CORTE COSTITUZIONALE 27 aprile – 14 giugno 2022 SENTENZA N. 146
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Dibattimento - Contestazione suppletiva di un reato connesso - Facolta' dell'imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova - Omessa previsione - Disparita' di trattamento e lesione del diritto di difesa - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - Codice di procedura penale, art. 517. - Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.24 del 15-6-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo
PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 517 del
codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di
Palermo nel procedimento penale a carico di D. L.P. con ordinanza del
25 marzo 2021, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 2021 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima
serie speciale, dell'anno 2021.
Udito nella camera di consiglio del 27 aprile 2022 il Giudice
relatore Francesco Vigano';
deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 25 marzo 2021, il Tribunale ordinario di
Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 517
del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la
sospensione del procedimento con messa alla prova, relativamente al
reato concorrente oggetto di nuova contestazione.
1.1.- Il giudizio a quo e' stato instaurato mediante decreto di
citazione diretta a giudizio nei confronti di D. L.P., chiamata a
rispondere del reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)».
Successivamente all'apertura del dibattimento e a seguito
dell'escussione di un testimone della lista del pubblico ministero,
quest'ultimo ha proceduto, ai sensi dell'art. 517 cod. proc. pen.,
alla contestazione di ulteriori reati - connessi al primo ai sensi
dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. - di cui agli
artt. 71 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la violazione,
rispettivamente, degli artt. 64, 65 e 93 del medesimo d.P.R., avvinti
dal nesso della continuazione ex art. 81, secondo comma, del codice
penale.
A seguito della nuova contestazione, il difensore dell'imputata,
munito di procura speciale, ha presentato istanza di sospensione del
procedimento con messa alla prova, rispetto alla quale e' stato
acquisito un programma di trattamento da parte dell'ufficio di
esecuzione penale esterna.
1.2.- Chiamato a decidere su tale istanza, il rimettente osserva
che l'art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. prevede che la richiesta
di sospensione del procedimento con messa alla prova puo' essere
formulata solo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento,
cosi' escludendo implicitamente che la relativa istanza possa essere
avanzata a seguito di una nuova contestazione ai sensi dell'art. 517
cod. proc. pen.
Dal che la rilevanza della questione.
1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
osserva anzitutto che i rapporti tra le nuove contestazioni
dibattimentali e il recupero da parte dell'imputato della facolta' di
chiedere l'applicazione di riti alternativi sono stati interessati da
plurimi interventi di questa Corte, caratterizzati da una tendenziale
e graduale apertura verso l'esercizio di prerogative che
risulterebbero altrimenti precluse.
I prospettati dubbi di legittimita' costituzionale assumerebbero
consistenza se vagliati alla luce del «progressivo percorso di
riallineamento costituzionale» della disciplina codicistica, i cui
snodi essenziali vengono analiticamente ripercorsi dal rimettente,
che evidenzia in particolare il passaggio da un atteggiamento di
iniziale chiusura (sono citate le sentenze n. 129 del 1993, n. 316
del 1992, n. 277 e n. 593 del 1990, nonche' l'ordinanza n. 213 del
1992), al riconoscimento della possibilita' di un recupero dei riti
alternativi nel caso di contestazioni dibattimentali cosiddette
"patologiche" (sono citate le sentenze n. 139 del 2015, n. 184 del
2014, n. 333 del 2009 e n. 265 del 1994), e infine all'estensione di
tale recupero anche nelle ipotesi di nuove contestazioni cosiddette
"fisiologiche" (sono citate le sentenze n. 141 del 2018, n. 206 del
2017, n. 273 del 2014, n. 237 del 2012 e n. 530 del 1995).
