ATTIVITA’ DI DISTRIBUZIONE DEL GAS NATURALE – PREVISIONE DELL’OBBLIGO PER IL GESTORE USCENTE AL PAGAMENTO DEL CANONE DI CONCESSIONE.
CORTE COSTITUZIONALE 9 novembre – 7 dicembre 2021, SENTENZA N. 239
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Energia - Attivita' di distribuzione del gas naturale - Procedura di gara - Previsione, mediante norma di interpretazione autentica, dell'obbligo, per il gestore uscente, oltre che alla prosecuzione della gestione del servizio fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento, al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza, di certezza del diritto, di legittimo affidamento e di buon andamento dell'amministrazione - Inammissibilita' delle questioni. - Legge 11 dicembre 2016, n. 232, art. 1, comma 453. - Costituzione, artt. 3 e 97.
(GU n.49 del 9-12-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
453, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il
triennio 2017-2019), promosso dal Collegio arbitrale presso la Camera
arbitrale dell'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC), nel
procedimento vertente tra Centria srl e i Comuni di Figline e Incisa
Valdarno, Cavriglia e Montevarchi, con ordinanza del 16 dicembre
2019, iscritta al n. 105 del registro ordinanze 2020 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie
speciale, dell'anno 2020.
Visti gli atti di costituzione di Centria srl e dei Comuni di
Figline e Incisa Valdarno, di Cavriglia e di Montevarchi, nonche' gli
atti d'intervento del Presidente del Consiglio di ministri e del
Comune di Urgnano, e quelli, fuori termine, dei Comuni di Inveruno,
di San Giorgio su Legnano e altri e del Comune di Nerviano, della
IGAS Imprese gas, della Assogas - Associazione nazionale industriali
privati gas e servizi energetici, dell'Utilitalia - Federazione delle
imprese ambientali, energetiche ed idriche, della societa' Sei -
Servizi energetici integrati srl (gia' Tea Sei srl) e della 2i Rete
Gas spa;
udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 2021 il Giudice
relatore Giuliano Amato;
uditi l'avvocato Gianfranco Marchesi per il Comune di Urgnano,
Andrea Manzi e Stefano Ferla per Centria srl, Giovanni Calugi per i
Comuni di Figline e Incisa Valdarno, di Cavriglia e di Montevarchi e
l'avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 9 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Il Collegio arbitrale presso la Camera arbitrale
dell'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC), con ordinanza del 16
dicembre 2019 (reg. ord. n. 105 del 2020), ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 453, della legge 11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
La disposizione censurata prevede che «[l]'articolo 14, comma 7,
del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, si interpreta nel
senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone
di concessione previsto dal contratto. Le risorse derivanti
dall'applicazione della presente disposizione concorrono al
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli
enti locali».
1.1.- Premette il rimettente che le questioni traggono origine
dall'atto introduttivo di arbitrato del 23 febbraio 2018, promosso da
Centria srl ai sensi della clausola compromissoria (da intendersi per
arbitrato rituale) contenuta nell'art. 23 del contratto del 17
settembre 2002, stipulato con i Comuni di Montevarchi, di Cavriglia e
di Figline e Incisa Valdarno, avente ad oggetto l'affidamento in
concessione del servizio di distribuzione del gas naturale. La
societa' concessionaria, in particolare, chiedeva in via principale
di accertare di non dover riconoscere ai Comuni convenuti il canone
di concessione previsto all'art. 6 del contratto dopo la scadenza
(avvenuta il 30 settembre 2014) o, al piu' tardi, trascorso un anno
dalla predetta scadenza. In via subordinata, la societa' chiedeva di
accertare e dichiarare il diritto a vedersi rideterminato il canone
di cui all'art. 6 del citato contratto, con decorrenza dalla scadenza
o, al piu' tardi, con decorrenza da un anno oltre la scadenza e con
riferimento alla fase di gestione ope legis del servizio ex art. 14,
comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione
della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno
del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della legge17 maggio 1999,
n. 144); cio' al fine di rispettare l'equilibrio economico-giuridico
complessivo con gli enti locali convenuti, in coerenza con il regime
gestionale ope legis, limitato alla ordinaria amministrazione, e con
quanto stabilito, in aderenza ai principi generali e di settore,
dall'art. 5, comma 5, del contratto tipo approvato con decreto del
Ministro dello sviluppo economico 5 febbraio 2013 (Approvazione dello
schema di contratto tipo relativo all'attivita' di distribuzione del
gas naturale). Infine, ove fosse impossibile interpretare l'art. 1,
comma 453, della legge n. 232 del 2016 in conformita' al diritto
comunitario e alle norme costituzionali, chiedeva altresi' la
disapplicazione di tale disposizione per illegittimita' comunitaria e
la rimessione della questione di legittimita' costituzionale della
medesima disposizione.
La pretesa di Centria srl trovava la sua fonte nell'accordo
contrattuale sottoscritto dalle parti in data 14 novembre 2014. Ai
sensi dell'art. 3 di tale accordo, la societa' s'impegnava a
continuare la gestione del pubblico servizio di distribuzione del gas
nei territori comunali - come imposto dall'art. 14, comma 7, del
d.lgs. n. 164 del 2000, secondo cui «il gestore uscente resta
comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio
limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data di
decorrenza del nuovo affidamento» - adempiendo a tutti gli obblighi
dell'impresa di distribuzione previsti dalla normativa di settore e
mantenendo in essere le medesime obbligazioni e garanzie di cui alla
concessione originaria. Il patto, intervenuto prima della censurata
norma di interpretazione autentica, ne avrebbe anticipato il
contenuto chiarificatore nell'ambito del rapporto tra le parti,
essendo evidente che tra le medesime obbligazioni non potrebbe non
rientrare il pagamento del canone originario pattuito.
Il patto contrattuale, pertanto, superava la durata annuale della
proroga gia' prevista dal contratto di concessione all'art. 18,
disciplinando il rapporto in termini espliciti anche sulla questione
dubbia del canone, alle stesse condizioni dettate dal contratto
originariamente stipulato (per il principio che la proroga deve
necessariamente intervenire alle medesime condizioni originarie, per
cui e' richiamata la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione terza,
sentenza 5 marzo 2018, n. 1337).
1.2.- Secondo il Collegio arbitrale l'inequivocabile portata
letterale della disposizione censurata impedirebbe di ritenere, come
asserito da Centria srl, che la proroga ope legis non possa comunque
eccedere un anno dalla scadenza del contratto. Sarebbero invece
rilevanti e non manifestamente infondati i prospettati dubbi di
legittimita' costituzionale concernenti la durata potenzialmente
illimitata della gestione ex lege del servizio, con particolare
riferimento alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Dubbi riguardo a
cui risulterebbe necessario sollevare la questione innanzi a questa
Corte, poiche', come precisato dalla piu' recente giurisprudenza
costituzionale, in caso di doppio contrasto di una disposizione
nazionale con i principi costituzionali e con le norme di diritto
europeo, la questione, sostiene il Collegio rimettente, «deve essere
rimessa in primo ordine dinanzi alla Corte nazionale» (e' richiamata
la sentenza n. 269 del 2017).
La natura pattizia delle obbligazioni assunte da Centria srl,
peraltro in epoca precedente di circa due anni rispetto all'entrata
in vigore della disposizione di interpretazione autentica, renderebbe
irrilevanti, ai fini della decisione circa la sussistenza
dell'obbligo di corrispondere il canone per i primi cinque anni, le
eccezioni d'illegittimita' costituzionale mosse nei confronti
dell'art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016, assumendo invece
rilevanza quanto al periodo successivo alla vigenza quinquennale
dell'accordo del 14 novembre 2014.
1.3.- L'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, pertanto,
contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e di certezza del
diritto, nonche' di legittimo affidamento del gestore del servizio,
alla luce della considerazione che l'impresa non avrebbe potuto
prevedere di dover corrispondere il medesimo canone anche una volta
scaduto il termine quinquennale di proroga pattizia.
1.3.1.- Con riferimento alla violazione del principio di
ragionevolezza, che avrebbe assunto un connotato conformativo
rispetto a ogni parametro costituzionale, la disposizione censurata
sembrerebbe essere incongrua e inadeguata anche rispetto al fine che
intenderebbe perseguire (e' richiamata la sentenza di questa Corte n.
43 del 1997), rinvenibile nella prosecuzione della gestione del
servizio per il tempo strettamente necessario all'espletamento della
nuova procedura ad evidenza pubblica.
Infatti, l'impresa resterebbe obbligata a un'illimitata gestione
del servizio non piu' per sua scelta volontaria, ma per il protrarsi
oltre ogni ragionevole previsione della situazione di stallo sul
fronte delle nuove procedure di affidamento. La gestione ex lege
risulterebbe, peraltro, espressamente limitata all'ordinaria
amministrazione e come tale sarebbe, almeno potenzialmente, meno
vantaggiosa per il gestore.
La dilatazione degli impegni assunti oltre il termine pattizio
andrebbe ben al di la' di quanto era possibile prevedere, non solo al
momento di formulazione dell'offerta, ma anche al momento della
sottoscrizione dell'accordo del 14 novembre 2014.
1.3.2.- In riferimento ai profili d'illegittimita' costituzionale
per violazione dei principi di certezza del diritto e di tutela del
legittimo affidamento, rileverebbe anche la giurisprudenza di questa
Corte sull'ammissibilita' delle leggi d'interpretazione autentica,
che possono dirsi costituzionalmente legittime soltanto qualora
abbiano lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del
dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale
irrisolto», o di «ristabilire un'interpretazione piu' aderente alla
originaria volonta' del legislatore [...] a tutela della certezza del
diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di principi di
preminente interesse costituzionale» (viene richiamata la sentenza n.
78 del 2012). Tali disposizioni, tuttavia, devono rispettare una
serie di limiti «attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi
costituzionali, anche di altri fondamentali valori di civilta'
giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso
ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio
generale di ragionevolezza [...]; la tutela dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo
Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010)» (viene citata la
sentenza n. 308 del 2013).
Secondo l'orientamento costante di questa Corte, prosegue il
rimettente, non sarebbe decisivo verificare se la norma censurata
abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia percio'
retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, quanto
piuttosto accertare se la retroattivita' della legge «trovi adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza, di tutela del
legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche,
atteso che essa si limita ad assegnare alla disposizione interpretata
un significato riconoscibile come una delle possibili letture del
testo originario» (sono richiamate le sentenze n. 78 del 2012 e n. 93
del 2011). Con riferimento ai rapporti di durata, come quello oggetto
del giudizio, la nuova disciplina dovrebbe essere valutata sotto il
profilo della razionalita', in modo che non sia leso l'affidamento
del privato nella certezza giuridica (e' richiamata la sentenza n.
