CRIMINALITA’ ORGANIZZATA: informazione antimafia interdittiva.
CORTE COSTITUZIONALE 8 giugno – 19 luglio 2022 SENTENZA N. 180
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Mafia e criminalita' organizzata - Informazione antimafia interdittiva - Facolta', per il prefetto che adotta il provvedimento, di escludere le decadenze e i divieti derivanti dalla misura, se incidenti sui mezzi di sostentamento per l'interessato e per la sua famiglia - Omessa previsione - Denunciata disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto nel caso di adozione delle misure di prevenzione, nonche' violazione dei principi di diritto al lavoro e di difesa - Inammissibilita' delle questioni - Necessita' che il legislatore non protragga l'inerzia del suo intervento. - Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, art. 92. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 4 e 24.
(GU n.29 del 20-7-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo
PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 92 del
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2
della legge 13 agosto 2010, n. 136), promosso dal Tribunale
amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio
Calabria, con ordinanza dell'11 dicembre 2020, iscritta al n. 73 del
registro ordinanze 2021, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 2021.
Visti l'atto di costituzione di M. S., in proprio e quale
titolare dell'impresa individuale parte del giudizio a quo, nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore
Nicolo' Zanon;
uditi l'avvocato Giacomo Falcone per M. S., in proprio e quale
titolare dell'impresa individuale parte del giudizio a quo, e
l'avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio
dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio dell'8 giugno 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza dell'11 dicembre 2020, iscritta al n. 73 del
registro ordinanze 2021, il Tribunale amministrativo regionale per la
Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, secondo comma (recte: primo comma), 4 e 24
della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 92 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice
delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli
articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).
2.- Il giudice a quo e' stato investito di un ricorso proposto da
M. S., in qualita' di titolare di una impresa individuale nei cui
confronti, in data 27 febbraio 2020, la prefettura aveva emesso
informazione antimafia interdittiva. Il provvedimento prefettizio,
del quale veniva chiesto l'annullamento, trovava la propria
giustificazione nei precedenti penali e nelle parentele del marito
della ricorrente, imputato e detenuto per reati di mafia e accusato
di essere al vertice di una cosca. M. S. era inoltre stata socia di
un'impresa amministrata dal marito, operante nel medesimo settore
della sua attivita' economica. Infine, rilevante ai fini
dell'adozione dell'informazione antimafia era risultato il contesto
parentale della ricorrente.
Sospesa in via cautelare l'efficacia del provvedimento impugnato,
il TAR Calabria respingeva, con sentenza non definitiva, tutti gli
altri motivi di ricorso e, condividendo l'eccezione di illegittimita'
costituzionale relativa all'art. 92 cod. antimafia, sollevava, con
separata ordinanza, le odierne questioni di legittimita'
costituzionale.
Il rimettente sottolinea che in relazione ai soggetti attinti,
con provvedimento definitivo, da una delle misure di prevenzione
previste dal Libro I, Titolo I, Capo II, l'art. 67, comma 5, cod.
antimafia stabilisce che «[p]er le licenze ed autorizzazioni di
polizia, ad eccezione di quelle relative alle armi, munizioni ed
esplosivi, e per gli altri provvedimenti di cui al comma 1 le
decadenze e i divieti previsti dal presente articolo possono essere
esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi
verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla
famiglia». Lamenta, invece, che analogo potere non sia previsto in
capo al prefetto dall'art. 92 cod. antimafia con riferimento ai
soggetti investiti da un'informazione antimafia.
3.- In punto di rilevanza, l'ordinanza di rimessione da' conto
della circostanza che l'attivita' aziendale, in virtu' di quanto
esposto dalla ricorrente, costituirebbe «l'unica fonte di reddito
della propria famiglia», della quale fanno parte anche quattro figli
conviventi, tre dei quali minori. Inoltre, la chiusura dell'esercizio
commerciale condurrebbe al licenziamento di otto dipendenti.
Il vigente quadro normativo imporrebbe tuttavia di respingere il
ricorso anche in riferimento a tale doglianza, mentre una pronuncia
di accoglimento di questa Corte determinerebbe l'annullamento
dell'impugnato provvedimento, in quanto adottato senza che
l'autorita' prefettizia ne abbia valutato gli effetti sulle capacita'
di sostentamento della ricorrente e dei suoi familiari.
Ancora, la disposizione, per come formulata, non lascerebbe spazi
per una sua lettura costituzionalmente orientata.
4.- In ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente
illustra anzitutto la censura con la quale prospetta una violazione
del «principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 comma 2
della Costituzione». Premessa la «natura "cautelare e preventiva"
delle interdittive antimafia» (viene citata la sentenza del Consiglio
di Stato, adunanza plenaria, 6 aprile 2018, n. 3) e premesso che le
misure di prevenzione condividono con le prime la finalita' di
assicurare un'anticipata difesa della legalita', producendo le
medesime conseguenze interdittive, la scelta del legislatore di non
attribuire al prefetto il potere di apprezzare l'incidenza di tali
conseguenze sui mezzi di sostentamento dell'interessato e della sua
famiglia concretizzerebbe una irragionevole disparita' di
trattamento.
Sottolinea il rimettente come, con la sentenza n. 57 del 2020,
questa Corte avrebbe gia' ritenuto tale differenza di regime
meritevole di una «rimeditazione da parte del legislatore», non
avendo potuto farne oggetto di specifica pronuncia solo perche' la
censura non era stata dedotta in modo autonomo.
La temporaneita' dell'informazione antimafia, fissata dal codice
in dodici mesi (art. 86, comma 2), non ridurrebbe le ragioni di
attrito con la Costituzione, trattandosi di un periodo di tempo
«ampiamente sufficiente a pregiudicare in modo definitivo qualsiasi
attivita' di impresa». Ne' eliderebbe la dedotta disparita' di
trattamento la circostanza che, in forza dell'art. 34-bis, comma 6,
cod. antimafia, l'impresa colpita dal provvedimento interdittivo
possa chiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione
l'applicazione del controllo giudiziario. L'accesso all'istituto e'
infatti subordinato all'impugnazione dell'informazione ed e'
eventuale, dipendendo dalla valutazione dell'autorita' giudiziaria.
Il controllo giudiziario, inoltre, si limita a sospendere, senza
eliminarli, gli effetti dell'interdittiva, non potendo peraltro
travolgere quelli dalla stessa prodotti medio tempore (viene citata
la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 31 maggio 2018,
n. 3268).
5.- Sarebbe altresi' violato l'art. 4 Cost. Premette il
rimettente che l'informazione antimafia inibisce sia i rapporti con
la pubblica amministrazione sia le attivita' private sottoposte a
regime autorizzatorio, anche intraprese sulla base di una
segnalazione certificata di inizio attivita' (viene citata la
sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, 20 gennaio 2020, n.
