veniva supportata dall’intervento dell’On. Aldo Moro il quale riteneva che, in mancanza di una base di democrazia al loro interno, i partiti non avrebbero potuto trasfondere un indirizzo democratico nella vita politica del Paese.

Peraltro, l’On. Mortati, in risposta ai dubbi relativi al rischio che norme sulla democrazia interna avrebbero potuto limitare la libertà dei partiti osservava che una disciplina che prevedesse l’obbligo di deposito degli statuti non fosse lesiva di tale libertà. Tra l’altro proponeva di affidare il giudizio sulla conformità dei partiti al metodo democratico alla Corte costituzionale o ad organismi composti da rappresentanze degli stessi partiti.

Nella discussione generale Socialisti, Comunisti e liberali “fecero muro” comune contro la proposta dell’On. Mortati. L’obiezione principale riguardava l’assoluta contrarietà ad entrare nella questione dell’organizzazione interna dei partiti per i rischi che tale scelta avrebbe potuto generare in termini di libertà della loro azione.

In particolare, le sinistre paventavano che una previsione costituzionale sull’organizzazione dei partiti e sulla loro democrazia interna potesse divenire uno strumento in mano alle maggioranze parlamentari per estromettere i partiti di minoranza dalla competizione democratica39.

Va sottolineato che per il Partico Comunista (PCI) affrontare il tema della democrazia interna ai partiti politici sarebbe stato veramente problematico in quanto la sua organizzazione interna era fondata sul metodo del centralismo democratico.

L’on. Merlin, relatore dell’articolo approvato dalla Prima Sottocommissione, difese le scelte della Commissione, evidenziando l’importante novità che rappresentava l’introduzione dei partiti in Costituzione. In tale contesto invitava a «non esagerare» e a «cominciare» con l’adozione della formula approvata in Commissione. Lo stesso, difatti, osservava la necessità di una disciplina giuridica di tipo “graduale” dei partiti e si dichiarava favorevole a prevedere in Costituzione che il metodo democratico nei partiti dovesse valere «all’esterno», nel concorrere a determinare la politica nazionale. Nel contempo riconosceva la necessità di una futura legge sul tema e proponeva di rinviare in altra sede la discussione sul metodo democratico interno40.

Sul tema l’On. Mortati replicava che il proprio emendamento aveva un carattere esplicativo secondo un’interpretazione del «metodo democratico» in una formula larga da intenderla sia come democrazia “esterna” che “interna” dei partiti. Comunque, considerate le forti tensioni nella discussione generale in Assemblea nei confronti del suo emendamento, l’On. Mortati lo ritirò, sottolineando la necessità per uno Stato saldamente democratico di non tollerare partiti politici la cui disciplina interna non fosse improntata al metodo democratico.

4. Alcune osservazioni alla luce degli esiti dei lavori dei Costituenti.

A conclusione dei lavori dell’Assemblea Costituente emerse la linea in cui i partiti politici concorrono alla determinazione della politica nazionale tralasciando la questione della personalità giuridica e del metodo democratico nell’organizzazione interna.

Tale risultante fu il frutto di un confronto molto duro dove i partiti di sinistra non erano disponibili ad accettare una disciplina costituzionale sui partiti politici. Tra l’altro, bisogna sottolineare che il dibattito venne affrontato nella seduta del 22 maggio 1947, a ridosso dalla crisi del terzo Governo De Gasperi che avrebbe condotto all’esclusione delle sinistre dal governo.

In tale contesto, il partito Comunista temendo lo spettro futuro di una «democrazia protetta»41, impedì un’elaborazione più approfondita della disciplina costituzionale relativa ai partiti politici42.

Da tale analisi si possono dedurre le ragioni che hanno portato alla stesura dell’art. 49 Cost.. Difatti, in merito alla democrazia interna dei partiti politici, nuove norme avrebbero richiesto forme di controllo esterno sulla loro attività ma ciò poteva solo avvenire in un quadro politico non eccessivamente conflittuale e in cui vi è un’idea sommaria e condivisa sul ruolo dei partiti nel sistema politico-costituzionale43. Tutto ciò, durante i lavori nell’Assemblea Costituente, è venuto a mancare soprattutto per il fatto che il Partito Comunista era fortemente strutturato e considerato un partito “antisistema”44.

Se si guarda il quadro politico-costituzionale dei nostri giorni, emerge un contesto in cui, pur nelle radicali ed evidenti differenze storiche, politiche ed istituzionali rispetto al passato, questi “presupposti” sembrano mancare nuovamente e purtroppo ciò incide sulla qualità della rappresentanza politica.

