N. 166 SENTENZA 21 maggio – 9 luglio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Contratti pubblici - Facolta' delle amministrazioni aggiudicatrici di nominare un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione dell'intervento e uno per la fase di affidamento - Istituzione e gestione dell'Albo telematico dei commissari di gara - Adozione da parte della Giunta regionale di linee guida e del codice regionale di buone pratiche - Definizione, con deliberazione della Giunta regionale, dei requisiti necessari per la qualificazione delle stazioni appaltanti. - Legge della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), artt. 34, comma 2, 37, commi 1, 2, 3, 4 e 8, 39 e 45. -
(GU n.28 del 10-7-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 34, 37,
39 e 45 della legge della Regione Sardegna 13 marzo 2018, n. 8 (Nuove
norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con
ricorso notificato l'11-15 maggio 2018, depositato il 15 maggio 2018,
iscritto al n. 36 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale,
dell'anno 2018.
Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna;
udito nella udienza pubblica del 21 maggio 2019 il Giudice
relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l'avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Mattia Pani per la Regione
Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli
artt. 34, 37, 39 e 45 della legge della Regione Sardegna 13 marzo
2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture), per violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettere e) ed l), della Costituzione.
1.1.- Premette il ricorrente che la Regione Sardegna, ai sensi
dell'art. 3, lettera e), della legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), gode di competenza
legislativa primaria in materia di lavori pubblici di esclusivo
interesse della Regione.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, tuttavia, le norme
relative alle procedure di gara e alla stipulazione ed esecuzione dei
contratti pubblici non andrebbero ricondotte alla menzionata
competenza legislativa primaria della Regione Sardegna ma a quella
esclusiva dello Stato nelle materie della tutela della concorrenza e
dell'ordinamento civile.
1.2.- Cio' premesso, il ricorrente impugna, in primo luogo,
l'art. 34 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, ricordando che, ai
sensi del comma 1, «Per ogni singolo intervento da realizzarsi
mediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici
[...] nominano un responsabile unico del procedimento per le fasi
della programmazione, della progettazione, dell'affidamento e
dell'esecuzione del contratto pubblico. Tali fasi costituiscono,
unitariamente considerate, il progetto del contratto pubblico e il
responsabile unico del procedimento e' il "responsabile di
progetto"».
Il principio di unicita' del responsabile del procedimento
sancito dal comma 1 sarebbe in linea con quanto previsto dall'art.
31, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice
dei contratti pubblici), secondo cui per ogni singola procedura per
l'affidamento di un appalto o di una concessione le stazioni
appaltanti individuano, nell'atto di adozione o di aggiornamento dei
programmi, ovvero nell'atto di avvio relativo ad ogni singolo
intervento per le esigenze non incluse in programmazione, un
responsabile unico del procedimento (RUP) per le fasi della
programmazione, della progettazione, dell'affidamento,
dell'esecuzione.
Tale principio, tuttavia, verrebbe tradito dal successivo comma 2
dell'art. 34 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, ove si
conferisce la facolta' alle amministrazioni aggiudicatrici di
nominare un responsabile del procedimento per le fasi di
programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile per la
fase di affidamento, cosi' dando luogo a una «stratificazione delle
responsabilita'», che farebbe venir meno il «concetto stesso di
responsabile unico del procedimento».
1.3.- Il ricorrente impugna, poi, l'art. 37 della legge reg.
Sardegna n. 8 del 2018, rubricato «Commissione giudicatrice», il
quale prevede che, «ai fini della nomina dei componenti della
commissione di gara, la Regione istituisce e gestisce l'Albo
telematico dei commissari di gara, suddiviso per categorie di
specializzazione, a cui le stazioni appaltanti hanno accesso libero e
diretto» (comma 1).
Tale previsione si discosterebbe dall'art. 78 del d. lgs. n. 50
del 2016 (d'ora in avanti: nuovo codice dei contratti pubblici), che,
in attuazione dell'art. 1, comma 1, lettera hh), della legge 28
gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l'attuazione delle
direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei
contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure
d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia,
dei trasporti e dei servizi postali, nonche' per il riordino della
disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture), istituisce presso l'Autorita' nazionale
anticorruzione (ANAC), «l'Albo nazionale obbligatorio dei componenti
delle commissioni aggiudicatrici nelle procedure di affidamento dei
contratti pubblici», conferendo, altresi', all'Autorita' medesima la
competenza a definire, con apposite linee guida, i criteri e le
modalita' di iscrizione all'albo, nonche' le modalita' di
funzionamento delle commissioni giudicatrici.
1.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, ancora,
l'art. 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, rubricato «Linee
guida e codice regionale di buone pratiche», che, nell'attribuire
alla Giunta regionale l'adozione di linee guida, documentazione
standard, capitolati speciali e schemi di contratto, nonche' del
codice regionale di buone pratiche, si sovrapporrebbe alle competenze
che l'art. 213, comma 2, del nuovo codice dei contratti pubblici, in
attuazione dell'art. 1, comma 1, lettera t), della legge delega n. 11
del 2016, attribuisce all'ANAC, chiamata ad adottare atti di
indirizzo, quali «linee guida, bandi tipo, capitolati-tipo,
contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile», anche
dotati di efficacia vincolante.
