Natura fiume
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INVESTIMENTI FINANZIARI SOSTENIBILI NELLA NORMATIVA EUROPEA: ANALISI DEI REGOLAMENTI 2019/2088 e 2020/852

Di FILIPPO COCCIA e TOMMASO MALPENSA

Indice

Abstract 

Abstract

Sommario

Summary

1. DIRITTO E AMBIENTE: IL DIRITTO ORIGINARIO EUROPEO E LA COSTITUZIONE ITALIANA

1.1 Hans Jonas e la filosofia della natura

1.2 Linee generali della normativa italiana in materia di ambiente

1.3 L’ambiente nelle fonti del diritto originario europeo

2. GLI ACCORDI DI PARIGI E L’ELABORAZIONE DI UNA RISPOSTA EUROPEA

2.1 La COP 21 e gli SDGs

2.2 L’azione europea a favore della sostenibilità e il Final Report del Technical Experts Group

2.3 I costi della transizione ecologica

3. IL REGOLAMENTO RELATIVO ALL’INFORMATIVA SULLA SOSTENIBILITÀ NEL SETTORE DEI SERVIZI FINANZIARI E IL GREEN DEAL EUROPEO

3.1 La strategia europea per il 2050

3.2 La comunicazione del 20 giugno 2019: orientamenti sulle informazioni di carattere non finanziario

3.3 Il Regolamento 2019/2088

3.4 Il Green Deal europeo

4. IL REGOLAMENTO SULLA TASSONOMIA E GLI ULTIMI SVILUPPI DELLA NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI ECONOMIA SOSTENIBILE

4.1 Linee generali della gestione pandemica dell’UE

4.2 Il regolamento 2020/852

4.2.1 Principi generali

4.3 La delega alla Commissione e l’inserimento di fissione nucleare e gas naturale nella tassonomia

Abstract

Lo scopo dell’articolo è l’analisi degli strumenti europei di classificazione degli investimenti sostenibili, partendo dai regolamenti 2019/2088 e 2020/852. Centrale, come metodo d’indagine, è stato senza dubbio il Final Report del Technical Experts Group del 2018, che si configura come una dichiarazione d’intenti dell’UE per una nuova visione ecologica anche nel sistema finanziario. Attraverso un’analisi comparata tra la legislazione europea e quella italiana, gli autori vogliono mettere in evidenza una nuova attenzione verso l’ambiente e lo sviluppo sostenibile che vede l’UE come l’organo trainante nel sistema internazionale globalizzato. Facendo proprio lo strumento di soft law della COP 21, l’UE sin da subito ha elaborato degli obiettivi pragmatici, come il Green Deal reso poi vincolante dalla c.d. Legge sul clima. D’altro canto, la Commissione ha redatto dei criteri di classificazione di sostenibilità, con la c.d tassonomia europea. Ebbene, tra le finalità dell’articolo, c’è proprio quello di mettere in luce tali criteri.

Abstract

The purpose of the article is the analysis of the European classification tools for sustainable investments, starting from the regulations 2019/2088 and 2020/852. Central, as a method of investigation, was undoubtedly the Final Report of the Technical Experts Group of 2018, which is amounted to as a statement of intent by the EU for a new ecological vision even in the financial system. Through a comparative analysis between European and Italian legislation, the authors want to highlight a new focus on the environment and sustainable development that sees the EU as the driving force in the globalized international system. By adopting the soft law instrument of COP 21, the EU immediately developed pragmatic objectives, such as the Green Deal then made binding by the so-called Climate law. On the other hand, the Commission has drawn up sustainability classification criteria, with the European taxonomy. Well, among the purposes of the article, there is precisely that of highlighting these criteria.

Sommario

L’articolo in questione è il risultato di uno studio incentrato sulla sostenibilità degli investimenti finanziari. Partendo dal concetto di sustainable development, gli autori hanno effettuato un’indagine sui risvolti della normativa europea, con particolare riferimento ai regolamenti 2019/2088 e 2020/852, tenendo d’altro parte in considerazione quella interna, soprattutto la nuova attenzione rivolta all’ambiente con la revisione costituzionale degli articoli 9 e 41. Dagli accordi di Parigi, passando per il Final Report del Technical Experts Group, sino al Green Deal europeo, l’excursus sull’interconnessione tra diritto e ambiente è stato affrontato e da un punto di vista sincronico e da uno diacronico, così da circoscrivere in maniera dettagliata e completa il processo di transizione ecologica. La tassonomia europea, infine, centro recentemente di dibattito con la risoluzione del Parlamento europeo datata 6 luglio 2022, risulta il fulcro per uno sviluppo economico sostenibile, mediante ad esempio la messa a disposizione di prodotti finanziari che perseguono obiettivi green. Lo studio, d’altra parte, mette in luce le eventuali criticità e rischi transizione, tra cui in primis il cosiddetto greenwashing. Ebbene, tra le tappe percorse è altresì centrale la pandemia sars covid 2019, che non solo ha rinnovato la consapevolezza della necessità di un’unità di intenti tra gli Stati membri, ma ha portato all’approvazione del Recovery Fund, che, superando il quantitative easing, per la prima volta ha condotto l’UE all’esercizio di una fiscalità integrata degli Stati membri e a una rinnovata gestione dell’emissione di titoli obbligazionari. Per di più, nella prospettiva del raggiungimento degli obiettivi prefissati per il 2030, l’Unione ha integrato gli sforzi già profusi per il Green Deal con la ricostruzione dell’economia europea nella fase post-pandemica attraverso una regolamentazione stringente e unificata.

Summary

The article in question is the result of a study focused on the sustainability of financial investments. Starting from the concept of sustainable development, the authors carried out a survey on the implications European legislation, with particular reference to the regulations 2019/2088 and 2020/852, taking in account even the Italian one, above all the constitutional revision of articles 9 and 41. From the Paris agreements, through the Final Report of the Technical Experts Group, up to the European Green Deal, the excursus on the interconnection between law and the environment has been addressed both from a synchronic and a diachronic point of view, so as to circumscribe particularly and completely the ecological transition process. Finally, the European taxonomy, which has recently been the focus of debate with the resolution of the European Parliament dated 6 July 2022, is the fulcrum for sustainable economic development, for example through the provision of financial products that pursue green objectives. The study, on the other hand, highlights any critical issues and risks of the transition, including above all the so-called greenwashing. Well, among the steps taken the 2019 sars covid pandemic is also central, which not only renewed the awareness of the need for unity of purpose among the member states, but led to the approval of the Recovery Fund, which, exceeding the quantitative easing, for the first time led the EU to the exercise of an integrated tax system of the Member States and to a renewed management of the issuance of bonds. Moreover, with a view to achieving the objectives set for 2030, the Union has integrated the efforts already made for the Green Deal with the reconstruction of the European economy in the post-pandemic phase through stringent and unified regulation.

  1. DIRITTO E AMBIENTE: IL DIRITTO ORIGINARIO EUROPEO E LA COSTITUZIONE ITALIANA

1.1 Hans Jonas e la filosofia della natura

Gli individui e le aggregazioni sociali pongono in essere una naturale dicotomia tra l’illimitatezza potenziale dei bisogni e la scarsità dei mezzi necessari al raggiungimento degli stessi. La dualità tra la produzione di beni e servizi rispetto al consumo degli stessi, tuttavia, pone delle problematiche che subentrano e giungono ben al di là tra bisogni illimitati e beni limitati. In particolare la società capitalistica, improntata dai modelli tayloriani e fordisti, ha introdotto il concetto di economicità produttiva ricavandolo dallo sviluppo tecnologico e dalla mercificazione del lavoro umano, strumenti adottati per la massimizzazione dell’efficienza. La rivoluzione industriale, dunque, nonché la nascita di modelli pubblicitari tesi all’incremento del consumismo, dovuto anche alla crescita demografica, ha scaturito inevitabilmente il depauperamento del naturale rapporto uomo-ambiente, alterando gli equilibri prestabiliti. La maturazione, tuttavia, di una nuova coscienza ecologica dovuta alla consapevolezza della devastazione ambientale si è diffusa a partire dalle cosiddette ecosofie e dalla speculazione filosofica di Hans Jonas. In particolare quest’ultimo superando la classica antinomia essere-dover essere, ha introdotto il concetto della doverosa responsabilità per il futuro, avendo lo sviluppo tecnologico scaturito una ripercussione delle azioni umane non più circoscrivibili in un lasso temporale. Tuttavia la centralità della tutela dell’ambiente è scaturita, per il filosofo tedesco, da una valutazione ontologica: l’essere coincide con la vita e per questo, tutelando l’ecosistema, l’uomo tutela se stesso.

1.2 Linee generali della normativa italiana in materia di ambiente

La transizione energetica, definita come il processo di trasformazione del quadro di soddisfacimento dei bisogni energetici, risulta dunque una necessità volta alla salvaguardia dell’esistenza dell’uomo stesso su questo pianeta. A partire dalla prima rivoluzione industriale la scelta delle fonti energetiche da utilizzare ha rappresentato una questione dirimente nell’ottica dell’efficientamento e della massimizzazione della produzione. Tuttavia, per quanto già nel 1896 lo svedese Svante Arrhenius avesse dimostrato il rapporto di causazione tra l’utilizzo di fonti energetiche fossili e il riscaldamento globale1, l’attenzione politica per gli effetti climalteranti delle attività antropiche si è manifestata con ingente ritardo, tant’è che persino oggi l’introduzione di policies dall’impatto economicamente e ambientalmente relativo (basti pensare alle varie forme di carbon tax e plastic tax) viene profondamente avversata da ampie componenti dell’opinione pubblica.

Sviluppo economico e transizione energetica si coniugano nella necessità di sostenere una crescita materiale che non impatti negativamente sull’ambiente e sulla qualità della vita dell’essere umano, considerata la prospettiva futura di un sistema-Terra sempre più popolato e interconnesso2. Parallelamente alla necessità di sviluppare forme meno impattanti di produzione energetica e industriale, infatti, nonché di ridurre il consumo generale di energia nei processi economici e nella quotidianità, sono da considerarsi come fattori contrastanti a ciò la spinta verso la crescita di molti Paesi che tuttora vivono al di sotto dello standard occidentale e al di sotto delle proprie disponibilità in termini di risorse umane, tecnologiche e naturali, e tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire e che tutti sanno, del resto, è che lo stesso modo capitalista di produzione, se non regolamentato adeguatamente, costituisce un limite alle possibilità di intervenire in modo realmente incisivo per perseguire l’interesse generale. Viene in aiuto in tal senso una disamina del dettato dell’art. 41 Cost. nel suo disciplinare i limiti alla libertà di iniziativa economica3, la quale non può contrastare con l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana. Articoli simili sono presenti in tutte le carte costituzionali del XX secolo, in quanto frutto dell’evoluzione dei rapporti sociali che segna il grande cambiamento portato dallo svolgersi dei due conflitti mondiali, e l’interpretazione estensiva da parte della giurisprudenza consente di applicarli laddove altrimenti l’ordinamento ricorrerebbe in un vulnus normativo, come dimostra la sentenza 127/1990 della Corte Costituzionale in merito al bilanciamento da operarsi tra l’iniziativa economica privata e il disposto del d.p.r. 203 del 1988 che recepiva alcune direttive europee disciplinanti limiti alle emissioni industriali4. Ciò che mancava nella nostra Costituzione, che invece è possibile constatare nel dettato di altre carte fondamentali – la Francia già nel 2004 inseriva in fondo al testo organico della propria costituzione i dieci articoli della Charte de l’environnement – era l’elevamento della tutela dell’ambiente a principio fondamentale dell’ordinamento.

Sebbene grandi passi siano stati compiuti da parte del diritto interno a partire dalla legge n. 431 del 1985, c.d. “Legge Galasso”, in particolare con l’emanazione nel 2006 del “Codice dell’ambiente”, l’ambiente non aveva ancora conosciuto da parte del nostro ordinamento una tutela di rango costituzionale, quand’anche la legislazione, la dottrina e la giurisprudenza in merito abbiano trovato come presupposto teorico e giuridico l’art. 9 Cost. e il principio della tutela del paesaggio5. La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi veniva infatti menzionata esclusivamente come area di competenza legislativa esclusiva per lo Stato nell’ambito della suddivisione per materie operata dall’art. 117 co.2, come novellato dalla riforma costituzionale del 20016. Il giorno 8 febbraio 2022, tuttavia, la Camera ha approvato in seconda votazione il testo di una riforma costituzionale7 che ha modificato l’art. 9 co.2, in base al cui testo novellato la Repubblica si impegnerà a proteggere “l’ambiente, l’ecosistema e la biodiversità anche nell’interesse delle generazioni future”8 e l’art. 41 co.2, che ha introdotto tra i limiti all’iniziativa economica privata la salute e l’ambiente9.

1.3 L’ambiente nelle fonti del diritto originario europeo

Lo studio della disciplina della protezione dell’ambiente nelle fonti considerate di rango costituzionale non può prescindere dall’esame del diritto originario europeo, che a partire dal trattato di Lisbona si considera formato dai trattati costitutivi dell’Unione Europea, il TUE, il TFUE e la CDFUE (o Carta di Nizza). La Carta dei Diritti Fondamentali, per quanto non possa essere considerata propriamente una Costituzione europea, svolge la funzione di determinare i principi fondanti dell’Unione, che con questi testi compie un avanzamento verso la prospettiva di un’auspicabile unificazione in senso confederale. La Carta di Nizza, prodotto del costituzionalismo europeo del XXI secolo, tiene fede dell’accresciuta centralità della questione ambientale nello sviluppo economico e sociale futuro, inserendo all’interno del titolo IV, che declina il principio di solidarietà, l’articolo 37, ai sensi del quale “Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.

