CORTE COSTITUZIONALE 9 febbraio – 16 marzo 2021 SENTENZA N. 39
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Imposte e tasse - Imposta di registro - Criteri di applicazione - Esame dell'intrinseca natura e degli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente - Conseguente divieto, salvo eccezioni, di ricorso ad elementi extratestuali o desumibili da atti collegati - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria, nonche' di capacita' contributiva - Manifesta infondatezza delle questioni. Imposte e tasse - Imposta di registro - Qualifica di norma di interpretazione autentica della disposizione relativa ai criteri di applicazione dell'imposta - Conseguente efficacia retroattiva - Denunciata violazione del principio di ragionevolezza - Non fondatezza delle questioni. - Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, come modificato dall'art. 1, comma 87, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205; legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084. - Costituzione, artt. 3, 24, 53, 81, 97, 101, 102 e 108; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6.
(GU n.11 del 17-3-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 20 del
decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131
(Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti
l'imposta di registro), come modificato dall'art. 1, comma 87,
lettera a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205
(Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e
bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), e dell'art. 1, comma
1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il
triennio 2019-2021), promosso dalla Commissione tributaria
provinciale di Bologna nel procedimento vertente tra la Pag Italy srl
e altri e l'Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Bologna,
con ordinanza del 13 novembre 2019, iscritta al n. 62 del registro
ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2020.
Visti l'atto di costituzione della Pag Italy srl, nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 2021 il Giudice
relatore Luca Antonini;
uditi l'avvocato Paolo Biavati per la Pag Italy srl e l'avvocato
dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei
ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del
decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 9 febbraio 2021.
Ritenuto in fatto
1.- La Commissione tributaria provinciale di Bologna (di seguito:
CTP), con ordinanza del 13 novembre 2019 (reg. ord. n. 62 del 2020),
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale:
a) in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell'art.
20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico
delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), «come
risultante dall'intervento apportato» dall'art. 1, comma 87, lettera
a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di
previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio
pluriennale per il triennio 2018-2020), «nella parte in cui dispone
che, nell'applicare l'imposta di registro secondo la intrinseca
natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma
apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli
elementi desumibili dall'atto stesso, "prescindendo da quelli
extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto
dagli articoli successivi"»;
b) in subordine, in riferimento agli «artt. 3, 81 (e 97), 101
(nonche' 102 e 108), 24 Cost.», dell'art. 1, comma 1084, della legge
30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per
l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio
2019-2021), in forza del quale il citato art. 1, comma 87, lettera
a), della legge n. 205 del 2017 «costituisce interpretazione
autentica» del censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.
1.1.- Il rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel
corso di sei giudizi riuniti originati da autonomi ricorsi con cui le
societa' Pag Italy srl, Immobiliare 37 spa, Immobiliare 36 spa e
Immobiliare 38 spa hanno impugnato distinti avvisi di liquidazione
per il recupero dell'imposta proporzionale di registro, aventi ad
oggetto la riqualificazione come cessione di azienda -
riqualificazione effettuata dall'ente impositore ai sensi dell'art.
20 del d.P.R. n. 131 del 1986 - di atti «di conferimento di ramo di
azienda e successiva cessione di partecipazioni totalitarie»,
rogitati nel 2016 e registrati con imposta in misura fissa.
Il giudice a quo precisa che: a) le societa' ricorrenti hanno
articolato i medesimi motivi di gravame; b) la costituita Agenzia
delle entrate ha chiesto l'integrale rigetto dei ricorsi; c) le
suddette societa', con successive memorie illustrative, hanno
invocato, a ulteriore sostegno dell'illegittimita' della
riqualificazione operata dall'Ufficio fiscale, lo ius superveniens di
cui al citato art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018.
Cio' premesso il rimettente: a) afferma che la pretesa impositiva
in contestazione nel giudizio principale si fonda sull'applicazione
dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986; b) ricorda che la previgente
formulazione di tale norma, ai sensi della quale «[l]'imposta e'
applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli
atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il
titolo o la forma apparente», e' stata «per lungo tempo oggetto di
dibattito» nella giurisprudenza di legittimita', che «nell'ultimo
decennio» si e' consolidata nel senso di attribuire prevalenza al
«dato giuridico reale» anche attraverso la riqualificazione di piu'
atti tra loro collegati; c) precisa che, per effetto del citato art.
1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017, «l'area di
operativita' del [menzionato] art. 20 tur [...] risulta ristretta»;
d) ribadisce che, quanto al «tema della decorrenza temporale della
novella», il legislatore e' da ultimo intervenuto con il gia' citato
art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018, stabilendo che
«[l]'articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017,
n. 205, costituisce interpretazione autentica dell'articolo 20, comma
1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
26 aprile 1986, n. 131», cosi' attribuendogli efficacia retroattiva.
1.2.- Quanto alla rilevanza, il rimettente, dopo aver illustrato
le ragioni di infondatezza delle censure diverse da quelle relative
all'interpretazione del menzionato art. 20, conclude che non e'
possibile decidere la controversia senza fare applicazione delle
norme denunciate, in quanto retroattive.
1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, la CTP assume, in
via principale, che l'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 violerebbe
gli artt. 3 e 53 Cost.