452). Ne deriverebbe, pertanto, un sacrificio del diritto al lavoro;
un diritto tutelato per lo stesso detenuto (e' citata l'ordinanza di
questa Corte n. 532 del 2002), e che dovrebbe a maggior ragione
essere salvaguardato nei confronti di chi sia stato colpito da una
misura preventiva, finalizzata ad evitare un evento ritenuto
possibile ed eventuale, in forza di una valutazione svolta sulla base
della regola del «piu' probabile che non». Una valutazione nel cui
ambito, conclude il giudice a quo, la disposizione censurata
impedisce in ogni caso di tenere in conto l'evenienza che il
provvedimento «depauperi i mezzi di sostentamento che chi ne e'
colpito trae dal proprio lavoro».
6.- Infine, l'art. 92 cod. antimafia lederebbe l'art. 24 Cost. Il
rimettente premette come, in realta', la disciplina sull'informazione
antimafia non escluderebbe totalmente il contraddittorio (art. 93,
comma 7, cod. antimafia). Si tratterebbe, tuttavia, solo di una
«interlocuzione eventuale» tra il prefetto e i soggetti interessati.
Dunque, stante la pervasivita' del provvedimento - che induce una
parziale incapacita' giuridica del soggetto e gli impedisce di
ottenere qualsiasi erogazione da parte della pubblica amministrazione
(e' citata, fra le altre, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione
terza, 4 marzo 2019, n. 1500) - precludere al destinatario «di detto
provvedimento la possibilita' di sottoporre all'autorita' prefettizia
le possibili conseguenze di esso, in termini di depauperamento dei
mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia sembra integrare la
violazione anche dell'art. 24 della Costituzione».
Vero che, argomenta il rimettente, secondo la giurisprudenza
costituzionale, il diritto di difesa non si estende nel suo pieno
contenuto ai procedimenti contenziosi amministrativi, ma cio',
sottolinea il giudice a quo, non significa che esso non possa
manifestare riflessi in altri ambiti, proprio per la sua connessione
con i diritti inviolabili della persona (e' citata la sentenza di
questa Corte n. 128 del 1995).
7.- Con atto depositato il 21 giugno 2021 si e' costituita in
giudizio M. S., in proprio e quale titolare dell'impresa individuale
parte del giudizio a quo.
A suo dire, la necessita' di contrastare la criminalita'
organizzata di stampo mafioso non giustificherebbe la creazione di
«indigenti» «unicamente "colpevoli"» di avere rapporti con soggetti
indiziati ai sensi della disciplina del codice antimafia, come si
ricava, sia dall'art. 85 cod. antimafia - che estende le verifiche ai
familiari conviventi - sia dall'interpretazione emersa nella
giurisprudenza amministrativa.
Inoltre, pure a fronte dell'ampia discrezionalita' spettante al
prefetto, tale da non soddisfare nemmeno il requisito della
«previsione legale» indicato dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo nella sentenza 23 febbraio 2017, de Tommaso contro Italia,
il privato non avrebbe strumenti partecipativi nel procedimento di
formazione della documentazione antimafia, vedendosi unilateralmente
attinto da un provvedimento piu' severo di un sequestro di
prevenzione, che, invece, consente di tenere in vita l'azienda.
Cio' premesso, l'omessa previsione del potere di inibire gli
effetti interdittivi dell'informazione antimafia, quando capaci di
comprimere i mezzi di sostentamento dell'interessato, produrrebbe una
vistosa disparita' di trattamento rispetto ai destinatari di una
misura di prevenzione. Peraltro, mentre decadenze e divieti, in
quest'ultimo caso, si producono con la garanzia del contraddittorio e
al ricorrere di un provvedimento definitivo dell'autorita'
giudiziaria - potendo essere provvisoriamente disposti nel corso del
procedimento solo se sussistono motivi di particolare gravita' - nel
caso dell'informazione antimafia quei medesimi effetti scaturiscono
immediatamente da un provvedimento dell'autorita' amministrativa,
basato unicamente sul «sospetto circa il possibile pericolo di
infiltrazione mafiosa nell'azienda».
In conclusione, la parte chiede che la disposizione censurata sia
dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione degli artt.
3, 4 e 24 Cost., nonche' degli artt. 5 e 6 della Convenzione per la
salvaguardia del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dell'art. 1 del Protocollo
addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e degli
artt. 15, 16, 17, 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
8.- E' intervenuto in giudizio, con atto depositato il 23 giugno
2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni di legittimita' costituzionale siano dichiarate
inammissibili e comunque non fondate in riferimento a tutti i
parametri evocati.
8.1.- L'interveniente segnala come, con decreto del 22 dicembre
2020, successivo all'ordinanza di rimessione, il Tribunale di Reggio
Calabria, sezione misure di prevenzione, abbia disposto, ai sensi
dell'art. 16 cod. antimafia, il sequestro dell'impresa individuale
interessata dall'informazione antimafia oggetto di impugnazione,
nonche' la sospensione degli effetti di tale ultimo provvedimento in
forza dell'art. 35-bis, comma 3, cod. antimafia.
Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dovrebbero
pertanto essere dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza,
poiche' l'incidenza sui mezzi di sostentamento della ricorrente nel
giudizio principale costituirebbe l'effetto non gia' della mancata
previsione, nel tessuto normativo, della possibilita' di escludere
gli effetti dell'informazione antimafia, nel frattempo sospesa, ma
dell'avvenuto sequestro disposto dall'autorita' giudiziaria.
8.2.- Le censure sarebbero comunque non fondate. Quanto alla
dedotta violazione dell'art. 3, secondo comma, Cost., la difesa
erariale sostiene che gli artt. 67 e 92 disciplinerebbero «istituti
ontologicamente diversi».
L'art. 67 riguarda, infatti, un procedimento incardinato presso
l'autorita' giudiziaria, culminante con l'adozione di un
provvedimento definitivo. Proprio nella definitivita'
dell'applicazione della misura di prevenzione disposta dal giudice
(«sebbene suscettibile di impugnazione») troverebbe giustificazione
il potere, a quest'ultimo assegnato, di valutare l'impatto della
misura sulle condizioni economiche dell'interessato.
L'art. 92 cod. antimafia disciplina, invece, un istituto di
diversa conformazione, con carattere amministrativo e provvisorio.
Come sarebbe stato chiarito da questa Corte con la sentenza n. 57 del
2020, l'impossibilita' di esercitare in sede amministrativa i poteri
previsti all'art. 67, comma 5, cod. antimafia, «in parte trova una
compensazione nella temporaneita' dell'informazione antimafia (cio'
che valorizza ulteriormente l'importanza del riesame periodico cui
sono chiamate le autorita' prefettizie)» (sul carattere temporaneo
dell'informazione antimafia viene inoltre richiamata la sentenza del
Consiglio di Stato, sezione terza, 23 febbraio 2021, n. 1579).