Si ravvede come i principi di tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile non costituiscano fondamento giuridico per l’introduzione di un nuovo diritto sociale, un “diritto all’ambiente”, che con un certo grado di approssimazione si può definire come la pretesa giuridica di ogni cittadino a che le risorse naturali non vengano intaccate, a uno sviluppo economico che non contrasti con la salute dei cittadini e degli ecosistemi, a che i prodotti dell’industria, così come le attività finanziarie e l’utilizzo dei sistemi informatici non provochino impatti irreversibili e dannosi verso l’uomo e verso la natura. Infatti, contrariamente a numerose costituzioni nazionali (cfr. la già menzionata Charte de l’environnement e l’art. 45 della Costituzione spagnola), l’art. 37 non riconosce tale diritto10: le ragioni di questa esclusione possono ravvisarsi nell’evidente difficoltà e arbitrarietà di una definizione che possa includere tutti gli aspetti di quello che andrebbe a costituirsi come un nuovo interesse giuridicamente protetto dal diritto europeo e che inevitabilmente dovrebbe trovare un bilanciamento con un altro principio fondante dell’ordinamento europeo, ossia la libera circolazione di capitali, merci, servizi e persone, che, diversamente da quanto avviene nel bilanciamento costituzionale interno, viene considerato principio assolutamente prevalente sui diritti sociali11 (cfr. sentenze 0341/05 c.d. “Laval” e C-438/05 c.d. “Viking”) e limitato solamente da un nucleo impenetrabile di fattispecie considerate fondamentali e indispensabili nella definizione del diritto stesso12.

Nonostante ciò, l’Unione Europea, pioniera a livello internazionale nello sviluppo e nella tutela dei diritti, sin dal trattato di Maastricht ha concepito la sostenibilità dello sviluppo economico come elemento cardine di coesione tra progresso industriale e salvaguardia dell’ecosistema. Così, nell’articolo 21, comma 2 lettera f) del TUE13, viene suggellata la necessità di elaborare «misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali». La norma, tuttavia, non si configura semplicemente dal punto di vista programmatico, ossia determinando meramente degli obiettivi senza enucleare in alcun modo i mezzi, in quanto il tema ambiente è riconducibile alle materie concorrenti previste dall’art. 4, co. 2, lett. e), del TFUE, nonché all’intero titolo XX in cui, accanto alla presentazione dei principi fondanti la materia (tra cui quello di precauzione14, di azione preventiva15 e di correzione16 ex art. 191 co.2 TFUE), esplicita un procedimento legislativo speciale riguardo a disposizioni aventi natura fiscale, su misure aventi incidenza sull’assetto territoriale, sulla gestione qualitativa delle risorse idriche e sulla destinazione dei suoli, nonché a quelle che avrebbero una notevole incidenza sull’approvvigionamento energetico. La rigidità delle disposizioni è chiara, inoltre, alla luce della possibilità dei singoli Stati di negoziare in sedi internazionali e di concludere accordi limitatamente al rafforzamento delle misure già in atto nell’Unione Europea (ex art 193 TFUE). Il Protocollo 2817, inoltre, garantisce un finanziamento «a favore di progetti nei settori dell’ambiente e delle reti transeuropee negli Stati membri con un PNL pro capite inferiore al 90 % della media dell’Unione» qualora adempiano le condizioni imposte dall’art. 126 del TFUE (c.d. procedura per i disavanzi eccessivi). La relazione tra diritto europeo e nazionale è in aggiunta rafforzato dallo sviluppo delle cosiddette Agenzie, nuovi organi centrali nel policy making process, volti alla più ampia diffusione di informative ambientali e delle cosiddette buone pratiche, nonché di comitati ad hoc indirizzati a veicolare «la considerazione delle esigenze ambientali […] sistematicamente al momento della programmazione, definizione e realizzazione delle altre politiche comunitarie» e dunque a rafforzare il dialogo Stato-UE secondo il principio di sussidiarietà18. Proprio il medesimo gioca il ruolo di pivot nel «far sì che la Comunità potesse attrarre verso l’alto e, di conseguenza, svolgere competenze normative che al livello più basso, ossia al livello degli Stati membri, non potevano essere o, comunque, non erano svolte adeguatamente, a motivo, in particolare, delle dimensioni degli obiettivi da realizzare e delle competenze da esercitare»19.

L’Unione Europea, dunque, interviene laddove la potestà normativa dello Stato membro risulti insufficiente o fallace, conformandosi al principio di proporzionalità, per cui non può spingersi «al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del trattato», come suggellato dall’art.5, co.3, del TFUE. Il principio di sussidiarietà si dimostra pertanto come controlimite al potere legislativo sovranazionale20, nonché come palesamento della corresponsabilità dello Stato membro, essendo immediatamente coercibile un mancato recepimento della norma europea. D’altro canto potrebbero esplicarsi differenti scenari in base alla natura della disposizione: infatti qualora la disciplina sia self-executing allo Stato membro non resta che astenersi dalla potestà d’intervento normativo. Situazione opposta qualora non ci sia attività legislativa da parte degli organi UE; infine, nel caso in cui la disposizione europea non sia autoapplicativa, allo Stato membro non resta che effettuare norme di esecuzione. La commistione tra l’UE e gli Stati membri si estrinseca poi nel ruolo delle direttive. Evidente esemplificazione è il ruolo che hanno avuto le stesse nell’elaborazione del d.lgs. 152/2006 (il cosiddetto “Codice dell’ambiente”). L’art. 3-bis, difatti, non sono richiama i principi costituzionali a cui adeguarsi, bensì sigla un’apertura e internazionalista e comunitaria. Per di più il richiamo alla legislazione europea dimostra la l’organicità della materia ambiente che, seppur declinata nella sua polisemica tridimensionalità di aspetti naturali-antropici, geografico-territoriali e diacronico-dinamici, evita ogni tipo di parcellizzazione.21

  1. GLI ACCORDI DI PARIGI E L’ELABORAZIONE DI UNA RISPOSTA EUROPEA

2.1 La COP 21 e gli SDGs

La fallacità di circa 9000 accordi internazionali sul clima ha dimostrato la debolezza da un lato delle istituzioni internazionali e dall’altro lo stillicidio inerme delle politiche interne dei singoli Stati. L’accordo di Parigi, tuttavia, ratificato da 55 Paesi il 4 novembre 2016, rappresenta per la prima volta nella storia una concreta mobilitazione globale nel cercare di risolvere il depauperamento ambientale che inevitabilmente si riversa in aspetti economico finanziari22. La partecipazione di ben 191 Stati (seppur i firmatari sono 195) manifesta l’ampia mobilitazione strutturata nella presentazione di piani nazionali in cui vengano previsti degli obiettivi, da riesaminare ogni 5 anni, volti alla riduzione del cambiamento climatico. In particolare l’Accordo, in senso stretto riconducibile ai risultati della Cop21 assieme alle Decisioni, prevede il contenimento dell’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia di 2°C oltre i livelli pre-industriali, nonché la limitazione dell’incremento a 1,5.

L’Unione Europea si dimostra, come anche in passato con il Protocollo di Kyoto, la pioniera della sostenibilità ambientale come palesano gli obiettivi stabiliti di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 rispetto al 1990, acuendo gli impegni del 40% sanciti nel 2014, nonché il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. L’operatività dell’accordo implica poi lo stanziamento da parte dei Paesi sviluppati di ben 100 miliardi di dollari l’anno, come pure l’attuazione del Pacchetto di Katowice, adottato in occasione della Cop 24 nel dicembre del 2018, Quest’ultimo permette di rendere esecutivo l’Accordo stesso, coprendo tutti i settori chiave, compresi la trasparenza, il finanziamento, la mitigazione e l’adattamento, offrendo inoltre flessibilità alle parti alla luce delle loro capacità, consentendo nel contempo di attuare e riferire in merito ai loro impegni in modo “trasparente, completo, comparabile e coerente”. Il Pacchetto consente inoltre alle parti di rafforzare progressivamente i loro contributi alla lotta contro i cambiamenti climatici, al fine di conseguire gli obiettivi a lungo termine dell’Accordo. Si stabilisce, inoltre, la riduzione delle emissioni del 75% entro il 2030 per quanto riguarda il settore energetico, ancora fortemente dipendente dall’approvvigionamento di gas naturale. Così la Commissione europea il 22 febbraio 2021 con il Climate Target Plan Impact Assessment stima che il peso dei combustibili fossili nel 2050 sarà ancora circa il 20% delle fonti energetiche. Nella strategia di decarbonizzazione si prevede dunque la transizione verso nuove fonti tra cui l’idrogeno “verde” (rinnovabile) e “blu” (decarbonizzato), nonché il biogas, il bioetano e i sistemi di Carbon Capture Utilization and Storage (CCUS)23.

2.2 L’azione europea a favore della sostenibilità e il Final Report del Technical Experts Group

Sulla scia dell’accordo di Parigi, la Commissione Europea ha prodotto la comunicazione Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe. L’azione europea a favore della sostenibilità del 22 novembre 2016. Con questo documento, riportato nella premessa n.2 al regolamento 852/2020, e che costituisce un riassunto di quanto l’Unione ha fatto e si programma di fare in futuro per conseguire e possibilmente superare gli obiettivi di Parigi, la Commissione individua dieci priorità sorgenti dall’accordo internazionale. In particolare, per quanto attiene a questa trattazione, bisogna prendere in considerazione la priorità 4 “Un mercato interno più profondo e più equo con una base industriale più solida”, all’interno della quale la Commissione declina le linee guida da attuarsi nello sviluppo del finanziamento sostenibile, con la finalità di allineare il sistema finanziario alle esigenze di transizione all’economia verde. Strumenti di questo percorso vengono individuati in un’Unione dei mercati dei capitali che privilegi investimenti su assets sostenibili e un modello di vigilanza prudenziale più forte, che consenta di ridurre l’impatto di eventuali crisi. A tal fine la Commissione costituisce un gruppo di esperti (Technical Group of Experts, TEG), per elaborare “una strategia dell’UE trasversale e globale sul finanziamento sostenibile, con particolare riguardo per le sfide che i rischi climatici e ambientali rappresentano per il sistema finanziario e la necessità di preparare i mercati finanziari a rispondere a tali sfide”. In particolare l’attività del gruppo di esperti, conclusosi con il Final Report24 nel 2018 ha analizzato approfonditamente i sistemi di identificazione elettronica, nonché i processi KYC (know your costumers) remoti, volti all’identificazione dei clienti e alla valutazione di potenziali rischi e attività illegali degli stessi.

Il TEG inoltre si è espresso sui vincoli posti da alcuni Paesi membri di informativa cartacea, meccanismo che rallenterebbe e imbriglierebbe lo sviluppo tecnologico finanziario, ad esempio l’utilizzo di smart conctracts, nonché quello di blockchain, ossia un registro contenente dati e informazioni in maniera aperta, condivisa e distribuita senza la necessità di un ente di controllo e di verifica centralizzato. In particolare per quest’ultimo la Commissione ha previsto l’elaborazione di una strategia generale volta all’applicazione di regtech (Regulation Technology, ossia l’impiego, da parte delle imprese, di strumenti tecnologici a supporto delle procedure di conformità e di rispetto delle normative e dei regolamenti) e di fintech (ossia la fornitura di prodotti e servizi finanziari attraverso le più avanzate tecnologie dell’informazione e della comunicazione) nell’Unione Europea. Un passo significativo è rappresentato dall’istituzione nel febbraio 2018 dell’Osservatorio e del forum UE sulla blockchain. Il gruppo di esperti ha poi suggellato la necessità del superamento di alcune limitazioni nei servizi cloud che costituiscono una delle principali esternalizzazioni dei gruppi finanziari. Difatti l’assenza di armonizzazione tra norme nazionali e l’interpretazione di prescrizioni sulle esternalizzazioni, ha causato una insicurezza diffusa riguardo alle politiche adottate dall’autorità di vigilanza. La Commissione ha cercato pertanto la riduzione di restrizioni ingiustificate per i servizi cloud per quanto riguarda la diffusione di dati non personale, per di più limitando la dipendenza (vendor lock in) di gruppi finanziari da venditori di servizi cloud.