525 del 2000).
A ben vedere, l'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016,
nella parte in cui non prevede un termine di durata dello svolgimento
del servizio, comporterebbe il rischio di una sua protrazione
illimitata agli stessi patti e condizioni originari, che l'impresa
avrebbe ritenuto di poter rispettare soltanto per un periodo
limitato, ancorche' da essa stessa consapevolmente prorogato per
cinque anni.
La protrazione potenzialmente illimitata della proroga sarebbe
appunto conseguenza dell'interpretazione autentica operata da una
disposizione che, non prevedendo neppure, come talvolta accade, il
richiamo alla formula del "termine ragionevole", o della "ragionevole
durata" per lo svolgimento ultrattivo del servizio, contrasterebbe
con l'affidamento legittimo degli operatori economici e le esigenze
di certezza dei rapporti giuridici.
1.3.3.- L'inerzia della pubblica amministrazione o comunque i
ritardi e le inadempienze che non hanno consentito ancora di bandire
la gara non potrebbero del resto ragionevolmente essere scaricati
sull'imprenditore aggiudicatario del servizio in una epoca diversa e
con condizioni diverse, ne' tantomeno sugli operatori economici che,
nonostante sia ormai decorso il termine quinquennale di proroga,
attendono l'indizione di una nuova procedura di gara per
l'affidamento del servizio.
Sotto questo ultimo profilo, la disposizione censurata
sembrerebbe porsi in contrasto anche con l'art. 97 Cost., in tema di
buon andamento nell'organizzazione e nell'attivita' amministrativa.
2.- Con atto depositato il 5 ottobre 2021 si e' costituita in
giudizio la societa' Centria srl, chiedendo - ove ritenuta non
praticabile un'interpretazione costituzionalmente orientata che
escluda la proroga automatica sine die del canone previsto nel
contratto scaduto - la declaratoria d'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016.
2.1.- Secondo la difesa della parte privata tale disposizione, in
primo luogo, lederebbe l'art. 3, primo comma, Cost., ai sensi del
costante orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui
e' costituzionalmente illegittima la norma di interpretazione
autentica che in realta' attribuisce alla disposizione interpretata
elementi a essa estranei, non assegnandole un significato
riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario
(sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 15 del 2012 e n. 234
del 2007).
L'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000, oggetto
dell'asserita norma d'interpretazione autentica, infatti, mirerebbe a
escludere, ovvero a ridurre al minimo, la durata della fase che
intercorre tra la scadenza naturale della concessione e la decorrenza
del nuovo affidamento, prevedendo anche l'intervento sostitutivo
regionale. Lungi dal legittimare una proroga della concessione (e del
canone ivi previsto), dunque, esso presupporrebbe l'intervenuta
scadenza della concessione stessa. Per tale ragione, il contratto di
concessione non sarebbe piu' applicabile e il legislatore avrebbe
previsto una disciplina di contenuto minimo al fine di garantire la
continuita' del servizio, nell'ipotesi straordinaria che l'ente
concedente non faccia in tempo a insediare il nuovo concessionario
prima della scadenza del precedente affidamento.
Ritenere tale disposizione, cosi' come interpretata dalla
disposizione censurata, quale recante una proroga ex lege della
concessione sino al nuovo affidamento equivarrebbe a sposare una tesi
ermeneutica estranea rispetto all'ambito dei possibili significati
della disposizione, sovvertendone, anzi, l'impianto logico.
2.2.- In secondo luogo, alla disposizione oggetto
d'interpretazione autentica sarebbe attribuito un significato
incompatibile con il diritto comunitario, con riferimento agli artt.
49, 56 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13
dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, lesivo,
pertanto, dell'art. 117, primo comma, Cost.
La proroga di una concessione scaduta equivarrebbe, infatti, a
nuovo affidamento senza gara (e' richiamata Consiglio di Stato,
sezione quinta, decisione 8 luglio 2008, n. 3391), in contrasto con i
principi di diritto comunitario (e' richiamata la seguente
giurisprudenza comunitaria: Corte di giustizia delle Comunita'
europee, sezione sesta, sentenza 7 dicembre 2000, in causa C-324/98
e, con riferimento specifico al settore della distribuzione del gas
naturale, Corte di giustizia delle Comunita' europee, sezione
seconda, sentenza 17 luglio 2008, in causa C-347/06), ormai
pienamente recepiti anche nell'ordinamento interno (nel settore in
esame proprio dall'art. 14 del d.lgs. n. 164 del 2000).
Come inoltre affermato dalla giurisprudenza ammnistrativa, la
proroga dei contratti pubblici sarebbe compatibile con il diritto
euro-unitario solo in due ben circoscritte ipotesi (si richiama la
pronuncia del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,
sezione II-quater, sentenza 4 settembre 2017, n. 9531): quando la
relativa clausola venga gia' inserita nel bando quale opzione da
esercitarsi da parte della stazione appaltante in favore
dell'operatore economico aggiudicatario della selezione, alle
condizioni fissate fin dall'inizio nella lex specialis di gara
(proroga "tecnica"); o se, una volta scaduta l'efficacia di un
contratto e avviate concretamente e formalmente le procedure per
l'espletamento della nuova selezione pubblica, si renda necessario
garantire la prosecuzione del servizio o della fornitura per tutto il
tempo utile al completamento delle procedure selettive e alla stipula
del nuovo contratto con il nuovo affidatario (proroga "ponte").
Nel caso specifico la norma sub iudice legittimerebbe, invece,
una proroga di durata indeterminata, che opererebbe a prescindere
dalla previsione contrattuale di una proroga tecnica e dal fatto che
la gara risulti gia' indetta alla scadenza.
2.3.- Altresi' violati sarebbero i principi di certezza del
diritto e di tutela del legittimo affidamento, rilevanti, oltre che
sotto il profilo comunitario, anche in riferimento agli artt. 3 e 41
Cost., specie in relazione al sindacato di ragionevolezza a cui sono
soggette le leggi retroattive (ex multis, sono richiamate le sentenze
di questa Corte n. 132 del 2016, n. 150 e n. 146 del 2015, n 170 del
2013, n. 264 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236 del 2009, n. 390 del
1995 e n. 822 del 1988).
L'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, ove
interpretato nel senso della proroga automatica dello stesso canone
previsto dal contratto scaduto, sarebbe chiaramente lesivo dei
suddetti principi.
Infatti, al momento della formulazione della sua offerta di
canone, la societa' non avrebbe potuto certamente prevedere di dover
pagare quello stesso canone per altri anni dopo la scadenza della
concessione, a fronte di una gestione obbligatoria del servizio
indipendente dalla sua volonta' e che, essendo limitata all'ordinaria
amministrazione, sarebbe caratterizzata da condizioni economiche piu'
svantaggiose.
Non sarebbe ammissibile che una norma del 2016, sotto le spoglie
di norma di interpretazione autentica, abbia dilatato gli impegni
assunti in gara dal distributore uscente, ben al di la' di quanto
ragionevole prevedere al momento della formulazione dell'offerta (sul
punto si richiama la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione sesta,
sentenza 5 dicembre 2017, n. 5736).
2.4.- La disposizione censurata violerebbe anche gli artt. 3,
primo comma, 41, primo comma, 42 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, all'art. 6
del Trattato sull'Unione europea (TUE), firmato a Lisbona il 13
dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, e ai gia'
ricordati artt. 49, 56 e 106 TFUE.
La norma de qua, infatti, imporrebbe forzosamente al
concessionario non solo di continuare a gestire il servizio, ma anche
di pagare, in modo automatico, lo stesso canone previsto da un
contratto scaduto anche per tutto il periodo indefinito, successivo
alla scadenza e precedente il nuovo affidamento del servizio;
obbligo, questo, chiaramente aggiuntivo e non previsto dalla norma
originaria, che si porrebbe in contrasto con i suddetti parametri di
legittimita' costituzionale e comunitaria.
Cio' sarebbe causa di gestioni potenzialmente in perdita, con
inaccettabili rischi per la regolarita', la sicurezza e la qualita'
del pubblico servizio; nessuno garantirebbe, infatti, che il piano
economico-finanziario alla base dell'offerta, in equilibrio alla data
di scadenza prevista nel contratto, continui a esserlo anche per il
periodo successivo (neppure contemplato nel piano stesso), allorche'
resterebbero invariati costi per il gestore (in termini di
corrispettivo da versare al Comune), mentre diminuirebbe la
redditivita' della gestione, limitata all'ordinaria amministrazione.
Pertanto, la disposizione censurata non inciderebbe su rapporti
contrattuali nel ragionevole perseguimento di un interesse pubblico
meritevole di tutela, ma, alterando il significato della norma
interpretata, produrrebbe uno squilibro incontrollato nei rapporti
tra concedente e concessionario.
2.5.- Da ultimo, sussisterebbe una violazione anche del principio
del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost.
Se le amministrazioni comunali avessero il diritto di continuare
a pretendere sine die lo stesso canone previsto dalle concessioni
scadute, infatti, esse perderebbero qualunque interesse a svolgere
rapidamente le procedure di gara, in tutti i casi nei quali il
corrispettivo massimo che potrebbero ottenere fosse inferiore
rispetto a quello derivante dal contratto scaduto.
Nel caso specifico, il canone preteso dai Comuni in forza del
contratto scaduto sarebbe significativamente superiore al canone
massimo ottenibile successivamente alla gara ai sensi del
contratto-tipo approvato con il d.m. 5 febbraio 2013.
La norma in questione, quindi, paradossalmente incentiverebbe i
Comuni a ritardare le gare, a fortiori in considerazione del fatto
che sarebbero state cancellate le sanzioni in prima battuta previste
in caso di superamento dei termini per le gare medesime, di cui
all'art. 4, comma 5, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con
modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, successivamente
abrogato.
3.- Con atto depositato il 4 agosto 2020 si sono costituiti in
giudizio i Comuni di Figline e Incisa Valdarno, di Cavriglia e di
Montevarchi, chiedendo che le questioni di legittimita'
costituzionale siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.
3.1.- I Comuni costituiti premettono che, con concessione del 17
settembre 2002, avevano affidato a Coingas spa, a cui e'
successivamente subentrata Centria srl, la gestione del servizio
pubblico di distribuzione del gas.
L'art 18 del contratto di concessione stabilisce che, alla
scadenza dell'affidamento, su richiesta dell'affidante, l'esercente
e' comunque tenuto a proseguire la gestione del servizio alle
medesime condizioni, fino a che l'affidante stesso non sia in grado
di provvedervi direttamente o a mezzo di altra impresa e comunque per
un periodo non superiore a un anno. Dopo la scadenza, il rapporto e'
continuato in forza del comma 7 dell'art. 14 del d.lgs. n. 164 del
2000, ma la gara non e' stata bandita, non essendo stati individuati
gli ambiti territoriali minimi ai sensi dell'art. 46-bis, comma 2,
del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in
materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equita' sociale),
convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 2007, n. 222. Con
l'accordo del 14 novembre 2014 Comuni e Centria srl hanno cosi'
disciplinato i reciproci rapporti nella fase intercorrente tra la
scadenza della concessione e il nuovo affidamento, prevedendo la
prosecuzione della gestione per cinque anni alle medesime
obbligazioni e garanzie indicate nella concessione originaria.