Ad avviso del rimettente, posto che la richiesta di accesso ai
riti alternativi costituisce una delle modalita' piu' qualificanti di
esercizio del diritto di difesa (sono citate le sentenze di questa
Corte n. 219 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e n. 76 del
1993), si creerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento se,
al ricorrere di situazioni processuali analoghe, la facolta' di
chiederli fosse diversamente disciplinata; ne' tantomeno si
spiegherebbe la previsione dell'avviso rivolto all'imputato, nei vari
atti con i quali si dispone il giudizio in mancanza di udienza
preliminare, circa la facolta' di accedere ai riti alternativi, la
cui omissione e' sanzionata con la nullita'. Tale previsione verrebbe
«sostanzialmente elusa, nelle ipotesi in cui i contorni dell'accusa -
oggetto e termine di riferimento delle "scelte" difensive
dell'imputato - subiscano in dibattimento ("fisiologicamente" o meno)
un significativo e qualificato mutamento contenutistico, senza
offrire una possibilita' di "rinnovare" quelle scelte in rapporto
alla "novazione" della accusa».
Assume, quindi, il rimettente che la facolta' di richiedere riti
alternativi «si salda a doppio filo al diritto di difesa - in
particolare, al diritto di scegliere il modello processuale piu'
congeniale all'esercizio di quel diritto -» e che, di riflesso,
risulterebbe di dubbia coerenza qualsiasi preclusione che ne limiti
l'esercizio concreto, allorquando il sistema consenta una mutatio
libelli in sede dibattimentale.
Conclusivamente, il rimettente asserisce che le argomentazioni
svolte da questa Corte nella sentenza n. 141 del 2018 risulterebbero
perfettamente pertinenti e sovrapponibili alla fattispecie al suo
esame, da cui origina l'odierna questione di legittimita'
costituzionale, della richiesta da parte dell'imputato di sospensione
del procedimento con messa alla prova con riferimento ai reati
concorrenti oggetto di nuova contestazione.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non e' intervenuto
in giudizio, ne' si e' costituita l'imputata nel giudizio a quo.
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario
di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 517
del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la
facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la
sospensione del procedimento con messa alla prova, relativamente al
reato concorrente oggetto di nuova contestazione.
1.1.- La disposizione censurata consente al pubblico ministero di
procedere, durante il dibattimento, a contestazioni suppletive che
possono consistere nell'aggiunta di un'aggravante, ovvero - come nel
caso verificatosi nel giudizio a quo - nell'addebito di uno o piu'
reati connessi a quello originariamente indicato nell'imputazione ai
sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., e cioe'
commessi con la medesima azione od omissione, ovvero con condotte
diverse, ma in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.
Nel momento della nuova contestazione dibattimentale, il termine
per avanzare la richiesta di sospensione del procedimento con messa
alla prova di cui all'art. 168-bis del codice penale e' sempre gia'
spirato. Tale istanza, infatti, deve essere di regola formulata prima
dell'apertura del dibattimento di primo grado (art. 464-bis, comma 2,
cod. proc. pen.).
Secondo il rimettente, tuttavia, precludere l'accesso alla messa
alla prova a seguito della contestazione suppletiva di reati connessi
violerebbe:
- l'art. 24 Cost., in quanto la richiesta di riti alternativi,
tra cui va annoverata anche la sospensione del procedimento con messa
alla prova, costituirebbe una tra le piu' qualificanti modalita' con
le quali si esplica l'esercizio del diritto di difesa;
- e l'art 3 Cost., perche' l'imputato verrebbe irragionevolmente
discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in
conseguenza della maggiore o minore esattezza o completezza della
discrezionale valutazione circa le risultanze delle indagini
preliminari operata dal pubblico ministero, e perche' sarebbe
irragionevole non equiparare questa ipotesi a quelle nelle quali oggi
risulta possibile - a seguito di numerose pronunce di questa Corte -
accedere a riti alternativi, compresa la messa alla prova, a seguito
di nuove contestazioni ai sensi degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen.
2.- Le questioni sono fondate.
2.1.- Una fitta serie di pronunce di questa Corte ha adeguato il
principio di fluidita' dell'imputazione, che costituisce un dato
caratterizzante del nostro sistema processuale anche in sede
dibattimentale, al diritto di difesa presidiato dall'art. 24 Cost.
quale «principio supremo» dell'ordinamento costituzionale» (sentenze
n. 18 del 2022, n. 238 del 2014, n. 232 del 1989 e n. 18 del 1982).