Dopo aver premesso di prospettare le questioni di legittimita'
costituzionale richiamando i motivi gia' indicati dalla Corte di
cassazione, sezione tributaria, nell'ordinanza di rimessione del 23
settembre 2019, n. 23549 (iscritta al n. 212 del registro ordinanze
del 2019), il giudice a quo osserva che «[l]a riforma del 2017»
avrebbe ridotto «la possibilita' di interpretare il negozio giuridico
da tassare entro limiti asfittici». In tal modo, il legislatore
avrebbe impedito di tenere conto della capacita' contributiva, che
invece emergerebbe dalla semplice applicazione delle «regole
interpretative civilistiche», idonee ad apprezzare l'atto-negozio e
non solo l'atto-documento.
Sebbene al legislatore sia consentito, nella sua
discrezionalita', di disciplinare in maniera diversa situazioni
differenti, il suo agire - secondo il rimettente - dovrebbe essere
finalizzato a realizzare una «giustizia fiscale», la quale imporrebbe
«una coerenza interna alla legge tributaria; nonche' una coerenza di
questa con il sistema giuridico nel suo complesso».
Da cio' discenderebbe l'«ormai consolidato principio della
"indisponibilita' della qualificazione contrattuale ai fini
fiscali"», per effetto del quale, pur nel rispetto della liberta'
contrattuale dei privati (art. 1322 del codice civile), l'attuazione
del canone della capacita' contributiva non potrebbe che «prescindere
da qualsivoglia dichiarazione negoziale, richiedendo esclusivamente
la misurazione del reale movimento di ricchezza».
1.4.- Ove le questioni sollevate in via principale fossero
dichiarate non fondate, il rimettente prospetta in via subordinata,
in riferimento agli «artt. 3, 81 (e 97), 101 (nonche' 102 e 108), 24
Cost.», l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1084,
della legge n. 145 del 2018, che qualifica come norma di
interpretazione autentica l'art. 1, comma 87, lettera a), della legge
n. 205 del 2017.
La CTP, dopo aver premesso che «[i]l fenomeno di creazione di
norme effettivamente innovative mascherate da norme interpretative
con efficacia retroattiva non e' questione decisiva ai fini
dell'incostituzionalita' delle stesse», a condizione pero' che la
retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori o
interessi costituzionalmente protetti, sostiene che il citato art. 1,
comma 1084, della legge n. 145 del 2018 violerebbe, innanzitutto,
l'art. 3 Cost. per tre profili di irragionevolezza.
Il primo atterrebbe innanzitutto alla mancanza di un «persistente
contrasto interpretativo» da risolvere «in nome del supremo
principio, nazionale e sovranazionale, di certezza del diritto»:
infatti la giurisprudenza di legittimita' avrebbe, «pressoche'
unanimemente», affermato la natura innovativa e non interpretativa
dell'intervento legislativo del 2017 (sono citate le sentenze della
Corte di cassazione, sezione quinta civile, 26 gennaio 2018, n. 2007;
23 febbraio 2018, n. 4407; 28 febbraio 2018, n. 4589; 28 febbraio
2018 n. 4590; 28 marzo 2018, n. 7637; 8 giugno 2018, n. 14999; 9
gennaio 2019, n. 362).
Inoltre, prima del suddetto intervento, una situazione di
«certezza del diritto [...] poteva dirsi raggiunta alla luce della
uniforme applicazione dell'art. 20 (vecchio testo) da parte della
giurisprudenza di legittimita'»; anziche' tutelare detto principio,
il legislatore avrebbe invece irragionevolmente «forzato
l'applicazione» della riformulazione operata dall'art. 1, comma 87,
lettera a), della legge n. 205 del 2017, imponendola a fattispecie
poste in essere nel vigore del previgente 20 del d.P.R. n. 131 del
1986.
Il secondo profilo di irragionevolezza, strettamente collegato al
precedente, riguarderebbe la non «prevedibilita' del significato
precisato» dalla norma indubbiata, stante - sempre ad avviso del
rimettente - il «carattere della novita'» dell'appena citato art. 1,
comma 87.
Il terzo, infine, discenderebbe dall'impossibilita' di
giustificare la retroattivita' disposta dalla norma denunciata con
«"motivi imperativi di interesse generale"», secondo il principio
desumibile dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848, «che la giurisprudenza costituzionale
tradu[rrebbe] nell'ordinamento italiano come "tutela di principi,
diritti e beni di rilievo costituzionale"»: al contrario, proprio
l'intervento normativo del 2017 lederebbe i principi di parita' di
trattamento e di capacita' contributiva di cui agli artt. 3 e 53
Cost.
La disposizione censurata recherebbe, inoltre, un vulnus agli
artt. 81 e 97 Cost., sotto il profilo del «fondamentale principio
dell'equilibrio di bilancio».
L'imposizione della retroattivita' priverebbe infatti, a parere
del giudice a quo, «l'erario [...] di diritti che [sarebbero] gia'
acquisiti all'erario stesso, sia pure in nuce», con un conseguente
squilibrio di bilancio e una perdita di risorse economiche
«necessarie ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall'Unione Europea».
Sarebbero altresi' lesi gli artt. 101, 102 e 108 Cost., in quanto
«[p]ur se la questione della sussistenza di una riserva di
giurisdizione e' tema controvertibile (e denso di implicazioni
dogmatiche e politiche), non vi e' dubbio che, nel caso di specie, il
legislatore [sarebbe intervenuto] "a pie' pari", per interpretare una
norma, in senso radicalmente difforme rispetto alla interpretazione
unanime della giurisprudenza».
Risulterebbe, infine, violato l'art. 24 Cost., poiche' l'art. 1,
comma 1084, della legge n. 145 del 2018 menomerebbe l'Agenzia delle
entrate nel diritto di difendersi «secondo la legislazione su cui
aveva impostato la propria costituzione con le controdeduzioni».