Ancora, le misure di prevenzione rinvengono il proprio fondamento
nella valutazione di pericolosita' sociale del reo e di probabilita'
che commetta reati. Pertanto, «sovente seguono una condanna penale» e
per questo «svolgono anche una funzione rieducativa e di prevenzione
speciale». L'informazione antimafia presuppone, invece, una
valutazione di carattere prodromico circa possibili infiltrazioni
mafiose. Il provvedimento tutelerebbe l'ordine pubblico economico, il
principio di libera concorrenza e del buon andamento della pubblica
amministrazione. Esigenze rispetto alle quali la liberta' di
iniziativa economica privata non potrebbe che essere recessiva.
Occorrerebbe poi considerare che l'art. 32, comma 10, del
decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge
11 agosto 2014, n. 114, consente al prefetto di adottare le misure
ivi indicate nel caso in cui sussista l'urgente necessita' di
assicurare il completamento dell'esecuzione del contratto o la sua
prosecuzione, «al fine di garantire la continuita' di funzioni e
servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonche'
per la salvaguardia dei livelli occupazionali». Ancora, non sarebbe
senza importanza il fatto che gli effetti dell'informazione antimafia
- come avvenuto nel caso di specie - possano essere sospesi in sede
di impugnazione giurisdizionale e che, a seguito della medesima
impugnazione, l'impresa possa richiedere di accedere al controllo
giudiziario, istituto dagli effetti meno pervasivi
dell'amministrazione giudiziaria (art. 34-bis cod. antimafia).
Sottolinea poi la difesa erariale come improprio sarebbe in ogni
caso un intervento di questa Corte di pura e semplice estensione del
disposto di cui all'art. 67, comma 5, cod. antimafia al procedimento
per il rilascio dell'informazione antimafia, posto che si tratta di
provvedimento cautelare da adottarsi entro termini rigidamente
contenuti, che non consentono al prefetto di compiere gli
accertamenti necessari a valutare l'impatto della misura sulle
condizioni economiche dell'interessato. Occorrerebbe invece, a tal
fine, che fosse quest'ultimo a poter documentare il potenziale venir
meno dei mezzi di sostentamento. Dunque, la tutela dell'esigenza in
esame potrebbe essere conseguita con una pluralita' di soluzioni
diverse, rimesse, come ebbe a dire gia' questa Corte, ad una
«rimeditazione da parte del legislatore». A titolo esemplificativo,
potrebbe trattarsi di una specifica tutela in sede di ricorso
giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo nell'ambito del
potere di sospensione cautelare, o innanzi al tribunale competente
per le misure di prevenzione.
8.3.- Anche la questione di legittimita' costituzionale sollevata
con riferimento all'art. 4 Cost. sarebbe non fondata, poiche' la
disposizione costituzionale tutelerebbe il diritto al lavoro «dal
punto di vista del lavoratore e non del datore di
lavoro/imprenditore».
8.4.- Nemmeno vi sarebbe, infine, violazione dell'art. 24 Cost.
Anzitutto, la censura sarebbe incongruente rispetto alla questione
principale prospettata nell'ordinanza di rimessione, perche'
l'assenza del potere del prefetto di escludere gli effetti
dell'informazione rende priva di rilievo la circostanza che, allo
stato, la disciplina del codice antimafia preveda solo un
contraddittorio eventuale. Semmai, potrebbe essere proprio
l'accoglimento della censura relativa all'art. 3 Cost. a far emergere
un simile profilo di incoerenza del regime procedimentale.
Ad ogni modo, come ammesso dallo stesso giudice a quo, secondo la
giurisprudenza costituzionale, il diritto di difesa non copre ogni
procedimento contenzioso di natura amministrativa. Peraltro, la Corte
di Giustizia, con ordinanza del 28 maggio 2020, causa C-17/20, ha
ritenuto irricevibile la questione pregiudiziale sollevata dal TAR
Puglia proprio in merito alla mancata previsione, nel codice
antimafia, di un contraddittorio endoprocedimentale.
9.- La parte ha depositato memoria in vista dell'udienza.
Contestando l'eccezione di inammissibilita' prospettata
dall'Avvocatura generale, segnala che pende giudizio, innanzi al
Tribunale per le misure di prevenzione di Reggio Calabria, avverso il
decreto di sequestro dell'azienda subito dalla ricorrente nel
giudizio a quo e che, in ogni caso, l'art. 18 delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale impone a questa Corte
di proseguire il giudizio.
Nel merito, dopo essersi soffermata sulla natura delle misure
interdittive, che dovrebbero essere ritenute soggette alle garanzie
penalistiche alla luce dei «"criteri Engel"», la parte insiste
nell'osservare che al destinatario di una informazione antimafia non
potrebbero comunque essere negate condizioni di vita accettabili e
dovrebbe essere assicurata la tutela dei bisogni primari. Aggiunge,
peraltro, che, secondo la giurisprudenza amministrativa, il decorso
dei dodici mesi non determina la perdita di efficacia del
provvedimento, imponendo solo al prefetto di procedere ad una
rivalutazione della vicenda complessiva (e' citata la sentenza del
Consiglio di Stato, sezione terza, 13 dicembre 2021, n. 8309).
In riferimento alla dedotta violazione dell'art. 4 Cost., la
parte sottolinea come tale disposizione non tuteli solo il lavoro
dipendente ma anche l'attivita' professionale e di impresa.
Infine, quanto alla censura riferita all'art. 24 Cost., la parte
segnala le novita' introdotte con il decreto-legge 6 novembre 2021,
n. 152 recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano
nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle
infiltrazioni mafiose», convertito, con modificazioni, nella legge 29
dicembre 2021, n. 233, che, intervenendo sull'art. 92, comma 2-bis,
cod. antimafia, «in parziale adesione alla questione di legittimita'
costituzionale», ha introdotto un contraddittorio necessario.
Aggiunge la parte che «[l]a questione di costituzionalita' residua, e
deve estendersi, in via consequenziale [..] alle disposizioni in
ultimo richiamate nella parte in cui non prevedono [...] una
eccezione ai divieti previsti dall'art. 67 d.lgs. 159/2011 nel caso
in cui, per effetto della misura interdittiva, vengano a mancare i
mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia».
10.- Il movimento Nuova Italia Unita ha depositato un'opinione
scritta, che non e' stata tuttavia ammessa poiche' non forniva
«elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso, anche in
ragione della sua complessita'» (art. 4-ter, comma 3, delle Norme
integrative, vigente ratione temporis).
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria,
sezione staccata di Reggio Calabria, ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, secondo comma (recte: primo comma), 4 e 24 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 92
del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2
della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui non prevede
il potere del prefetto di escludere le decadenze e i divieti
stabiliti dal comma 5 dell'art. 67 del medesimo decreto legislativo,
quando valuti che, in conseguenza degli stessi, verrebbero a mancare
i mezzi di sostentamento all'interessato e alla sua famiglia.