E' vero - prosegue il ricorrente - che la norma regionale dispone
che gli atti della Giunta debbano essere approvati «in coerenza» con
le linee guida e con i bandi tipo dell'ANAC, ma non sarebbe previsto
alcun meccanismo di verifica di tale coerenza.
Come evidenziato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
183 (recte, 187) del 2013, il rapporto tra le funzioni dell'Autorita'
di vigilanza nell'approvazione dei bandi-tipo e l'obbligo di
adeguamento delle stazioni appaltanti risponderebbe ad esigenze
unitarie, «che non tollerano alcun margine di discrezionalita'
"intermedio" riservato alla Giunta».
A cio' si dovrebbe aggiungere che le funzioni svolte
dall'Autorita' mirano a garantire la tutela e la promozione della
concorrenza e la realizzazione di mercati concorrenziali (si cita la
sentenza n. 41 del 2013).
1.5.- Il ricorrente impugna, infine, l'art. 45 della legge reg.
Sardegna n. 8 del 2018, rubricato «Qualificazione delle stazioni
appaltanti», il quale articolo dispone che, «Con deliberazione della
Giunta regionale, da adottarsi su proposta del Presidente della
Regione entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, ai fini della qualificazione delle stazioni
appaltanti, sono definiti i requisiti necessari sulla base dei
criteri di qualita', efficienza e professionalizzazione, tra cui, per
le centrali di committenza, il carattere di stabilita' delle
attivita' e il relativo ambito territoriale, tenendo conto dei
principi previsti dalla normativa statale vigente».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma
censurata non e' coordinata con quanto disposto dalle lettere bb) e
dd) dell'art. 1, comma 1, della legge delega n. 11 del 2016, che
demandano al legislatore delegato la «razionalizzazione delle
procedure di spesa attraverso l'applicazione di criteri di qualita',
efficienza, professionalizzazione delle stazioni appaltanti,
prevedendo [...] l'introduzione di un apposito sistema, gestito
dall'ANAC, di qualificazione delle medesime stazioni appaltanti, teso
a valutarne l'effettiva capacita' tecnica e organizzativa, sulla base
di parametri obiettivi», nonche' attraverso adeguate forme di
centralizzazione delle committenze e di riduzione del numero delle
amministrazioni aggiudicatrici, basate proprio sul sistema di
qualificazione, che consente di gestire contratti di diversa
complessita' a seconda del grado abilitazione conseguito.
La norma impugnata, conseguentemente, sarebbe in contrasto anche
con l'art. 38 del nuovo codice dei contratti pubblici, che, in
esecuzione dei cennati criteri di delega, istituisce presso l'ANAC,
che ne assicura la pubblicita', un apposito elenco delle stazioni
appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di
committenza.
2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Sardegna, chiedendo
di dichiarare l'inammissibilita', ovvero, in via subordinata,
l'infondatezza delle questioni sollevate.
2.1.- La resistente ritiene, in primo luogo, di dovere «dare
conto del quadro normativo, costituzionale e giurisprudenziale
nell'ambito del quale si e' mosso il legislatore regionale».
Osserva la Regione Sardegna che, ai sensi dell'art. 3, lettere
a), ed e), dello statuto e dell'art. 117, quarto comma, Cost., essa
dispone di competenza legislativa di tipo primario in materia di
organizzazione amministrativa e di lavori pubblici di esclusivo
interesse regionale, mentre, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,
lettere e) ed l), Cost., lo Stato dispone di potesta' legislativa
esclusiva in materia di tutela della concorrenza e ordinamento
civile.
Questa Corte avrebbe gia' avuto modo di affermare, con la
sentenza n. 43 del 2011, la riconducibilita' della disciplina
dell'attivita' del responsabile unico del procedimento alla materia
dell'organizzazione amministrativa.
Piu' in generale, sarebbero ascrivibili alla competenza
legislativa regionale i profili di carattere organizzativo e di
semplificazione procedimentale relativi ai lavori pubblici di
interesse regionale (si cita la sentenza n. 401 del 2007 sulla
composizione e sulle modalita' di nomina delle commissioni
giudicatrici).
2.2.- Fatte queste premesse, la Regione Sardegna solleva una
serie di eccezioni di inammissibilita' del ricorso, principiando dal
rilievo che il ricorrente, nell'articolare le censure, non avrebbe
tenuto in debita considerazione le norme statutarie che le
conferiscono una competenza legislativa primaria negli ambiti
regolati dagli articoli contestati.
Il ricorrente cioe', assumerebbe che la Regione Sardegna goda di
competenza legislativa di tipo primario nella materia dei lavori
pubblici di esclusivo interesse regionale, ma, contraddittoriamente,
postulerebbe un'applicazione automatica e illimitata del codice dei
contratti pubblici, «senza nessuna graduazione doverosa in ragione
degli ambiti di autonomia esclusiva e speciale» della resistente.
2.3.- Il ricorso sarebbe poi inammissibile per difetto di
interesse «attuale, immediato e concreto» all'impugnazione, non
essendovi dimostrazione alcuna che l'applicazione delle norme
censurate «possa comportare un disvalore e/o una compromissione» dei
principi statali posti a tutela della concorrenza.
2.4.- Ancora, l'inammissibilita' del ricorso deriverebbe dalla
asserita genericita' della motivazione posta a fondamento delle
censure avanzate.