A partire inoltre dal secondo semestre del 2018 è stato istituito un laboratorio UE volto al dialogo tra gruppi finanziari e fornitori di soluzioni tecnologiche in un luogo neutro e non commerciale al fine di garantire innovazioni specifiche, come le application programming interfaces, ovvero un insieme di protocolli per l’integrazione e la creazione di software applicativi. Il tema della finanza sostenibile viene declinato ponendo tre pilastri fondamentali: l’incentivazione di investimenti su prodotti e settori che portano effettivamente a una riduzione delle emissioni di CO2 o a un assorbimento di quote di gas serra, così come all’adattamento al cambiamento climatico, mediante la riduzione dei danni emergenti dallo stesso; la necessità di privilegiare da parte degli investitori istituzionali e retail un approccio long term sugli investimenti finanziari, portando alla scelta di prodotti e strumenti stabili e sostenibili, considerando che nel 2016 i fondi di investimento ESG (environmental, social and governance), ossia fondi di investimento sostenibile, costituivano solamente il 2% del mercato europeo dei fondi di investimento; la costruzione di un sistema informativo tale da consentire anche agli investitori istituzionali meno esperti in materia di adottare strategie compatibili con i propri bisogni attraverso la scelta di strumenti adattati alle loro esigenze – si fa riferimento alla necessità di ampliare il meccanismo di product governance introdotto da MiFID II25 – e trasparenti riguardo al reale impatto ambientale dei prodotti stessi. Il lavoro del TEG ha costituito un punto di svolta nella normazione europea in tema di finanza sostenibile principalmente per due ragioni. In primo luogo, il TEG ha formalizzato la necessità che la Commissione Europea si dotasse di una tassonomia di fonti, prodotti, metodi e mezzi da considerarsi funzionali da una parte strettamente alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico, dall’altra ad una finalità più ampia di sostenibilità economica, ambientale e sociale. La tassonomia dell’Unione Europea nella concezione del Gruppo avrebbe adempiuto a una serie di funzioni fondamentali per numerosi scopi: la misurazione dei flussi finanziari in direzione delle priorità di sviluppo sostenibile; l’identificazione degli assets che rientrano nei meccanismi di finanziamento sostenibile secondo gli standards europei; la creazione di un modello utilizzabile dagli emittenti e dagli investitori per standardizzare il formato dei “Green bonds”; permettere agli investitori di comprendere il reale impatto della componente sostenibile delle proprie esposizioni industriali; fornire un framework completo delle politiche sostenibili, del modello di business e dei piani di transizione adottati da un’impresa. In secondo luogo, il Gruppo di esperti ha elaborato, nell’ambito di una più generale discussione riguardante l’implementazione di standards e di un marchio europeo di sostenibilità, una definizione di Green bond, obbligazione verde. Per essere considerata tale un’obbligazione dovrà rispettare tre requisiti: i proventi saranno utilizzati esclusivamente per il finanziamento parziale o intero di progetti sostenibili, secondo i parametri stabiliti dalla tassonomia europea sulla sostenibilità; la documentazione di emissione del bond dovrà conformarsi con lo standard europeo dei Green Bonds; l’allineamento del bond con lo standard sarà confermato da un esaminatore esterno accreditato. Si prevede inizialmente la pubblicazione di una Green Bond Framework (GBF)26, in cui si presentino gli obiettivi di sostenibilità europei e la strategia con cui allinearsi agli stessi27; devono essere inoltre chiarificati il procedimento con cui conformarsi alla tassonomia UE e, qualora siano applicabili, i Technical screening criteria, i quali dovrebbero individuare i requisiti minimi necessari per evitare danni agli altri obiettivi, basandosi anche su eventuali requisiti minimi stabiliti a norma dal diritto UE; occorre poi un’accurata descrizione sul Green Project da essere finanziato o rifinanziato. Se alla data di emissione il progetto non è ancora ben identificato, è necessario che l’emittente descriva la tipologia, il settore e gli obiettivi ambientali del progetto potenziale. Sempre all’interno del GBF deve essere presentato il processo con cui viene collegato l’European Green Bond erogato all’attività creditizia dell’erogatore28, il quale dovrà tracciare l’ammontare allocato al progetto in maniera appropriata e documentata mediante un processo interno formale sinché l’ammontare non eguagli i proventi netti. Nel Framework vanno infine inserite le informazioni sulla metodologia e i presupposti utilizzati per calcolare i principali indici di impatto descritti nella tassonomia UE, nonché ogni altro indice di impatto che l’erogatore ritenga opportuno definire. A seguito dell’accreditamento da parte di esaminatori esterni, che include la SPO (Second Party Opinions), la verifica, la certificazione e il rating di sostenibilità, deve essere effettuato annualmente un report sullo stanziamento dei fondi che confermi l’allineamento gli EU-GBS (European Green Bond Standards), la distribuzione geografica del progetto e gli investimenti dei finanziamenti per progetto o per portafoglio azionario. Esauriti i finanziamenti, occorre effettuare in conclusione un Final Report che includa gli impatti e riassuma l’allocazione totale. L’attuale mercato delle revisioni esterne può essere suddiviso in quattro tipologie di organizzazioni: agenzie di rating non finanziarie specializzate in Second Party Opinions (come Vigéo-Eris, recentemente acquisita da Moody’s, Sustainalytics, ISS-oekom e CICERO); quattro grandi società di revisione (Deloitte, KPMG, PwC e EY) che forniscono principalmente servizi di verifica post-emissione (i cosiddetti servizi assurance); agenzie di rating del credito (Moody’s, S&P Global Ratings, Fitch e più recentemente Beyond); organismi mondiali di ispezione e certificazione tecnica (DNV-GL, Bereau Veritas, TÜV). Ciascuno dei quattro tipi di fornitori di servizi attualmente attivi sul mercato può offrire competenze rilevanti per la futura verifica secondo gli standard emergenti per la finanza sostenibile, inclusi (ma non limitati l’EU-GBS). Il futuro regime di accreditamento dovrebbe basarsi sul pool esistente di fornitori di servizi di revisione esterna e dovrebbe garantire condizioni di parità per le imprese che hanno le competenze pertinenti per fornire servizi di revisione esterna in relazione agli standard emergenti nell’UE. Una ricerca recente condotta dal Luxembourg Stock Exchange (LuxSE) per il TEG ha mostrato come circa l’85% degli emittenti utilizzi forme di esaminazione pre-erogatorie, al di fuori della quale quasi tutti prendono la forma di esaminazioni esterne (98%). Inoltre, come dimostra una ricerca del CBI (Climate Bond Initiative), il mercato delle esaminazioni esterne è dominato per più del 90% da un gruppo europeo di erogatori di servizi relativamente piccolo.29 L’attività delle external review viene tuttavia esaminata, come sancito dal rapporto del TEG, in quattro principali modalità: attraverso la supervisione dell’ESMA (European Securities and Markets Authority); mediante un regime decentralizzato che implichi organi interni agli stati membri, spesso tuttavia coordinati dall’ESMA e da altre autorità europee come la BCE; una mera armonizzazione con l’ISO 14030 (Environmental performance evaluation); un regime basato sul mercato con la partecipazione della Commissione Europea nella forma di una strategia ad interim attraverso la cooperazione della UE Platform on Sustainable Finance.

2.3 I costi della transizione ecologica

Le linee guida dettate dal TEG hanno evidenziato una prospettiva olistica sul tema del funzionamento del sistema finanziario europeo e sulle riforme necessarie per conformarsi agli obiettivi di sustainability. Il framework della tassonomia e le caratteristiche tecniche di definizione dei Green bonds non esplicheranno il proprio compito qualora non vi sia un effettivo investimento da parte dell’intero sistema in direzione di una maggiore sostenibilità complessiva la cui efficienza sia realmente funzionale a una crescita dell’economia reale preservando il capitale naturale terrestre, marino e atmosferico (cfr. sez. VI del Final report). In questo senso, interventi orientati dovranno compiersi sotto vari aspetti: in primo luogo, viene contemplato un investimento infrastrutturale (programma Sustainable infrastructure Europe, che dovrebbe proseguire il lavoro svolto dal piano Juncker avente il fine di semplificare l’accesso al capitale di rischio da parte delle PMI) da circa 170 miliardi di euro l’anno per la transizione energetica e la decarbonizzazione, 65 miliardi per la modernizzazione delle infrastrutture digitali, 90 miliardi per ristrutturare il sistema di collezione e distribuzione idrica, 98 miliardi per l’economia circolare, 12,5 miliardi per gli investimenti sulla riduzione e il riciclo dei rifiuti e ulteriori 50 miliardi per trasporto pubblico e logistica. Cambiamenti dovranno essere apportati anche sul piano della governance di imprese e intermediari finanziari, i cui organi dirigenti dovranno essere sottoposti al dovere giuridico di implementare la pianificazione economica con uno stringente meccanismo di calcolo dei rischi, correlato alla redazione di programmi specifici di riforme nell’ottica di ridurre le emissioni e le esternalità negative prodotte dall’esercizio dell’attività economica. In tal senso un altro aspetto da considerarsi è certamente la trasparenza dei processi attraverso flussi di informazioni da pubblicarsi per consentire ad azionisti e stakeholders di supervisionare sulla correttezza dei processi. Un tema di sostenibilità in termini di governance è altrettanto legato agli effetti a lungo termine delle decisioni, in particolare, si specifica nel Final report, riguardo alle conseguenze sull’occupazione nell’impresa. Ruolo di particolare importanza all’interno del quadro generale viene assegnato alle ESAs, (European Supervisory Authorities), ossia EBA, ESMA e EIOPA, assieme alle autorità nazionali che compongono il ESFS (European System of Financial Supervisors), alle quali sarà demandato un più ampio compito di vigilanza e indirizzamento del sistema finanziario europeo. Tre sono le direttive stabilite dal Final report: estendere l’orizzonte temporale dell’analisi del rischio in linea con l’orizzonte temporale degli investitori, così da considerare anche rischi non ciclici e non lineari (in modo da includere nel novero, proprio per la loro natura, i rischi climatici)30; progettare strategie di investimento in linea con le necessità e la propensione al rischio degli investitori, considerando cioè fattori anche extra-finanziari; spostare il capitale privato verso investimenti sostenibili (un esempio di investimento sostenibile in senso ampio viene presentato nella sezione V, par.2: si spiega come se anche solo l’1% degli investimenti in capitale di debito fosse reinvestito in strumenti di capitale di rischio, le imprese europee potrebbero avvalersi complessivamente di 100 miliardi di euro di capitale Cet131, migliorando cioè la qualità del capitale a disposizione. In conclusione, le analisi riportate nel Final report del TEG hanno costituito la base per la successiva regolamentazione europea in materia di investimenti sostenibili.

  1. IL REGOLAMENTO RELATIVO ALL’INFORMATIVA SULLA SOSTENIBILITÀ NEL SETTORE DEI SERVIZI FINANZIARI E IL GREEN DEAL EUROPEO

3.1 La strategia europea per il 2050

Il 28 novembre 2018 la Commissione europea emanava la comunicazione al Parlamento europeo “Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra”, con la quale si assumeva l’obiettivo politico della neutralità climatica entro il 2050 e dichiarava lo stato di emergenza climatica32. Sulla scorta di tale presa di posizione, incentrata sul concetto di neutralità climatica, ossia il punto in cui le emissioni di gas a effetto serra non superano la capacità della terra di assorbire le stesse, il 2019, con il rinnovamento delle cariche elettive e di nomina politica delle istituzioni europee, si è caratterizzato per un particolare attivismo del Parlamento e della Commissione europea per la realizzazione degli impegni assunti. Dal punto di vista del sistema finanziario, infatti, numerosi sono stati gli interventi, di carattere sia politico che regolatorio, a partire dal cosiddetto “documento di riflessione” Verso un’Europa sostenibile entro il 203033. Successivamente, con la risoluzione del 14 marzo 2019 sul cambiamento climatico il Parlamento europeo non ancora rinnovato comunicava la “visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra in conformità dell’accordo di Parigi”34. Nella relazione il PE riporta le analisi sulle perdite economiche dovute al cambiamento climatico realizzate dall’Agenzia europea dell’ambiente, che stimano in 12,8 miliardi l’anno l’attuale impatto economico dei cambiamenti climatici in corso, considerando che i suoi effetti ad oggi colpiscono circa il 5% della popolazione europea, ma che questa percentuale, senza un intervento decisivo, è destinata a crescere fino al 67% nel 2100, quando i costi annuali delle inondazioni si stimano attorno ai 1000 miliardi di euro, mentre la perdita sul PIL si dovrebbe aggirare sui 190 miliardi. Pertanto, prosegue la risoluzione, secondo quanto emerge dall’ultimo rapporto IPCC (allora il quinto) l’obiettivo sarà contenere l’innalzamento della temperatura al di sotto di 1,5°C, e per fare ciò bisognerà conseguire l’azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra (carbon neutrality) entro il 2067. L’Unione Europea, tuttavia, in base agli impegni presi con la comunicazione della Commissione del 28 novembre 2018, dovrà conseguire tale obiettivo entro il 2050. A fronte di ciò si constata che al momento della pubblicazione della risoluzione, l’Unione Europea dipende ancora per il 55%35 delle sue fonti energetiche dall’importazione, mentre in uno scenario di carbon neutrality nel 2050 questa quota scenderebbe al 20%, con importanti vantaggi geopolitici ed economici (nello scenario prospettato il risparmio complessivo per l’acquisto di energia e fonti energetiche calerebbe in modo aggregato di 2000-3000 miliardi di euro. In linea con quanto precedentemente affermato, infine, il Parlamento Europeo si dichiara favorevole alla proposta di aggiornare la NDC dell’Unione per l’accordo di Parigi, alzando dal 40% al 55% l’obiettivo di riduzione per il 2030 delle emissioni di gas a effetto serra (GES) rispetto al 1990. Per quanto gli interventi di maggiore rilievo siano costituiti dal regolamento 2019/2088 e dalla comunicazione del 11 dicembre con la quale la Commissione ha lanciato il progetto Green Deal, è interessante sottolineare come l’Unione Europea abbia riadattato molti dei principi già adottati nel contesto finanziario (quali la vigilanza informativa36, la gestione del rischio, il mantenimento di adeguate riserve di capitale secondo i principi di Basilea III37) applicandoli alla necessità di conformazione dei nuovi standard ambientali.