Successivamente al deposito dell'ordinanza di rimessione il
medesimo Collegio della CTP di Bologna ha emesso ordinanza di
correzione «di errore materiale, sia pure per omissione» al fine di
precisare che, nel dispositivo, la seconda questione di legittimita',
ivi genericamente indicata, era da riferirsi «all'art. 1, comma 1084,
della legge n. 145 del 2018».
2.- Con atto depositato il 12 giugno 2020, si e' costituita la
Pag Italy srl, chiedendo che tutte le questioni siano dichiarate non
fondate.
2.1.- La societa' ritiene che la censura rivolta all'art. 20 del
d.P.R. n. 131 del 1986, come risultante dall'intervento normativo del
2017, si risolverebbe «in realta', in una critica di merito nei
confronti della scelta del legislatore», senza tenere conto delle
specifiche finalita' dell'imposta di registro in rapporto alle quali
tale scelta andrebbe invece valutata. La tesi giurisprudenziale della
"prevalenza della sostanza sulla forma" sarebbe, infatti,
condivisibile solo se rapportata al singolo atto, comportando invece,
ove si sia al cospetto di elementi extratestuali o di atti collegati,
un inammissibile controllo dell'amministrazione finanziaria sulle
opzioni del contribuente. Del resto, proprio la specialita' delle
norme tributarie renderebbe legittimo il riferimento unicamente agli
elementi intrinseci dell'atto, senza che assumano rilievo le «norme
civilistiche che regolano l'interpretazione contrattuale fra
privati».
2.2.- Ad avviso della Pag Italy srl, anche le questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1084, della legge n.
145 del 2018 sarebbero non fondate.
In particolare, quanto alla prospettata violazione delle norme in
tema di riserva di giurisdizione e, in specie, degli artt. 101, 102 e
108 Cost., la societa' innanzitutto rileva che, contrariamente a
quanto asserito dal rimettente, prima dell'entrata in vigore della
norma censurata una parte della giurisprudenza di merito aveva
riconosciuto natura di interpretazione autentica all'art. 1, comma
87, lettera a), della legge n. 205 del 2017 e che «neppure la
Cassazione par[rebbe] totalmente granitica». Cio' premesso, la parte
privata precisa che «[i]n ogni caso» sarebbero legittime le norme
dirette a smentire «orientamenti, anche consolidati, dalla
giurisprudenza», poiche', nel quadro costituzionale di un ordinamento
democratico, «la volonta' del Parlamento, eletto dal popolo»,
dovrebbe prevalere su quella del potere giudiziario, «che e' chiamato
ad applicare e non a porre le norme».
In questa prospettiva non sarebbe fondata neppure la doglianza
inerente alla lesione del principio di ragionevolezza: il
legislatore, «qualora reputi che la giurisprudenza stia svuotando di
contenuto una norma, limitandone l'applicazione ai casi futuri e non
anche a quelli pendenti», ben potrebbe intervenire richiamando «il
potere giudiziario ad una lettura della norma, conforme a cio' che il
Parlamento ha voluto».
Infine, non sarebbe condivisibile nemmeno la prospettata
violazione dell'art. 24 Cost., in quanto «[s]emplicemente»
l'amministrazione finanziaria avrebbe errato nell'interpretare il
censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.
3.- Con atto depositato il 30 giugno 2020, e' intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente
infondate.
3.1.- La difesa statale eccepisce preliminarmente
l'inammissibilita' delle questioni aventi a oggetto l'art. 20 del
d.P.R. n. 131 del 1986, perche' il rimettente avrebbe del tutto
omesso di sperimentare la possibilita' di un'interpretazione
costituzionalmente conforme della norma censurata.
Al riguardo, l'Avvocatura generale osserva che, con l'art. 1,
comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017, il legislatore
avrebbe voluto «radicalmente escludere [...] che l'attivita' di
interpretazione disciplinata dall'art. 20 del D.P.R. 131/1986 venisse
utilizzata per valutare ipotesi di collegamenti negoziali rilevanti
in termini di abuso del diritto», confermando tuttavia il principio
della prevalenza della sostanza sulla forma insito nella formulazione
originaria.
Del resto, proprio il mantenimento inalterato della «proposizione
reggente dell'intera disposizione» (per cui l'imposta e' applicata
secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto
presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo
o la forma apparente) e l'art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del
2018, con cui il legislatore ha precisato la natura interpretativa
della precedente modifica, avvalorerebbero la possibilita' di
un'interpretazione costituzionalmente orientata del citato art. 20,
conforme agli artt. 3 e 53 Cost. E infatti, in esito a un «adeguato
bilanciamento semantico» tra la prima e la seconda parte di tale
norma, il divieto di prendere in considerazione gli elementi
extratestuali e gli atti collegati dovrebbe essere circoscritto a
quelli estranei «ad un programma negoziale che risultasse
obiettivamente unitario, si' da importarne l'esclusione dal concetto
di "atto"».
3.2.- Nel merito, la difesa statale esamina unitariamente
entrambe le censure e ribadisce che gli interventi normativi del 2017
e del 2018 non avrebbero modificato la ratio originaria dell'art. 20
del d.P.R. n. 131 del 1986.
Secondo l'Avvocatura generale, infatti, nell'intenzione del
legislatore del 2017 «il collegamento negoziale volontario [...]
risult[erebbe] rilevante ai fini dell'imposta di registro, salvo le
ipotesi espressamente previste, solo nell'ambito dell'accertamento
antielusivo» di cui all'art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n.
212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del
contribuente). Con riferimento agli atti collegati, pertanto, il
principio di prevalenza della sostanza sulla forma sarebbe
salvaguardato non gia' attraverso un'estensiva applicazione dell'art.