E' bene premettere che, al ricorrere di taluni presupposti, il
codice antimafia stabilisce il prodursi di rilevanti effetti
interdittivi, che incidono in profondita' sulle attivita' economiche
ed imprenditoriali dei destinatari. Si tratta di divieti e decadenze
che precludono la possibilita' di ottenere o mantenere erogazioni
pubbliche, contratti pubblici, provvedimenti amministrativi
funzionali ad esercitare attivita' imprenditoriali (licenze,
autorizzazioni, concessioni, iscrizioni in elenchi e registri,
eccetera). Il puntuale elenco dei provvedimenti che non possono
essere ottenuti o mantenuti e' contenuto nell'art. 67 cod. antimafia.
Per quanto qui soprattutto rileva, le interdizioni in parola
discendono, sia dalla applicazione, con provvedimento definitivo del
giudice, di una delle misure di prevenzione personali previste dal
Libro I, Titolo I, Capo II cod. antimafia (art. 67, comma 1), sia
dalla adozione, da parte del prefetto, di una informazione antimafia
(artt. 91 e seguenti cod. antimafia), provvedimento quest'ultimo che
puo' basarsi sulla constatazione della mera sussistenza di una delle
cause di decadenza previste proprio dall'art. 67 cod. antimafia o
dalla attestazione di «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa»
(art. 84, comma 3, cod. antimafia).
Tuttavia - ed e' questa la censura avanzata dal rimettente - solo
quando le decadenze e i divieti discendono da una misura di
prevenzione e' data facolta' al giudice di escluderne l'applicazione,
per tutelare l'eventuale stato di bisogno dell'interessato. Il
prefetto, chiamato a rilasciare informazione antimafia secondo le
modalita' prescritte dall'art. 92 cod. antimafia, oggetto
dell'odierno giudizio di costituzionalita', non ha invece il potere
di valutare l'impatto dell'informazione interdittiva sulle condizioni
economiche del destinatario e, se del caso, di escluderne gli
effetti.
Il giudice a quo premette che le misure interdittive antimafia
hanno «natura "cautelare e preventiva"», e condividono con le misure
di prevenzione la finalita' di assicurare un'anticipata difesa della
legalita', perseguendo il medesimo interesse pubblico e producendo le
medesime conseguenze. Da questa comune natura, deduce che
realizzerebbe una irragionevole disparita' di trattamento la scelta
del legislatore di non attribuire all'autorita' prefettizia (avendola
attribuita invece al giudice delle misure di prevenzione) il potere
di apprezzare l'incidenza di tali conseguenze sui mezzi di
sostentamento dell'interessato e della propria famiglia.
Il contrasto con il principio di uguaglianza, a suo avviso, non
sarebbe ridotto dalla temporaneita' degli effetti dell'informazione
antimafia, stabilita in dodici mesi, giacche' si tratterebbe di un
periodo di tempo comunque idoneo a «pregiudicare in modo definitivo
qualsiasi attivita' di impresa».
Allo stesso modo, ad avviso del rimettente, non eliminerebbe il
vizio riscontrato la facolta' per l'impresa di accedere, tramite
richiesta rivolta al tribunale competente per le misure di
prevenzione, al controllo giudiziario (art. 34-bis, comma 6, cod.
antimafia), istituto che consente all'impresa stessa di proseguire la
propria attivita', nel rispetto di una serie di obblighi e con la
previsione di un amministratore giudiziario, in funzione di
vigilanza, chiamato a riferire periodicamente al giudice delegato e
al pubblico ministero. L'istanza di ammissione al controllo
giudiziario, rimessa all'apprezzamento del giudice della prevenzione,
deve infatti essere preceduta dalla impugnazione, innanzi al giudice
amministrativo, dell'informazione interdittiva: quest'ultima,
pertanto, inizia comunque a produrre i suoi effetti e, sempre ad
avviso del rimettente, la stessa ammissione al controllo giudiziario
sospende ma non elimina, ne' elide retroattivamente, tali effetti.
Sarebbe violato, altresi', l'art. 4 Cost.
Infatti, sostiene il rimettente, l'informazione antimafia
inibisce, sia i rapporti con la pubblica amministrazione, sia le
attivita' private sottoposte a regime autorizzatorio. Proprio la
pervasivita' della misura determinerebbe un sacrificio del diritto al
lavoro, tutelato persino in capo a un detenuto a seguito di condanna
(e' citata l'ordinanza di questa Corte n. 532 del 2002) e invece non
salvaguardato in capo a colui che - come accade nei casi di
interdittiva - sia oggetto di una misura volta a prevenire un evento
anche solo potenziale, in forza di una valutazione condotta sulla
base della regola del «piu' probabile che non». Valutazione nel cui
ambito, conclude il giudice a quo, non puo' comunque essere tenuta in
conto l'evenienza che il provvedimento «depauperi i mezzi di
sostentamento che chi ne e' colpito trae dal proprio lavoro».
Da ultimo, il giudice rimettente lamenta la violazione anche
dell'art. 24 Cost., poiche' la disposizione censurata non
consentirebbe all'interessato di prospettare al prefetto le
conseguenze che l'inflizione dell'interdittiva determinerebbe a suo
carico.
La disciplina vigente, riconosce il giudice a quo, non impedisce
del tutto il contraddittorio, ma l'art. 93, comma 7, cod. antimafia
lo prevede come mera eventualita'. In ogni caso, sottolinea il
rimettente, nulla e' detto circa la possibilita' del destinatario di
un provvedimento tanto invasivo «di sottoporre all'autorita'
prefettizia le possibili conseguenze di esso, in termini di
depauperamento dei mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia»:
e cio', appunto, integrerebbe la violazione dell'art. 24 Cost.
Il rimettente, infine, e' consapevole che, secondo la
giurisprudenza costituzionale, il diritto di difesa non si estende
oltre la sfera della giurisdizione, ma questo non significherebbe, a
suo avviso, che l'art. 24 Cost. non possa manifestare riflessi in
altri ambiti, proprio per la sua connessione con i diritti
inviolabili della persona (cita in questo senso la sentenza di questa
Corte n. 128 del 1995).
2.- Devono essere preliminarmente dichiarate inammissibili le
deduzioni svolte dalla difesa della parte costituita in giudizio,
volte a estendere il thema decidendum, come fissato nell'ordinanza di
rimessione. Cio' riguarda, in particolare, le censure che prospettano
la lesione di parametri diversi rispetto a quelli evocati dal giudice
a quo, ovvero gli artt. 5 e 6 della Convenzione per la salvaguardia
del diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848, l'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e gli artt. 15, 16, 17, 41 e 47
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007.
Per costante giurisprudenza costituzionale, «l'oggetto del
giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale e'
limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di
rimessione. Pertanto, non possono essere presi in considerazione
"ulteriori questioni o profili di costituzionalita' dedotti dalle
parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a
quo, sia che siano diretti ad ampliare o modificare successivamente
il contenuto delle stesse ordinanze"» (sentenza n. 186 del 2020;
nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 149 e n. 91 del 2022, n.