3.2 La comunicazione del 20 giugno 2019: orientamenti sulle informazioni di carattere non finanziario

Ne è un esempio la comunicazione del 20 giugno38, con la quale la Commissione raccomanda, attraverso uno strumento di soft law quale è, per l’appunto, una comunicazione, che gli intermediari finanziari, le imprese quotate e in generale le imprese significant39 includano nei flussi informativi non finanziari anche le comunicazioni riguardanti l’impatto del clima sull’attività d’impresa e l’impatto dell’attività d’impresa sul clima. Tale comunicazione estende dunque il contenuto della direttiva 2014/95, che disciplina i flussi comunicativi non finanziari da parte delle grandi imprese. Il nuovo modello di informativa raccomandata dalla comunicazione si articola su cinque punti:

a) modello aziendale, nel quale si indicano in che modo il modello aziendale, la strategia e la pianificazione finanziaria dell’impresa sono influenzati dai rischi e dalle opportunità legati al clima, in che modo il modello aziendale può influire positivamente o negativamente sul clima e la strategia elaborata dall’impresa in relazione a scenari diversi di innalzamento delle temperature, sia sopra che sotto i 2°C;

b) politiche e sulle procedure di dovuta diligenza40, nel quale si indicano le politiche societarie legate al clima, ivi comprese le politiche in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici o di adattamento agli stessi, gli obiettivi climatici definiti dall’impresa nell’ambito delle sue politiche, in particolare gli obiettivi in materia di emissioni di gas a effetto serra, e il loro collegamento con gli obiettivi nazionali e internazionali e l’accordo di Parigi in particolare, il tipo di sorveglianza che il consiglio di amministrazione esercita sui rischi e sulle opportunità legati al clima, e il ruolo della direzione nella valutazione e gestione dei rischi e delle opportunità connessi al clima e spiegare la logica sottesa al relativo approccio;

c) risultati, nel quale si indicano e i risultati della politica dell’impresa in materia di cambiamenti climatici, comprese le prestazioni dell’impresa rispetto agli indicatori utilizzati e agli obiettivi definiti per gestire i rischi e le opportunità legati al clima e l’andamento delle emissioni di GES (gas a effetto serra) rispetto agli obiettivi fissati e i relativi rischi nel tempo;

d) principali rischi e loro gestione, nel quale si indicano i processi impiegati per individuare e valutare i rischi connessi al clima sul breve, medio e lungo periodo e comunicare come l’impresa definisce il breve, il medio e il lungo periodo, i principali rischi connessi al clima che l’impresa ha rilevato sul breve, medio e lungo periodo lungo l’intera catena del valore, e le ipotesi elaborate in fase di individuazione di tali rischi, i processi approntati per gestire i rischi connessi al clima (se del caso, come vengono prese le decisioni per attenuare, trasferire, accettare o controllare tali rischi) e indicare come l’impresa sta gestendo i particolari rischi climatici individuati, e in che modo vengono integrati nella gestione complessiva dei rischi i processi di individuazione, valutazione e gestione dei rischi legati al clima41;

e) indicatori fondamentali di prestazione, nel quale si indicano le informazioni sui parametri raccomandati per corroborare le altre informazioni connesse al clima oggetto di comunicazione, ad esempio quelle relative ai risultati o ai principali rischi e alla loro gestione, e per consentire l’aggregazione e la comparabilità tra imprese e tra giurisdizioni. Tali indicatori sono: emissioni di gas a effetto serra (generate da fonti di proprietà o sotto il controllo dell’impresa, nonché le emissioni indirette di GES provenienti dalla produzione di energia elettrica, vapore, calore o freddo acquisiti e consumati, in più tutte le emissioni indirette di GES generate nella catena del valore dell’impresa che effettua la comunicazione, comprese le emissioni a monte e a valle, e, in ultimo, l’obiettivo in termini di emissioni assolute di GES); energia (consumo e/o produzione totale di energia da fonti rinnovabili e non rinnovabili, obiettivo relativo all’efficienza energetica, obiettivo di consumo e/o produzione di energie rinnovabili); rischi fisici (attivi impegnati in regioni verosimilmente destinate a diventare più esposte a rischi fisici acuti o cronici derivanti dal clima); prodotti e servizi (percentuale del fatturato, nell’anno della comunicazione, proveniente da prodotti e servizi associati ad attività e percentuale degli investimenti (CapEx) e/o delle spese (OpEx), nell’anno della comunicazione, per attivi o processi associati ad attività che rispettano i criteri di sostenibilità contribuendo alla mitigazione dei cambiamenti climatici o all’adattamento agli stessi come enunciato nel regolamento relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili); finanza verde (tasso delle obbligazioni verdi, Green Bond Ratio, legate al clima e tasso dei debiti verdi, Green Debt Ratio, legati al clima).

3.3 Il Regolamento 2019/2088

La comunicazione del 20 giugno costituisce un presupposto tecnico e teorico per il regolamento 2019/2088, del quale risulta necessario, non solo per i numerosi rimandi ad esso, ma per la sua centralità all’interno del quadro europeo degli investimenti sostenibili, procedere ad un’analisi approfondita. Per trattare il regolamento 2019/2088 risulta utile partire dalla premessa n.11, che riassume la ratio stessa del provvedimento, ripresa poi all’art.1: il regolamento integra la normativa europea sugli obblighi di informativa già presenti in diverse direttive (2009/65/CE, 2009/138/CE, 2011/61/UE, 2014/65/UE, (UE) 2016/97, (UE) 2016/2341) e regolamenti europei ((UE) n. 345/2013, (UE) n. 346/2013, (UE) 2015/760 e (UE) 2019/1238) e nei vari diritti nazionali in materia pensionistica e nell’ottica di conseguire una maggiore trasparenza42 per i partecipanti ai mercati finanziari e ai consulenti finanziari riguardo i rischi di sostenibilità e gli effetti negativi per la sostenibilità nei loro processi. Rimangono centrali gli obblighi di due diligence introdotti dalle direttive e dai regolamenti sopracitati, nonché già presenti nel diritto nazionale (premessa n.12). Viene implementato, invece (premessa n.13) l’obbligo per i partecipanti ai mercati finanziari e per i consulenti di pubblicare politiche scritte sull’integrazione dei rischi di sostenibilità e assicurare la trasparenza di tale integrazione.

La scelta di una fonte normativa rigida come il regolamento (applicata su tutta l’Unione Europea e vincolante per tutti gli Stati membri) viene spiegata alla premessa n.9: qualora si fosse scelta una fonte normativa vincolante, ma non uniforme, come una direttiva, o addirittura una fonte di soft law, ciò avrebbe provocato una difficilmente sanabile diversità nelle misure, negli approcci e negli standard a livello nazionale, vanificando l’obiettivo di giungere a un diritto comune europeo dell’informativa sulla sostenibilità dei prodotti finanziari e creando diseguaglianze tra gli Stati dell’Unione, così come accade in materia fiscale.

L’art. 1 disciplina l’ambito soggettivo di applicazione del regolamento: esso riguarda i partecipanti al mercato finanziario e i consulenti. Sono partecipanti ai mercati finanziari: a) le imprese di assicurazione che rendono disponibile un prodotto di investimento assicurativo (IBIP); b) le imprese di investimento che forniscono servizi di gestione del portafoglio; c) gli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP); d) i creatori di un prodotto pensionistico; e) i gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA); f) i fornitori di un prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP); g) i gestori di un fondo per il venture capital qualificati e registrati conformemente all’articolo 14 del regolamento (UE) n. 345/2013; h) i gestori di un fondo qualificato per l’imprenditoria sociale registrato conformemente all’articolo 15 del regolamento (UE) n. 346/2013; i) le società di gestione di un organismo d’investimento collettivo in valori mobiliari (società di gestione di OICVM); oppure j) gli enti creditizi che forniscono servizi di gestione del portafoglio. Sono invece consulenti: a) gli intermediari assicurativi che forniscono consulenza in materia di assicurazioni riguardo agli IBIP; b) le imprese di assicurazione che forniscono consulenza in materia di assicurazioni riguardo agli IBIP; c) gli enti creditizi che forniscono consulenza in materia di investimenti; d) le imprese di investimento che forniscono consulenza in materia di investimenti; e) i GEFIA che forniscono consulenza in materia di investimenti f) le società di gestione di OICVM che forniscono consulenza in materia di investimenti. Come si può notare leggendo gli elenchi, gli stessi soggetti giuridici possono ricoprire entrambi i ruoli all’interno del mercato finanziario. Ciò, infatti, non costituisce conflitto d’interesse, né contrasta con la normativa antitrust europea43: vige infatti un principio di effettività, per cui un soggetto è considerato consulente quando svolge l’attività di consulente ed è considerato partecipante al mercato finanziario quando realizza prodotti finanziari (nella realizzazione di prodotti finanziari è contemplata anche la gestione di portafogli), così come disposto dalla premessa n. 7. Assistiamo, oltretutto, ad una totale unificazione della disciplina dei due tipi di soggetto, situazione che conferma la non incompatibilità tra le due fattispecie: partecipanti e consulenti hanno ugualmente il dovere di agire nel migliore interesse dell’investitore finale, così come hanno il dovere di integrare nelle procedure non solo i rischi finanziari, ma anche i rischi di sostenibilità che potrebbero portare a un impatto sul rendimento dell’investimento finanziario e fornire opportune consulenze in merito (premessa n. 12). Nell’esaminare la struttura del regolamento è necessario individuare due concetti cardine: innanzitutto, il rischio di sostenibilità, definito alla premessa n.14 come “un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance che, se si verifica, potrebbe provocare un significativo impatto negativo sul valore dell’investimento”44, fattispecie su cui si costituisce l’intera regolamentazione dei nuovi obblighi di informazione. Altro elemento fondamentale della normativa è costituito dalla fattispecie dell’investimento sostenibile, i cui confini sono tracciati all’art. 2 co. 1 n.17: investimento sostenibile è un “investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza, o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali, o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali”. Si noti come le caratteristiche dell’investimento sostenibile siano ampiamente mutuate dalle fattispecie degli SDGs45. Un dato interessante è sicuramente il principio di do not significant harm46, sviluppatosi nel diritto ambientale internazionale e tuttora valido strumento di disciplina della condotta di agenti economici e Stati47. La disciplina introdotta dal regolamento si sostanzia in un rafforzamento degli obblighi di informazione da parte dei partecipanti ai mercati e dei consulenti. Come sottolineato dalla premessa n. 24, fino a quel momento la disciplina europea non prevedeva l’obbligo di divulgare tutte le informazioni necessarie per informare adeguatamente gli investitori finali sulla sostenibilità dei prodotti su cui l’investimento ricadeva, con la necessità, dunque, di imporre norme più stringenti, che costringessero l’intermediario a una corretta e completa informativa. A questo si aggiungeva la necessità di imporre l’elaborazione di procedure di valutazione del rischio dei principali effetti negativi in termini finanziari e di sostenibilità e di implementare la trasparenza delle stesse mediante una costante pubblicazione dei risultati sulle pagine web dei soggetti (premessa n. 18)48. Il tema della trasparenza viene richiamato anche dalla premessa n. 23, che propone una regolamentazione dell’obbligo per partecipanti e consulenti di pubblicazione sui propri siti dei loro processi decisionali relativi agli investimenti, compresi gli aspetti organizzativi, di gestione del rischio e di governance di tali processi e dei loro processi di consulenza. Nel processo di regolamentazione degli obblighi, particolare centralità viene assegnata alle ESAs, le quali vengono insignite del compito di elaborare la disciplina specialistica per i soggetti coinvolti, specificando il contenuto delle informative, le metodologie e la presentazione delle informazioni circa gli indicatori di sostenibilità in materia di clima e gli altri effetti negativi connessi all’ambiente, le problematiche sociali e concernenti il personale, il rispetto dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione e il contenuto delle informazioni per quanto riguarda la promozione delle caratteristiche ambientali o sociali e degli obiettivi di investimento sostenibile da comunicare nei documenti precontrattuali, nelle relazioni annuali e sui siti web dei partecipanti ai mercati finanziari (premessa n. 30)49. Nel regolamento il legislatore individua dunque le fattispecie che costituiscono gli elementi fondamentali delle informative per la trasparenza e la conoscenza da parte degli investitori e degli stakeholders: innanzitutto si dovranno integrare nell’informativa le politiche in materia di rischio di sostenibilità nei processi decisionali sugli investimenti per i partecipanti al mercato finanziario, per le consulenze in materia di investimenti e di assicurazioni per i consulenti (art. 3); in secondo luogo dovranno comunicarsi le decisioni prese in merito agli effetti negativi per la sostenibilità a livello di soggetto, secondo il principio comply or explain50: il partecipante al mercato o il consulente dovranno prendere in considerazione i principali effetti negativi delle proprie attività e comunicare le proprie politiche di due diligence per arginarli, o in alternativa spiegare perché tale disamina non si è fatta; si entra poi nel tema del rischio di sostenibilità: in merito a ciò i partecipanti e i consulenti hanno innanzitutto il dovere di comunicare le proprie politiche di remunerazione relativamente all’integrazione dei rischi di sostenibilità (art. 5) e, in seguito, tutto ciò che riguarda l’integrazione degli stessi (art. 6), in particolare in che modo i rischi di sostenibilità sono integrati nelle loro decisioni di investimento e i risultati della valutazione dei probabili impatti dei rischi di sostenibilità sul rendimento dei prodotti finanziari che rendono disponibili o su cui esprimono la consulenza; entrando nell’ambito della product governance, viene imposto l’obbligo ai partecipanti al mercato finanziario di dotare ciascun prodotto emesso di una spiegazione chiara e motivata che indichi se e, in caso affermativo, in che modo un prodotto finanziario prende in considerazione i principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità e di una dichiarazione attestante che le informazioni relative ai principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità sono disponibili tra le informazioni da comunicare entro il 30 dicembre 2022 (art.7). La disciplina in materia di product governance prosegue all’art. 8, secondo il cui disposto se un prodotto finanziario promuove caratteristiche ambientali o sociali, dovrà includere tra le informazioni pubblicate quelle riguardanti le modalità di promozione delle caratteristiche ambientali e sociali e, se si tratta di un prodotto che replica un indice, le informazioni che indichino se e in che modo tale indice rispetta quelle caratteristiche; allo stesso modo, secondo quanto disposto dall’art. 9, qualora l’investimento sia annoverato come sostenibile secondo i criteri da elaborarsi nella Green Taxonomy, l’issuer dovrà, se il prodotto replica un indice, dare informazioni che indicano in che modo l’indice designato è in linea con detto obiettivo e una spiegazione che indica perché e in che modo l’indice designato in linea con detto obiettivo differisce da un indice generale di mercato, mentre se il prodotto non riproduce l’andamento di un indice, le informazioni dovranno includere le modalità di raggiungimento di tale obiettivo. Sui siti web degli issuer dovrà essere pubblicate in modo chiaro, conciso e comprensibile per gli investitori la descrizione delle caratteristiche ambientali o sociali o dell’obiettivo di investimento sostenibile e le informazioni sulle metodologie utilizzate per valutare, misurare e monitorare le caratteristiche ambientali o sociali o l’impatto degli investimenti sostenibili selezionati per il prodotto finanziario, compresi le fonti dei dati, i criteri di vaglio per le attività sottostanti e i pertinenti indicatori di sostenibilità utilizzati per misurare le caratteristiche ambientali o sociali o l’impatto sostenibile complessivo del prodotto finanziario (art.10) e le stesse informazioni dovranno essere contenute nelle segnalazioni periodiche51 alle autorità di vigilanza (art.11), adottando una particolare attenzione se si tratti di investimenti su prodotti sostenibili, nel qual caso la segnalazione periodica dovrà essere fornita anche delle informazioni sull’impatto complessivo correlato alla sostenibilità del prodotto finanziario in relazione mediante indicatori di sostenibilità pertinenti oppure, se si tratta di un prodotto che riproduce un indice, un raffronto tra l’impatto complessivo correlato alla sostenibilità del prodotto finanziario con gli impatti dell’indice designato e di un indice generale di mercato attraverso indicatori di sostenibilità, secondo una prospettiva comparatistica. Compito generale delle ESAs, così come anticipato nelle premesse, sarà quello di introdurre criteri quantitativi e determinare gli elementi particolari dei vari settori dell’informativa (art. 4 co.7, art. 8 co.3, art. 9 co.5, art. 10 co.2, art. 11 co.4). Il regolamento sull’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari ha portato a una decisiva evoluzione per il sistema finanziario europeo in tema di sostegno agli obiettivi di decarbonizzazione previsti dagli accordi di Parigi: la finalità di intervenire al di là delle esigenze dei singoli intermediari e del solo mercato finanziario, espressa nella premessa n. 19, costituisce l’obiettivo ultimo del regolamento, che si pone nell’ottica di contribuire allo sviluppo dell’economia reale e alla sostenibilità del sistema finanziario. Il regolamento 2019/2088 si pone così come presupposto logico del Green New Deal per quanto riguarda il sistema finanziario.