Segnatamente, la difesa statale non avrebbe in alcun modo
spiegato le ragioni per cui i parametri costituzionali invocati
sarebbero violati dalle disposizioni impugnate, e cio' nonostante la
costante giurisprudenza costituzionale richieda che il ricorso in via
principale si fondi su un'argomentazione adeguata e non assertiva, e
quindi contenga una sia pur sintetica argomentazione di merito a
sostegno della richiesta declaratoria d'incostituzionalita'.
2.5.- Il ricorso sarebbe inoltre inammissibile, perche' il
Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe spiegato il motivo
per cui, pur impugnando una legge della Regione Sardegna, abbia preso
in considerazione l'art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost.,
in luogo delle norme statutarie.
2.6.- Sul rilievo, poi, che il ricorrente ha impugnato
formalmente gli interi artt. 34, 37 e 39 della legge regionale n. 8
del 2018, sviluppando specifiche censure solo con riferimento ad
alcuni commi di tali disposizioni, la Regione Sardegna eccepisce
l'inammissibilita' del ricorso, per un verso, con riferimento ai
restanti commi, e, per altro verso, con riferimento a quelli
effettivamente censurati, poiche' «l'eventuale accoglimento sarebbe
nella sostanza inutile posto che residuerebbe, comunque, il disegno
organizzativo ipotizzato dalla Regione».
2.7.- L'ultima ragione di inammissibilita' riguarderebbe i motivi
di ricorso «nn. 2, 3 e 4», nella misura in cui assumono la pretesa
violazione delle «competenze/potesta' regolamentari» dell'ANAC.
Afferma la Regione resistente che la sua potesta' legislativa
primaria in materia di lavori pubblici e di organizzazione
amministrativa non potrebbe essere ridimensionata dall'adozione da
parte dell'ANAC di atti di indirizzo, quali linee guida, bandi tipo,
contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, ovvero
di delibere rese nell'esercizio del suo potere regolamentare.
In ossequio ad un «doveroso rispetto della gerarchia delle fonti
che riconosce rilievo costituzionale allo Statuto della Sardegna», si
eccepisce, quindi, che «l'ipotizzato contrasto della normativa
regionale con l'eventuale spazio regolamentare riconosciuto ad ANAC
e' inammissibile», in particolare ove esso si situi in ambiti di
competenza legislativa regionale, dal momento che, ai sensi dell'art.
117, sesto comma, Cost., lo Stato ha potesta' regolamentare solo
nelle materie di legislazione esclusiva.
2.8.- Nel merito, secondo la Regione resistente, il ricorso e'
infondato, poiche' si basa sull'erroneo presupposto che le norme
impugnate abbiano travalicato le competenze statutarie, invadendo
quelle esclusive dello Stato in materia di tutela della concorrenza e
ordinamento civile.
2.9.- Quanto all'art. 34 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018,
la resistente ritiene che l'unicita' del responsabile del
procedimento non sia stata messa in discussione, poiche' il comma 1
espressamente afferma il principio dell'unitarieta' delle funzioni
nella gestione di tutte le fasi della «filiera del contratto» e i
commi 2 e 3 lo richiamano e rafforzano.
Le disposizioni regionali impugnate, regolando le modalita' di
svolgimento delle funzioni, che afferiscono «all'ambito
dell'organizzazione amministrativa, nel quale si esplica la potesta'
legislativa esclusiva della Regione», da un lato, introducono la
figura del responsabile di progetto, che garantisce l'unitarieta'
nella gestione di tutte le fasi realizzative di un contratto
pubblico, e, dall'altro, riconducono «ad unita' le diverse fasi del
procedimento contrattuale, nel quale sono oggettivamente
individuabili sub-procedimenti, connotati ciascuno da una innegabile
necessita' di specifica specializzazione».
Sarebbe lo stesso legislatore statale, del resto, ad individuare
espressamente i sub-procedimenti nel comma 3 dell'art. 31 del codice
dei contratti pubblici.
2.10.- Quanto al censurato art. 37 della legge reg. Sardegna n. 8
del 2018, la resistente osserva che la Corte costituzionale, con la
sentenza n. 401 del 2007, ha evidenziato come la disciplina della
composizione e delle modalita' di scelta dei componenti delle
commissioni giudicatrici non sia riconducibile alla competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza ma a
quella regionale in materia di organizzazione amministrativa.
La questione sarebbe poi non fondata perche', «facendosi
riferimento quale parametro di giudizio alla potesta' regolamentare
dell'ANAC [...], si imporrebbe al legislatore regionale una
disciplina regolamentare in una materia, quale quella della
"organizzazione amministrativa" relativa alle Commissioni di gara»,
non riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato,
in violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost.
2.11.- Quanto all'art. 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del
2018, la resistente osserva che la disposizione impugnata prevede che
la Giunta regionale approva, con propria determinazione, standard e
linee guida «in coerenza con le linee guida e con i bandi tipo
dell'ANAC».
Tale formulazione non potrebbe considerarsi lesiva dei principi
posti a tutela della concorrenza e delle prerogative statali in
materia. Anche ove si convenisse con il ricorrente che non e'
previsto alcun «meccanismo di verifica di tale coerenza», sarebbe
comunque vero che, in assenza della indispensabile armonizzazione con
le regole dell'ANAC, la Regione non potrebbe adottare alcun
provvedimento o che comunque i provvedimenti adottati sarebbero
illegittimi per contrasto con la stessa legge regionale.