In particolare, tali pronunce hanno dichiarato l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. nella parte in
cui non consentono all'imputato l'accesso a riti alternativi
nell'ipotesi di nuove contestazioni, progressivamente superando -
come ben sottolinea il rimettente - l'originaria distinzione tra
nuove contestazioni dibattimentali cosiddette "patologiche" e nuove
contestazioni "fisiologiche" (sul punto, si veda in particolare la
ricapitolazione svolta dalla sentenza n. 141 del 2018).
Cio' in omaggio a una duplice esigenza: salvaguardare la pienezza
del diritto di difesa dell'imputato, che comprende il diritto di
optare per il rito alternativo alle condizioni stabilite dal
legislatore, ed evitare l'irragionevole disparita' di trattamento tra
l'imputato che abbia potuto confrontarsi con una imputazione completa
prima dell'inizio del dibattimento e quello rispetto al quale
l'imputazione sia stata precisata o integrata soltanto nel corso del
dibattimento, quando il termine per la scelta del rito alternativo e'
ormai scaduto. La scelta del rito deve, in effetti, poter essere
effettuata dall'imputato - assistito dal proprio difensore - con
piena consapevolezza delle possibili conseguenze sul piano
sanzionatorio connesse all'uno o all'altro rito, in relazione ai
reati contestati dal pubblico ministero; sicche', di fronte a un
mutamento dell'imputazione, ragioni di tutela del suo diritto di
difesa e del principio di eguaglianza impongono che sia sempre
consentito all'imputato rivalutare la propria scelta alla luce delle
nuove contestazioni.
Cosi', il patteggiamento puo' oggi essere richiesto a fronte
della nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod. proc.
pen. (sentenze n. 265 del 1994 e n. 206 del 2017), di una circostanza
aggravante ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 184 del 2014) o di
reati connessi ex art. 517 cod. proc pen. (sentenze n. 265 del 1994 e
n. 82 del 2019); e il giudizio abbreviato puo' essere richiesto a
fronte della nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod.
proc. pen. (sentenze n. 333 del 2009 e n. 273 del 2014), di una
circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 139
del 2015) o di reati connessi ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n.
333 del 2009).
Quanto alla sospensione del procedimento con messa alla prova,
che viene in considerazione nel giudizio a quo, essa puo' essere
richiesta a fronte della nuova contestazione di un fatto diverso ex
art. 516 cod. proc. pen. (sentenza n. 14 del 2020) e di una
circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 141
del 2018).
Nulla ha ancora la Corte deciso in relazione alla nuova
contestazione in dibattimento di reati connessi ex art. 517 cod. proc
pen.; e proprio di quest'ultima superstite preclusione si duole il
rimettente.
2.2.- I principi espressi nelle pronunce menzionate impongono che
anche tale residua preclusione sia rimossa, con conseguente
restituzione dell'imputato nel diritto di esercitare le proprie
scelte difensive - ivi compresa la richiesta di messa alla prova -
anche nell'ipotesi oggetto delle odierne censure.
Invero, come ha osservato questa Corte nella sentenza n. 82 del
2019, «[f]atto diverso e reato connesso, entrambi emersi per la prima
volta in dibattimento, integrano [...] evenienze processuali che, sul
versante dell'accesso ai riti alternativi, non possono non
rappresentare situazioni fra loro del tutto analoghe». Pertanto,
anche rispetto all'ipotesi di nuove contestazioni di reati connessi
ex art. 517 cod. proc. pen., dovra' riconoscersi all'imputato la
facolta' di chiedere la messa alla prova, che la sentenza n. 14 del
2020 ha gia' esteso all'ipotesi di contestazione di un fatto diverso.