252, n. 239 e n. 237 del 2021).
3.- Sempre in via preliminare, deve essere esaminata l'eccezione
di inammissibilita' avanzata dal Presidente del Consiglio dei
ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale
dello Stato, che allega come il Tribunale di Reggio Calabria, sezione
misure di prevenzione, abbia disposto il sequestro dell'impresa
individuale della ricorrente, con annesso patrimonio aziendale, con
decreto adottato il 22 dicembre 2020, quindi in data successiva a
quella dell'ordinanza di rimessione.
L'Avvocatura dello Stato sostiene che la sopravvenienza di tale
provvedimento giudiziario rispetto all'ordinanza di rimessione
comporterebbe, per difetto di rilevanza, l'inammissibilita' delle
questioni sollevate. Il sequestro sospende, infatti, ai sensi
dell'art. 35-bis, comma 3, cod. antimafia, «gli effetti della
pregressa documentazione antimafia interdittiva», al fine di
consentire la temporanea prosecuzione dell'attivita' di impresa. Di
conseguenza, il venir meno dei mezzi di sostentamento in capo
all'interessata e alla sua famiglia deriverebbe, secondo la difesa
erariale, non gia' dalla omessa previsione della facolta' del
prefetto di escludere le conseguenze interdittive proprie
dell'informazione antimafia, ma dall'intervenuto sequestro aziendale.
L'eccezione deve essere rigettata.
Per costante giurisprudenza costituzionale, «una volta iniziato
in seguito ad ordinanza di rinvio del giudice rimettente, il giudizio
di legittimita' costituzionale non e' suscettibile di essere
influenzato dalle eventuali successive vicende di fatto che
concernono il rapporto dedotto nel processo che lo ha occasionato».
Infatti, «[l]a rilevanza della questione va [...] valutata alla luce
delle circostanze di fatto sussistenti al momento dell'ordinanza di
rimessione e non a quelle sopravvenute, anche ove tali ultime siano
tali da incidere sulla persistente attualita' dell'interesse ad agire
nel giudizio principale (sentenza n. 42 del 2011), permanendo la
necessita' di sottoporre allo scrutinio di costituzionalita' una
norma che, come nel caso di specie, abbia comunque prodotto effetti
sulle posizioni soggettive dei destinatari» (sentenza n. 150 del
2018; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 33, n. 30, n. 22 e
n. 7 del 2022, n. 127 del 2021, n. 270 e n. 85 del 2020).
Cio' vale anche a prescindere da quel che allega, nella memoria
depositata in vista dell'udienza, la parte, la quale sottolinea di
conservare un interesse alla declaratoria di illegittimita'
costituzionale dell'art. 92 cod. antimafia, poiche' il provvedimento
interdittivo, che comunque aveva iniziato a dispiegare i propri
effetti, potrebbe produrne ancora, essendo stati questi ultimi solo
sospesi a seguito del provvedimento di sequestro, avverso il quale
pende giudizio.
4.- Ancora in via preliminare, va valutata l'incidenza di una
significativa modifica legislativa - recata dal decreto-legge 6
novembre 2021, n. 152 recante « Disposizioni urgenti per l'attuazione
del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la
prevenzione delle infiltrazioni mafiose», convertito, con
modificazioni, nella legge 29 dicembre 2021, n. 233 - che,
successivamente all'ordinanza di rimessione, ha interessato l'art. 92
cod. antimafia, cioe' la disposizione oggetto delle odierne questioni
di legittimita' costituzionale.
Il novellato art. 92, comma 2-bis, cod. antimafia prevede ora una
forma di contraddittorio necessario tra il prefetto e coloro nei cui
confronti stia per essere emessa una informazione antimafia. Il
prefetto e' infatti tenuto, sempre che non ricorrano «particolari
esigenze di celerita' del procedimento», a dare tempestiva
comunicazione all'interessato, «indicando gli elementi sintomatici
dei tentativi di infiltrazione mafiosa». L'interessato puo'
presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da
documenti, nonche' richiedere di essere ascoltato.
La disposizione prevede, inoltre, che non possono formare oggetto
della comunicazione informazioni il cui disvelamento rischi di
pregiudicare procedimenti amministrativi o attivita' processuali in
corso, oppure l'esito di altri accertamenti finalizzati a prevenire
infiltrazioni mafiose.
Al termine di questa fase in contraddittorio, secondo quanto
dispone l'art. 92, comma 2-ter, cod. antimafia, il prefetto potra'
rilasciare una informazione liberatoria oppure una informazione
interdittiva, oppure ancora - laddove gli elementi sintomatici dei
tentativi di infiltrazione mafiosa «siano riconducibili a situazioni
di agevolazione occasionale» - disporre l'applicazione delle nuove
misure amministrative di prevenzione collaborativa, di cui all'art.
94-bis cod. antimafia, a sua volta inserito dalla novella legislativa
ora in esame.
Tale ultima disposizione, al comma 1, prevede che, al sussistere
della condizione ricordata (la cosiddetta «agevolazione
occasionale»), il prefetto possa prescrivere, per un periodo non
inferiore a sei mesi e non superiore a dodici, una o piu' misure di
prevenzione collaborativa.
In tal caso, puo' essere richiesto all'impresa di adottare misure
organizzative finalizzate a rimuovere e prevenire le cause di
agevolazione occasionale, di comunicare al gruppo interforze
costituito presso la stessa prefettura gli atti di disposizione, di
acquisto o pagamento e gli incarichi conferiti di valore non
inferiore a una determinata soglia di valore, di utilizzare a tal
fine un conto corrente apposito. Puo' essere inoltre previsto
l'obbligo di comunicare i contratti di associazione in partecipazione
stipulati e, per le societa' di capitali o di persone, i
finanziamenti erogati dai soci o terzi. Il prefetto puo' anche
decidere, ai sensi del successivo comma 2, di nominare uno o piu'
esperti con funzioni di supporto per l'attuazione delle misure
disposte.
Di rilievo e' pure la nuova previsione del comma 4 dell'art.
94-bis, ai cui sensi, alla scadenza del termine di durata delle
misure, il prefetto, «ove accerti, sulla base delle analisi formulate
dal gruppo interforze, il venir meno dell'agevolazione occasionale e
l'assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia
un'informazione antimafia liberatoria».
In definitiva, il decreto-legge n. 152 del 2021, come convertito,
ha introdotto la possibilita', per l'impresa sospettata di
agevolazione mafiosa solo occasionale, di evitare l'informazione e i
suoi effetti interdittivi, e di continuare ad operare, sia pur
risultando sottoposta a vigilanza e assumendo l'impegno di adoperarsi
per una bonifica, si' da superare gli elementi di "compromissione"
riscontrati.