2.12.- Quanto infine all'ultima questione avente ad oggetto
l'art. 45 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, la resistente
ritiene che la norma regionale non invada le materie della tutela
della concorrenza e dell'ordinamento civile.
La definizione dei requisiti di qualificazione delle stazioni
appaltanti, affidata alla Giunta regionale, tenendo conto dei
principi previsti dalla normativa statale vigente, non afferirebbe ad
alcun ambito dei contratti pubblici e, in particolare, non
interferirebbe con la disciplina delle procedure di gara e neppure
con le fasi negoziale ed esecutiva.
Viceversa, la disciplina della qualificazione atterrebbe piu'
propriamente alla materia dell'organizzazione amministrativa, come
emergerebbe dalla stessa legge delega n. 11 del 2016, che all'art. 1
annovera tra i principi e i criteri direttivi la razionalizzazione
delle procedure di spesa attraverso l'applicazione di criteri di
qualita', efficienza e professionalizzazione delle stazioni
appaltanti.
Nonostante il comma 1 di tale disposizione, alla lettera bb),
preveda l'introduzione «di un apposito sistema, gestito dall'ANAC, di
qualificazione delle medesime stazioni appaltanti, teso a valutarne
l'effettiva capacita' tecnica e organizzativa, sulla base di
parametri obiettivi», esso andrebbe interpretato e applicato tenendo
conto delle regole di riparto delle competenze di cui all'art. 117
Cost., anche alla luce dell'art. 2, comma 3, del codice dei contratti
pubblici.
Si tratterebbe, quindi, di una «materia intimamente connessa con
la potesta' di auto-organizzazione della Regione [...], in quanto
nella valutazione delle capacita' amministrative e gestionali delle
stazioni appaltanti non sono estranee problematiche di contesto,
cosi' come le ragioni dell'insularita' e la necessita' di tener conto
della legislazione di settore (come quella sulle autonomie locali)».
La questione sarebbe poi infondata perche', «facendosi
riferimento quale parametro di giudizio alla potesta' regolamentare
dell'ANAC [...], si imporrebbe al legislatore regionale una
disciplina regolamentare» in una materia, quale quella
dell'organizzazione amministrativa, non di competenza esclusiva dello
Stato, in violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli
artt. 34, 37, 39 e 45 della legge della Regione Sardegna 13 marzo
2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture), per violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettere e) ed l), della Costituzione.
Secondo il ricorrente, le disposizioni censurate - regolanti,
rispettivamente, il responsabile unico del procedimento, l'albo
telematico dei commissari di gara, le linee guida e il codice
regionale di buone pratiche, e la qualificazione delle stazioni
appaltanti - non sarebbero riconducibili alla materia dei lavori
pubblici di esclusivo interesse regionale, di competenza primaria
della Regione Sardegna ai sensi dell'art. 3, lettera e), della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la
Sardegna), ma alla tutela della concorrenza e all'ordinamento civile,
di competenza esclusiva dello Stato.
2.- La Regione Sardegna ha sollevato plurime eccezioni di
inammissibilita' del ricorso, che vanno esaminate secondo un ordine
di priorita' logica.
3.- Secondo la resistente, in primo luogo, il ricorso sarebbe
inammissibile con riferimento a tutti i commi degli artt. 34, 37 e 39
della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018 non oggetto di specifica
censura.
3.1.- L'eccezione e' infondata.
3.2.- Dall'esame del ricorso emerge che il Presidente del
Consiglio dei ministri, pur avendo impugnato l'intero art. 34, ha in
effetti rivolto la sua censura esclusivamente avverso il comma 2, che
determinerebbe una stratificazione delle responsabilita'
procedimentali; pur avendo impugnato l'intero art. 37, ha
effettivamente censurato solo il comma 1, che prevede l'istituzione
dell'albo telematico regionale dei commissari di gara; pur avendo
impugnato l'intero art. 39, ha effettivamente censurato solo i commi
1 e 3 che attribuiscono alla Giunta regionale la competenza ad
adottare linee guida, documentazione standard, capitolati speciali e
schemi di contratto, nonche' il codice regionale di buone pratiche.
Ne consegue che i restanti commi 1 e da 3 a 20 dell'art. 34, i
commi da 2 a 10 dell'art. 37 e il comma 2 dell'art. 39 sono estranei
al thema decidedum delle odierne questioni di legittimita'
costituzionale, fatta salva la valutazione sulla sussistenza dei
presupposti per la dichiarazione d'illegittimita' in via
consequenziale.
4.- La Regione Sardegna ha poi eccepito l'inammissibilita' del
ricorso per difetto di interesse «attuale, immediato e concreto»
all'impugnazione, stante la mancanza di prova che l'applicazione
delle norme censurate «possa comportare un disvalore e/o una
compromissione» dei principi statali posti a tutela della
concorrenza, e, con esclusivo riferimento ai commi effettivamente
censurati degli artt. 34, 37 e 39, poiche' «l'eventuale accoglimento
sarebbe nella sostanza inutile posto che residuerebbe, comunque, il
disegno organizzativo ipotizzato dalla Regione».