Successivamente il concessionario sarebbe rimasto inadempiente
all'obbligo di pagare la quota variabile del canone per il 2016 e
l'intero corrispettivo per il 2017, non fornendo altresi' i dati per
il calcolo della quota variabile del canone relativo al 2017 e al
2018.
3.2.- Le questioni di legittimita' costituzionale sarebbero, in
via preliminare, inammissibili.
3.2.1.- In primo luogo, nel giudizio a quo non si discuterebbe
dell'obbligo di Centria srl di continuare la gestione del servizio
dopo la scadenza della concessione, non avendo il concessionario
contestato tale obbligo, mentre l'unica pretesa azionata in giudizio
sarebbe quella di non dover corrispondere il canone previsto nel
contratto.
La soluzione delle questioni, pertanto, non inciderebbe
sull'esito del giudizio a quo, ma metterebbe a disposizione della
societa' concessionaria un bene della vita (la liberazione dal
rapporto concessorio) che la controparte non avrebbe domandato.
Da qui l'inammissibilita' delle questioni per difetto di
rilevanza.
3.2.2.- In secondo luogo, le questioni sarebbero inammissibili
per inesatta individuazione della norma censurata.
Se la norma d'interpretazione autentica recata dal comma 453
dell'art. l della legge n. 232 del 2016 venisse eliminata
dall'ordinamento, infatti, rimarrebbe vigente l'art. 14, comma 7, del
d.lgs. n. 164 del 2000 e, quindi, il concessionario dovrebbe comunque
continuare ad assicurare la gestione del servizio pubblico e a
corrispondere il canone previsto nel contratto.
3.2.3.- Le questioni sarebbero inammissibili anche per difetto di
motivazione.
Il Collegio arbitrale, infatti, si sarebbe limitato a richiamare
i condivisibili principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale
in punto di ragionevolezza della norma, certezza del diritto e tutela
del legittimo affidamento, ma avrebbe argomentato in modo generico e
astratto la loro asserita violazione da parte della disposizione
censurata.
L'ordinanza di rimessione, infatti, non conterrebbe alcun
concreto riferimento alle asserite conseguenze negative che Centria
srl subirebbe a causa dell'adempimento dell'obbligo di pagare il
corrispettivo previsto nel contratto scaduto, anche durante il
periodo di gestione ope legis, e mancherebbe qualsiasi valutazione in
ordine alla convenienza per la societa' concessionaria, sotto il
profilo economico e finanziario, di continuare la gestione alle
stesse condizioni.
3.3.- Le questioni sarebbero, in ogni caso, non fondate.
3.3.1.- L'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 e' in
vigore dal 21 giugno 2000. Quando i Comuni hanno sottoscritto il
contratto del 2002 con il concessionario, quest'ultimo sarebbe stato,
quindi, pienamente consapevole di essere tenuto a proseguire nella
gestione del servizio dopo la scadenza del rapporto, fino al subentro
del nuovo concessionario.
Un essenziale servizio pubblico, qual e' quello della
distribuzione del gas, d'altronde, non potrebbe essere interrotto; la
previsione normativa in questione, pertanto, tutelerebbe l'interesse
della collettivita' e non pregiudicherebbe quello del concessionario.
L'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016 sarebbe cosi'
una vera norma di interpretazione autentica, limitandosi a confermare
che la portata generale dell'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del
2000 comprende l'obbligo di pagamento del canone di concessione
previsto dal contratto.
Com'e' noto, una legge d'interpretazione autentica non puo' dirsi
costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla
disposizione interpretata un significato gia' in essa contenuto,
riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario
(ex plurimis, sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 271 e n.
257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso,
infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire
«situazion[i] di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione
di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» o di «ristabilire
un'interpretazione piu' aderente alla originaria volonta' del
legislatore» (cosi' la sentenza n. 311 del 2009), «a tutela della
certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioe' di
principi di preminente interesse costituzionale» (e' richiamata la
sentenza n. 78 del 2012). Dunque, quando il legislatore assegna alle
disposizioni interpretate un significato in esse gia' contenuto,
riconoscibile come una delle loro possibili varianti di senso, cio'
influisce sul positivo apprezzamento, sia della ragionevolezza della
norma d'interpretazione autentica, sia sulla non configurabilita' di
una lesione dell'affidamento dei soggetti destinatari (si richiama la
sentenza n. 73 del 2017).
La disposizione censurata non solo non introdurrebbe
nell'ordinamento una nuova previsione, ma neppure inciderebbe
negativamente sul sinallagma del rapporto concessorio.
Non a caso, gia' prima della norma di interpretazione autentica,
l'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico -
AEEGSI (oggi Autorita' di regolazione per energia reti e ambiente -
ARERA), nel comunicato del 19 maggio 2016 (Chiarimenti in relazione
alla sussistenza dell'obbligo di pagamento del canone per il servizio
di distribuzione del gas naturale da parte del concessionario del
servizio nel periodo di prosecuzione del servizio), aveva affermato
l'applicazione delle regole previgenti in relazione al rapporto tra
gestore e utenti nel periodo di prosecuzione.
3.3.2.- Per quanto concerne l'asserita violazione dell'art. 97
Cost., le censure sarebbero generiche e non coinvolgerebbero il
contenuto della norma censurata, ma il ritardo della pubblica
amministrazione nell'avvio delle nuove gare.
Dovrebbe altresi' considerarsi che il citato art. 14, comma 7,
del d.lgs. n. 164 del 2000 prevede che, qualora l'ente locale non
provveda a indire una nuova gara, la Regione, anche attraverso la
nomina di un commissario ad acta, avvia la procedura di gara. Centria
srl non si sarebbe avvalsa di tale facolta', in maniera coerente, si
sostiene, con il suo interesse a continuare la gestione del servizio.
4.- Con atto depositato il 24 settembre 2020 e' intervenuto nel
presente giudizio il Comune di Urgnano, argomentando
l'inammissibilita' o comunque la non fondatezza delle questioni.
4.1.- In punto di ammissibilita' dell'intervento il Comune
sottolinea di aver stipulato con la societa' 2i rete Gas spa un
contratto-convenzione di durata trentennale, su cui sono sorti
contrasti interpretativi in merito alle obbligazioni facenti capo
alle parti a seguito della normativa introdotta con l'art. 14, comma
7, del d.lgs. n. 164 del 2000, con particolare riferimento
all'obbligo per il concessionario di corrispondere il canone
convenuto anche per il periodo successivo al 31 dicembre 2012, data
da cui ha avuto inizio il periodo di prorogatio ex lege della
concessione. Su tale contenzioso si sono pronunciati il Tribunale
ordinario di Bergamo, con la sentenza 22 febbraio 2017, n. 452, e la
Corte d'appello di Brescia, con la sentenza 28 aprile 2020, n. 402,
confermando la sussistenza dell'obbligo di pagare il canone e
rigettando l'eccezione d'illegittimita' costituzionale dell'art. l,
comma 453, della legge n. 232 del 2016. Tale eccezione, nondimeno, e'
stata riproposta innanzi alla Corte di cassazione, ove pende il
giudizio.
Sussisterebbe, pertanto, un interesse qualificato, inerente in
modo diretto e immediato il rapporto dedotto in giudizio tale da
rendere ammissibile l'intervento, potendo l'ente locale essere
pregiudicato da un'eventuale declaratoria d'illegittimita'
costituzionale nell'ambito del giudizio radicatosi avanti la Corte di
cassazione.
5.- Con atto depositato il 5 ottobre 2020 e' intervenuto nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.
5.1.- In primo luogo, le questioni sarebbero inammissibili sotto
un duplice profilo, concernente il difetto di motivazione sulla
rilevanza.
5.1.1.- Nella specie, non sarebbero chiare le ragioni che
renderebbero rilevanti le questioni nonostante il giudizio riguardi
un'obbligazione di fonte negoziale prevista dalle parti ben due anni
prima dell'entrata in vigore della norma interpretativa.
Il generico riferimento a un non meglio precisato periodo di
cinque anni di proroga negoziale non consentirebbe di verificare la
correttezza del suddetto ragionamento, perche' il Collegio arbitrale
non indicherebbe ne' la data di decorrenza, ne' quella di scadenza
della proroga negoziale del contratto, ne' infine preciserebbe il
periodo temporale oggetto della richiesta di pagamento del canone
avanzata dai Comuni. Tale elemento sarebbe essenziale ai fini della
rilevanza, perche' il giudizio a quo riguarderebbe l'azione di
accertamento negativo di un credito, che sarebbe ammissibile sotto il
profilo dell'interesse ad agire solo nei limiti in cui coincide con
l'altrui rivendicazione del credito oggetto di contestazione, non
potendo tale azione essere proposta per uno scopo meramente astratto
e preventivo.
Il fatto che la societa' istante abbia chiesto l'accertamento
negativo anche con riguardo al tempo successivo al periodo della
proroga pattizia non basterebbe per affermare la rilevanza delle
questioni, perche' non sarebbe dato sapere se tale domanda di
accertamento corrisponda a una rivendicazione per il medesimo
periodo.
5.1.2.- Ulteriore profilo di inammissibilita' deriverebbe da una
non corretta lettura della citata sentenza n. 269 del 2017. Ivi,
infatti, sarebbe stata affermata la prevalenza della pregiudiziale
costituzionale su quella eurounitaria, delineandosi solo un'eccezione
ai principi consolidati a partire dalla sentenza n. 170 del 1984,
nell'ipotesi in cui il contrasto della norma nazionale con il diritto
eurounitario si sostanzi nella lesione dei diritti garantiti nella
CDFUE, che intersecano in larga misura i diritti enunciati nella
Costituzione italiana, facendo cosi' sorgere la necessita' di un
intervento erga omnes di questa Corte.
Nella fattispecie, il rimettente da un lato non spenderebbe
nessuna considerazione in merito alla violazione di un diritto
previsto dalla CDFUE; dall'altro non compirebbe alcuna delibazione
per valutare l'applicabilita' della norma censurata nel giudizio
posto al suo esame, nonostante la parte abbia eccepito la sua
contrarieta' col diritto dell'Unione europea e ne abbia chiesto la
disapplicazione.