20 del d.P.R. n. 131 del 1986, ma mediante il citato art. 10-bis,
espressamente richiamato dall'art. 53-bis del medesimo d.P.R. n. 131
del 1986, che impone la prova dell'abuso del diritto a prescindere
dalla qualificazione formale dell'atto.
Alla luce di questa interpretazione - nella prospettiva della
difesa statale - l'art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018
avrebbe confermato che l'art. 1, comma 87, lettera a), della legge n.
205 del 2017 costituirebbe «interpretazione autentica» dell'art. 20
del d.P.R. n. 131 del 1986, coerente con la struttura dell'imposta e
il suo presupposto. La difesa dello Stato da' inoltre conto che sulla
natura interpretativa di queste norme si erano registrate «talune
incertezze» e che, in particolare, la giurisprudenza della Corte di
cassazione - sulla base degli stessi presupposti interpretativi
dell'odierno rimettente - aveva affermato la natura innovativa del
citato art. 1, comma 87, lettera a). Al riguardo, l'Avvocatura
generale ritiene che, conformemente alla giurisprudenza
costituzionale, «[a]l di la' dell'auto-qualificazione», le norme
scrutinate avrebbero «realmente l'obiettivo di chiarire il senso di
disposizioni preesistenti, ovvero di escludere o di enucleare uno dei
sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla
disposizione».
D'altra parte, secondo la difesa dello Stato, i limiti della
palese arbitrarieta' e della manifesta irragionevolezza, che la
giurisprudenza di questa Corte ha piu' volte affermato rispetto alla
discrezionalita' di cui gode il legislatore nella determinazione dei
singoli fatti espressivi della capacita' contributiva, non sarebbero
stati, in questo caso, travalicati. La coerenza del sistema
impositivo, infatti, sarebbe «comunque adeguatamente tutelata dal
confermato principio di prevalenza della sostanza sulla forma [...] e
dalla prevista possibilita' di applicare l'art. 10-bis dello Statuto
del Contribuente» in funzione antiabusiva.
4.- Infine, l'Associazione nazionale tributaristi italiani,
sezione Lombardia (di seguito: ANTI Lombardia) ha presentato
un'opinione scritta in qualita' di amicus curiae, ai sensi dell'art.
4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, a sostegno dell'inammissibilita' e comunque
dell'infondatezza delle questioni.
Il Presidente della Corte costituzionale, rilevata la conformita'
dell'opinione ai criteri previsti dal citato art. 4-ter, l'ha ammessa
con decreto del 28 ottobre 2020.
In particolare, quanto all'art. 1, comma 1084, della legge n. 145
del 2018, l'ANTI Lombardia ritiene che la denunciata
irragionevolezza, in violazione dell'art. 3 Cost., non sarebbe
fondata poiche', innanzitutto, la giurisprudenza della Corte di
cassazione avrebbe chiarito che nell'interpretazione autentica non
rileva «tanto e soltanto la necessita' di dipanare un contrasto
interpretativo», quanto, invece, la volonta' del legislatore di
attribuire una efficacia retroattiva. Secondo la giurisprudenza di
questa Corte e della medesima Cassazione, tale potere del legislatore
di attribuire a una norma efficacia retroattiva non incontrerebbe di
per se' «limiti di fonte costituzionale, salvo il rispetto di
principi generali» che il rimettente vorrebbe individuare negli
«artt. 24, 81, 101, 102 e 108 Cost.».
Tuttavia, ad avviso dell'amicus curiae, la questione prospettata
in violazione degli artt. 101, 102 e 108 Cost. sarebbe inammissibile
perche' «solamente menzionata e scarsamente intellegibile».
La medesima sorte dovrebbe seguire la questione della presunta
violazione dell'art. 24 Cost., poiche' il rimettente avrebbe omesso
di motivare «in quale modo e in che proporzione» tale diritto di
difesa risulti leso. Tale doglianza, inoltre, sarebbe comunque
infondata poiche' le questioni interpretative prospettate dal giudice
a quo non inciderebbero sull'espletamento dei poteri processuali
dell'ente impositore, quanto piuttosto di quelli amministrativi di
accertamento del tributo «i quali, come noto, trovano luogo prima del
processo».
Infondata sarebbe, poi, la lamentata violazione dell'art. 6 CEDU
per l'irragionevolezza di una norma retroattiva priva di un
comprovato interesse generale. Osserva al riguardo l'ANTI Lombardia
che la tesi del rimettente non troverebbe riscontro nella
giurisprudenza sovranazionale ne' sotto il profilo soggettivo, in
quanto «le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti del
soggetto privato contro il potere dello Stato», ne' sotto il profilo
oggettivo, in quanto - nella ricostruzione del rimettente stesso - la
norma denunciata diminuirebbe e non aumenterebbe il carico impositivo
del contribuente «ovvero del soggetto a cui favore sono poste le
norme della CEDU».
Insussistente sarebbe, infine, il dedotto vulnus agli artt. 81 e
97 Cost., in riferimento alla sostenibilita' e al pareggio del
bilancio, atteso che entrambe le disposizioni denunciate avrebbero
ottenuto sia il parere favorevole preventivo della Ragioneria
generale dello Stato, sia quello successivo della Commissione
europea.
5.- In data 18 gennaio 2021 la Pag Italy srl ha depositato
memoria.