4.1.- Entrambe le eccezioni sono infondate, dal momento che,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «il giudizio
promosso in via principale e' giustificato dalla mera pubblicazione
di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione di competenze,
a prescindere dagli effetti che essa abbia prodotto (ex multis,
sentenze n. 195 del 2017, n. 262 del 2016 e n. 118 del 2015)»
(sentenza n. 178 del 2018).
In altri termini, poiche' le norme censurate non hanno una
funzione meramente ricognitiva, ne' sono comunque prive di portata
precettiva (sentenza n. 83 del 2018, che richiama le sentenze n. 63
del 2016, n. 254 e n. 77 del 2015, n. 230 del 2013, n. 346 e n. 52
del 2010, n. 401 del 2007), «l'asserita lesione dei criteri di
ripartizione delle competenze legislative statali giustifica
l'impugnativa in esame» (sentenza n. 178 del 2018).
5.- Con un'altra serie di eccezioni, che, in quanto strettamente
connesse, possono essere trattate congiuntamente, la resistente
lamenta il difetto di motivazione delle censure, anche sotto lo
specifico profilo dell'esame delle competenze statutarie della
Regione Sardegna.
5.1.- Anche queste eccezioni sono infondate.
5.2.- Il ricorso, oltre a indicare i parametri costituzionali
asseritamente violati, contiene l'illustrazione delle disposizioni
impugnate e della normativa statale interposta presa a riferimento, e
individua nel discostamento delle prime dalla seconda la ragione
della dedotta incostituzionalita': una argomentazione, sia pure
succinta, a sostegno delle censure proposte, e' dunque presente.
Quanto poi allo specifico profilo dell'esame delle competenze
statutarie della Regione Sardegna, il ricorrente ha preso in espressa
considerazione l'art. 3, lettera e), dello statuto, che, nel
prevedere la competenza regionale primaria in materia di lavori
pubblici di interesse regionale, l'assoggetta ai limiti derivanti
dalla Costituzione, dai principi dell'ordinamento giuridico della
Repubblica, dagli obblighi internazionali, dagli interessi nazionali
e dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della
Repubblica.
Lo stesso sviluppo argomentativo del ricorso rende dunque
evidente come il richiamo alla tutela della concorrenza e
all'ordinamento civile serva a lumeggiare la natura di parametro
interposto delle richiamate norme del decreto legislativo 18 aprile
2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), parametro che, anche
alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, riempie
di contenuto i limiti statutari alla potesta' legislativa regionale
in materia di lavori pubblici (sentenze n. 263 del 2016 e n. 187 del
2013).
Il fatto poi che il ricorrente non abbia preso in considerazione
anche le materie dell'ordinamento degli uffici e degli enti
amministrativi della Regione di cui all'art. 3, lettera a), dello
statuto e dell'organizzazione amministrativa di cui all'art. 117,
quarto comma, Cost. - invocate dalla resistente e gia' prima facie
rilevanti per l'inquadramento degli ambiti materiali di alcune delle
disposizioni impugnate - non attiene all'ammissibilita' ma al merito
delle questioni, risolvendosi nell'individuazione del titolo di
competenza cui ascrivere la disciplina impugnata (sentenze n. 252 del
2016, n. 199 del 2014 e n. 36 del 2013).
6.- L'ultima eccezione di inammissibilita' parziale e' riferita
ai motivi di ricorso spiegati avverso gli artt. 37, 39 e 45, che
attribuiscono, rispettivamente, al Presidente della Regione e alla
Giunta un potere di regolazione in materia di albo telematico dei
commissari di gara, linee guida e codice regionale di buone pratiche,
e qualificazione delle stazioni appaltanti.
Secondo la Regione, la sua potesta' legislativa primaria in
materia di lavori pubblici e ordinamento degli uffici non potrebbe
essere ridimensionata dall'adozione da parte dell'Autorita' nazionale
anticorruzione (ANAC) di atti di indirizzo, quali linee guida, bandi
tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile,
ovvero di delibere rese nell'esercizio del suo potere regolamentare,
pena la violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., che attribuisce
allo Stato potesta' regolamentare solo nelle materie di legislazione
esclusiva.
6.1.- Anche questa eccezione, risolvendosi nella negazione della
competenza esclusiva statale - che sola, secondo la resistente,
potrebbe legittimare l'affidamento all'ANAC della regolazione dei
citati aspetti dei contratti pubblici - e nella correlativa
invocazione della competenza regionale, attiene evidentemente non
all'ammissibilita' ma al merito.
7.- Prima di esaminare il merito delle questioni proposte, e'
opportuno rammentare brevemente gli approdi della giurisprudenza di
questa Corte sul riparto delle competenze legislative tra lo Stato e
le Regioni a statuto speciale e le Province autonome in ordine alle
discipline, dettate dal codice dei contratti pubblici, della scelta
del contraente nelle procedure ad evidenza pubblica e del
perfezionamento del vincolo negoziale e della sua esecuzione.
E' pacifico infatti che le disposizioni del codice dei contratti
pubblici regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla
materia della tutela della concorrenza; esse inoltre vanno ascritte
all'area delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali,
nonche' delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli
obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell'Italia
all'Unione europea (sentenze n. 263 del 2016, n. 187 e n. 36 del
2013, n. 74 del 2012, n. 328, n. 184 e n. 114 del 2011, n. 221 e n.