3.4 Il Green Deal europeo

La comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni dell’11 dicembre 2019 inaugura il cosiddetto Green Deal, ossia una nuova strategia di crescita volta al raggiungimento entro il 2050 dell’azzeramento di emissioni di gas a effetto serra per trasformare la società in ottica sostenibile dal punto di vista dell’efficienza e di competitività. Essa mira inoltre a proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’UE e a proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi di natura ambientale e dalle relative conseguenze. Allo stesso tempo, tale transizione deve essere giusta e inclusiva, mettendo al primo posto le persone e tributando particolare attenzione alle regioni, alle industrie e ai lavoratori che dovranno affrontare i problemi maggiori. La consapevolezza, tuttavia, della necessaria compartecipazione a livello internazionale di Paesi extracomunitari per il raggiungimento di un patto di sostenibilità trasversali rende non solo il Green Deal parte della politica europea, bensì diviene exemplum globale per la mobilitazione volta al raggiungimento degli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi. Il processo di riduzione dei gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, nonché l’obiettivo della neutralità climatica rappresentano solamente una minima parte del complesso progetto elaborato dalla Commissione. Difatti nella Comunicazione e negli Orientamenti politici di Ursula Von der Leyen “Un’Unione più ambiziosa: il mio programma per l’Europa” vengono enucleate strategie volte ad esempio a limitare la ricollocazione di esternalità apponendo imposte pigouviane sulle importazioni di carbonio. Alla luce di ciò risulta essenziale il recente regolamento UE 2021/1119 il quale rende esecutivi i goals precedentemente enucleati come sanciscono gli articoli 2, paragrafo 1,52 e 4, paragrafo 1. Il regolamento stesso, inoltre, stabilisce delle valutazioni dei progressi compiuti, delle misure UE e degli stati membri53 mediante un report redatto dalla Commissione europea ogni 5 anni a partire dal 30 settembre 2023 basandosi sulle più recenti relazioni dell’ Agenzia europea dell’ambiente (AEA), del comitato consultivo e del Centro comune di ricerca della Commissione; sulle statistiche e i dati europei e globali, compresi le statistiche e i dati del programma europeo di osservazione della Terra Copernicus; i dati sulle perdite registrate e stimate derivanti dagli effetti negativi del clima e le stime dei costi dell’inazione e di ritardi nell’intervento, se disponibili; le migliori e più recenti evidenze scientifiche disponibili, comprese le ultime relazioni dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), dell’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) e di altri organi internazionali; eventuali informazioni supplementari sugli investimenti ecosostenibili effettuati dall’Unione o dagli Stati membri. Strettamente interconnesso con il Green Deal si configura il regolamento TEN-E (regolamento EU 2013/347), ed in particolare la proposta di revisione effettuata dalla Commissione il 15 dicembre 2020 e approvata da Consiglio e Parlamento il 16 dicembre 2021 in cui viene suggellato l’obbligo, per tutti i progetti, di soddisfare i criteri vincolanti di sostenibilità e rispettare il principio del “non nuocere” stabilito nel Green Deal; l’aggiornamento delle categorie di infrastrutture ammesse a beneficiare del sostegno nell’ambito della politica TEN-E, ponendo fine al sostegno a favore delle infrastrutture per il petrolio e il gas naturale; una nuova attenzione alle reti elettriche offshore con disposizioni che favoriscono una maggiore integrazione della loro pianificazione e attuazione con quelle delle infrastrutture a terra attraverso l’introduzione di sportelli unici per l’offshore; un maggior interesse all’infrastruttura per l’idrogeno, compreso il trasporto e alcuni tipi di elettrolizzatori; delle norme aggiornate che promuovono la diffusione delle reti elettriche intelligenti per accelerare l’elettrificazione e aumentare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; alcune nuove disposizioni sul sostegno dei progetti di collegamento tra l’UE e paesi terzi (i cosiddetti PMI, Projects of Mutual Interest). Al centro, d’altra parte, del Green Deal risulta la transizione verso un’economia circolare, come ribadisce la Commissione Europea con il New Circular Economic action plan dell’11 marzo 2020, tema centrale anche nel regolamento 2008/98 e soprattutto nel regolamento 2020/852 in cui la stessa viene definita all’art. 2 come «un sistema economico in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle altre risorse nell’economia è mantenuto il più a lungo possibile, migliorandone l’uso efficiente nella produzione e nel consumo, così da ridurre l’impatto ambientale del loro uso, riducendo al minimo i rifiuti e il rilascio di sostanze pericolose in tutte le fasi del loro ciclo di vita, anche mediante l’applicazione della gerarchia dei rifiuti». Le ambizioni del Green Deal europeo comportano inoltre un ingente fabbisogno di investimenti. Secondo le stime della Commissione per conseguire gli obiettivi 2030 in materia di clima ed energia serviranno investimenti supplementari dell’ordine di 260 miliardi di euro l’anno, equivalenti a circa l’1,5 % del PIL 2018, il cui flusso dovrà essere mantenuto costante nel tempo. Una sfida di tale portata richiede la mobilitazione sia del settore pubblico sia di quello privato. In parallelo sarà essenziale predisporre una riserva di progetti sostenibili da cui attingere. L’assistenza tecnica e i servizi di consulenza aiuteranno i promotori a individuarli, svilupparli e accedere alle fonti di finanziamento. Il bilancio dell’UE rivestirà un’importanza fondamentale. La Commissione ha proposto di portare al 25 % l’obiettivo di integrazione degli aspetti climatici in tutti i programmi dell’UE. Il bilancio contribuirà alla realizzazione degli obiettivi climatici dell’UE anche sul piano delle entrate: tra i nuovi flussi di entrate (“risorse proprie”) proposti dalla Commissione, uno è basato sui rifiuti non riciclati degli imballaggi in plastica e un altro potrebbe scaturire dall’assegnazione al bilancio del 20 % dei proventi delle aste nell’ambito del sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’UE.

Almeno il 30 % del Fondo InvestEU54 sarà destinato alla lotta contro i cambiamenti climatici. I progetti saranno inoltre oggetto di una verifica della sostenibilità che ne valuterà l’apporto al raggiungimento degli obiettivi climatici, ambientali e sociali. Il Fondo InvestEU offre anche agli Stati membri la possibilità di avvalersi di una garanzia di bilancio dell’UE e di rafforzare la cooperazione con le banche e gli istituti nazionali di promozione, il che può incoraggiarli a imprimere una svolta ecosostenibile alla propria attività al fine di conseguire gli obiettivi politici dell’UE. Nel contesto della revisione del sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’UE55, la Commissione riesaminerà anche la funzione dei fondi per l’innovazione. Le stime sono prudenziali e non contemplano, ad esempio, il fabbisogno di investimenti per l’adattamento climatico o per altre sfide connesse all’ambiente quali la tutela della biodiversità. Escludono inoltre anche gli investimenti pubblici necessari per far fronte ai costi sociali della transizione e il costo dell’inattività. La Commissione collaborerà inoltre con il gruppo Banca Europea per gli Investimenti (BEI), con le banche e gli istituti nazionali di promozione e con altre istituzioni finanziarie internazionali. La BEI si è prefissata di raddoppiare il proprio obiettivo climatico, portandolo dal 25 % al 50 % entro il 2025 e diventando così la banca europea per il clima. Nel quadro del piano di investimenti per un’Europa sostenibile la Commissione ha istituito il 15 gennaio 2020 il JTF (Just Transition Fund), volto a garantire una transizione sostenibile ed inclusiva soprattutto nei confronti delle regioni europee maggiormente in crisi56. L’esigenza di gestire la transizione comporta profonde modifiche strutturali dei modelli d’impresa, delle competenze richieste e dei relativi prezzi, le cui ripercussioni sui cittadini varieranno in funzione della situazione sociale e geografica. Il punto di partenza non è lo stesso per tutti gli Stati membri, le regioni e le città coinvolte nella transizione, così come diverse sono le loro capacità di reazione. Una giusta transizione si deve dunque concentrare sulle regioni e sui settori che dipendono maggiormente dai combustibili fossili o da processi ad alta intensità di carbonio. La Commissione collabora dunque con gli Stati membri e le regioni per aiutarli a dotarsi di piani di transizione locali. Il meccanismo si aggiunge al sostanzioso contributo fornito dal bilancio dell’UE tramite tutti i programmi direttamente attinenti alla transizione, nonché tramite fondi quali il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo sociale europeo Plus57. La necessità di garantire una transizione socialmente giusta deve trovare riscontro anche nelle politiche a livello dell’UE e dei singoli Stati. Ciò significa ad esempio favorire gli investimenti volti ad offrire soluzioni economicamente accessibili, quali i trasporti pubblici, a coloro che risentono delle politiche di fissazione dei prezzi del carbonio, nonché le misure intese a contrastare la povertà energetica e a promuovere la riqualificazione professionale. Nel terzo trimestre del 2020 la Commissione ha presentato una strategia rinnovata in materia di finanza sostenibile, incentrata su una serie di azioni, incentrate essenzialmente sulla tassonomia UE, fulcro da cui si sviluppa il concetto di Green Bond.