Pertanto, ricorrerebbe la stessa situazione che ha indotto la
citata sentenza n. 269 del 2017 a dichiarare inammissibili le
questioni per difetto di motivazione sulla rilevanza.
5.2.- Le questioni sarebbero in ogni caso non fondate.
5.2.1.- L'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000, oggetto
d'interpretazione autentica, sarebbe formulato in modo tale da non
consentire la protrazione a tempo indeterminato del rapporto
concessorio, perche' non solo porrebbe una precisa cadenza temporale
obbligatoria per l'avvio della procedura di gara, ma contemplerebbe
un'esecuzione in forma specifica di tale obbligo attraverso
l'intervento della Regione, anche con la nomina di un commissario ad
acta, per rimediare all'eventuale inerzia degli enti locali. Qualora
il suddetto rimedio non dovesse andare a buon fine, il gestore in
prorogatio non sarebbe tenuto a continuare a pagare il canone
originario e ben potrebbe ottenere lo scioglimento dal vincolo
contrattuale, oltre al risarcimento del danno subito in conseguenza
dell'inerzia della pubblica amministrazione nella conclusione della
nuova gara.
Si tratterebbe, quindi, di una disposizione che non solo non
prevedrebbe una proroga a tempo indeterminato degli impegni
contrattuali, ma neppure la consentirebbe, sancendo un preciso
obbligo a carico degli enti locali di non procrastinare la prorogatio
sine die e apprestando un rimedio stringente per garantirne
l'adempimento.
Il giudice rimettente non avrebbe tenuto minimamente conto di
tale disciplina della successione nella gestione del servizio, la
quale corrisponderebbe a una scelta legislativa del tutto
ragionevole, che si collocherebbe in un punto di equilibrio tra
l'interesse pubblico alla continuita' del servizio di distribuzione
del gas e l'interesse del gestore uscente a non subire un'illimitata
prorogatio dei suoi obblighi contrattuali.
6.- Sono stati depositati ulteriori atti d'intervento, tuttavia
oltre il termine previsto dall'art. 4, comma 4, delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, pari a
venti giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza di rimessione,
avvenuta nella Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2020, n. 37.
6.1.- In particolare, con atto depositato il 30 aprile 2021, sono
intervenuti in giudizio, ad opponendum, i Comuni di Inveruno di San
Giorgio su Legnano, di Bernate Ticino, di Cuggiono, di Marcallo con
Casone, di Busto Garolfo, di Peschiera Borromeo e il Comune di
Nerviano.
6.2.- Con atti depositati rispettivamente il 18 e il 19 ottobre
2021, inoltre, sono intervenute in giudizio, ad adiuvandum, l'IGAS
Imprese gas, l'Assogas - Associazione nazionale industriali privati
gas e servizi energetici, l'Utilitalia - Federazione delle imprese
ambientali, energetiche ed idriche, la societa' Sei - Servizi
energetici integrati srl (gia' Tea Sei srl) e la societa' 2i rete GAS
spa.
7.- In prossimita' dell'udienza sono state depositate numerose
memorie.
7.1.- In primo luogo, l'Avvocatura generale dello Stato insiste
sull'eccezione d'inammissibilita' per aberratio ictus, in quanto le
censure avrebbero dovuto essere rivolte contro la norma oggetto di
interpretazione autentica (l'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del
2000) e non contro la norma interpretativa (l'art. l, comma 453,
della legge n. 232 del 2016).
7.1.1.- Nel merito, lo Stato sottolinea che, come piu' volte
affermato da questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 103 del
2013, n. 74 del 2008, n. 234 del 2007, n. 274 del 2006, n. 282 del
2005, n. 374 e n. 29 del 2002, n. 525 del 2000, n. 229 del 1999 e n.
397 del 1994), sarebbe sostanzialmente sotto il profilo della
ragionevolezza che bisognerebbe valutare l'idoneita' di una norma a
disciplinare anche situazioni pregresse.
L'obbligo di pagamento del canone di concessione da parte del
gestore del servizio risponderebbe proprio a un criterio di
ragionevolezza, che consisterebbe nel conservare, anche durante il
periodo di proroga, il preesistente rapporto sinallagmatico voluto
dalle parti, considerato che anche in tale periodo il gestore uscente
continuerebbe a percepire gli introiti contrattualmente previsti e
quindi non vi sarebbe ragione di modificare i rapporti economici tra
le parti a tutto vantaggio dell'impresa.
Ne' ci si troverebbe innanzi a una proroga potenzialmente
illimitata, in quanto la norma oggetto di interpretazione autentica
porrebbe una perentoria cadenza temporale per l'avvio della procedura
di gara, il cui rispetto sarebbe garantito da una sorta di esecuzione
in forma specifica di tale obbligo, attraverso l'intervento della
Regione, anche con la nomina di un commissario ad acta, per rimediare
all'eventuale inerzia degli enti locali.
Si tratterebbe, quindi, di una scelta legislativa che
bilancerebbe in modo equilibrato e ragionevole l'interesse pubblico
alla continuita' di un servizio essenziale per la collettivita' e
l'interesse imprenditoriale del gestore uscente.
7.2.- In secondo luogo, il Comune di Urgnano ha depositato una
memoria ribadendo la propria legittimazione a intervenire nel
giudizio, nonche' le ragioni d'inammissibilita' e non fondatezza
delle questioni.
7.3.- I Comuni di Montevarchi, di Cavriglia e di Figline e Incisa
Valdarno, nelle proprie memorie, ricostruiscono in modo piu'
dettagliato il quadro normativo.
7.3.1.- Ai sensi dell'art. 46-bis, comma 2, del d.l. n. 159 del
2007, come convertito, le gare per l'affidamento del servizio devono
avvenire per ambiti territoriali minimi (Atem), individuati dai
Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le
autonomie locali, su proposta dell'AEEGSI e sentita la Conferenza
unificata.
Sono cosi' stati individuati dall'art. 1 del decreto del Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti
con le Regioni e la coesione territoriale, 19 gennaio 2011
(Determinazione degli ambiti territoriali nel settore della
distribuzione del gas naturale) 177 Atem e l'art. 1 del decreto del
Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i
rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 18 ottobre 2011
(Determinazione dei Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale
del settore della distribuzione del gas naturale) ha inserito i
Comuni di Montevarchi e di Cavriglia nell'Atem Arezzo e il Comune di
Figline e Incisa Valdarno nell'Atem Firenze 2.
Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 12 novembre
2011, n. 226 (Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione
dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del
gas naturale, in attuazione dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1°
ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla
legge 29 novembre 2007, n. 222) ha poi stabilito le modalita'
d'individuazione, per ciascun Atem, del soggetto incaricato, quale
stazione appaltante, di predisporre gli atti di gara, compresa la sua
aggiudicazione, sulla base di criteri nuovi ed uniformi per l'intero
territorio nazionale.
L'art. 24, comma 4, ultimo periodo, del decreto legislativo 1°
giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE
e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno
dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura
comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale
industriale di gas e di energia elettrica, nonche' abrogazione delle
direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), inoltre, ha escluso la selezione
del gestore a livello comunale, stabilendo che le gare possono essere
effettuate unicamente per ambiti territoriali.
I termini entro i quali gli Atem Arezzo e Firenze 2 avrebbero
dovuto pubblicare il bando di gara sono stati poi prorogati dal
legislatore, prima dall'art. l, comma 16, del decreto-legge 23
dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano
"Destinazione Italia", per il contenimento delle tariffe elettriche e
del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione
di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, in
legge 21 febbraio 2014, n. 9, poi dall'art. 3 del decreto-legge 30
dicembre 2015, n. 210 (Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative), convertito, con modificazioni, in legge 25 febbraio
2016, n. 21, e sono successivamente scaduti.
Con il comma 2 dell'art. 4 del d.l. n. 69 del 2013, come
convertito, - modificato dall'art. 3, comma 2-ter, lettera a), del
d.l. n. 210 del 2015, come convertito - il legislatore ha stabilito
che i termini fissati dal d.m. n. 226 del 2011 per l'avvio delle
procedure di gara hanno natura perentoria. Scaduti tali termini, la
Regione competente sull'ambito assegna ulteriori sei mesi per
adempiere, decorsi i quali avvia la procedura di gara attraverso la
nomina di un commissario ad acta. Decorsi due mesi dalla scadenza di
tale ultimo termine senza che la Regione competente abbia proceduto
alla nomina del commissario, il Ministro dello sviluppo economico,
sentita la stessa Regione, interviene per dare avvio alla gara
nominando un commissario ad acta.
A seguito di tale evoluzione del quadro normativo, alcuni dei
concessionari in regime di proroga ex lege ai sensi dell'art. 14,
comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 hanno avviato iniziative
giudiziarie, pretendendo di essere liberati dall'obbligo di pagare il
canone previsto dai contratti scaduti.
Vista la non uniformita' della giurisprudenza sul punto, e'
intervenuto l'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, oggetto
di censura, chiarendo la necessita' di corrispondere il canone
previsto dal contratto anche nella fase di transizione al nuovo
affidamento.
7.3.2.- Cio' premesso, la memoria ribadisce l'inammissibilita'
delle questioni per difetto di rilevanza, poiche' la disposizione
censurata non inciderebbe sulla durata della proroga del rapporto e,
pertanto, se anche fosse eliminata dall'ordinamento, rimarrebbe
vigente l'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 (tra le altre,
sono richiamate: Corte d'appello di Brescia, sentenza n. 402 del
2020, e Corte d'appello di Milano, sezione prima, sentenza 18 giugno
2019, n. 2695).
Ulteriore ragione d'inammissibilita' deriverebbe dalla
insufficienza della motivazione dell'ordinanza di rimessione, non
venendo argomentate le conseguenze negative che la gestione ex lege
determinerebbe sul concessionario, ne' si terrebbe conto della
disciplina dei rimedi a disposizione del gestore uscente per superare
l'inerzia dell'amministrazione nell'individuazione del nuovo
concessionario.
7.3.3.- Nel merito le questioni sarebbero in ogni caso non
fondate.
7.3.3.1.- La disposizione censurata avrebbe, infatti, natura
interpretativa secondo quanto statuito da costante giurisprudenza
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 39 del 2021, n. 108
del 2019, n. 73 del 2017 e n. 170 del 2008), confermando anche quelle
posizioni della giurisprudenza di merito, antecedenti all'art. l,
comma 453, della legge n. 232 del 2016, secondo cui l'art. 14, comma
7, del d.l.gs. n. 164 del 2000 comporterebbe nella fase di proroga
l'applicazione dell'intera disciplina contrattuale (tra le altre, si
richiama Tribunale ordinario di Milano, sezione settima, sentenza 18
ottobre 2012).