La parte osserva che, nelle more del presente giudizio, con
sentenza n. 158 del 2020 questa Corte ha dichiarato non fondate le
questioni di legittimita' costituzionale, sollevate dalla Corte di
cassazione in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dell'art. 20 del
d.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dall'art. 1, comma 87,
lettera a), della legge n. 205 del 2017 e dall'art. 1, comma 1084,
della legge n. 145 del 2018. Ad avviso della parte privata le
motivazioni di tale pronuncia deporrebbero a sostegno della
dichiarazione di non fondatezza di tutte le questioni sollevate
dall'odierno rimettente, in quanto l'intervento del legislatore del
2018 sarebbe finalizzato a «favorire la certezza dell'ordinamento».
Considerato in diritto
1.- La Commissione tributaria provinciale di Bologna (di seguito:
CTP), con ordinanza del 13 novembre 2019 (reg. ord. n. 62 del 2020),
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale:
a) in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell'art.
20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico
delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), «come
risultante dall'intervento apportato» dall'art. 1, comma 87, lettera
a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di
previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio
pluriennale per il triennio 2018-2020), «nella parte in cui dispone
che, nell'applicare l'imposta di registro secondo la intrinseca
natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma
apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli
elementi desumibili dall'atto stesso, "prescindendo da quelli
extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto
dagli articoli successivi"»;
b) in subordine, in riferimento agli «artt. 3, 81 (e 97), 101
(nonche' 102 e 108), 24 Cost.», dell'art. 1, comma 1084, della legge
30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per
l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio
2019-2021), in forza del quale il citato art. 1, comma 87, lettera
a), della legge n. 205 del 2017 «costituisce interpretazione
autentica» dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.
2.- Il censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 dispone che
«[l]'imposta e' applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti
giuridici, dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi
corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi
desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e
dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli
successivi».
Il giudice a quo, con argomentazioni autonome, ma sostanzialmente
coincidenti con quelle a suo tempo prospettate dalla Corte di
cassazione, sezione tributaria - cui espressamente rinvia -
nell'ordinanza di rimessione del 23 settembre 2019, n. 23549
(iscritta al n. 212 del registro ordinanze del 2019, le cui questioni
sono state decise, nelle more dell'odierno incidente, con sentenza n.
158 del 2020), ritiene che tale norma violi gli artt. 3 e 53 Cost.
Essa, infatti, ridurrebbe «la possibilita' di interpretare il
negozio giuridico da tassare entro limiti asfittici», inidonei alla
«misurazione del reale movimento di ricchezza», ponendosi cosi' in
contrasto con il principio di capacita' contributiva, nonche' con il
principio di uguaglianza, che imporrebbero altresi' una coerenza
della legge tributaria «con il sistema giuridico nel suo complesso».
2.1.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che ha eccepito preliminarmente l'inammissibilita' delle
questioni aventi ad oggetto l'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986,
perche' il rimettente avrebbe del tutto omesso di sperimentare la
possibilita' di un'interpretazione costituzionalmente conforme della
norma censurata.
L'eccezione e' manifestamente infondata.
L'Avvocatura generale non considera, infatti, che dal tenore
complessivo dell'ordinanza emerge un'adeguata motivazione circa
l'impraticabilita' di un'interpretazione costituzionalmente
orientata; si tratta, peraltro, di un'eccezione gia' spiegata dalla
stessa difesa statale in termini identici a proposito delle questioni
sollevate dalla Corte di cassazione con la sopra citata ordinanza di
rimessione e gia' dichiarata manifestamente infondata sotto il
profilo che la verifica dell'esistenza e della legittimita' di tale
ulteriore interpretazione e' questione che attiene al merito della
controversia e non alla sua ammissibilita' (sentenza n. 158 del 2020,
punto 4 del Considerato in diritto).
2.2.- Nel merito, le questioni inerenti alla violazione degli
artt. 3 e 53 Cost. sono manifestamente infondate, poiche' prive di
argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelle gia' sollevate con
la menzionata ordinanza del giudice di legittimita' e dichiarate non
fondate con sentenza n. 158 del 2020.
In tale pronuncia questa Corte ha infatti concluso che il
censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 «non si pone in
contrasto ne' con il principio di capacita' contributiva, ne' con
quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria, con conseguente
non fondatezza delle sollevate questioni». In particolare, al punto
5.2.3. del Considerato in diritto, si e' affermato che «tali
parametri [...] sul piano della legittimita' costituzionale non si
oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte
legislatore dei principi di capacita' contributiva e,
conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come
stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti
impositivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio
contenuto nell'atto presentato per la registrazione, senza alcun
rilievo di elementi tratti aliunde, "salvo quanto disposto dagli
articoli successivi" dello stesso testo unico. In tal modo, del
resto, il criterio di qualificazione e di sussunzione in via
interpretativa risulta omogeneo a quello della tipizzazione, secondo
le regole del testo unico e in ragione degli effetti giuridici dei
singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative
voci di tariffa ad esso allegata».
3.- Avuto riguardo alle questioni formulate in via subordinata,
il rimettente dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 1,
comma 1084, della legge n. 145 del 2018 in quanto il legislatore, nel
disporre che l'art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del
2017 «costituisce interpretazione autentica» dell'art. 20 del d.P.R.
n. 131 del 1986, avrebbe in realta' imposto la retroattivita' di
quest'ultima norma «nella sua nuova ridotta portata», in violazione
di plurimi parametri costituzionali.
3.1.- In particolare, il giudice a quo, dopo aver escluso in
premessa - sulla scorta della consolidata giurisprudenza di questa
Corte - la decisivita' della distinzione tra norme innovative o
interpretative ai fini del vaglio di legittimita' costituzionale,
ritiene tuttavia che il censurato art. 1, comma 1084, violi,
innanzitutto, l'art. 3 Cost. per tre profili di irragionevolezza.