Queste misure di prevenzione, da adottarsi in via amministrativa
dal prefetto, risultano per certi profili simili a quelle che
l'autorita' giudiziaria puo' disporre con il controllo giudiziario di
cui all'art. 34-bis cod. antimafia. La significativa innovazione
recata dalla riforma, con il nuovo strumento di cui all'art. 94-bis,
consiste proprio nella possibilita' di anticipare alla fase
amministrativa quelle misure di bonifica dell'impresa (cosiddette di
self cleaning) ricomprese nell'ambito dell'istituto del controllo
giudiziario, e disposte, appunto, in sede giurisdizionale.
Ebbene, per quanto si tratti di novita' di sicuro rilievo, ne' la
previsione che ha introdotto il contraddittorio necessario, ne'
quella che consente le misure amministrative preventive di
collaborazione, possono trovare applicazione, ratione temporis, nel
giudizio principale, quest'ultimo avendo ad oggetto una informazione
antimafia adottata nella vigenza delle precedenti regole. Sicche',
non e' prospettabile la restituzione degli atti al giudice a quo,
affinche' proceda ad una nuova valutazione dei requisiti di rilevanza
e non manifesta infondatezza delle sollevate questioni (da ultimo,
sentenze n. 91, n. 54 e n. 27 del 2022).
Il dubbio, che potrebbe astrattamente porsi con riferimento
all'applicabilita' delle nuove misure preventive di collaborazione ad
un'impresa gia' attinta da informazione antimafia, e' eliminato in
radice dalla norma transitoria di cui all'art. 49, comma 2, del
decreto-legge n. 152 del 2021, come convertito, ove si prevede che
l'art. 94-bis cod. antimafia si applichi «anche ai procedimenti
amministrativi per i quali, alla data di entrata in vigore del
presente decreto, e' stato effettuato l'accesso alla banca dati
nazionale unica della documentazione antimafia e non e' stata ancora
rilasciata l'informazione antimafia».
Nel presente caso, l'informazione antimafia e' stata gia'
adottata, sicche' il prefetto non avrebbe modo di ricorrere alle
nuove misure collaborative.
E', inoltre, del tutto ipotetica e solo eventuale la possibilita'
che, una volta decorso il periodo di validita' dell'informazione
antimafia subita dall'impresa ricorrente, il prefetto, chiamato a
riconsiderare le circostanze di fatto, possa, a questo punto,
applicare le nuove misure collaborative (ove, ovviamente, ritenga che
l'agevolazione sia solo occasionale). Analogamente, e' a dirsi della
possibilita' che - nel corso della rinnovata valutazione, condotta al
fine di verificare se sussistano elementi diversi rispetto a quelli
che avevano portato alla prima informazione - l'interessato abbia
accesso al contraddittorio con il prefetto, ai sensi del nuovo art.
92-bis cod. antimafia.
Le innovazioni legislative in parola, peraltro, non si muovono
nella direzione proposta dal rimettente (sentenza n. 125 del 2018),
non contenendo alcun riferimento alle esigenze che ispirano l'art.
67, comma 5, cod. antimafia (norma assunta a tertium comparationis
nell'ordinanza di rimessione), cioe' la tutela di bisogni primari di
sostentamento economico della persona attinta da una misura di
prevenzione e della sua famiglia. Al contrario, la novella in esame,
e specificamente quella concernente le misure amministrative di
prevenzione collaborativa, pur essendo indirizzata a consentire
l'eventuale prosecuzione delle attivita' imprenditoriali, e'
prevalentemente guidata da esigenze di tutela della sicurezza
pubblica: giacche' il presupposto per la sua applicazione,
analogamente a quanto previsto per l'applicazione del controllo
giudiziario ai sensi dell'art. 34-bis cod. antimafia, e' il carattere
solo occasionale dell'agevolazione cui sono riconducibili i tentativi
di infiltrazione mafiosa, non gia' la condizione di bisogno delle
persone interessate (tanto che la parte costituita ha
significativamente chiesto che le questioni di legittimita'
costituzionale siano estese alla nuova disciplina).
5.- Passando al merito, e' bene chiarire che il nucleo delle
censure articolate dal rimettente ruota intorno all'asserita
violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., mentre il richiamo
operato ai parametri di cui agli artt. 4 e 24 Cost. assume un ruolo
puramente ancillare rispetto alla doglianza principale. Quanto a
quest'ultima, l'ordinanza di rimessione coglie un aspetto realmente
critico della disciplina, in ordine al quale questa stessa Corte,
nella sentenza n. 57 del 2020, ha auspicato «una rimeditazione da
parte del legislatore».
Non e', del resto, implausibile il confronto che il giudice
rimettente propone tra la differente disciplina dei poteri attribuiti
al giudice delle misure di prevenzione, e quelli conferiti al
prefetto nell'ambito dell'informazione antimafia. Ben vero che si
tratta di contesti normativi non del tutto sovrapponibili: da una
parte, una misura di prevenzione, adottata con provvedimento
definitivo di un giudice che, nell'ambito di un giudizio, ha
accertato la pericolosita' sociale della persona; dall'altra, una
misura amministrativa, caratterizzata dalla massima anticipazione
della soglia di prevenzione, adottata nei confronti di un'impresa che
si sospetta intrattenere (o che, secondo la giurisprudenza
amministrativa, addirittura si teme possa intrattenere) rapporti con
la criminalita' organizzata.
Tali elementi di differenziazione non possono tuttavia
considerarsi a tal punto significativi da richiedere necessariamente
un diverso regime giuridico quanto ad una esigenza di primario
rilievo, quale e', nell'un caso e nell'altro, la garanzia di
sostentamento del soggetto colpito dall'una e dall'altra misura, e
della sua famiglia.
Va anzitutto osservato che in entrambi i casi si e' in presenza
di misure anticipatorie in funzione di difesa della legalita'.
Quanto all'informazione antimafia, cio' e' argomentato, sia dalla
giurisprudenza amministrativa - che esclude in materia logiche
sanzionatorie e ragiona di un provvedimento con natura «cautelare e
preventiva» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile
2018, n. 3 e, tra le piu' recenti, sezione terza, sentenza 4 gennaio
2022, n. 21) - sia dalla stessa giurisprudenza costituzionale
(sentenze n. 118 del 2022, n. 178 del 2021 e n. 57 del 2020).
Quanto alle misure di prevenzione personali, questa Corte ha
avuto modo di chiarire che, pur fondate su elementi tali da far
ritenere la sussistenza di pregresse attivita' criminose, esse non
manifestano carattere sanzionatorio-punitivo ed hanno «chiara
finalita' preventiva», essendo intese a ridurre il rischio che il
soggetto, limitato nella sua liberta' di movimento e sottoposto a
vigilanza in base alle prescrizioni indicate all'art. 8 cod.
antimafia, commetta ulteriori reati. Si tratta, insomma, di strumenti
deputati al «controllo, per il futuro, della pericolosita' sociale
del soggetto interessato: non gia' [alla] punizione per cio' che
questi ha compiuto nel passato» (sentenza n. 24 del 2019).