Il regime della prosecuzione del rapporto individuerebbe un
ragionevole punto di equilibrio tra l'interesse della collettivita' a
evitare una soluzione di continuita' nella gestione di un essenziale
servizio pubblico, quale quello della distribuzione del gas, e
l'interesse del concessionario a non essere vincolato a un'illimitata
gestione del servizio, venendo assicurati allo stesso i rimedi contro
l'inerzia della pubblica amministrazione nel bandire le gare per i
nuovi affidamenti.
La situazione di cui i concessionari si lamentano non sarebbe
conseguenza, quindi, di una sopravvenienza normativa, ma del tempo
necessario agli Atem (e non al singolo Comune concedente) per lo
svolgimento delle procedure di selezione del nuovo gestore.
Si tratterebbe, pertanto, al piu' di un mero inconveniente di
fatto.
7.3.3.2.- Ne' potrebbe dirsi che la proroga dell'attivita' del
gestore, poiche' limitata all'ordinaria amministrazione incida
sull'equilibrio contrattuale.
Le eventuali attivita' di estensione della rete, infatti,
avrebbero potuto essere realizzate dal gestore solo in esecuzione di
un piano d'intervento approvato dai Comuni interessati ai lavori;
l'asserita maggiore remunerazione del capitale a tal fine investito
sarebbe, dunque, una componente dei ricavi soltanto eventuale; si
tratterebbe di una (indimostrata) contrazione dei guadagni, in
relazione ai quali Centria srl non avrebbe potuto maturare alcun
legittimo affidamento in considerazione della disciplina
contrattuale.
Pertanto, la societa' non cercherebbe di evitare un danno, ma
perseguirebbe lo scopo di rimanere in una situazione di vantaggio
(prosecuzione della gestione del servizio), lucrando l'ulteriore
beneficio che le deriverebbe dalla liberazione dall'obbligo di pagare
il canone ovvero dall'arbitraria determinazione di un canone
inferiore a quello contrattualmente stabilito dalle parti.
In tal modo, pero', non si avrebbe una proroga del rapporto
concessorio scaduto, ma un nuovo affidamento a condizioni diverse da
quelle scaturite dalla gara aggiudicata nel 2002, con violazione
delle norme che impongono l'affidamento delle concessioni tramite
gara.
7.4.- Infine, anche la societa' Centria srl ha depositato una
memoria.
7.4.1.- In punto di rilevanza, la parte costituita replica alle
eccezioni d'inammissibilita' delle questioni sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato.
7.4.1.1.- In primo luogo, con riferimento al difetto di
motivazione, la societa' ricorda che, per pacifica giurisprudenza
costituzionale, il riscontro dell'interesse ad agire e la verifica
della legittimazione delle parti sarebbero rimessi alla valutazione
del giudice rimettente, non rientrando tra i poteri di questa Corte
sindacare la validita' dei presupposti di esistenza del giudizio a
quo, a meno che questi non risultino manifestamente e
incontrovertibilmente carenti, essendo sufficiente che l'ordinanza di
rimessione argomenti non implausibilmente la rilevanza della
questione (sono richiamate le sentenze n. 224 del 2020, n. 126 e n.
99 del 2018, n. 200 del 2014, n. 61 del 2012 e n. 270 del 2010).
Inoltre, con riferimento alle domande di mero accertamento, «[i]l
fatto costitutivo che giustifica l'interesse ad agire e' [...]
ragionevolmente individuabile nella disciplina legislativa gia'
entrata in vigore», in quanto, a mente della pacifica giurisprudenza
di legittimita', anche la rimozione di una incertezza «rappresenta
[...] un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile
se non attraverso l'intervento del giudice» (sentenza n. 35 del
2017).
Come chiarito anche dalla giurisprudenza della Corte di
cassazione, inoltre, l'interesse ad agire in un'azione di mero
accertamento non implicherebbe necessariamente l'attualita' della
lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza
oggettiva che non sia superabile se non con l'intervento del giudice
(sono richiamate le seguenti pronunce: sezioni unite civili, sentenza
7 luglio-18 settembre 2020, n. 19597; sezione lavoro, sentenza
11-marzo-31 luglio 2015, n. 16262; sezione prima civile, sentenza 4
dicembre 2013-19 febbraio 2014, n. 3885; sezione seconda civile,
sentenza 14 novembre 2002, n. 16022).
Nel caso di specie, il Collegio arbitrale avrebbe inteso
distinguere espressamente il periodo coperto dall'accordo del 2014
dal periodo successivo, decorrente dal 1° ottobre 2019, dunque gia'
in corso al momento della rimessione delle questioni innanzi a questa
Corte; in tale momento gia' sussisteva, pertanto, uno stato di
incertezza, configurabile comunque sin dalla proposizione dell'azione
nel giudizio a quo, a conferma dell'attualita' della lesione del
diritto.
7.4.1.2.- In secondo luogo, in relazione all'eccezione
d'inammissibilita' per mancata considerazione in via preliminare dei
profili di contrasto con il diritto eurounitario, negli atti
depositati da Centria srl sarebbero stati sollevati profili di
contrasto con norme di diritto comunitario contenute, sia nei
trattati, sia nella CDFUE, ma il Collegio arbitrale avrebbe ritenuto
di far riferimento, in via assorbente, agli artt. 3 e 97 Cost., in
particolare in relazione alla ragionevolezza e ai limiti delle leggi
di interpretazione autentica (sono richiamate le sentenze n. 308 del
2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). Limiti che sarebbero
espressione di valori costituzionali e principi fondamentali
(ragionevolezza, uguaglianza, legittimo affidamento, certezza del
diritto), in evidente sovrapposizione con la CDFUE.
7.4.2.- Nel merito Centria srl ribadisce le ragioni a favore
dell'illegittimita' costituzionale dell'art. l, comma 453, della
legge n. 232 del 2016.
7.4.2.1.- Nel citato comunicato del 19 maggio 2016 l'AEEGSI (oggi
ARERA) avrebbe precisato soltanto che nella fase transitoria il
gestore del servizio di distribuzione non e' di per se' esonerato dal
dover corrispondere un canone, pur con una formulazione testuale
infelice («il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone
di concessione previsto dal contratto»), che sembrerebbe far pensare
a una automatica e vincolante proroga del medesimo canone anche per
tutta la fase transitoria.
Una tale lettura sarebbe pero' costituzionalmente illegittima,
poiche' esisterebbe un criterio-limite per la determinazione del
canone che i Comuni possono esigere dal gestore e, quindi, porre a
base di gara. Ogni superamento di questo limite potrebbe
giustificarsi unicamente in virtu' di una offerta volontaria del
gestore stesso.
L'Autorita' di settore avrebbe esplicitato detto limite gia'
nell'ambito dei chiarimenti resi in sede giudiziale in data 31 luglio
2003 (i cui contenuti sarebbe poi stati recepiti dal d.m. n. 226 del
2011), in riferimento al sistema tariffario allora vigente, il quale,
peraltro in modo sostanzialmente analogo a quello attuale, riservava
una componente della tariffa (allora denominata "CGD") alla copertura
dei costi operativi (gestione ordinaria) e una (denominata "CCD")
alla copertura dei costi di capitale (investimenti). L'Autorita'
avrebbe precisato, anzitutto, che la componente CGD dovesse essere
necessariamente riconosciuta al soggetto che svolgeva tale servizio,
mentre la componente CCD si divideva in due voci: una destinata a
finanziare le opere di manutenzione straordinaria dell'impianto (voce
"s"), l'altra destinata a remunerare il capitale investito (voce
"rd"); qualora l'impianto fosse di proprieta' dell'ente locale, il
canone non poteva comunque intaccare la componente "s" del "CCD",
pari mediamente al 30-35 per cento e, quindi, poteva giungere a
coprire sino al 65-70 per cento del medesimo "CCD" (sempre e solo nel
caso del Comune proprietario dell'impianto).
Il contratto-tipo approvato con il d.m. 5 febbraio 2013
recepirebbe in toto tale approccio. Esso (art. 5, comma 5.5), non a
caso, per la fase di gestione successiva alla scadenza
dell'affidamento, sino alla decorrenza del nuovo affidamento,
escluderebbe l'applicazione di tutti gli articoli che recepiscano
condizioni volontariamente offerte o accettate dal concessionario e
non derivino da obblighi legislativi o regolatori, in particolare del
successivo art. 28, ove si prevede il corrispettivo offerto a favore
dell'ente locale. Il gestore sarebbe invece tenuto a continuare a
retrocedere all'ente solo la remunerazione tariffaria del capitale
investito dall'ente stesso per la realizzazione della parte di
impianto di sua proprieta', ossia il corrispettivo dovuto per
l'utilizzo della rete o porzione di rete di proprieta' dello stesso
ente locale (di cui all'art. 27 del medesimo contratto-tipo).
Orbene, il canone offerto da Centria srl per la sola durata
pattizia del rapporto concessorio supererebbe nettamente la quota
della tariffa che il Comune potrebbe esigere, in assenza di una
espressa volonta' negoziale del concessionario, assorbendo circa il
94 per cento dell'intero ricavo tariffario di localita'. Se, in
costanza del periodo contrattuale, un tale canone avrebbe potuto
trovare giustificazione nell'offerta volontariamente formulata dalla
concessionaria, analoga giustificazione non potrebbe permanere dopo
la scadenza, se non accettando una manifesta alterazione del
sinallagma contrattuale.
Inoltre, il pregiudizio per il gestore sarebbe aggravato dalla
limitazione della gestione, nella fase transitoria, all'ordinaria
amministrazione, con l'esclusione degli investimenti e della
correlata remunerazione, il che determinerebbe l'ineluttabile
continua diminuzione del ricavo tariffario di localita'.
7.4.2.2.- Il vulnus al sinallagma contrattuale non sarebbe poi
risolvibile dagli istituti previsti dall'ordinamento per tali casi.
La proroga legale del contratto, infatti, su un piano puramente
astratto renderebbe applicabili gli istituti in materia di contratti
pubblici previsti gia' dall'art. 19, comma 2-bis, della legge 11
febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici),
poi dall'art. 143, comma 8, del decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e
infine dall'art. 165, comma 6, del decreto legislativo 18 aprile
2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).
Ai sensi di tali disposizioni la tutela sinallagmatica
scatterebbe quando si siano verificati, nel corso del rapporto,
sopravvenienze non imputabili al concessionario, tali da modificare
l'equilibrio del piano economicofinanziario posto alla base della
concessione; in presenza di questi presupposti, il concessionario
puo' richiedere la revisione del piano e, in mancanza di tale
revisione, ha il diritto di recedere dal contratto.