5. Il dibattito in dottrina sul tema della democrazia interna ai partiti politici.

In dottrina, nel corso del secolo scorso, il tema della democrazia interna nei partiti politici è stato notevolmente discusso. In particolare l’origine del dibattito sulla democrazia interna dei partiti risale al tempo della Repubblica di Weimar, in concomitanza con l’affermarsi del pluralismo dei partiti nell’ambito di una democrazia pluralistica45.

La definizione più appropriata appare, però, quella di Max Weber che immaginava i partiti politici quali associazioni, con lo scopo di assegnare contemporaneamente ai propri capi una posizione rilevante all’interno e ai militanti attivi la possibilità di perseguire i propri obiettivi. Il sociologo tedesco, con tale definizione, tenta di disegnare il partito politico quale organizzazione politica unitaria che nel contempo soddisfa le singole ambizioni personali di ogni iscritto, attraverso i ruoli interni46.

Da quanto detto si può affermare che il partito politico è anche una organizzazione di cittadini, che svolge la funzione di cinghia di trasmissione delle istanze provenienti dalla società civile per dirottarle a livello centrale.

Ma un simile progetto è realizzabile solo tramite una reale democrazia interna ai partiti politici; tale tema è oggi particolarmente sentito, oltre che complesso, a causa della crisi della rappresentanza politica e per la difficoltà di legittimare i partiti politici47.

Questi ultimi, ritenuti quali strumenti della rappresentanza48, hanno una grande difficoltà a carpire le istanze della società civile, avendo perso legittimazione agli occhi dei cittadini, causa della perdita di una fisionomia unitaria dell’organizzazione interna, che li rende molto diversi dai partiti politici che hanno dominato la scena politica nel secolo scorso49.

Appare quindi evidente che, la qualità della rappresentanza politica è notevolmente influenzata dal sistema partitico e conseguentemente dall’organizzazione interna di ogni partito politico50.

Per tali ragioni la democrazia interna dei partiti deve coinvolgere gli iscritti ad ogni livello sia per ciò che riguarda le procedure di deliberazione sia per ciò che è il processo decisionale interno inclusivo. In altre parole, per assicurare la democrazia interna, occorre che il partito si occupi in particolare della selezione delle candidature per le elezioni, dell’elezione delle cariche interne, della partecipazione degli iscritti al processo decisionale, dei diritti e dei doveri dei singoli associati, delle modalità d’iscrizione, delle procedure di espulsione e della tutela delle minoranze interne51.

L’organizzazione interna, per i partiti politici che intendono strutturarsi sul territorio con continuità, non può non rappresentare una variabile essenziale. Per assolvere al meglio il ruolo di cerniera tra società civile e potere politico, il partito deve garantire nel tempo il carattere democratico delle democrazie rappresentative, sia al suo interno che all’esterno, al fine di non ricercarlo nei soli appuntamenti elettorali di turno52.

Scarrow intendeva la democrazia interna ai partiti l’insieme delle pratiche e degli strumenti che potessero garantire la partecipazione degli iscritti ai partiti come in tutte le fasi che vanno dalla consultazione al processo decisionale. Considerata però l’eterogeneità delle organizzazioni e dei diversi contesti politici, non è possibile formulare uno specifico modello integrante le “migliori pratiche per la governance interna dei partiti53.

6. Note conclusive.

In conclusione, come abbiamo potuto osservare nel paragrafo precedente si può sostenere che se ci limitiamo alla interpretazione letterale dell’art. 49 della Costituzione, è sicuramente inappropriato parlare di attuazione dell’art. 49, in quanto non esiste un vincolo nel dettato costituzionale c.d. certo.

Sarebbe più opportuno soffermarci sul significato di una possibile rilettura della norma costituzionale quale rapporto tra forma di partito e forma di governo, ossia tra la democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti54.

In tale contesto, si può sostenere che se la democrazia dei partiti spiega la stessa origine costituzionale dell’art. 49, la sua interpretazione non può essere fatta sulla base delle sole intenzioni originarie, «a pena di irrigidirne la lettura e di provocarne prima o poi l’obsolescenza»55.

Tuttavia, parte sia della dottrina che della giurisprudenza costituzionale hanno difficoltà nel chiarire il ruolo dei partiti politici nel nostro ordinamento costituzionale, «rigettando la teoria della incorporazione del diritto dei partiti nell’ordinamento giuridico statuale. Prevale in questo orientamento la preoccupazione che l’incorporazione se assunta in forma integrale possa ledere il pluralismo». Si può quindi dedurre che si tratta di una preoccupazione legittima, in particolar modo se si fa riferimento al partito unico. Non si tratta di optare tra alternative estreme: «incorporazione in forma integrale, da un lato, e sregolatezza dei partiti, dall’altro. Occorre che le forme di riconoscimento del fenomeno partitico e la loro disciplina siano funzionali al pluralismo, alla rappresentanza politica e alla partecipazione democratica»56.