Alle limitazioni e agli strumenti di vigilanza imposti dal
decreto che abbia in via definitiva applicato la misura di
prevenzione (quelli che delineano il contenuto tipico della misura),
l'art. 67 cod. antimafia aggiunge ulteriori effetti pregiudizievoli,
«gravemente "inabilitanti"» (sentenza n. 93 del 2010), il cui
obiettivo e' di contrastare l'attivita' economica dei soggetti
colpiti «tramite, in particolare, il reimpiego del danaro proveniente
da attivita' criminosa» (sentenza n. 510 del 2000).
Si tratta dei medesimi effetti (e, invero, potenzialmente degli
unici effetti, a differenza di quel che accade per le misure di
prevenzione, da cui ne derivano altri, diversi) che conseguono
all'informazione antimafia. Come gia' detto, tale ultimo
provvedimento, infatti, puo' basarsi, sia sulla sussistenza di una
delle cause di decadenza previste dall'art. 67 cod. antimafia
(dunque, in ipotesi, proprio su una misura di prevenzione applicata
con provvedimento definitivo), sia sulla sussistenza «di eventuali
tentativi di infiltrazione mafiosa» (art. 84, comma 3, cod.
antimafia), desumibili da una serie di elementi indicati negli artt.
84, comma 4, e 91, comma 6, cod. antimafia. Il provvedimento potrebbe
essere assunto in presenza di situazioni non necessariamente gia'
vagliate dalla magistratura, e da cui non sono dunque gia' scaturite
ulteriori conseguenze a carico dei soggetti interessati.
La ratio dell'informazione antimafia, in funzione di «massima
anticipazione della soglia di prevenzione» (tra le piu' recenti,
Consiglio di Stato, sezione prima, sentenza 18 giugno 2021, n. 1060),
e' del resto quella di apprestare la «salvaguardia dell'ordine
pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del
buon andamento della Pubblica Amministrazione» (in questo senso la
gia' citata sentenza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, n. 3
del 2018, e la sentenza della sezione terza, 3 maggio 2016, n. 1743).
In tale contesto, tuttavia, solo nei confronti del soggetto
attinto da misura di prevenzione e non in riferimento a quello
colpito da interdittiva gli interessi di rilievo pubblicistico in tal
modo perseguiti sono destinati a cedere il passo all'insopprimibile
esigenza di non mettere a rischio la possibilita' del soggetto di
sostentare se' stesso e la propria famiglia.
Vien cosi' da rilevare che proprio nell'ambito di un procedimento
finalizzato al rilascio dell'informazione interdittiva - fondato
sulla rilevazione di elementi di pericolo non necessariamente gia'
passati al vaglio della magistratura, e relativo ad attivita'
economiche operanti spesso in un'area contigua, o addirittura solo
potenzialmente contigua, alla criminalita' organizzata - il
legislatore dovrebbe, a fortiori, consentire la valutazione
dell'effetto prodotto dalle interdizioni sul sostentamento dei
soggetti interessati.
La limitata durata temporale dell'interdittiva, prevista
dall'art. 86, comma 2, cod. antimafia, non parrebbe, d'altra parte,
elemento sufficiente a giustificare la deteriore disciplina riservata
a coloro che siano raggiunti da tale provvedimento (analogamente,
gia' sentenza n. 57 del 2020).
Non erra, a tal proposito, il rimettente quando osserva che
dodici mesi di interruzione dell'attivita' imprenditoriale potrebbero
determinare conseguenze irrimediabili sulla sua sopravvivenza.
Ancora, non appare misura idonea a scongiurare un contrasto con
il principio di uguaglianza l'applicazione del controllo giudiziario
(e, dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 152 del 2021, come
convertito, delle richiamate misure di prevenzione amministrativa
collaborativa, comunque non applicabili, ratione temporis, al caso di
specie), che pure risponde all'apprezzabile finalita' di contemperare
le esigenze di difesa sociale e di tutela della concorrenza con
l'interesse alla continuita' aziendale. Infatti, non diversamente da
quanto e' stato ultimamente previsto ai fini dell'applicazione delle
misure di prevenzione amministrativa collaborativa, anche per poter
accedere al controllo giudiziario non assume rilievo decisivo la
condizione economica dell'interessato, quanto il grado di
pericolosita' dell'infiltrazione mafiosa, ovvero la
«bonificabilita'», in termini prognostici, dell'impresa (Corte di
cassazione, sezione sesta penale, sentenze 13 maggio-15 giugno 2021,
n. 23330 e sezione seconda penale, 28 gennaio-5 marzo 2021, n. 9122).
6.- Alla luce di tali considerazioni, non e' dubbio che
l'ordinanza di rimessione sottolinei correttamente l'esistenza di una
ingiustificata disparita' di trattamento, che necessita di un
rimedio.
A questo scopo, tuttavia, e allo stato, non appare strumento
idoneo la pronuncia di accoglimento delineata nell'ordinanza di
rimessione, che chiede di trasporre, nella disciplina relativa alla
informazione interdittiva, la deroga attualmente prevista dall'art.
67, comma 5, cod. antimafia con riferimento alle sole misure di
prevenzione personali.
6.1.- In primo luogo, occorre considerare che, secondo la
prospettazione del rimettente, una pronuncia di tal fatta avrebbe
l'effetto di attribuire all'autorita' prefettizia, nell'ambito del
procedimento che conduce al rilascio dell'informazione antimafia, un
potere valutativo - quello finalizzato a verificare se, per effetto
delle decadenze e dei divieti di cui all'art. 67 cod. antimafia,
vengano meno i mezzi di sostentamento all'interessato e alla sua
famiglia - che attualmente il codice affida, invece,
all'apprezzamento dell'autorita' giudiziaria, nel contesto del
procedimento e delle garanzie proprie di un giudizio.
Non solo si tratterebbe, quindi, di estendere la disciplina
derogatoria in questione dal settore delle misure di prevenzione a
quello dell'informazione antimafia, ma, altresi', di attribuirne
l'applicazione ad un'autorita' diversa, trasferendola dall'autorita'
giudiziaria a quella amministrativa.
Da questo punto di vista, e' richiesta una pronuncia connotata da
un «cospicuo tasso di manipolativita'» (sentenze n. 80 e n. 21 del
2020, n. 219 del 2019 e n. 23 del 2016; in termini, ordinanze n. 126
del 2019 e n. 12 del 2017), che determinerebbe l'innesto, nel sistema
vigente, di un istituto inedito, e che presupporrebbe, oltretutto,
l'attribuzione all'autorita' prefettizia di nuovi, specifici poteri
istruttori, allo stato inesistenti.
6.2.- In secondo luogo, l'informazione antimafia, sebbene
comporti accertamenti su persone fisiche (indicate all'art. 85 cod.
antimafia), mira a verificare la sussistenza di eventuali tentativi
di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare l'attivita' di
«societa' o imprese» (art. 84, comma 3, cod. antimafia) cui tali
soggetti siano collegati. Il provvedimento in questione riguarda,
dunque, gli operatori economici, che siano persone giuridiche o
imprese individuali, come recentemente sottolineato dallo stesso
rimettente (TAR Calabria, sentenze 10 maggio 2022, n. 781 e 3 gennaio
2022, n. 2).