45 del 2010). Le disposizioni dello stesso codice che regolano gli
aspetti privatistici della conclusione ed esecuzione del contratto
sono riconducibili all'ordinamento civile (sentenze n. 176 del 2018 e
n. 269 del 2014); esse, poi, recano principi dell'ordinamento
giuridico della Repubblica (sentenze n. 269 del 2014 e n. 187 del
2013) e norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenze n.
74 del 2012, n. 114 del 2011 e n. 221 del 2010).
Le considerazioni che precedono, espresse nella vigenza del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), devono essere confermate anche in
relazione al d. lgs. n. 50 del 2016 (d'ora in avanti: nuovo codice
dei contratti pubblici), che ne ha preso il posto, in attuazione
della legge delega 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per
l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014,
sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti
pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori
dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali,
nonche' per il riordino della disciplina vigente in materia di
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).
7.1.- La Regione resistente ha invocato alternativamente la
propria competenza statutaria dell'ordinamento degli uffici e degli
enti amministrativi e quella residuale dell'organizzazione
amministrativa ex art. 117, quarto comma, Cost.
Quanto alla seconda, e' palese che una Regione, nell'esercizio
della propria competenza residuale, non puo' derogare a tassative e
ineludibili disposizioni riconducibili a competenze esclusive
statali.
Quanto alla prima, invece, non e' da escludere in linea di
principio che gli statuti possano incidere su quest'ultime
riservandole, in parte, alle autonomie speciali, ma cio'
evidentemente richiede una puntuale allegazione dell'esistenza e
della portata delle norme statutarie, in difetto della quale anche
per esse non potra' non trovare applicazione la disciplina statale
(sentenza n. 119 del 2019).
Al contrario, in presenza di tali competenze statutarie
occorrera' verificare se esse incontrino o meno i limiti propri della
legislazione in questione: i principi dell'ordinamento giuridico, gli
obblighi internazionali, gli interessi nazionali e le norme
fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
8.- Venendo all'esame della prima delle questioni proposte dal
ricorrente, essa ha ad oggetto l'art. 34, comma 2, della legge reg.
Sardegna n. 8 del 2018.
Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, ai sensi
del comma 1 di tale articolo, «Per ogni singolo intervento da
realizzarsi mediante un contratto pubblico, le amministrazioni
aggiudicatrici [...] nominano un responsabile unico del procedimento
per le fasi della programmazione, della progettazione,
dell'affidamento e dell'esecuzione del contratto pubblico. Tali fasi
costituiscono, unitariamente considerate, il progetto del contratto
pubblico e il responsabile unico del procedimento e' il "responsabile
di progetto"».
L'unicita' del responsabile del procedimento verrebbe tuttavia
meno allorche', al comma 2, si conferisce facolta' alle
amministrazioni aggiudicatrici di nominare un responsabile per le
fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un altro
responsabile per la fase di affidamento.
8.1.- La questione non e' fondata.
8.2.- Questa Corte, con la sentenza n. 43 del 2011, richiamata
dalla Regione resistente, in relazione a una simile disposizione di
una legge della Regione Umbria, censurata dallo Stato per gli stessi
profili, ha osservato: «la legge regionale [...] ha previsto, al
comma 2, la regola del responsabile unico del procedimento,
limitandosi a stabilire che le amministrazioni aggiudicatrici,
"nell'ambito dell'unitario procedimento di attuazione
dell'intervento", possono individuare sub-procedimenti senza che cio'
incida sulla unicita' del centro di responsabilita'. Avendo riguardo
allo specifico contenuto precettivo delle disposizioni impugnate,
deve, pertanto, rilevarsi come la disciplina delle modalita'
organizzative dell'attivita' del responsabile unico del procedimento
rientri nella materia della organizzazione amministrativa, riservata
alle Regioni ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.».
Le medesime considerazioni valgono per la disposizione oggi
impugnata, poiche', ai sensi del comma 3 del medesimo art. 34,
l'unicita' del centro di responsabilita' procedimentale e' garantita
dal «responsabile di progetto», il quale «coordina l'azione dei
responsabili per fasi, se nominati ai sensi del comma 2, anche con
funzione di supervisione e controllo».
La disposizione impugnata non e', dunque, in contrasto con il
principio di responsabilita' unica, posto dall'invocato art. 31,
comma 1, del nuovo codice dei contratti a tutela di unitarie esigenze
di trasparenza e funzionalita' della procedura di gara, preordinata
alla corretta formazione della volonta' contrattuale
dell'amministrazione, e di accentramento del regime della
responsabilita' dei funzionari.
9.- La seconda questione di legittimita' costituzionale proposta
dal Presidente del Consiglio dei ministri ha ad oggetto l'art. 37,
comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, rubricato
«Commissione giudicatrice», nella parte in cui prevede che, «ai fini
della nomina dei componenti della commissione di gara, la Regione
istituisce [...] l'Albo telematico dei commissari di gara, suddiviso
per categorie di specializzazione, a cui le stazioni appaltanti hanno
accesso libero e diretto», e gestito «secondo criteri e modalita'
individuati con apposito decreto del Presidente della Regione, da
adottare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente
legge» (art. 37, comma 4).