Parte della dottrina, infatti, ritiene che i partiti sono elementi costitutivi dello Stato democratico e per la loro influenza sulla forma di governo si configurano anche come istituzioni costituzionalmente rilevanti ed elementi costitutivi del sistema di governo, in particolare di quello parlamentare57.

Le alternative giuridiche sono molteplici ma ciò che deve essere il punto fermo è che la costituzionalizzazione autentica dei partiti politici deve regolamentare gli stessi58. Ciò significa che nel nostro Paese, non avendo avuto una regolamentazione sulla democrazia dei partiti, si è avuta sovrapposizione tra modelli di partito e modelli istituzionali, degenerando in una incorporazione di fatto dei partiti. Ciò ha anche significato una degenerazione in termini di “partitocrazia”, in quanto «le finalità, le attività, l’organizzazione e il funzionamento dei partiti si palesano apertamente in contrasto con i principi organizzativi e il reale funzionamento di una democrazia costituzionale. E nello Stato costituzionale non vi può essere una “sovranità dei partiti”, né una “rappresentanza senza partiti”»59.

Tuttavia, non bisogna sottovalutare l’importanza di una regolazione del partito politico per diverse ragioni: una sicuramente riguardante le finalità e l’azione politica dei partiti antisistema e l’altra per l’affermarsi di partiti personali, anche quando non hanno finalità apertamente antidemocratiche. In questo contesto, bisogna altresì prendere in considerazione che solitamente i partiti: antisistema sono contrari alla regolazione; i partiti personali senza una consolidata evoluzione storica sono poco propensi a farsi regolare.

Note:

1* Dottore di ricerca in Scienze giuridiche e politiche.

G. MOSCHELLA, Crisi della rappresentanza politica e deriva populista, in Consulta online, 2/2019, pp. 249-256.

2 G. MELONI, P. GAMBALE, La regolamentazione dei partiti e la loro democrazia interna in Italia: dal regime di applicazione convenzionale alla prima legge di attuazione dell’art. 49 Cost.?, in Amministrazione in Cammino, 27 settembre 2017, pp. 1-10.

3 A. GREPPI, Il partito che non è un partito. Partecipazione e rappresentanza nel discorso pubblico di Podemos, in Teoria Politica, 8/2018, pp. 275-299.

4V. CRISAFULLI, Stato, Popolo, Governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, Giuffrè,1985, pp. 207 ss.

5 P. RIDOLA, Partiti politici, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1982, pp. 67.

6 P. AVRIL, Saggio sui partiti, in R. Balduzzi, A. Giovannelli (a cura di), Torino, Saggio sui partiti, Giappichelli, 1990, pp. 189 ss.

7 S. STAIANO, La rappresentanza, in AIC, 3/2017, pp. 1-42.

8 A. LANZAFAME, Sui livelli essenziali di democrazia nei partiti, in AIC, 1/2017, pp. 1-21.

9 S. SCARROW, Implementing intra-party democracy, in National democratic Institute for International Affairs, Washington DC, 2005, p. 3 ss. L’autore definisce la democrazia interna come «Intra-party democracy is a very broad term describing a wide range of methods for including party members in Intra-party deliberation and decision making».

10 S. BARTOLE, Partiti politici, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1995, pp. 705 ss.,

11 La normativa di riferimento sulle associazioni non riconosciute è contenuta negli artt. 36, 37 e 38 del codice civile. Per un maggiore approfondimento cfr. P. RESCIGNO, Sindacati e partiti nel diritto privato, In Persona e comunità, Bologna, 1962, pp. 139 ss; Cfr. anche G. SARTORI, Parties and Party systems: A Framework for Analysis, Cambridge, 1976, p. 63; P. MARSOCCI, Sulla funzione costituzionale dei partiti e delle altre formazioni politiche, Napoli, 2012, pp. 84 ss.

12 Sul tema è utile cfr. M. DUVERGER, Partiti politici (1951), trad. it., Milano, 1975, pp. 15 ss.; G. Perticone, Partito politico, in Nss. D.I., XII, 1965, 519 ss.; M. WEBER, Economia e società (1922), trad. it., Milano, 1974, pp. 282 ss.

13 C. ROSSANO, Partiti politici, in Enc. giur., Roma, 1990.

14 H. TRIEPEL, La Costituzione dello Stato e i partiti politici (1930), trad. it. in E. GIANFRANCESCO, G. GRASSO (a cura di), Napoli, Editoriale scientifica, 2015.