Nel caso di specie, pero', il principale fattore di squilibrio
non sarebbe costituito da modifiche in peius (di fatto o di diritto)
intervenute nel corso del rapporto, bensi' dall'obbligo di pagare un
canone di entita' decisamente superiore rispetto allo standard di
congruita' definito in sede regolatoria, ben oltre la scadenza del
suo impegno negoziale e senza limiti di tempo definiti ex ante. Tra
l'altro, tale forma di tutela, ove le parti non trovino un accordo
sulla revisione delle condizioni del rapporto, si risolve nel diritto
di recesso del concessionario; recesso che non potrebbe comunque
intervenire, in quanto l'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000
impone al distributore uscente di garantire la continuita' del
pubblico servizio sino al subentro del nuovo concessionario d'ambito.
Discorso analogo potrebbe farsi per l'istituto generale
dell'eccessiva onerosita' sopravvenuta ex art. 1467 del codice
civile. Anche qui la norma codicistica appresterebbe tutela a fronte
di sopravvenienze verificabili nel corso del rapporto contrattuale,
non gia' rispetto alla scelta legale di dilatare senza limiti
definiti la durata di tale rapporto.
Qualora, invece, si ritenesse che la proroga riguardi la sola
gestione ope legis, le conseguenze potrebbero essere le medesime, se
la formulazione della disposizione impugnata fosse intesa nel senso
di escludere una riconduzione del canone nei limiti di congruita'
posti dalla regolazione, laddove non vi sia un impegno volontario
dell'operatore economico ad erogare importi superiori.
Tali conseguenze sarebbero superabili solo dando una piu'
ragionevole interpretazione del disposto normativo, in conformita'
anche alla giurisprudenza della Corte di cassazione sulla clausola
generale di correttezza e buona fede (sono richiamate: sezione terza
civile, sentenza 30 settembre-10 novembre 2010, n. 22819; sezione
prima civile, sentenza 16 dicembre 2008-22 gennaio 2009, n. 1618;
sezioni unite civili, sentenza 11-25 novembre 2008, n. 28056; sezione
prima civile, sentenza 20 giugno-6 agosto 2008, n. 21250; sezione
prima civile, sentenza 11 luglio-27 ottobre 2006, n. 23273).
7.4.2.3.- Nella giurisprudenza di merito sarebbero riscontrabili,
sul punto, tre posizioni.
In primo luogo, quella espressa dall'ordinanza di rimessione che,
interpretando la norma nel senso della proroga cogente e
incondizionata, per un tempo indeterminabile ex ante, dell'obbligo di
pagamento del canone previsto nel contratto scaduto, conclude per la
sua illegittimita' costituzionale.
In secondo luogo, l'indirizzo che esclude l'ipotesi della proroga
ex lege del contratto di concessione e, in particolare, afferma il
diritto del concessionario alla determinazione di un canone equo
secondo i principi generali e le norme di settore (si richiama la
pronuncia del Tribunale ordinario di Lucca, sentenza n. 1374 del
2019).
Da ultimo, il filone giurisprudenziale formatasi in misura
crescente dopo l'entrata in vigore della disposizione censurata
(richiamato dalle altre parti costituite), che riconosce la proroga
ex lege del contratto di concessione. Filone che sembrerebbe
limitarsi a prendere in esame l'alternativa tra l'estinzione
dell'obbligo di pagamento del canone durante la fase transitoria e
l'invarianza pura e semplice del canone contrattuale durante tale
fase, scegliendo la seconda alternativa. Interpretazione che non
potrebbe superare il sindacato di ragionevolezza ex art. 3, primo
comma, Cost., come correttamente affermato dal giudice a quo.
7.4.2.4.- Infine, la difesa di Centria srl aggiunge che la mera
possibilita' per il gestore uscente di sollecitare l'indizione della
gara, chiedendo anche l'attivazione dell'intervento sostitutivo
regionale, con la nomina di un commissario ad acta, non costituirebbe
affatto un rimedio idoneo a tutelare effettivamente la sua posizione
giuridica e a evitare la violazione degli evocati parametri
costituzionali.
L'ente competente a indire la gara, infatti, sarebbe tenuto ad
attivarsi d'ufficio, cosi' come le autorita' investite ex lege dei
poteri d'intervento sostitutivo. La colpevole inerzia della pubblica
amministrazione, anzi, farebbe persino venire meno i presupposti per
l'applicazione della proroga tecnica, posto che una delle condizioni
di ammissibilita' della stessa sarebbe che il ritardo nell'indizione
della gara non sia imputabile alla pubblica amministrazione, ma
dipenda da ragioni oggettive (sul punto e' richiamata la
deliberazione dell'ANAC 28 luglio 2021, n. 591).
In ogni caso, anche ove fossero attivati i ricordati rimedi,
permarrebbe per il gestore l'obbligo di continuare ad applicare le
gravose condizioni economiche previste dal contratto scaduto per un
tempo comunque incerto, la cui durata resterebbe al di fuori dalla
sua sfera di controllo e, soprattutto, in presenza di una situazione
che in alcun modo deriverebbe da proprie negligenze o
dall'inadempimento dei propri obblighi (contrattuali e normativi).
Nel caso specifico, come gia' evidenziato in atti, il canone
preteso dai Comuni in forza del contratto scaduto sarebbe
significativamente superiore al canone massimo ottenibile post gara
ai sensi del contratto-tipo, costituito dalla remunerazione del
capitale investito dall'ente concedente per l'impianto di sua
proprieta', a cui si potrebbe aggiungere, al massimo, se l'operatore
economico lo offre in gara, un ulteriore corrispettivo non superiore
al 10 per cento delle componenti tariffarie relative ai costi di
capitale, ferma restando l'intangibilita' delle componenti tariffarie
destinate a coprire i costi operativi per la gestione ordinaria.
La norma in questione, in tal modo, incentiverebbe i Comuni a
ritardare le gare, contraddicendo anche il principio di buon
andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost.
Considerato in diritto
1.- Il Collegio arbitrale presso la Camera arbitrale
dell'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC), con ordinanza
iscritta al n. 105 del registro ordinanze 2020, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 453, della legge 11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
2.- La disposizione censurata, concernente l'attivita' di
distribuzione del gas naturale, prevede che «[l]'articolo 14, comma
7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, si interpreta nel
senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone
di concessione previsto dal contratto. Le risorse derivanti
dall'applicazione della presente disposizione concorrono al
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli
enti locali».
L'art. 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n.
164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il
mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della
legge 17 maggio 1999, n. 144), oggetto d'interpretazione autentica,
prevede a sua volta che «[g]li enti locali avviano la procedura di
gara non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo
da evitare soluzioni di continuita' nella gestione del servizio. Il
gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del
servizio, limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data
di decorrenza del nuovo affidamento. Ove l'ente locale non provveda
entro il termine indicato, la regione, anche attraverso la nomina di
un commissario ad acta, avvia la procedura di gara».
2.1.- Secondo il rimettente la disposizione censurata violerebbe
l'art. 3 Cost., in relazione ai principi di ragionevolezza e di
certezza del diritto, nonche' di legittimo affidamento, poiche'
introdurrebbe una proroga sine die per lo svolgimento del servizio di
distribuzione del gas naturale, non prevedibile dall'impresa
affidataria, nelle more di una nuova gara per il suo affidamento, con
un'estensione potenzialmente illimitata delle condizioni originarie
previste dal contratto-concessione.
2.2.- Altresi' violato sarebbe l'art. 97 Cost., in riferimento al
principio di buon andamento dell'amministrazione, poiche' l'inerzia
della pubblica amministrazione, o comunque i ritardi e le
inadempienze, nel bandire la gara per l'affidamento del servizio, non
dovrebbero essere «scaricati» sull'imprenditore aggiudicatario del
servizio in una epoca diversa e con condizioni diverse, ne' tantomeno
sugli operatori economici che attendono l'indizione di una nuova
procedura di gara per l'affidamento del servizio.
3.- In primis deve essere confermata l'ordinanza dibattimentale,
allegata alla presente sentenza, con cui e' stato dichiarato
inammissibile l'intervento del Comune di Urgnano.
4.- Altresi' inammissibili, in quanto tardivi ex art. 4, comma,
delle Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale
(tra le piu' recenti, sentenze n. 78 del 2019 e n. 99 del 2018
l'ordinanza n. 24 del 2021), sono gli interventi dei Comuni di
Inveruno, di San Giorgio su Legnano, di Bernate Ticino, di Cuggiono,
di Marcallo con Casone, di Busto Garolfo, di Peschiera Borromeo e del
Comune di Nerviano, dell'IGAS Imprese gas, dell'Assogas -
Associazione nazionale industriali privati gas e servizi energetici,
dell'Utilitalia - Federazione delle imprese ambientali, energetiche
ed idriche, della societa' Sei - Servizi energetici integrati srl
(gia' Tea Sei srl) e della societa' 2i rete GAS spa.
5.- In via preliminare debbono essere esaminate le numerose
eccezioni d'inammissibilita' delle questioni proposte.
5.1.- In primo luogo, i Comuni costituiti eccepiscono il difetto
di rilevanza delle questioni, poiche' nel giudizio a quo non si
discuterebbe dell'obbligo di Centria srl di continuare la gestione
del servizio dopo la scadenza della concessione, non avendo il
concessionario contestato tale obbligo, bensi' quello di
corrispondere il canone previsto nel contratto; inoltre, come
eccepito anche dall'Avvocatura generale dello Stato, sarebbe inesatta
l'individuazione della norma censurata, in quanto le doglianze
avrebbero dovuto essere rivolte contro la norma oggetto di
interpretazione autentica (l'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del
2000) e non (o perlomeno non soltanto) contro la norma interpretativa
(l'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016).
5.1.1.- L'eccezione non e' fondata.
Dall'ordinanza di rimessione, infatti, risulta sufficientemente
chiaro che l'asserita lesione dei parametri costituzionali evocati e'
imputata alla previsione della corresponsione del canone contrattuale
anche dopo la scadenza del contratto. Sarebbe cio', secondo il
rimettente, a rendere la gestione ope legis una vera e propria
proroga a tempo indeterminato, lesiva dell'equilibrio contrattuale e
del legittimo affidamento del concessionario, che si troverebbe
costretto a corrispondere un canone sulla base di un contratto
scaduto e per un periodo potenzialmente illimitato.
5.2.- In secondo luogo, sempre in relazione alla rilevanza, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccepisce il difetto di
motivazione, poiche' l'azione sarebbe stata proposta da Centria srl
non per contestare la proroga illimitata del rapporto concessorio,
bensi' l'accertamento del diritto a non corrispondere il canone o a
corrispondere un canone rideterminato per le annualita' coperte
dall'accordo quinquennale del 14 novembre 2014.