Secondo il ricorrente, la norma impugnata si discosterebbe
dall'art. 78 del nuovo codice dei contratti pubblici, il quale - in
attuazione dell'art. 1, comma 1, lettera hh), della legge delega n.
11 del 2016 - istituisce «presso l'ANAC, che lo gestisce e lo
aggiorna secondo criteri individuati con apposite determinazioni,
l'Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni
giudicatrici nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici»,
conferendo, altresi', all'Autorita' la competenza di definire, con
apposite linee guida, i criteri e le modalita' di iscrizione, nonche'
le modalita' di funzionamento delle commissioni giudicatrici.
9.1.- La questione e' fondata.
9.2.- Il nuovo codice dei contratti pubblici, nell'operare la
drastica scelta di sottrarre la nomina dei commissari di gara alle
stazioni appaltanti, ha previsto l'istituzione e la gestione, a cura
dell'ANAC, di un unico «Albo nazionale obbligatorio dei componenti
delle commissioni giudicatrici», dal quale, sulla base del principio
di rotazione, l'Autorita' estrae «una lista di candidati costituita
da un numero di nominativi almeno doppio rispetto a quello dei
componenti da nominare», che comunica alla stazione appaltante, la
quale, a sua volta, procede alla loro individuazione «mediante
pubblico sorteggio» (art. 77 del d.lgs. n. 50 del 2016).
Deve anzi rilevarsi che il legislatore statale, in sede di
redazione del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 (Disposizioni
integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n.
50), aveva previsto un'articolazione regionale dell'albo gestito
dall'ANAC, ma tale modifica e' stata espunta a seguito del parere
della Commissione speciale del Consiglio di Stato 22 marzo 2017, n.
782, ove si e' osservato che essa avrebbe determinato «la pressoche'
sistematica nomina, quali commissari, di soggetti radicati nella
medesima area geografica interessata dall'appalto» e che la pure
condivisibile finalita' di razionalizzazione delle spese dovute alle
trasferte dei commissari avrebbe potuto essere affrontata altrimenti
(utilizzando, ad esempio, la tecnica del lavoro a distanza con
procedure telematiche).
9.3.- E' vero, come eccepito dalla resistente, che questa Corte,
con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, ha affermato che
«gli aspetti connessi alla composizione della commissione
giudicatrice e alle modalita' di scelta dei suoi componenti
attengono, piu' specificamente, alla organizzazione amministrativa»
(sentenze n. 43 del 2011 e n. 401 del 2007) e, sulla base di tale
inquadramento, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 84, commi 2, 3, 8 e 9, del decreto legislativo n. 163 del
2006, nella sola «parte in cui, per i contratti inerenti a settori di
competenza regionale, non prevede che le norme in esso contenute
abbiano carattere suppletivo e cedevole» (sentenza n. 401 del 2007).
Tale inquadramento, tuttavia, non puo' piu' ritenersi attuale,
dal momento che la sottrazione della scelta dei commissari di gara
alle stazioni appaltanti rappresenta una radicale innovazione del
nuovo codice dei contratti chiaramente ispirata a finalita' di
trasparenza, imparzialita', tutela della concorrenza e prevenzione di
reati (in questo senso, si veda anche il parere della Commissione
speciale del Consiglio di Stato 21 marzo 2016, n. 855, avente ad
oggetto lo schema di decreto legislativo recante «Codice degli
appalti pubblici e dei contratti di concessione»).
Questa Corte, del resto, nell'esaminare le censure mosse dalla
Regione Veneto ad alcune disposizioni regolanti l'istituzione e le
funzioni dell'Autorita' di regolazione dei trasporti, tra cui
figurava la competenza a stabilire i criteri per la nomina delle
commissioni giudicatrici, ha osservato che «le disposizioni
impugnate, pur avendo attinenza con la materia del trasporto pubblico
locale, perseguono precipuamente una finalita' di promozione della
concorrenza e quindi afferiscono alla competenza esclusiva dello
Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (ex
plurimis, sentenza n. 325 del 2010)» (sentenza n. 41 del 2013).
La disposizione impugnata, in definitiva, pur incidendo
sull'organizzazione amministrativa, deve essere ricondotta alle
competenze esclusive statali della tutela della concorrenza e
dell'ordine pubblico (esercitate con l'invocato art. 78 del nuovo
codice dei contratti pubblici).
9.4.- In questa prospettiva risulta chiara anche l'infondatezza
della deduzione della resistente circa l'illegittimita' della
compressione della sua autonomia statutaria ad opera degli atti di
regolazione dell'Autorita'. Prescindendo, peraltro, dal corretto
inquadramento di tali atti, l'esistenza di una competenza esclusiva
dello Stato esclude la violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost.,
unico parametro rilevante, poiche' non sono qui in discussione le
modalita' di esercizio di tale competenza.
10.- Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), va dichiarata l'illegittimita' costituzionale in via
consequenziale dei commi 2, 3, 4 e 8 dell'art. 37 della legge reg.
Sardegna n. 8 del 2018, che, nel regolare alcuni aspetti della nomina
delle commissioni giudicatrici, si riferiscono all'albo telematico
regionale e ne presuppongono l'operativita', cosi' palesando la
stretta connessione e l'inscindibile legame funzionale con la
disposizione impugnata (tra le tante, sentenze n. 68 del 2014, n. 332
del 2010 e n. 138 del 2009).