  1. IL REGOLAMENTO SULLA TASSONOMIA E GLI ULTIMI SVILUPPI DELLA NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI ECONOMIA SOSTENIBILE

4.1 Linee generali della gestione pandemica dell’UE

L’avvento della pandemia di Covid-19 ha certamente portato ad una rinnovata consapevolezza della necessità di un’unità di intenti tra gli Stati membri. Numerose sono state le scelte che hanno visto l’Ue comportarsi come un soggetto di diritto internazionale unito, a partire dalla politica vaccinale, ma, ancora più significativamente, dal punto fiscale, finanziario e creditizio, è stato approntato uno strumento senza precedenti quale il Recovery Fund, che per la prima volta ha portato all’esercizio di una fiscalità integrata degli Stati membri, ma soprattutto ad una rinnovata gestione dell’emissione di titoli obbligazionari, ora garantiti dalle casse di Bruxelles e non dai singoli Stati. Si è superato così il modello del quantitative easing di draghiana memoria che aveva permesso, dopo gli anni dell’austerity più inflessibile, di uscire dalla crisi del debito sovrano, giungendo ad un livello successivo di integrazione economica europea. A fronte della crisi economica, sociale e finanziaria provocata dalla pandemia, l’Unione Europea, nonostante un’iniziale ritrosia nell’intervenire direttamente con aiuti agli Stati membri, ha successivamente scelto di attuare una strategia fondata su strumenti con finalità essenzialmente anticiclica, adottando un approccio interventista ed espansivo58 che ha consentito di limitare i danni causati dal necessario blocco di molte attività economiche, consentendo agli Stati membri di adottare politiche di spesa pubblica al di fuori dei canonici vincoli di deficit stabiliti con Maastricht per consentire ai governi di erogare ristori, calmierare i prezzi ed evitare, almeno in prima battuta, un aumento della pressione fiscale complessiva. Risulta dunque fisiologico che, nella prospettiva imminente del conseguimento degli obiettivi prefissati per il 2030, l’Unione integrasse gli sforzi già profusi nella progettazione della strategia Green Deal con la ricostruzione dell’economia europea nella fase post-pandemica attraverso una regolamentazione stringente e unificata, che non ammettesse deroghe od opt-out.

4.2 Il regolamento 2020/852

4.2.1 Principi generali

Il regolamento UE 2020/852 pone in essere una strutturazione definitoria dei caratteri nodali della transizione dal punto di vista economico-finanziario, enucleando i criteri volti al raggiungimento dei cosiddetti OSS (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile). Come presupposto funzionale alla realizzazione degli obiettivi del regolamento si ritiene necessario rimuovere gli ostacoli alla circolazione dei capitali verso gli investimenti sostenibili (premessa n. 9) per supportare ed incentivare lo sviluppo economico sostenibile, mediante ad esempio la messa a disposizione di prodotti finanziari che perseguono obiettivi green per incanalare gli investimenti finanziari privati verso attività che si volgono verso la transizione.

Alla luce di ciò risultano, tuttavia, necessari criteri e requisiti univoci tali da poter considerare prodotti ecosostenibili e prevenire dunque la cosiddetta greenwashing59, ovvero la pratica consistente nell’ottenere un vantaggio sulla concorrenza in modo sleale commercializzando un prodotto finanziario come ecocompatibile quando in realtà gli standard ambientali di base non sono soddisfatti (premessa n. 11). Per questo il regolamento UE 2020/852 fissa dei criteri affinché un investimento sia definito ecosostenibile: deve contribuire in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali60, in conformità con i criteri di prevenzione e di riduzione dell’inquinamento, con i parametri definitori dell’economia circolare, nonché con gli standards relativi alla protezione e al ripristino della biodiversità e degli ecosistemi; non deve arrecare un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali di cui all’articolo 9, in conformità ai parametri sul danno significativo sanciti dall’art.1761 (cfr. premessa n. 34); l’investimento deve essere svolto nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia, ovvero procedure attuate da un’impresa che svolge un’attività economica al fine di garantire che sia in linea con le linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali (premessa n. 35 e art. 18) e con i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, inclusi i principi e i diritti stabiliti dalle otto convenzioni fondamentali individuate nella dichiarazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro e dalla Carta internazionale dei diritti dell’uomo (premessa n. 36), nonché rispetto al principio «non arrecare un danno significativo» (art. 18); sia conforme ai criteri di vaglio tecnico fissati dalla Commissione in conformità al regolamento stesso.

4.2.2 Le clausole minime di salvaguardia e i criteri di vaglio tecnico

Quello dell’attinenza ai criteri di vaglio tecnico è un principio centrale del regolamento sulla tassonomia: all’interno del regolamento il principio viene richiamato 82 volte, a sottolineare come, in osservanza di quanto elaborato dal TEG nel Final Report in merito a standard e marchi uniformi per tutti gli Stati membri dell’Unione (concetto ripreso anche nella premessa n. 11) la Commissione abbia inteso tutelarsi da deroghe o escamotage giuridici contrari alle finalità del provvedimento. L’organo stesso è tenuto a riesaminare periodicamente i criteri di vaglio tecnico ed eventualmente modificare gli atti delegati adottati a norma del presente regolamento, in linea con gli sviluppi scientifici e tecnologici. In tale contesto, prima di apportare correzione all’atto delegato, la Commissione “valuta l’attuazione dei criteri tenendo conto dei risultati della loro applicazione da parte dei partecipanti ai mercati finanziari e del loro impatto sui mercati dei capitali, compreso l’incanalamento degli investimenti verso attività economiche ecosostenibili62. L’ampiezza delle attività economiche considerate ecosostenibili può ravvisarsi negli elenchi di cui alle premesse nn. 28 (contributo delle attività economiche nel processo di transizione ad un’economia circolare) e 31 (contributo delle attività economiche alla protezione e al ripristino della biodiversità). Per assicurare che le attività economiche rimangano su un percorso di transizione credibile e coerente con un’economia climaticamente neutra, la Commissione riesamina i criteri di vaglio tecnico per tali attività almeno ogni tre anni. L’art. 19 disciplina i requisiti per stabilire un criterio di vaglio tecnico. Gli stessi criteri, infatti, come disposto dall’art.19, par. 1, devono adeguarsi ad alcuni requisiti quali l’individuazione dei principali contributi potenziali a favore di un determinato obiettivo ambientale, nel rispetto del principio della neutralità tecnologica, tenendo conto dell’impatto sia a lungo che a breve termine di una determinata attività economica; la specificazione delle prescrizioni minime che devono essere soddisfatte per evitare un danno significativo a qualsiasi dei pertinenti obiettivi ambientali, tenendo conto dell’impatto sia a lungo che a breve termine di una determinata attività economica; il far riferimento, ove opportuno, sia ai sistemi di etichettatura e di certificazione dell’Unione sia alle metodologie della stessa per svolgere una valutazione dell’impronta ambientale e ai suoi sistemi di classificazione statistica, e tengono conto di ogni pertinente normativa dell’Unione in vigore; ove praticabile, l’utilizzazione degli indicatori di sostenibilità elaborati dalle Agenzie Europee di Vigilanza (AEV) ai sensi del regolamento UE 2019/2088; il rispetto del principio di precauzione sancito dall’articolo 191 TFUE (premessa n. 40); il tener conto del ciclo di vita, compresi gli elementi di prova provenienti dalle valutazioni esistenti del ciclo di vita, considerando sia l’impatto ambientale dell’attività economica sia l’impatto ambientale dei prodotti e dei servizi da essa forniti, in particolare prendendo in considerazione la produzione, l’uso e il fine vita di tali prodotti e servizi; l’equilibrazione degli standard in base alla natura e alle dimensioni dell’attività economica. Rispetto alla disciplina del regolamento 2019/2088, dunque, si giunge ad un ampliamento degli obiettivi che l’Unione si pone in tema di investimento sostenibile, non solo dando una definizione dispositiva che precedentemente era solamente una proposta inserita nelle premesse, ma imponendo a tutti gli Stati membri di adeguarsi in nome della certezza e dell’uniformità del diritto europeo. Importanti riferimenti al regolamento 2019/2088 sono effettuati agli artt. 5-8 riguardo la disciplina della trasparenza degli investimenti ecosostenibili, dei prodotti finanziari che promuovono obiettivi ambientali, di altri prodotti finanziari e di altre dichiarazioni che non hanno ad oggetto prodotti finanziari nelle informazioni precontrattuali e nelle relazioni periodiche.

4.2.3 Contributi sostanziali al raggiungimento degli obiettivi ambientali.

Passiamo dunque alla disamina dei singoli obiettivi ambientali descritti agli artt. 10-16 del regolamento:

  1. Contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici (art. 10): si definisce tale l’effetto dato da un’attività economica se contribuisce in modo sostanziale a stabilizzare le concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera al livello che impedisce pericolose interferenze di origine antropica con il sistema climatico in linea con l’obiettivo di temperatura a lungo termine dell’accordo di Parigi evitando o riducendo le emissioni di gas a effetto serra o aumentando l’assorbimento dei gas a effetto serra, attraverso la produzione, la trasmissione, lo stoccaggio, la distribuzione o l’uso di energie rinnovabili conformemente alla direttiva (UE) 2018/200163, il miglioramento dell’efficienza energetica, l’aumento della mobilità pulita o climaticamente neutra, il passaggio all’uso di materiali rinnovabili di origine sostenibile, l’aumento del ricorso alle tecnologie di CCU e CCS, il potenziamento dei pozzi di assorbimento del carbonio nel suolo, la creazione dell’infrastruttura energetica necessaria per la decarbonizzazione dei sistemi energetici, la produzione di combustibili puliti ed efficienti da fonti rinnovabili o neutre in carbonio. Se per un’attività economica non esistono soluzioni tecnologicamente ed economicamente praticabili a basse emissioni di carbonio, si considera sostanziale il contributo al mantenimento dell’innalzamento delle temperature sotto il limite di 1,5°C se l’attività presenta livelli di emissione di carbonio che costituiscono la migliore prestazione nel settore e nell’industria, non ostacola lo sviluppo di alternative a basse emissioni di carbonio (comportamento pregiudizievole anche dal punto di vista della disciplina antitrust) e non comporta una dipendenza da attivi ad alto contenuto di carbonio64.

  2. Contributo sostanziale all’adattamento ai cambiamenti climatici (art. 11): si considera tale il contributo di un’attività economica se comprende soluzioni di adattamento che riducono in modo sostanziale il rischio di effetti negativi del clima attuale e del clima previsto per il futuro sull’attività economica o riducono in modo sostanziale tali effetti negativi, senza accrescere il rischio di effetti negativi sulle persone, sulla natura o sugli attivi.

  3. Contributo sostanziale all’uso sostenibile delle acque e delle risorse marine65 (art.12): si considera tale il contributo di un’attività economica se contribuisce in modo sostanziale a conseguire il buono stato dei corpi idrici, compresi i corpi idrici superficiali e quelli sotterranei, o a prevenire il deterioramento di corpi idrici che sono già in buono stato, oppure dà un contributo sostanziale al conseguimento del buono stato ecologico delle acque marine o a prevenire il deterioramento di acque marine che sono già in buono stato ecologico66

  4. Contributo sostanziale alla transizione verso un’economia circolare67 (art. 13): si considera tale il contributo di un’attività economica se utilizza in modo più efficiente le risorse naturali, compresi i materiali a base biologica di origine sostenibile e altre materie prime, nella produzione; aumenta la durabilità, la riparabilità, la possibilità di miglioramento o della riutilizzabilità dei prodotti, in particolare nelle attività di progettazione e di fabbricazione; aumenta la riciclabilità dei prodotti, compresa la riciclabilità dei singoli materiali ivi contenuti, anche sostituendo o riducendo l’impiego di prodotti e materiali non riciclabili, in particolare nelle attività di progettazione e di fabbricazione; riduce in misura sostanziale il contenuto di sostanze pericolose e sostituisce le sostanze estremamente preoccupanti in materiali e prodotti in tutto il ciclo di vita, in linea con gli obiettivi indicati nel diritto dell’Unione; prolunga l’uso dei prodotti, anche attraverso il riutilizzo, la progettazione per la longevità, il cambio di destinazione, lo smontaggio, la rifabbricazione, la possibilità di miglioramento e la riparazione, e la condivisione dei prodotti; aumenta l’uso di materie prime secondarie e il miglioramento della loro qualità, anche attraverso un riciclaggio di alta qualità dei rifiuti; previene o riduce la produzione di rifiuti, anche la produzione di rifiuti derivante dall’estrazione di minerali e dalla costruzione e demolizione di edifici; aumenta la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti; potenzia lo sviluppo delle infrastrutture di gestione dei rifiuti necessarie per la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, garantendo al contempo che i materiali di recupero siano riciclati nella produzione come apporto di materie prime secondarie di elevata qualità, evitando così il downcycling68.

  5. Contributo sostanziale alla prevenzione e alla riduzione dell’inquinamento69 (art. 14): si considera tale il contributo di un’attività economica se contribuisce ala prevenzione o, qualora ciò non sia possibile, la riduzione delle emissioni inquinanti nell’aria, nell’acqua o nel suolo, diverse dai gas a effetto serra, al miglioramento del livello di qualità dell’aria, dell’acqua o del suolo nelle zone in cui l’attività economica si svolge, riducendo contemporaneamente al minimo gli effetti negativi per la salute umana e l’ambiente o il relativo rischio, alla prevenzione o la riduzione al minimo di qualsiasi effetto negativo sulla salute umana e sull’ambiente legati alla produzione e all’uso o allo smaltimento di sostanze chimiche, al ripulimento delle dispersioni di rifiuti e di altri inquinanti.