5.2.1.- L'eccezione non e' fondata, tenuto conto anche dei limiti
del sindacato di questa Corte sull'ordinanza di rimessione e sui
presupposti del giudizio a quo (tra le tante, si vedano le sentenze
n. 224 del 2020, n. 126 e n. 99 del 2018, n. 35 del 2017 e n. 270 del
2010),
Sebbene l'ordinanza di rimessione risulti piuttosto succinta sul
punto, infatti, essa da' conto della richiesta di accertamento
effettuata dalla societa' Centria srl del suo diritto a non
corrispondere il canone per tutta la durata del periodo transitorio,
sino al nuovo affidamento, prescindendo dunque dalle annualita'
oggetto di contestazione.
5.3.- Secondo i Comuni costituiti le questioni sarebbero poi
inammissibili per difetto di motivazione, poiche' l'ordinanza non
conterrebbe alcun concreto riferimento alle asserite conseguenze
negative che la societa' concessionaria dovrebbe sopportare in virtu'
della proroga ex lege e mancherebbe qualsiasi valutazione in ordine
alla convenienza per la stessa a continuare la gestione alle stesse
condizioni.
5.3.1.- Seppure anche sotto tale profilo l'ordinanza sia
piuttosto sintetica, essa non puo' ritenersi priva di una adeguata e
autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la normativa
censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale
evocato (ex plurimis, si vedano le sentenze n. 240 del 2017, n. 219
del 2016, n. 120 del 2015 e n. 236 del 2011).
Il Collegio rimettente, infatti, argomenta la modificazione del
sinallagma contrattuale dovuto alla proroga, asserita sine die,
sottolineando come la protrazione degli impegni contrattuali
confligga con la valutazione che la societa' avrebbe potuto fare al
momento della sottoscrizione del contratto. Inoltre, sarebbe la
stessa limitazione del servizio all'ordinaria amministrazione a far
presumere un minor vantaggio economico per il concessionario.
Da qui la non fondatezza dell'eccezione.
5.4.- Un ulteriore profilo d'inammissibilita', eccepito
dall'Avvocatura generale dello Stato, deriverebbe dal mancato esame
da parte del rimettente delle eccezioni di Centria srl relative al
contrasto della disposizione censurata con il diritto dell'Unione
europea.
5.4.1.- Pur nella laconicita' della motivazione dell'ordinanza di
rimessione sul punto, l'eccezione deve essere rigettata.
La societa' concessionaria, in effetti, ha eccepito nel giudizio
a quo il contrasto della disposizione impugnata con le norme poste a
tutela della liberta' d'impresa dal Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto
2008, n. 130 (artt. 49, 56 e 106) e dalla Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (artt. 16 e
17), oltre che dagli artt. 41 e 42 Cost., nonche' la lesione dei
principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo
affidamento, garantiti, sia dal diritto europeo - in particolare in
virtu' dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea (TUE), firmato a
Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009
- sia dagli artt. 3 e 41 Cost.
Il Collegio arbitrale, nondimeno, ha ritenuto di prendere in
considerazione solo la questione relativa alla violazione dei limiti
costituzionali alla retroattivita' della legge (oltre che del
principio di buon andamento dell'amministrazione); ed e' solo in
relazione a tali limiti, sebbene essi si incontrino anche nel diritto
europeo, che e' richiesta una pronuncia di questa Corte.
5.5.- Senz'altro inammissibili, invece, sono le questioni
sollevate da Centria srl in riferimento agli artt. 41, primo comma,
42 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 16
e 17 CDFUE, all'art. 6 TUE e agli artt. 49, 56 e 106 TFUE.
5.5.1.- Com'e' noto, infatti, l'oggetto del giudizio di
legittimita' costituzionale in via incidentale e' limitato alle
disposizioni e ai parametri indicati nell'ordinanza di rimessione,
con esclusione della possibilita' di ampliare il thema decidendum
proposto dal rimettente, fino a ricomprendervi questioni formulate
dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto di fare proprie (ex
plurimis, sentenze n. 49 del 2021, n. 27 del 2019, n. 14 del 2018, n.
29 del 2017 e n. 96 del 2016).
6.- Cio' premesso, una non superabile ragione d'inammissibilita'
delle questioni sollevate dal Collegio arbitrale rimettente emerge,
invece, da una piu' completa ricostruzione del quadro normativo, che
risulta assai piu' articolato di quanto prospettato dall'ordinanza di
rimessione.
6.1.- Il censurato art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016
interviene in materia di affidamento dell'attivita' di distribuzione
di gas naturale, oggetto di numerosi interventi normativi, che si
sono succeduti nel tempo in modo non sempre ordinato e con vari
ritardi nell'attuazione dei processi di riforma; ritardi che motivano
almeno in parte le doglianze alla base delle questioni di
legittimita' costituzionale oggetto d'esame.
6.1.1.- L'art. 14 del d.lgs. n. 164 del 2000 definisce
l'attivita' di distribuzione di gas naturale quale attivita' di
servizio pubblico, stabilendo che il servizio venga affidato
esclusivamente mediante gara dagli enti locali, anche in forma
aggregata, per periodi non superiori a dodici anni (comma 1). Tali
gare devono essere avviate entro un anno prima della scadenza
dell'affidamento e nelle more il gestore uscente resta obbligato a
proseguire la gestione del servizio, limitatamente all'ordinaria
amministrazione. Ove l'ente locale non provveda entro il termine
indicato, la Regione, anche attraverso la nomina di un commissario ad
acta, avvia la relativa procedura (comma 7).
L'intervento legislativo ha lo scopo di superare il sistema
all'epoca vigente, spesso basato sull'affidamento diretto,
introducendo un meccanismo di affidamento mediante gara e fissando
altresi' termini precisi per la cessazione delle concessioni gia' in
corso (art. 15), che sono stati oggetto di successive proroghe.
Sulla materia e' poi intervenuto l'art. 46-bis, comma 2, del
decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia
economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equita' sociale),
convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 2007, n. 222, ove
si e' previsto che le suddette gare vengano bandite per ambiti
territoriali minimi (Atem), con l'identificazione di bacini ottimali
di utenza, individuati dai Ministri dello sviluppo economico e per
gli affari regionali e le autonomie locali, su proposta
dell'Autorita' per l'energia elettrica e il gas e sentita la
Conferenza unificata.
Si e' passati, pertanto, a un sistema di gare per ambiti
territoriali, mediante l'individuazione di apposite stazioni
appaltanti da parte dei Comuni. Tale regime, inizialmente concorrente
con quello previgente, e' poi divenuto il regime obbligatorio per
l'affidamento del servizio in virtu' dell'art. 24, comma 4, del
decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive
2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il
mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una
procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore
finale industriale di gas e di energia elettrica, nonche' abrogazione
delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE).
La riforma non ha avuto immediata attuazione, in particolare
perche' non sono stati tempestivamente individuati gli Atem, con
conseguente stallo delle procedure di gara.
Successivamente, l'art. 1 del decreto del Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni
e la coesione territoriale, 19 gennaio 2011 (Determinazione degli
ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale)
ha individuato 177 Atem. In seguito, l'art. 1 del decreto del
Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i
rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 18 ottobre 2011
(Determinazione dei Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale
del settore della distribuzione del gas naturale) ha definito i
confini degli ambiti (inserendo i Comuni di Montevarchi e di
Cavriglia nell'Atem Arezzo e il Comune di Figline e Incisa Valdarno
nell'Atem Firenze 2 - Provincia). Ancora, il decreto del Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti
con le Regioni e la coesione territoriale, 12 novembre 2011, n. 226
(Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta
per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale,
in attuazione dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007,
n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29
novembre 2007, n. 222), all'art. 3, ha fissato i termini per
l'individuazione della stazione appaltante da parte degli enti locali
concedenti, nonche' per la pubblicazione del bando di gara, in
mancanza del quale si attiva il gia' ricordato potere sostitutivo
regionale. Infine, il decreto del Ministro dello sviluppo economico 5
febbraio 2013 (Approvazione dello schema di contratto tipo relativo
all'attivita' di distribuzione del gas naturale) ha adottato lo
schema di contratto-tipo per l'affidamento del servizio, in
attuazione del citato d.m. n. 226 del 2011.
Nondimeno, i termini per avviare le gare sono stati oggetto di
numerose proroghe, a partire dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con
modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, che all'art. 4, commi 2
e 4, ha chiarito la natura perentoria dei termini di cui al d.m. n.
226 del 2011 e aveva previsto una nuova disciplina del potere
sostitutivo ex art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000. In
particolare, si era previsto che, decorsi quattro mesi dalla scadenza
dei suddetti termini, in caso d'inerzia anche della Regione, il
Ministero dello sviluppo economico, sentita la stessa Regione,
interviene per dare avvio alla gara nominando un commissario ad acta.
All'art. 4, comma 5, si era introdotto anche un regime sanzionatorio
per gli enti locali, nei casi di mancato rispetto da parte degli
stessi dei termini per la scelta della stazione appaltante,
disponendo che il 20 per cento degli oneri di cui all'art. 8, comma
4, del d.m. n. 226 del 2011, corrisposti annualmente dal gestore come
quota parte della remunerazione del capitale fosse versato dal
concessionario subentrante, con modalita' stabilite dall'Autorita'
per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico - AEEGSI (oggi
Autorita' di regolazione per energia reti e ambiente - ARERA), in uno
specifico capitolo della cassa per i servizi energetici ed
ambientali, destinato alla riduzione delle tariffe di distribuzione
dell'ambito corrispondente.
Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 20 maggio 2015,
n. 106 (Regolamento recante modifica al decreto 12 novembre 2011, n.
226, concernente i criteri di gara per l'affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale) ha quindi modificato il d.m. n. 226
del 2011, al fine di allinearlo al ricordato intervento legislativo.
L'art. 3, comma 2-ter, lettera a), del decreto-legge 30 dicembre
2015, n. 210 (Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative), convertito, con modificazioni, in legge 25 febbraio
2016, n. 21 - che ha sostituito l'art. 4, comma 2, secondo periodo,
del d.l. n. 69 del 2013, come convertito - ha ulteriormente prorogato
i termini per l'avvio delle gare, ha eliminato il citato regime
sanzionatorio e ha modificato nuovamente la disciplina del potere
sostitutivo. Pertanto, scaduti i termini previsti dal d.m. n. 226 del
2011 (come prorogati), la Regione competente sull'ambito assegna
ulteriori sei mesi per adempiere, decorsi i quali avvia la procedura
di gara attraverso la nomina di un commissario ad acta. Decorsi due
mesi dalla scadenza di tale termine senza che la Regione competente
abbia proceduto alla nomina del commissario, il Ministero dello
sviluppo economico, sentita la Regione, interviene per dare avvio
alla gara nominando un commissario ad acta.
Successivi provvedimenti legislativi, infine, hanno nuovamente
prorogato i termini per l'effettuazione delle gare.