Il primo atterrebbe alla mancanza di un «persistente contrasto
interpretativo» da risolvere «in nome del supremo principio,
nazionale e sovranazionale, di certezza del diritto», in quanto la
giurisprudenza di legittimita' avrebbe, «pressoche' unanimemente»,
affermato la natura innovativa e non interpretativa dell'intervento
legislativo del 2017 (sono citate le sentenze della Corte di
cassazione, sezione quinta civile, 26 gennaio 2018, n. 2007; 23
febbraio 2018, n. 4407; 28 febbraio 2018, n. 4589; 28 febbraio 2018,
n. 4590; 28 marzo 2018, n. 7637; 8 giugno 2018, n. 14999; 9 gennaio
2019, n. 362). Inoltre, poiche' prima del suddetto intervento, una
situazione di «certezza del diritto» «poteva dirsi raggiunta alla
luce della uniforme applicazione dell'art. 20 tur (vecchio testo) da
parte della giurisprudenza di legittimita'», il legislatore, anziche'
tutelare detto principio, avrebbe in realta' «forzato l'applicazione»
della riformulazione operata dall'art. 1, comma 87, lettera a), della
legge n. 205 del 2017, imponendola a fattispecie poste in essere nel
vigore del previgente art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.
Il secondo profilo di irragionevolezza, strettamente collegato al
precedente, riguarderebbe la non «prevedibilita' del significato
precisato» dalla norma indubbiata, stante - ad avviso del rimettente
- il «carattere della novita'» dell'appena citato art. 1, comma 87.
Il terzo, infine, discenderebbe dall'impossibilita' di
giustificare la retroattivita' disposta dall'art. 1, comma 1084,
della legge n. 145 del 2018, con «motivi imperativi di interesse
generale», secondo il principio desumibile dall'art. 6 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, «che la
giurisprudenza costituzionale tradu[rrebbe] nell'ordinamento italiano
come "tutela di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale"»;
al contrario, proprio l'intervento normativo del 2017 lederebbe i
principi di parita' di trattamento e di capacita' contributiva di cui
agli artt. 3 e 53 Cost.
La disposizione censurata recherebbe, inoltre, un vulnus agli
artt. 81 e 97 Cost., sotto il profilo del «fondamentale principio
dell'equilibrio di bilancio».
L'imposizione della retroattivita' priverebbe infatti, a parere
del giudice a quo, «l'erario [...] di diritti che [sarebbero] gia'
acquisiti all'erario stesso, sia pure in nuce», con un conseguente
squilibrio di bilancio e una perdita di risorse economiche
«necessarie ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall'Unione Europea».
Sarebbero altresi' lesi, secondo il rimettente, gli artt. 101,
102 e 108 Cost., in quanto «[p]ur se la questione della sussistenza
di una riserva di giurisdizione e' tema controvertibile (e denso di
implicazioni dogmatiche e politiche), non vi e' dubbio che, nel caso
di specie, il legislatore [sarebbe intervenuto] "a pie' pari", per
interpretare una norma, in senso radicalmente difforme rispetto alla
interpretazione unanime della giurisprudenza».
Risulterebbe, infine, violato l'art. 24 Cost., poiche' l'art. 1,
comma 1084, della legge n. 145 del 2018 menomerebbe l'Agenzia delle
entrate nel diritto di difendersi «secondo la legislazione su cui
aveva impostato la propria costituzione con le controdeduzioni».
3.2.- Le questioni sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. non
sono fondate.
3.2.1.- Al fine di inquadrarle correttamente, occorre
innanzitutto soffermarsi sulla natura della norma censurata (art. 1,
comma 1084, della legge n. 145 del 2018), che stabilisce:
«[l]'articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017,
n. 205, costituisce interpretazione autentica dell'articolo 20, comma
1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
26 aprile 1986, n. 131».
Si tratta a ben vedere di una peculiare vicenda normativa: la
suddetta disposizione, infatti, introdotta nel 2018 con il
maxiemendamento alla legge di bilancio, non detta direttamente, come
spesso avviene, un contenuto che viene definito dalla stessa quale
interpretazione autentica di una precedente disciplina. Essa e'
invece rivolta a definire, esplicitandola con la forza della legge,
la natura di un pregresso intervento legislativo, quello del 2017,
che non si era auto-qualificato, affermandone il carattere di
interpretazione autentica e di conseguenza determinandone l'efficacia
retroattiva.
Ne discende che, in questo caso, ai fini del sindacato di
costituzionalita' e' opportuno preliminarmente misurarsi non con la
norma del 2018, ma con quella del 2017.
Una volta assunta questa prospettiva, va ulteriormente precisato
che non diventa pero' dirimente stabilire se la novella del 2017
abbia carattere innovativo o interpretativo: questione, peraltro,
sulla quale la dottrina si e' divisa; la giurisprudenza di
legittimita', come ricordato dal rimettente, ha optato (anteriormente
all'intervento del 2018) per la prima soluzione; parte di quella di
merito per la seconda (ad esempio, Commissione tributaria regionale
di Reggio Emilia, sezione nona, sentenza 22 gennaio 2018, n. 199).
E' pur vero che questa Corte, infatti, in piu' occasioni, con
riguardo a norme che pretendono di avere natura interpretativa, ha
ritenuto che la palese erroneita' di tale auto-qualificazione puo'
costituire un indice della irragionevolezza della disposizione
impugnata (in tal senso, sentenza n. 103 del 2013); cosi' come ha
affermato che la natura realmente interpretativa di una determinata
disciplina puo' non risultare indifferente ai fini dell'esito del
controllo di legittimita' costituzionale (sentenza n. 108 del 2019).