  6. Contributo sostanziale alla protezione e al ripristino della biodiversità e degli ecosistemi (art. 15): si considera tale il contributo di un’attività economica se contribuisce in modo sostanziale a proteggere, conservare o ripristinare la biodiversità o a conseguire la buona condizione degli ecosistemi, o a proteggere gli ecosistemi che sono già in buone condizioni70

  7. Attività abilitanti (art. 16): Si considera che un’attività economica contribuisce in modo sostanziale a uno o più degli obiettivi ambientali enunciati all’articolo 9 se consente direttamente ad altre attività di apportare un contributo sostanziale a uno o più di tali obiettivi a condizione che non comporti una dipendenza da attivi che compromettono gli obiettivi ambientali a lungo termine, tenuto conto della vita economica di tali attivi e abbia un significativo impatto positivo per l’ambiente, sulla base di considerazioni relative al ciclo di vita

In definitiva, dunque, un’attività economica si considera sostenibile se rispetta quattro parametri (cfr. art. 3 co. 1): contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali di cui all’articolo 9, in conformità degli articoli da 10 a 16; non arreca un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali di cui all’articolo 9, in conformità dell’articolo 17; è svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia previste all’articolo 18; è conforme ai criteri di vaglio tecnico fissati dalla Commissione.

4.3 La delega alla Commissione e l’inserimento di fissione nucleare e gas naturale nella tassonomia

La normativa europea in tema di attività economiche sostenibili non si esaurisce con il regolamento 2020/852, il quale, infatti, predispone già degli strumenti finalizzati all’aggiornamento delle disposizioni a seconda delle necessità ravvisate e dell’efficacia dei mezzi già predisposti. La Commissione, ex art. 23, ha infatti il potere di adottare atti delegati per l’attuazione degli obiettivi e per integrare le disposizioni contenute nel regolamento. In virtù di ciò, ex art. 8 co. 4, la Commissione adotta un atto delegato per specificare gli obblighi relativi alla pubblicazione di informazioni di carattere non finanziario secondo il disposto degli artt. 19 bis e 29 bis della direttiva 2013/34. In particolare, tuttavia, il potere di adottare atti delegati si esplica nella funzione di definizione ed aggiornamento dei criteri di vaglio tecnico, cui la Commissione è deputata, secondo gli sviluppi tecnologici e scientifici. Secondo il disposto dell’art. 20, sempre nell’ottica dell’evoluzione dei parametri e delle disposizioni, viene istituito un organo, la Piattaforma sulla finanza sostenibile, presieduta dalla Commissione e costituita da: EEA (European Environment Agency), ESAs, EIB (European Investment Bank), EIF (European Investment Fund), EUFRA (European Union Fundamental Rights Agency) ed esperti provenienti da diversi ambiti (stakeholders del settore privato, partecipanti ai mercati finanziari, rappresentanti della società civile, esperti nominati a titolo personale per via della comprovata competenza in determinati campi, esperti provenienti dal mondo accademico). La Piattaforma svolge un grande numero di funzioni, ma in particolare il suo ruolo consiste nell’assistenza e nella consulenza alla Commissione per quanto riguarda l’emanazione delle disposizioni delegate e il monitoraggio dell’impatto dei criteri di vaglio tecnico, nonché delle tendenze riguardo i flussi di capitale diretti verso investimenti sostenibili.

Il lavoro della Commissione nel corso del 2021 è stato, dunque, quello di emanare tali atti delegati nell’ambito dei settori di propria competenza. Un riassunto della programmazione dei lavori della Commissione si trova all’interno della comunicazione al Parlamento del 21/04/202171, con la quale vengono comunicate le tappe del lavoro della Commissione nel corso dell’anno. Nel marzo 2021 la Piattaforma sulla finanza sostenibile aveva pubblicato un report contenente l’analisi degli strumenti e degli obiettivi da raggiungere da parte della “finanza della transizione”, ossia il sistema finanziario nel contesto della transizione ecologica72. Questo paper indicava la via per una finanza sostenibile non solo dal punto di vista ambientale, ma anche riguardo l’accessibilità da parte dei singoli investitori e delle imprese ai mercati finanziari e al capitale di rischio rispondendo a sei domande fondamentali che analizzavano da più punti di vista le possibili criticità del quadro della tassonomia europea. Sempre a marzo 2021 la Commissione pubblicava un report di carattere strettamente tecnico sull’energia nucleare prodotto dal Joint Research Centre, incentrato sul principio del do not significant harm73. Tali ricerche sono state funzionali all’emanazione da parte dell’Unione Europea dell’atto delegato del 4/06/2021 sull’energia nucleare e sul gas naturale, che sono dunque stati inseriti nel novero delle fonti che possono contribuire alla transizione ecologica. Al di là delle comprensibili rimostranze dell’opinione pubblica e senza addentrarsi nel dibattito sull’utilità e sulla sicurezza dell’energia prodotta mediante fissione nucleare, con l’atteggiamento di chi spiega e non di chi giustifica, si può affermare senza troppi dubbi che la scelta dell’Unione è legata a una concezione liberale della tassonomia verde, in virtù della quale, citando dalla comunicazione del 21/04/2021, “il semplice fatto che un’impresa non svolga attività in linea con la tassonomia non significa che si possano trarre conclusioni circa la sua prestazione ambientale o la sua capacità di accedere ai finanziamenti”: ciò significa che le attività annoverate nella tassonomia non sono tassative, ma esemplificative. Di conseguenza si spiega l’inserimento di queste due forme di produzione energetica all’interno della tassonomia verde: qualunque attività economica può dare un contributo sostanziale al raggiungimento degli obiettivi ambientali di cui all’art. 9 del regolamento sulla tassonomia. Nel regolamento delegato del 4/06/2021 la Commissione europea, dopo un’attenta analisi dell’impatto ambientale di diversi settori dell’economia (produzione energetica, agricoltura, silvicoltura, produzione manifatturiera, trasporti, edilizia) ha disposto i criteri di vaglio tecnico a condizione dei quali un’attività economica contribuisca in modo sostanziale alla mitigazione o all’adattamento ai cambiamenti climatici senza causare un danno significativo74. Sulla scorta, invece, della delega ex art. 8 co. 4 del regolamento sulla tassonomia, la Commissione ha adottato il 6/07/2021 un altro regolamento delegato che specifica il contenuto e le modalità di presentazione delle informazioni che le aziende di cui agli artt. 19 bis e 29 bis della direttiva 2013/34 devono pubblicare riguardo le attività economiche ambientalmente sostenibili75.

Alla luce di ciò con la comunicazione del 24 novembre 2021 la Commissione Europea ha enucleato un piano di sostegno agli investimenti per una ripresa sostenibile. Le misure, compatibili con l’art 107 del TFUE, prevedono un aiuto il cui importo massimo, in linea di principio, non può superare l’1% del bilancio totale disponibile per tale regime e riguarda esclusivamente investimenti in attività materiali e immateriali, di cui quelli riguardanti l’acquisto di terreni limitatamente al fatto che siano volti alla produzione di beni o alla prestazione di servizi. Risultano dunque inammissibili gli investimenti finanziari. Nella Comunicazione si ribadisce inoltre la necessaria collaborazione tra le istituzioni europee e gli Stati membri in virtù del principio di collaborazione per cui gli stessi “possono limitare gli aiuti agli investimenti destinati a sostenere specifiche aree economiche di particolare importanza per la ripresa economica; tuttavia, tali limiti devono essere concepiti in modo ampio e non comportare una limitazione artificiale degli investimenti ammissibili o dei potenziali beneficiari, tale da portare a includere solo un numero limitato di imprese”. L’intensità dell’aiuto inoltre non può superare il 15% dei costi ammissibili a meno che si tratti di piccole imprese (in questo caso la percentuale sale al 20%), investimenti realizzati da altre piccole e medie imprese (PMI) per cui l’ammontare può accrescere di 10 punti percentuali, nonché le fattispecie particolari che soddisfano i requisiti imposti dall’art.14 del regolamento UE 2014/702 (considerando le modifiche apportate dal regolamento UE 2017/1084 ed escludendo quanto previsto dal paragrafo 1476). Si deve considerare per di più che l’importo complessivo concesso non può superare di 10 milioni di euro per impresa in termini nominali, seppur, nelle zone assistite, l’aiuto, sulla base del calcolo conforme all’art 14 del regolamento sull’esenzione di categoria e sulle carte degli aiuti a finalità regionale, può essere incrementato di 10 milioni di euro. Nella Comunicazione sono inserite anche le modalità con cui viene concesso l’ammontare, ovvero in sovvenzioni a fondo perduto, agevolazioni fiscali o differimenti, nonché tassi d’interesse agevolati sui prestiti o garanzie. La Commissione, per quanto riguarda gli strumenti rimborsabili (tra cui i prestiti) stabilisce il termine massimo di otto anni. Viene concessa inoltre la cumulabilità nella sovvenzione con altri tipi di aiuti77, seppur in nessun caso l’importo totale può superare il 100% dei costi. Nei punti 92 e 93 vengono, tuttavia, posti in essere alcune limitazioni nell’erogazione del fondo tra cui il termine massimo per il 31 dicembre 2022 (escludendo gli aiuti agli investimenti precedenti al I febbraio 2020), nonché la circoscrizione dei beneficiari escludendo imprese che si trovavano già in difficoltà il 31 dicembre 201978 (ciò non si applica alle microimprese o alle piccole imprese che risultavano già in difficoltà al 31 dicembre 2019, purché non siano soggette a procedure concorsuali per insolvenza ai sensi del diritto nazionale e non abbiano ricevuto aiuti per il salvataggio o aiuti per la ristrutturazione). Gli Stati membri possono anche prendere in considerazione l’istituzione o la modifica di regimi esistenti in base alle norme applicabili ai progetti ambientali o di ricerca, ossia la disciplina degli aiuti per l’ambiente e l’energia o la disciplina degli aiuti a favore di ricerca, sviluppo e innovazione per sostenere la ripresa sostenibile dell’economia. La Commissione considera compatibili tali regimi di aiuto o le modifiche di regimi esistenti qualora le soglie applicabili per le notifiche individuali siano superate fino al 50 %, a condizione che tutte le altre disposizioni delle discipline applicabili siano rispettate, che la decisione della Commissione che autorizza la misura sia adottata prima del 1o gennaio 2023 e che l’aiuto individuale in questione sia concesso prima del 1o gennaio 2024. L’ultimo atto in ordine cronologico viene anticipato nella comunicazione del 21/04/2021 nella sezione IV – FINANZIARE LA TRANSIZIONE VERSO LA SOSTENIBILITÀ. Qui la Commissione afferma la propria volontà di “presentare una proposta legislativa a favore del finanziamento di determinate attività economiche, principalmente nel settore energetico, compreso il gas, che contribuiscono a ridurre le emissioni di gas a effetto serra in modo da sostenere la transizione verso la neutralità climatica nel decennio in corso”. L’atto legislativo in questione è costituito dal regolamento delegato emanato il 2/02/2022 e al 13/02/2022 non ancora entrato in vigore. Elemento di sicuro interesse è la classificazione dell’energia nucleare, descritta alla premessa n. 6 come una fonte energetica a basse emissioni di carbonio, ma non rinnovabile, e comunque a pieno titolo annoverabile tra le attività economiche di cui all’art. 10 co.2 del regolamento sulla tassonomia79.

 

Note

1 Vedi S.R. Weart, The discovery of the risk of global warming, Physics Today, 1997.

2 Principio 1, Rio declaration on environment and development.

3 ; L. CASSETTI, Riformare l’art. 41 della Costituzione: alla ricerca di “nuovi” equilibri tra iniziativa economica privata e ambiente?, cit., 199 ss.; e L. CASSETTI, Salute e ambiente come limiti “prioritari” alla libertà di iniziativa economica?, cit., 6

4 In particolare, i Giudici delle leggi avevano consacrato la tutela ambientale come espressione dei limiti che l’art. 41 fissa all’attività economica: “il limite massimo di emissione inquinante (…) non potrà mai superare quello ultimo assoluto e indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive: tutela affidata al principio fondamentale di cui all’art. 32 della Costituzione, cui lo stesso art. 41, secondo comma, si richiama”. Similmente, la Corte, nella sentenza del 14 giugno 2001 n. 190 (che a sua volta richiama la n. 196/1998), esplicitamente dava atto che: “E’ acquisito alla giurisprudenza costituzionale che al limite della utilità sociale, a cui soggiace l’iniziativa economica privata in forza dell’art. 41 Cost., non possono dirsi estranei gli interventi legislativi che risultino non irragionevolmente (art. 3 Cost.) intesi alla tutela dell’ambiente”.

5 Cfr. Corte Costituzionale, sentenze 536/2002, 182/2006, 226/2009, 272/2009, 210/2014 con le quali la Consulta applica il principio di cui all’art. 9 Cost. come valore costituzionale trasversale ai diversi livelli dell’amministrazione. Per una disamina dottrinale DE BENETTI, L’ambiente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale: dalla leale collaborazione alla sussidiarietà, in Diritto all’ambiente, Corte Costituzionale e ambiente.

6 Cfr. Corte Costituzionale, sentenze 407/2002, 222/2003, 259/2004 108/2005, 214/2005, 378/2007, 104/2008, 12/2009, 171/2012, 278/2012, 145/2013, con le quali la Consulta dirama le questioni di competenza della tutela dell’ambiente in relazione all’art. 117 come novellato dalla riforma del Titolo V.

7 Cfr. Dossier 396/2021 Servizio studi Senato della Repubblica per un riassunto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale che fa da presupposto alla riforma costituzionale.