6.1.2.- Risulta evidente che tale progressivo differimento delle
gare ha portato, di fatto, a una dilatazione della fase di gestione
ope legis del servizio, facendo emergere i problemi connessi alla
regolamentazione di tale fase, da cui il contenzioso legato
all'obbligo di corresponsione del canone originario.
Anche per tali ragioni l'AEEGSI, con il comunicato del 19 maggio
2016 (Chiarimenti in relazione alla sussistenza dell'obbligo di
pagamento del canone per il servizio di distribuzione del gas
naturale da parte del concessionario del servizio nel periodo di
prosecuzione del servizio), ha precisato come il silenzio dell'art.
14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 in punto di canone per
l'affidamento non sia di per se' sufficiente a escludere l'obbligo di
pagamento dello stesso. Mentre, in assenza di previsioni specifiche o
contrarie, la gestione del servizio deve continuare a essere
disciplinata come in precedenza e, quindi, secondo le previsioni
della concessione scaduta. Cio' anche in base alla facolta' per i
Comuni di aumentare il canone sino al 10 per cento nelle more delle
nuove gare, di cui all'art. 46-bis, comma 4, del d.l. n. 159 del
2007, come convertito; la possibilita' d'intervenire sul canone
concessorio, infatti, confermerebbe la necessita' di corrispondere lo
stesso anche nel periodo di prosecuzione del rapporto ex lege, non
escluso dall'ambito di applicazione del citato comma 4.
La censurata disposizione interpretativa di cui all'art. 1, comma
453, della legge n. 232 del 2016, in tal senso, si e' allineata a
siffatto parere, precisando che nella fase di gestione ope legis
resta dovuto il canone di concessione previsto dal contratto.
6.2.- Da tale ricostruzione emerge senz'altro un'anomalia
nell'effettuazione delle gare per l'affidamento del servizio di
distribuzione del gas, con un percorso di riforma ancora non attuato
a piu' di quindici anni dalla sua entrata in vigore e a dieci
dall'adozione dei provvedimenti attuativi. Anomalia che l'ARERA non
ha mancato di segnalare, stigmatizzandola, nelle sue relazioni
annuali.
Ragioni per cui la proroga ex lege, ricorrendo determinate
circostanze, potrebbe effettivamente determinare un irragionevole
squilibrio delle prestazioni contrattuali.
Ebbene, per ovviare a tali possibili conseguenze negative
l'ordinamento prevede appositi strumenti, generali e specifici.
Cosi' e', quando ne ricorrano i presupposti, per i ricordati
poteri sostitutivi, gia' previsti dall'art. 14, comma 7, del d.lgs.
n. 164 del 2000 e successivamente riformulati dall'art. 46-bis del
d.l. n. 159 del 2007, come convertito. Cosi' anche per i rimedi ex
artt. 30 e 31 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104
(Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69,
recante delega al governo per il riordino del processo
amministrativo) avverso il silenzio e l'inerzia della pubblica
amministrazione, che possono portare anche a una condanna della
stessa e al risarcimento del danno patito dal concessionario.
L'ordinanza di rimessione, che non ricostruisce in modo
dettagliato il quadro normativo in materia di gare per l'affidamento
dell'attivita' di distribuzione del gas naturale, non si sofferma sui
poteri sostitutivi e non da' conto, pertanto, della possibilita' che
gli eventuali effetti negativi imputati alla disposizione impugnata
trovino un rimedio attraverso gli strumenti predisposti dal
legislatore per garantire l'avvio delle procedure di gara. Ne' vi e'
alcun cenno ai ricordati istituti previsti dal d.lgs. n. 104 del
2010, restando irrisolto il dubbio se non sia in tale sede che debba
trovare tutela la pretesa del concessionario.
Per tali aspetti, pertanto, il quadro normativo non e' stato
pienamente esaminato dal Collegio rimettente, anche al solo fine di
ritenere inadeguati gli strumenti predisposti dal legislatore, come
sostenuto, invece, dalla difesa di Centria srl.
6.3.- Va ricordato, inoltre, che le concessioni per la
distribuzione del gas rientrano tra le concessioni di servizi,
definite dall'art. 3, comma 1, lettera vv), del decreto legislativo
18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) come contratti
pubblici aventi ad oggetto la fornitura e la gestione di servizi
diversi dall'esecuzione di lavori, disciplinate nello specifico ai
successivi articoli da 164 a 178.
In particolare, l'art. 165, comma 1, cod. contratti pubblici
precisa che, pur trasferendosi in capo al concessionario il rischio
operativo, debba pur sempre essere salvaguardato l'equilibrio
economico-finanziario nel rapporto regolato dalla concessione (ossia
la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e
sostenibilita' finanziaria). A tal fine, il comma 6 del medesimo
articolo - riprendendo quanto gia' previsto dall'art. 19, comma
2-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia
di lavori pubblici) e dall'art. 143, comma 8, del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE) - stabilisce che «[i]l verificarsi di fatti non
riconducibili al concessionario che incidono sull'equilibrio del
piano economico finanziario puo' comportare la sua revisione da
attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio.
La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in
capo all'operatore economico e delle condizioni di equilibrio
economico finanziario relative al contratto» e «[i]n caso di mancato
accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti
possono recedere dal contratto».
Va considerato, inoltre, che ai sensi dell'art. 216, comma
27-quinquies, cod. contratti pubblici alle procedure di
aggiudicazione dei contratti di concessione del servizio di
distribuzione del gas naturale si applicano le disposizioni di cui al
d.lgs. n. 164 del 2000, all'art. 46-bis del d.l. n. 159 del 2007,
come convertito, e all'art. 4 del d.l. n. 69 del 2013, come
convertito, in quanto compatibili con la Parte III dello stesso
codice dei contratti pubblici (in cui rientra, appunto, l'art. 165).
In tal senso, la proroga del rapporto limitatamente all'ordinaria
amministrazione, ivi compresa l'obbligazione del canone concessorio
previsto dal contratto, non escluderebbe la possibilita' per le parti
di ottenere una revisione degli obblighi contrattuali,
compatibilmente con il vincolo per le stesse parti di non poter
recedere dal rapporto sino al nuovo affidamento, che resterebbe fermo
in forza della previsione di legge speciale di cui all'art. 14, comma
7, del d.lgs. n. 164 del 2000.
Il giudice a quo, nondimeno, non svolge alcuna valutazione,
neppure al fine di escluderla, riguardo alla possibilita' di
qualificare i ritardi nell'avvio delle gare quali «fatti non
riconducibili al concessionario che incidono sull'equilibrio del
piano economico finanziario» di cui all'art. 165, comma 6, cod.
contratti pubblici. La qual cosa, ove ovviamente sia dimostrato dal
concessionario un sopravvenuto squilibrio contrattuale, potrebbe
legittimare una richiesta di revisione dello stesso piano; richiesta
che, in caso di mancata o negativa risposta dell'amministrazione,
potrebbe anche essere fatta valere nelle competenti sedi
giurisdizionali.
D'altronde, anche quella giurisprudenza di merito che ha escluso
un'incompatibilita' con la Costituzione della disposizione censurata
non ha negato, in via generale, la possibilita' di esperire i rimedi
previsti dall'ordinamento, ivi compresi quelli civilistici,
compatibilmente con la disciplina di settore.
6.4.- In conclusione, il Collegio arbitrale rimettente non solo
non ha preso in considerazione gli strumenti legislativi verso
l'inerzia della pubblica amministrazione, ma neppure ha tenuto conto
della possibilita' di applicare gli istituti posti a presidio
dell'equilibrio contrattuale nelle concessioni.
Alla luce di tali carenze dell'ordinanza di rimessione in punto
di adeguata ricostruzione del quadro normativo, pertanto, deve essere
dichiarata l'inammissibilita' delle questioni (sentenze n. 123 e n.
114 del 2021 e n. 102 del 2019).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili gli interventi dei Comuni di Inveruno,
di San Giorgio su Legnano, di Bernate Ticino, di Cuggiono, di
Marcallo con Casone, di Busto Garolfo, di Peschiera Borromeo e del
Comune di Nerviano, della IGAS Imprese gas, della Assogas -
Associazione nazionale industriali privati gas e servizi energetici,
dell'Utilitalia - Federazione delle imprese ambientali, energetiche
ed idriche, della societa' Sei - Servizi energetici integrati srl
(gia' Tea Sei srl) e della 2i Rete Gas spa;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 453, della legge 11 dicembre 2016,
n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario
2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Collegio
arbitrale costituito presso la Camera arbitrale dell'Autorita'
nazionale anticorruzione (ANAC) con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
Ordinanza letta all'udienza del 9 novembre 2021
ORDINANZA
Ritenuto che nel giudizio di legittimita' costituzionale promosso
dal Collegio arbitrale costituito presso la Camera arbitrale
dell'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC) con ordinanza del 16
dicembre 2019 (reg. ord. n. 105 del 2020) e' intervenuto il Comune di
Urgnano;
che tale Comune e' parte contraente di un contratto-convenzione
con la societa' 2i Rete Gas s.p.a., riguardo a cui e' tuttora
pendente un giudizio innanzi alla Corte di cassazione, relativo
all'obbligo per il concessionario di corrispondere il canone
convenuto anche per il periodo di gestione ex lege ai sensi dell'art.
14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164
(Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il
mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della L.
17 maggio 1999, n. 144), come interpretato dall'art. 1, comma 463,
della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello
Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il
triennio 2017-2019), disposizione censurata nella predetta ordinanza;
che secondo l'interveniente cio' delineerebbe un interesse
qualificato, inerente in modo diretto e immediato il rapporto dedotto
in giudizio, tale da rendere ammissibile l'intervento, potendo l'ente
locale essere pregiudicato da un'eventuale declaratoria
d'illegittimita' costituzionale nell'ambito del giudizio radicatosi
avanti alla Corte di cassazione.
Considerato che, ai sensi dell'art. 4, comma 7, delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, «[n]ei
giudizi in via incidentale possono intervenire i titolari di un
interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al
rapporto dedotto in giudizio»;
che, com'e' noto, tale disposizione ha recepito la costante
giurisprudenza costituzionale secondo cui coloro che non sono parti
del giudizio a quo possono intervenire nel giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale solo ove siano titolari di un interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto
in giudizio, e non di un interesse semplicemente regolato, al pari di
ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis, ordinanza n.
24 del 2021; sentenze n. 158 del 2020, n. 180 del 2018 e n. 16 del
2017);
che, nel caso in esame, il Comune di Urgnano, oltre a non essere
parte del giudizio principale, non vanta una posizione giuridica
suscettibile di essere pregiudicata immediatamente e
irrimediabilmente dall'esito del giudizio incidentale, bensi' un
interesse riflesso al rigetto delle questioni, in quanto assoggettato
alla norma censurata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento del Comune di Urgnano.
F.to: Giancarlo Coraggio, Presidente