Ma sia in un caso che nell'altro ha ritenuto, in ultima analisi,
non dirimente tale accertamento, essendosi «ripetutamente espressa
nel senso della sostanziale indifferenza, quanto allo scrutinio di
legittimita' costituzionale», della distinzione tra norme di
interpretazione autentica e norme innovative con efficacia
retroattiva, in quanto cio' che risulta realmente decisivo e' che la
retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza - certamente valutata anche, ma non solo, alla luce
dei suddetti indici - e non contrasti con altri valori e interessi
costituzionalmente protetti (sentenza n. 73 del 2017).
3.2.2.- Nel caso di specie cio' che viene in considerazione non
e' quindi l'indirizzo giurisprudenziale maturato nel brevissimo lasso
temporale intercorrente tra i due interventi normativi e che, secondo
il rimettente, «aveva riconosciuto, pressoche' unanimemente, la
natura innovativa e non interpretativa» della «novella del 2017».
Rileva piuttosto l'intera, decennale, vicenda che ha interessato
la complessa questione dell'applicazione dell'imposta di registro,
caratterizzata, come questa Corte ha evidenziato nella sentenza n.
158 del 2020, da uno stratificarsi di interpretazioni, che la
giurisprudenza ha sviluppato anche in risposta alle varie forme in
cui l'ordinamento si andava evolvendo per volonta' del legislatore
(che, dapprima, ha introdotto, nella disciplina dell'imposta,
l'esplicito riferimento agli «effetti giuridici» dell'atto e poi,
piu' in generale, per tutti i tributi, ha disciplinato l'abuso del
diritto).
In tale sentenza, questa Corte ha precisato che l'art. 1, comma
87, lettera a), della legge n. 205 del 2017, «appare finalizzato a
ricondurre il citato art. 20 all'interno del suo alveo originario,
dove l'interpretazione, in linea con le specificita' del diritto
tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell'atto
presentato alla registrazione (ovverossia al gestum, rilevante
secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa
allegata al testo unico)», concludendo che «proprio la clausola
finale del censurato art. 20 "salvo quanto disposto dagli articoli
successivi" concorre ad avvalorare la suddetta valenza sistematica
dell'intervento legislativo del 2017 nell'assetto della disciplina
del tributo».
Tale valenza sistematica, nella medesima sentenza, e' stata
peraltro evidenziata anche nel raccordo con l'abuso del diritto,
precisando «sul piano costituzionale, che l'interpretazione
evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto art. 20 del d.P.R. n.
131 del 1986, incentrata sulla nozione di "causa reale",
provocherebbe incoerenze nell'ordinamento, quantomeno a partire
dall'introduzione dell'art. 10-bis della legge n. 212 del 2000.
Infatti, consentirebbe all'amministrazione finanziaria, da un lato,
di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del
contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del
contribuente e, dall'altro, di svincolarsi da ogni riscontro di
"indebiti" vantaggi fiscali e di operazioni "prive di sostanza
economica", precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni
legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa
nell'ordinamento tributario nazionale e dell'Unione europea)».
3.2.3.- Alla luce di quanto appena chiarito le questioni
sollevate in riferimento all'art. 3 Cost., sotto tutti i profili
indicati, non sono fondate.
3.2.3.1.- Quanto al primo profilo, si deve escludere che possa
essere considerato irragionevole attribuire efficacia retroattiva a
un intervento che, come quello descritto, ha assunto un carattere di
sistema.
Senza che sia necessario addentrarsi a stabilire se la presa di
posizione del legislatore del 2017 abbia o meno esplicitato una delle
possibili variabili di senso ascrivibili alla precedente formulazione
dell'art. 20, rileva prima di tutto che tale intervento ha certamente
fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, piu' che
all'ambito semantico di una singola disposizione, a quello
dell'intero «impianto sistematico della disciplina sostanziale e
procedimentale dell'imposta di registro», dove la sua origine storica
di "imposta d'atto" «non risulta superata dal legislatore positivo»
(sentenza n. 158 del 2020). Solo su un altro piano - che, essendo
stato sviluppato unicamente nella prospettiva delle possibili,
future, scelte legislative, pero' non rileva nella presente
valutazione - nella medesima sentenza e' stato poi precisato che
«[r]esta ovviamente riservato alla discrezionalita' del legislatore
provvedere - compatibilmente con le coordinate stabilite dal diritto
dell'Unione europea - a un eventuale aggiornamento della disciplina
dell'imposta di registro che tenga conto della complessita' delle
moderne tecniche contrattuali e dell'attuale stato di evoluzione
tecnologica, con riguardo, in particolare, sia al sistema di
registrazione degli atti notarili, sia a quello di gestione della
documentazione da parte degli uffici amministrativi finanziari». Ne'
alla suddetta conclusione puo' opporsi quanto dedotto dal rimettente
in ordine alla «certezza del diritto» che, prima dell'intervento del
2017, «poteva dirsi raggiunta alla luce della uniforme applicazione
dell'art. 20 tur (vecchio testo) da parte della giurisprudenza di
legittimita'» (interpretazione in realta' non del tutto unanime nella
stessa giurisprudenza di legittimita', come gia' rilevato nella
sentenza n. 158 del 2020, e fortemente avversata dalla dottrina).