15 G. SARTORI, Teoria dei partiti e caso italiano, Milano, Sugarco, 1982.

16 Sul tema dei partiti politici dei notabili è utile cfr. M. DUVERGER, Partiti politici, op. cit., pp. 20 ss.;

17 C. ROSSANO, Partiti e Parlamento nello Stato contemporaneo, Napoli, 1972, pp. 301 ss.;

18 P. BILANCIA, Lo Stato di diritto come valore in una dimensione “spaziale”, in Nomos. Le attualità nel diritto, fasc. n. 1/2012.

19 C. DE FIORES, Dai partiti democratici di massa partiti post-democratici del leader. Profili costituzionali di una metamorfosi, in Costituzionalismo.it, fasc. 1/2018, pp. 219; G. LEIBHOLZ, Strukturprobleme der modernen Demokratie (Vorträge und Aufsätze), Müller, Karlsruhe, 1958, pp. 89 ss.

20 A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, in Forum di quaderni costituzionali, 2008.

21 A. POGGI, La democrazia nei partiti, in Rivista AIC, n. 4/2015.

22 I primi dibattiti in dottrina sul tema, riguardavano Schmitt, Triepel, Leibholz che sostenevano nel limitare il ruolo dei partiti ad una dimensione prettamente associativa al contrario di Kelsen e Radbruch che affermavano che ai partiti politici doveva essere assegnato un rilievo costituzionale. C. PINELLI, Discipline e controllo sulla democrazia interna dei partiti, Padova, Cedam, 1984, pp. 19 ss.

23 C. SCHMITT, Il custode della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1981, pp. 129 ss.

24 H. KELSEN, La democrazia, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 55 ss.,

25 G.E. VIGEVANI, Art. 49, in S. Bartole, R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedem, 2008, pp. 496 ss.

26 S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, in Associazione italiana dei costituzionalisti, Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Atti del XXIII Convegno annuale, svoltosi ad Alessandria il 17-18 ottobre 2008, Napoli, Jovene, pp. 51 ss.

27 L. Merlin fu la prima donna ad essere eletta al Senato della Repubblica e apparteneva al gruppo politico dei Socialisti italiani.

28 Per un maggiore approfondimento cfr. E. ZICARELLI, Pietro Mancini ed il Socialismo in Calabria, Cosenza, Fasano, 1974.

29 S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, op. cit., pp. 62 ss.

30 F. SCUTO, La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione, Torino, Giappichelli, 2017, p. 13.

31 Titolo XII, co. 1 delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione italiana.

32 Art. 4 delle proposte presentate dal deputato Basso nella prima sottocommissione sui principi dei rapporti politici.

33 C. De FIORES, Dai partiti democratici di massa ai partiti post-democratici dei leader. Profili costituzionali di una metamorfosi, op.cit., pp. 238 ss.

34 S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, op.cit., pp. 62 ss.

35 M.R. MAGNOTTA, Costituzione e diritto vivente dei parti politici, in Nomos Le attualità del diritto, 2/2019, pp. 14 ss.

36 E. ROSSI, La democrazia interna nei partiti politici, in AIC, 1/2011, pp. 1-2.

37 Inizialmente l’emendamento presentato conteneva ulteriori novità come ad esempio il rinvio ad una disciplina legislativa sui partiti, l’intervento della Corte costituzionale per la verifica del rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge, l’attribuzione di poteri ai partiti in ordine a funzioni di pubblico interesse e l’obbligo di pubblicazione dei loro bilanci. L’on. Mortati, resosi conto che l’emendamento si spingeva troppo oltre, d’accordo con l’on. Ruggiero, eliminò alcune parti e presentò il testo sopra richiamato.

38 C.E. TRAVERSO, La genesi storico-politica della politica dei partiti nella Costituzione italiana, in Il Politico, vol. 33, no. 2, 1968, pp. 281–300.

39 L’intervento e le considerazioni sul tema della democrazia interna dell’On. Laconi (Partito Comunista) facevano emergere la tensione che si respirava nella discussione generale in Assemblea. Laconi dichiarò sull’ «estrema gravità» degli emendamenti proposti. Sottolineò i rischi di possibili «abusi» ed «interventi illeciti» legati ad interventi futuri della maggioranza parlamentare nella vita interna dei partiti di minoranza. A conclusione del suo intervento, Laconi tenne a far rilevare che l’approvazione di quegli emendamenti avrebbe comportato enormi danni per la democrazia italiana e per la libertà di azione dei partiti.