2.3.- Non osta a tale conclusione la circostanza che la messa
alla prova verrebbe in questo caso - a differenza delle ipotesi
oggetto delle sentenze n. 141 del 2018 e n. 14 del 2020 - ad essere
concessa non in relazione a un unico reato, bensi' a piu' reati in
concorso fra loro.
La previsione di cui all'art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. -
secondo cui la sospensione del procedimento «non puo' essere concessa
piu' di una volta» - non esclude infatti la concedibilita' della
messa alla prova ogniqualvolta venga contestato piu' di un reato,
quando - come nella fattispecie del giudizio a quo - per ciascuno dei
reati in concorso sia astrattamente applicabile l'istituto della
messa alla prova (Corte di cassazione, sezione seconda penale,
sentenza 12 marzo 2015, n. 14112).
2.4.- Le peculiarita' della sospensione del procedimento con
messa alla prova imporranno piuttosto all'imputato, in tal caso, di
scegliere se chiedere di essere sottoposto alla messa alla prova,
ovvero se proseguire il processo nelle forme ordinarie, rispetto a
tutti i reati contestati, compresi quelli oggetto dell'imputazione
originaria.
La ratio dell'istituto impone, in effetti, di distinguere la
situazione all'esame da quella relativa al recupero del rito
abbreviato, decisa dalla sentenza n. 237 del 2012, in cui questa
Corte aveva ritenuto che la richiesta del rito dovesse in tal caso
riferirsi ai soli reati oggetto di nuove contestazioni
dibattimentali, senza che «l'imputato possa recuperare, a
dibattimento inoltrato, gli effetti premiali del rito alternativo
anche in rapporto all'intera platea delle imputazioni originarie,
rispetto alle quali ha consapevolmente lasciato spirare il termine
utile per la richiesta».
Diversamente da quanto accade nel rito abbreviato, nella messa
alla prova convivono un'anima processuale e una sostanziale. Da un
lato, l'istituto e' uno strumento di definizione alternativa del
procedimento, che si inquadra a buon diritto tra i riti alternativi
(sentenze n. 14 del 2020, n. 91 del 2018 e n. 240 del 2015); al
contempo, esso disegna un percorso rieducativo e riparativo,
alternativo al processo e alla pena, ma con innegabili connotazioni
sanzionatorie (sentenza n. 68 del 2019), che conduce, in caso di
esito positivo, all'estinzione del reato.
Proprio tale accentuata vocazione risocializzante, come ha
giustamente evidenziato la giurisprudenza di legittimita', si oppone
alla possibilita' di una messa alla prova "parziale", ossia relativa
ad alcuni soltanto dei reati contestati (Corte di cassazione, sezione
sesta penale, sentenza 12 aprile 2021, n. 24707; Corte di cassazione,
sentenza n. 14112 del 2015).
Piuttosto, l'imputato dovra' essere rimesso in condizione di
optare per la messa alla prova anche con riferimento alle imputazioni
originarie, intraprendendo cosi' quel percorso al quale avrebbe
potuto orientarsi sin dall'inizio, ove si fosse confrontato con la
totalita' dei fatti via via contestatigli dal pubblico ministero.
Una tale scelta dell'imputato non esclude d'altronde che
l'istituto conservi la propria fisiologica funzione deflattiva anche
in questa ipotesi, determinando comunque l'interruzione del processo
e l'estinzione del reato nel caso di esito positivo della messa alla
prova. Il che consente sia di evitare lo svolgimento di ulteriore
attivita' istruttoria, sia di eliminare ogni altro contenzioso legato
all'impugnazione della sentenza di primo grado.
2.5.- L'art. 517 cod. proc. pen. va dunque dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede, in
seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell'art. 12,
comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la facolta' dell'imputato di
richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con
riferimento a tutti i reati contestatigli.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 del codice
di procedura penale, nella parte in cui non prevede, in seguito alla
contestazione di reati connessi a norma dell'art. 12, comma 1,
lettera b), cod. proc. pen., la facolta' dell'imputato di richiedere
la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento
a tutti i reati contestatigli.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 aprile 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