Infatti, la legittimita' di un intervento che attribuisce forza
retroattiva a una genuina norma di sistema non e' contestabile
nemmeno quando esso sia determinato dall'intento di rimediare a
un'opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di
legittimita') che si e' sviluppata in senso divergente dalla linea di
politica del diritto giudicata piu' opportuna dal legislatore
(sentenza n. 402 del 1993).
3.2.3.2.- Il secondo profilo di irragionevolezza, strettamente
collegato al precedente, atterrebbe alla non «prevedibilita' del
significato precisato» dalla norma censurata, stante «il carattere
della novita'» dell'intervento normativo sull'art. 20 operato
dall'art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017.
Anche tale censura, svolta peraltro in evidente contraddizione
con la premessa formulata dallo stesso rimettente circa l'irrilevanza
della distinzione tra norme innovative e interpretative, e'
infondata: essa rimane, infatti, integralmente assorbita dalle
considerazioni appena svolte. Peraltro, i tre elementi di novita' -
evidenziati dal rimettente (utilizzo del singolare "atto"; divieto di
valorizzazione degli elementi extratestuali e atti collegati;
salvezza degli articoli successivi anche al fine di contestare
l'abuso) allo scopo di dolersi della non prevedibilita' e dunque
dell'irragionevolezza - sono in buona parte quelli sulla cui base
questa Corte nella sentenza n. 158 del 2020 ha riconosciuto
«rispettata la coerenza interna della struttura dell'imposta con il
suo presupposto economico».
3.2.3.3.- Il terzo profilo di irragionevolezza, infine,
discenderebbe, ad avviso del rimettente, dall'impossibilita' di
giustificare la retroattivita' della norma per «motivi imperativi di
interesse generale» secondo il principio desumibile dall'art. 6 CEDU,
«che la giurisprudenza costituzionale traduce nell'ordinamento
italiano come "tutela di principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale"»: secondo il giudice a quo proprio l'intervento
normativo del 2017 lederebbe «il principio di parita' di trattamento
(uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 Cost.) e di capacita'
contributiva (art. 53 Cost.)».
Neanche questa censura e' fondata. Non solo la sentenza n. 158
del 2020 ha escluso, come detto, che la disciplina del 2017 leda gli
artt. 3 e 53 Cost., ma soprattutto, come altresi' notato dall'amicus
curiae (l'Associazione nazionale tributaristi italiani, sezione
Lombardia), nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le
norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona
«contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione» e non
viceversa, come invece, paradossalmente, rappresentato dal
rimettente.
3.3.- Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 81 e 97
Cost. sono inammissibili.
Il rimettente, infatti, non lamenta un difetto di copertura ai
sensi dell'art. 81, terzo comma, Cost., ma una lesione del
«fondamentale principio dell'equilibrio di bilancio», evocando in
modo meramente assertivo un nesso di causalita' tra la norma
censurata e la perdita per l'erario delle risorse «necessarie ad
assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti
dall'Unione Europea».
La censura, da un lato, afferma in modo contraddittorio che si
tratterebbe di «diritti che sono gia' acquisti all'erario stesso, sia
pure in nuce» e, dall'altro, trascura del tutto di considerare che la
«riqualificazione in termini sostanziali di operazioni economiche
complesse» di cui sarebbe stata privata, a suo dire,
l'Amministrazione finanziaria, continua invece a essere praticabile
dalla stessa secondo le regole procedurali e sostanziali prescritte
per l'accertamento dell'abuso del diritto (art. 10-bis della legge 27
luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei
diritti del contribuente»).
La dedotta lesione dell'art. 97 Cost., poi, non e' sostenuta da
alcuna argomentazione.
Alla luce dei rilievi che precedono e' evidente che il rimettente
non ha assolto l'onere di motivazione in ordine alla non manifesta
infondatezza del prospettato dubbio di legittimita' costituzionale,
formulando la doglianza in modo generico e finanche ipotetico.
3.4.- Altresi' inammissibile e' la questione inerente alla
violazione degli artt. 101, 102 e 108 Cost., evocati cumulativamente.
Lo stesso rimettente premette, delimitando la propria
prospettazione, che la «sussistenza di una riserva di giurisdizione
e' tema controvertibile (e denso di implicazioni dogmatiche e
politiche)» senza tuttavia poi esplicitare alcun ulteriore argomento
giuridico per cui, in confronto con gli stessi, sarebbe censurabile
l'intervento del legislatore.
La questione e' pertanto inammissibile, in quanto formulata in
modo addirittura perplesso, cosi' da risultare generica e, comunque,
immotivata.
3.5.- Inammissibile, infine, e' anche la questione sollevata in
riferimento all'art. 24 Cost.
Il rimettente si limita a dolersi della violazione di un asserito
diritto dell'Agenzia delle entrate a difendersi sulla base di un
quadro normativo cristallizzato al tempo della predisposizione delle
proprie difese. Tuttavia, tale assunto, non ulteriormente declinato
attraverso adeguate argomentazioni, si risolve in una indimostrata e
meramente affermata impossibilita' per il legislatore di emanare
norme retroattive che incidano su giudizi in corso: va
conseguentemente dichiarata l'inammissibilita' della questione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131
(Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti
l'imposta di registro), come modificato dall'art. 1, comma 87,
lettera a), numeri 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205
(Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e
bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione
tributaria provinciale di Bologna con l'ordinanza indicata in
epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018,
n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario
2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), sollevate, in
riferimento all'art. 3 Cost., dalla Commissione tributaria
provinciale di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018,
sollevate, in riferimento agli artt. 24, 81, 97, 101, 102 e 108
Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