Il caso da cui originano le presenti questioni di legittimita'
costituzionale concerne specificamente una impresa individuale e,
benche' cio' non sia del tutto esplicitato nell'ordinanza di
rimessione, le censure sollevate dal rimettente risultano ritagliate
su tale specifica situazione. Del resto, proprio per effetto del
rapporto di sostanziale immedesimazione che nella fattispecie in
esame sussiste tra imprenditore e impresa, stride con il principio di
uguaglianza la circostanza che il prefetto non possa valutare, come
invece puo' fare il giudice nei confronti del soggetto prevenuto,
l'incidenza degli effetti interdittivi sulle capacita' di
sostentamento dell'«interessato» e della sua «famiglia».
In definitiva, e' particolarmente in ipotesi di questo genere,
appunto di sostanziale sovrapposizione fra persona e attivita'
economica, che emerge la disparita' di trattamento lamentata dal
giudice a quo.
Tuttavia, a ben vedere, anche una pronuncia di illegittimita'
costituzionale che ritagli il dispositivo di accoglimento sulla
specifica situazione del giudizio a quo presenterebbe delicate
implicazioni. Dovrebbe invero essere frutto di scelta discrezionale,
come tale anch'essa spettante al legislatore, riservare, nell'ambito
dell'informazione interdittiva, alla sola peculiare fattispecie
dell'impresa individuale l'applicabilita' di una deroga quale quella
prevista dall'art. 67, comma 5, cod. antimafia, oppure,
eventualmente, ampliarne i destinatari, coinvolgendo ulteriori
soggetti economici (ad esempio le societa' di persone, o addirittura
anche quelle di capitali), risultando altresi' necessario precisare,
in tali ultime ipotesi, quale o quali soggetti, collegati
all'impresa, dovrebbero essere oggetto di considerazione.
6.3.- In terzo luogo, vi e' da considerare che le misure di
prevenzione personali hanno, come accennato, un proprio e
tradizionale contenuto tipico - delineato all'art. 8 cod. antimafia -
cui i divieti e le preclusioni elencati all'art. 67 cod. antimafia si
aggiungono in via accessoria. Invece, le misure interdittive
antimafia (laddove non si basino a loro volta su provvedimenti
dell'autorita' giudiziaria, gia' produttivi di conseguenze autonome)
esauriscono i propri effetti pregiudizievoli proprio nei divieti e
nelle decadenze di ordine economico previste dal medesimo articolo,
sicche' l'eventuale inibizione in toto della loro applicazione, sia
pur in nome di fondamentali esigenze quali quelle rappresentate dal
giudice a quo, significherebbe privarle di oggetto e, percio', di
qualunque utilita', frustrando gli obbiettivi cui esse mirano.
Per scongiurare un simile paradossale effetto, bisognerebbe
almeno ritenere che l'art. 67, comma 5, cod. antimafia non richiede
di escludere "in blocco" tutte le decadenze e i divieti in esso
richiamati, ma solo quelli essenziali a dare continuita'
all'attivita' economica da cui il soggetto, e la sua famiglia,
traggano alimento. Interpretazione, peraltro, non del tutto piana,
non impedita dalla lettera della disposizione in questione, e
tuttavia nemmeno facilitata dall'inesistenza di una significativa
giurisprudenza in materia: cio' che, insieme al richiesto
trasferimento del potere valutativo in merito dal giudice al
prefetto, accentua ulteriormente il carattere manipolativo della
pronuncia prospettata dal rimettente, che, anche da questo punto di
vista, chiama in causa scelte spettanti alla discrezionalita'
legislativa.
6.4.- Infine, appartiene allo stesso modo alla discrezionalita'
legislativa decidere se e come utilizzare allo scopo invocato dal
giudice a quo, innovandoli ulteriormente, alcuni utili strumenti,
quali il controllo giudiziario o le misure amministrative di
prevenzione collaborativa (gia' di recente oggetto di modifiche), al
fine di meglio contemperare l'interesse pubblico alla sicurezza e la
generale liberta' del mercato, da una parte, e il diritto della
persona a veder garantiti i propri mezzi di sostentamento,
dall'altra: inserendo esplicitamente, tra le valutazioni che tali
misure consentono, la possibilita' di decidere selettive deroghe agli
effetti interdittivi e alle decadenze di cui all'art. 67 cod.
antimafia, proprio in vista di assicurare alle persone coinvolte i
necessari mezzi di sostentamento economico.
7.- In definitiva, come si vede, non puo' essere una pronuncia di
questa Corte, allo stato, a farsi carico - allo scopo di sanare
l'accertato vulnus al principio di uguaglianza - dei complessi
profili fin qui segnalati.
Per queste ragioni, le questioni di legittimita' costituzionale
devono essere dichiarate inammissibili.
Pure, deve trovare soddisfazione in tempi rapidi la necessita' di
accordare tutela alle esigenze di sostentamento dei soggetti che
subiscono, insieme alle loro famiglie, a causa delle inibizioni
all'attivita' economica, gli effetti dell'informazione interdittiva.
Del resto, a fortiori in contesti interessati da reali o
potenziali infiltrazioni criminali, la possibilita' di trarre
sostentamento da attivita' economiche che potrebbero risultare legali
e "sane" (ovvero essere rese tali anche perche' opportunamente
"controllate") costituisce non solo oggetto di un diritto individuale
costituzionalmente tutelato, ma anche interesse pubblico essenziale,
proprio in nome della difesa della legalita' e della necessaria
sottrazione di spazi di intervento e di influenza alla criminalita'
organizzata.
Si e' gia' ricordato che nella sentenza n. 57 del 2020 questa
Corte aveva sottolineato come l'omessa previsione, in capo al
prefetto, della possibilita' di esercitare, adottando l'informazione
interdittiva, i poteri attribuiti al giudice dall'art. 67, comma 5,
cod. antimafia, nel caso di adozione delle misure di prevenzione,
«merita[sse] indubbiamente una rimeditazione da parte del
legislatore».
Questa rimeditazione, tuttavia, non risulta finora avvenuta.
Per tale ragione, in considerazione del rilievo dei diritti
costituzionali interessati dalle odierne questioni, questa Corte non
puo' conclusivamente esimersi dal segnalare che un ulteriore
protrarsi dell'inerzia legislativa non sarebbe tollerabile
(analogamente, sentenza n. 22 del 2022) e la indurrebbe, ove
nuovamente investita, a provvedere direttamente, nonostante le
difficolta' qui descritte.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 92 del decreto legislativo 6 settembre 2011,
n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione,
nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a
norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136),
sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4 e 24 della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria,
sezione staccata di Reggio Calabria, con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 8 giugno 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Nicolo' ZANON, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2022.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