40 A. CATELANI, Partiti politici e garanzie costituzionali, in Nomos Le attualità del Diritto, 3/2015, pp. 2-7.

41 Il modello delle democrazie protette si affermano sul modello della Costituzione tedesca, in cui venivano affermati i principi democratici e disposizioni finalizzate a difendere i nuovi ordinamenti da eventuali sovvertimenti dopo determinate esperienze autoritarie. S. MERLINI, Democrazia protetta e democrazia conflittuale: i casi dell’Italia e della RFT, in Democrazia Diritto, 1-2/1989, pp. 365 ss.

42 F. LANCHESTER, Vincitori e vinti, veti e imposizioni degli Alleati nel processo di ricostruzione della democrazia in Italia, Germania e Giappone, in S. MERLINI (cura di), P. Calamandrei e la ricostruzione dello Stato democratico. 1944-1948, Bari, Laterza, 2007, pp. 67 ss.

43 S. MERLINI, I partiti politici e la Costituzione (rileggendo Leopoldo Elia), op.cit., pp. 26 ss.

44 Per un maggior approfondimento sul tema dei partiti antisistema cfr A. NICOTRA, Democrazia “convenzionale” e partiti antisistema, Torino, Giappichelli, 2007.

45 V.C. PINELLI, Discipline e controllo sulla democrazia interna dei partiti, op.cit., pp. 19 ss. G. TRENTA. I partiti politici nella concezione europea. Un percorso ancora in itinere, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2023, pp. 89-91.

46 M. WEBER, Economia e società. L’economia, gli ordinamenti e i poteri sociali, op.cit., p. 282. L’autore intende i partiti quali associazioni costituite al fine di “attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un gruppo sociale e ai propri militanti attivi possibilità per il perseguimento di fini oggettivi o per il perseguimento di vantaggi personali, o per tutti e due gli scopi”. Si tratta di una delle pochissime definizioni, sicuramente la prima, che ha provato a riconoscere il partito politico sia come organizzazione politica unitaria, che come un luogo in cui svolgono un ruolo decisivo i comportamenti del singolo e la sua ambizione personale.

47 F. SCUTO, La democrazia interna dei partiti: profili costituzionali di una transizione, op.cit., pp. 36 ss.

48 V. CRISAFULLI, Partiti, Parlamento, Governo, in Stato, Popolo e Governo, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 207 ss.

49 A. SAITTA, Partiti politici e dinamiche della forma di Governo. I partiti politici, (paper del convegno del Gruppo di Pisa: Partiti politici e dinamiche della forma di Governo organizzato dall’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, 14-15 giugno 2019), p. 168.

50P. AVRIL, Saggio sui partiti, op.cit., pp. 189 ss.

51 S. SCARROW, Political parties and democracy in theoretical and practical perspectives. Implementing intra-party democracy, in The National Democratic Institute for International Affairs (NDI), Washington DC, 2005, pp. 3 ss.

52 A. POGGI, La democrazia nei partiti, op.cit., pp. 16 ss.

53 M.C. KITTILSON, S.E. SCARROW, Political Parties and the Rhetoric and Realities of Democratization, op.cit.; D. DEL MONTE, Partiti politici. Trasparenza e democrazia, in NIS European National Integrity Systems, 2011, p. 24.

54 L. ELIA, Governo (forme di), in Enc. dir., XIX, Giuffrè, Milano, Giuffrè, 1970, pp. 634 ss

55 C. PINELLI, Il paradosso di una partitocrazia senza partiti. Uno sguardo costituzionale, in Id., Nel lungo andare. Una Costituzione alla prova dell’esperienza. Scritti scelti 1985-2011, Napoli, Jovene, 2012, pp. 646 ss.

56 S. BONFIGLIO, L’art. 49 della Costituzione e la regolazione del partito politico: “rilettura” o “incompiuta” costituzionale?, in Nomos Le attualità del diritto, 2/2017, p. 9.

57 E. GIANFRANCESCO, I partiti politici e l’art. 49 della Costituzione, in Forum dei Quaderni Costituzionali, 2017, pp. 3 ss. S. MERLINI, I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, op.cit., pp. 51 ss.

58 C. DE FIORES, Dai partiti democratici di massa partiti post-democratici del leader. Profili costituzionali di una metamorfosi, op.cit., pp. 211 ss. L. ELIA, A quando una legge sui partiti?, in S. MERLINI (a cura di), La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, Firenze, Passigli, 2009.

59 S. BONFIGLIO, L’art. 49 della Costituzione e la regolazione del partito politico: “rilettura” o “incompiuta” costituzionale?, op.cit., p. 10.