8 Cfr. Our Common Future (1987) (c.d. Rapporto Brundtland), il report della Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo, che definisce per la prima volta lo sviluppo sostenibile “Humanity has the ability to make development sustainable to ensure that it meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs”.

9Per una disamina della riforma e dei suoi possibili effetti vedi di CASSETTI, Riformare l’art. 41 della Costituzione: alla ricerca di “nuovi” equilibri tra iniziativa economica privata e ambiente?, www.federalismi.it,

n.4, 2022; R. CABAZZI, Dalla “contrapposizione” alla “armonizzazione”? Ambiente ed iniziativa economica nella riforma (della assiologia) costituzionale, in Federalismi.it, 2022; L. CASSETTI, Salute e ambiente come limiti “prioritari” alla libertà di iniziativa economica? in Federalismi.it, 2021; F. FRACCHIA, L’ambiente nell’art. 9 della Costituzione: un approccio in “negativo”, in Il diritto dell’economia, 2022.

10 Per approfondire vedi A. Lucarelli., Commento all’art. 37 della Carta, in R. Bifulco – M. Cartabia – A. Celotto., L’Europa dei diritti. Commento alla carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( a cura di R. Bifulco – M. Cartabia – A. Celotto), Bologna, 2001; G. Recchia., La tutela dell’ambiente in Italia: dai principi comunitari alle discipline nazionali di settore., in Dir. Giust. Amb. 2001.

11 B. BRANCATI, Il bilanciamento tra diritti sociali e libertà economiche in Europa Un’analisi di alcuni importanti casi giurisprudenziali, Servizio studi Corte Costituzionale, 2014

12 Per approfondire l’analisi dell’art. 37 CDFUE si rimanda a MARÌN DURÀN e MORGERA, Commentary on Article 37 of the EU Charter of Fundamental Rights – Environmental Protection, Edinburgh School of Law Research. Paper, n.20, 2013. Pubblicato nell’ambito del Commentary on the EU Charter of Fundamental Rights (Hart, 2013).

13 Thomas Ramopoulos, The EU Treaties and the Charter of Fundamental Rights: A Commentary, pag. 200-204, Oxford Academic, 2019.

14 Cfr. Comunicazione della commissione sul principio di precauzione, 02/02/2000

15 G.M. PALAMONI, Il principio di prevenzione, 2014, Ambiente Diritto

16 Commissione c. Belgio, C-2/90, 1992

17 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A12008E%2FPRO%2F28

18Per approfondire il principio di sussidiarietà vedi l’articolo di Michela Petrachi, Il principio di sussidiarietà in materia di ambiente, www.federalismi.it, n.24, 2016.

19 M. PENNA, I principi in materia di tutela dell’ambiente, Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, n. 1/2012, Giappichelli

20 Per approfondire il concetto di controlimite vedi Giampaolo Gerbasi, Il primato del diritto dell’Unione e la questione dei controlimiti : minaccia disgregativa o spinta integrativa nel processo di costituzionalizzazione dell’Unione europea, CITTADINANZA EUROPEA (LA), 2020 (1), p.87-132. Per una disamina sull’applicazione dei controlimiti da parte della Corte Costituzione in rapporto alle Corti europee cfr. A. LO CALZO, Dagli approdi della Corte costituzionale in tema di controlimiti alle tendenze nel dialogo con le Corti,

21Per approfondire il tema della polisemia della parola ambiente si rimanda a Checchetti, www.federalismi.it, La disciplina giuridica della tutela ambientale come diritto dell’ambiente, n.25, 2006.

22 Per approfondire vedi Maria-Alejandra Gonzalez-Perez and Liam Leonard, Climate Change and the 2030 Corporate Agenda for Sustainable Development, Emerald Publishing Limited, n.19, 2016.

23 https://ec.europa.eu/clima/eu-action/european-green-deal/2030-climate-target-plan_en

24Final Report 2018 by the HIgh-Level Expert Group on Sustainable Finance.

25 Per un maggiore approfondimento vedi Colaert, Integrating Sustainable Finance into the MiFID II and IDD Investor Protection Frameworks, Springer International Publishing, Sustainable Finance in Europe, 2021, p.450-475.

26 https://ec.europa.eu/info/files/nextgenerationeu-green-bond-framework_en

27 Per una disamina sul EU GBS vedi Driessen M., Sustainable Finance: An Overview of ESG in the Financial Markets, Springer International Publishing, Sustainable Finance in Europe, 2021, p.349-355.

30Sul tema dell’orizzonte temporale è rimasto negli annali il commento dell’allora governatore della Bank of England, Mark Carney, che coniò l’espressione “tragedy of the horizon” riferendosi al problema dello short termism, ossia il meccanismo in base al quale la ratio seguita dagli agenti economici nel realizzare investimenti finanziari si è fortemente mutato nel corso degli ultimi vent’anni, nel senso di una significativa riduzione del tempo medio di holding di una posizione (da 8 anni nel 1998 a 8 mesi nel 2018) e di un forte incremento del turnover dei portafogli (un gestore di portafogli esegue un completo turnover dello stesso in circa 20 mesi).

31 Common Equity Tier 1 Capital

32 Com. 2018/773

34 2019/2582(RSP)

35 Cfr. Eurostat, Energy statistics – an overview, 2022

36 G. BOSI, F. VELLA, Diritto ed economia di banche e mercati finanziari, cap. IX, pp. 245-249, 2019, il Mulino

37 Basilea III – Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari

38 La comunicazione del 20 giugno 2019 https://eur-lex.europa.eu/legal content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52019XC0620(01)&from=EN

39 Ossia le imprese con 500 e più dipendenti impiegati stabilmente durante l’esercizio

40 Il 23 febbraio 2022 la Commissione europea ha pubblicato una proposta di direttiva del Parlamento Europeo sul principio di due diligence in termini di rispetto dei diritti umani e della sostenibilità in sostituzione della direttiva 2019/1937. La proposta ha come fondamento il principio di responsabilità sociale dell’impresa e come base giuridica gli artt. 50 e 114 TFUE. La ratio della proposta è rendere responsabile ogni impresa per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, attraverso interventi sulla corporate governance e maggiori strumenti per la certezza e l’applicazione del diritto da parte di operatori e stakeholders. Saranno necessari ulteriori approfondimenti in seguito.

41 Per approfondire S. PUGLIESE, Il rischio nel diritto dell’Unione Europea tra principi di precauzione, proporzionalità e standardizzazione, 2017, Cacucci Editore

42 Chris Van Oostrum, Sustainability Through Transparency and Definitions: A Few Thoughts on Regulation (EU) 2019/2088 and Regulation (EU) 2020/852, European Company Law MIVolume 18, Issue 1 (2021) pp. 15 – 21

43 Non si ravvisa, nell’ipotesi oggetto di studio, alcuna forma di intesa, concentrazione o abuso di posizione dominante ex artt. 101 e 102 TUF, né alcun fenomeno di contrazione della concorrenza ex reg. 139/2004.

44 Cfr. direttive 2009/65/CE, 2009/138/CE, 2011/61/UE, 2013/36/UE, 2014/65/ UE, (UE) 2016/97, (UE) 2016/2341

45Vedi Gortsos, Christos V., The Taxonomy Regulation: More Important Than Just as an Element of the Capital Markets Union, Springer International Publishing, Sustainable Finance in Europe, 2021, p.361.

46 Cfr. il documento della Commissione Europea del 12 febbraio 2021 Orientamenti tecnici sull’applicazione del principio “non arrecare un danno significativo” a norma del regolamento sul dispositivo per la ripresa e la resilienza.

47Cfr. Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, principio n.2.

48 L’attività di pubblicazione di informazioni dovrebbe essere strettamente controllata dalle autorità di vigilanza, in particolare ABE, EIOPA e ESMA (AEV o ESAs).

49 Le AEV (ESAs) avranno il compito di elaborare progetti di disposizioni tecniche per le comunicazioni di cui sopra.

50 Cfr. Raccomandazione della Commissione del 9 aprile 2014 sul principio comply or explain nella corporate governance.

51Cfr. art. 51, co.1, TUB

52 L’equilibrio tra le emissioni e gli assorbimenti di tutta l’Unione dei gas a effetto serra disciplinati dalla normativa unionale è raggiunto nell’Unione al più tardi nel 2050, così da realizzare l’azzeramento delle emissioni nette entro tale data, e successivamente l’Unione mira a conseguire emissioni negative.

53Vedi art.6 regolamento 2021/1119.

54 Il Programma di invesimenti InvestEU costituisce il successore per il periodo 2021-2027 del Fondo europeo per gli investimenti strategici, pilastro del Piano Juncker.

55 Per approfondire cfr. EU ETS Handbook della Commissione Europea

56 Programma consistente in circa 20 miliardi di euro di cui il 51% provenienti dal Recovery Plan approvato in sede di concertazione tra gli Stati membri e la Commissione per indirizzare i fondi verso le aree più depresse.

57 Programma da quasi 100 miliardi di euro finalizzato al sostegno delle fasce più povere e colpite dalla pandemia, ma anche a programmi di formazione e riqualificazione lavorativa per il nuovo modello economico europeo.

58 Comunicazione della Commissione Europea del 19/03/2020.

59 Per approfondire la probelmatica del greenwashing vedi Torelli, Balluchi, Lazzini, Greenwashing and environmental communication: Effects on stakeholders’ perceptions, Business strategy and the environment, 2020, Vol.29 (2), P.407-421.

60 art.9: “la mitigazione dei cambiamenti climatici; b) l’adattamento ai cambiamenti climatici; c) l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; d) la transizione verso un’economia circolare; e) la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; f) la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.”

61Il danno significativo si misura in relazione a ciascun obiettivo ambientale: si configura una fattispecie di danno significativo differente a seconda dell’obiettivo ambientale considerato.

62 Cfr. art.15, paragrafo 5, regolamento 2020/852.

63 Direttiva che, ex art. 1, rubricato “Oggetto”, «stabilisce un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili. Essa fissa un obiettivo vincolante dell’Unione per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia dell’Unione nel 2030. Detta anche norme relative al sostegno finanziario per l’energia elettrica da fonti rinnovabili, all’autoconsumo di tale energia elettrica, all’uso di energia da fonti rinnovabili nel settore del riscaldamento e raffrescamento e nel settore dei trasporti, alla cooperazione regionale tra gli Stati membri e tra gli Stati membri e i paesi terzi, alle garanzie di origine, alle procedure amministrative e all’informazione e alla formazione. Fissa altresì criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per i biocarburanti, i bioliquidi e i combustibili da biomassa».

64 Cfr. normativa su ETS (direttiva 2018/410), riduzione di quote vincolanti di emissioni di gas serra (regolamento 2018/842), le direttive sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (2018/2001) e sull’efficienza energetica (2018/2002), il regolamento sulla governance (2018/1999), il regolamento sulle emissioni automobilistiche (2009/443) e tutto il pacchetto di riforme inaugurato dal Green Deal europeo.

65 Cfr. la direttiva quadro sugli specchi d’acqua (2000/60), la direttiva sulla protezione delle acque sotterranee (2006/118), la direttiva sull’acqua potabile (2020/2184), la direttiva sulle acque di balneazione (2006/7), la direttiva sugli standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque (2008/105), la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (1991/271), la direttiva sui nitrati (1991/676), la direttiva sulle alluvioni (2007/60), la direttiva quadro sulle politiche per l’ambiente marino (2008/56).

66 Per un’analisi approfondita del diritto degli specchi d’acqua nel diritto internazionale TANZI, The Consolidation of international Water Law. A Comparative analysis of the UN and UNECE Water Conventions, 2017, Editoriale scientifica.

67 Cfr. la tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse (20/09/2011), la direttiva quadro sui rifiuti (2008/98), il regolamento che vieta l’esportazione di rifiuti pericolosi verso Paesi non membri dell’OCSE (660/2014), la direttiva sulla riduzione dei rifiuti prodotti dai veicoli fuori uso e dai loro componenti (2000/53), la direttiva sui rifiuti RAE (2002/96), la direttiva sugli imballaggi (1994/62, modificata nel 2012 e nel 2015 con un aumento degli standard), e in ultimo il pacchetto di direttive sull’economia circolare del 2018 (849, 850, 851, 852/2018).

68 Per downcycling si intende un processo di riciclaggio in cui il valore del materiale riciclato diminuisce nel corso del tempo. Vedi PIRES, MARTINHO, RODRIGUES, GOMES. Sustainable solid waste collection and management, 2018, Springer.

69 Cfr. la strategia tematica per l’inquinamento atmosferico (21/09/2005), la direttiva sulla qualità dell’aria (2008/50), la direttiva sui limiti nazionali di emissioni (2016/2284), il regolamento sull’omologazione e la vigilanza del mercato dei veicoli a motore e dei loro rimorchi (2018/858), la direttiva sulle emissioni industriali (2010/75), la direttiva quadro sulla determinazione e la gestione del rumore ambientale (2002/49), il regolamento sul rumore del trasporto aereo (598/2014), la revisione del PE sull’attuazione delle direttive del 2004 sull’inquinamento atmosferico.

70 Cfr. programma LIFE, il fondo UE per il finanziamento di progetti dedicati all’ambiente, la strategia UE sulla biodiversità per il 2030, la strategia forestale dell’UE per il 2030.

76 Caso investimenti non produttivi.

77 Cfr. punto 20 quadro temporaneo.

78 Cfr. articolo 2, punto 18, del regolamento generale di esenzione per categoria.