11.- La terza questione di legittimita' costituzionale investe
l'art. 39, commi 1 e 3, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018,
rubricato «Linee guida e codice regionale di buone pratiche», che,
secondo il ricorrente, si sovrapporrebbe alle competenze che l'art.
213, comma 2, del nuovo codice dei contratti pubblici, in attuazione
dell'art. 1, comma 1, lettera t), della citata legge delega,
attribuisce all'ANAC, chiamata ad adottare atti di indirizzo, quali
«linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri
strumenti di regolazione flessibile».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il rapporto tra
le funzioni dell'Autorita' di vigilanza nell'approvazione dei
bandi-tipo e l'obbligo di adeguamento delle stazioni appaltanti
risponderebbe ad esigenze unitarie, che escludono margini di
intervento del legislatore regionale. A cio' si dovrebbe aggiungere
che le funzioni svolte dall'Autorita' di regolazione mirano a
garantire la tutela e la promozione della concorrenza e la
realizzazione di mercati concorrenziali.
11.1.- La questione e' fondata.
11.2.- Le disposizioni censurate, analogamente a quanto gia'
visto con riferimento all'albo dei commissari, istituiscono un
sistema parallelo e alternativo a quello nazionale, ove «le linee
guida», «i bandi-tipo», i «capitolati-tipo», i «contratti-tipo» e gli
altri «strumenti di regolazione flessibile», rimessi dall'art. 213,
comma 2, del codice dei contratti pubblici all'ANAC, vengono
sostituiti da «linee guida», «documentazione standard», «capitolati
speciali» e «schemi di contratto», e dal «codice regionale di buone
pratiche».
Ai primi (le linee guida, la documentazione standard, i
capitolati speciali e gli schemi di contratto), il legislatore
regionale affida, tra l'altro, l'individuazione di «parametri utili
alla valutazione dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa [...] e
alla valutazione della congruita' delle offerte anormalmente basse»,
ma, data la loro tipologia, e' anche chiaro che essi sono destinati a
ulteriormente incidere, in vario modo, sulla regolazione sia della
procedura ad evidenza pubblica a monte sia del negozio pubblico a
valle (si pensi, in particolare, ai capitolati speciali e agli schemi
di contratto). Il codice regionale di buone pratiche, poi,
«costituisce parte integrante del contratto d'appalto» ed e' «rivolto
a facilitare l'accesso delle micro e piccole e medie imprese agli
appalti pubblici».
11.3.- Le norme censurate - estranee all'ordinamento degli uffici
e degli enti amministrativi della Regione e riconducibili alla
materia statutaria dei lavori pubblici regionali - si pongono dunque
in contrasto con l'invocata disposizione del codice dei contratti
pubblici che, nell'attribuire all'ANAC la regolazione dei medesimi
aspetti della procedura pubblica e della fase negoziale ed esecutiva,
e' esplicazione della tutela della concorrenza e dell'ordinamento
civile.
11.4.- Ne' a diversa conclusione conduce l'osservazione della
Regione secondo cui il contrasto sarebbe escluso dalla previsione che
tutti gli atti regionali menzionati devono essere adottati «in
coerenza» con le linee guida e con i bandi tipo dell'ANAC.
Questa Corte, con riferimento ai bandi tipo approvati
dall'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici ricondotti
all'ambito materiale della tutela della concorrenza, ha gia' escluso
la competenza a legiferare delle autonomie speciali, poiche' il
«rapporto tra le funzioni dell'Autorita' di vigilanza
nell'approvazione dei bandi-tipo e l'obbligo di adeguamento delle
stazioni appaltanti risponde ad esigenze unitarie, che non tollerano
alcun margine di discrezionalita' "intermedio" riservato alla Giunta
provinciale: il legislatore provinciale risulta pertanto - alla luce
della sopra menzionata giurisprudenza di questa Corte - privo del
titolo competenziale ad intervenire in subiecta materia» (sentenza n.
187 del 2013).
Tali considerazioni valgono anche per le disposizioni oggi
impugnate, senza che rilevi la circostanza che in quell'occasione la
norma scrutinata prevedesse un potere della Giunta di adottare bandi
tipo «sulla base» di - e non «in coerenza» con - quelli approvati
dall'Autorita', perche' in entrambi i casi resta l'osservazione di
fondo, estensibile anche agli altri atti previsti dal legislatore
regionale, che «l'obbligo di adeguamento delle stazioni appaltanti»
agli atti dell'Autorita' «risponde ad esigenze unitarie, che non
tollerano alcun margine di discrezionalita' "intermedio" riservato
alla Giunta» regionale.
12.- Ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, va
dichiarata l'illegittimita' costituzionale in via consequenziale del
comma 2 dell'art. 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, dal
momento che esso assegna ulteriori contenuti alle linee guida di cui
al comma 1, travolto dalla presente pronuncia, si' che la
disposizione in parola viene a mancare di oggetto (tra le tante,
sentenze n. 166 del 2014 e n. 187 del 2013).
13.- L'ultima questione di legittimita' costituzionale investe
l'art. 45 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018, rubricato
«Qualificazione delle stazioni appaltanti», il quale dispone che,
«Con deliberazione della Giunta regionale, da adottarsi su proposta
del Presidente della Regione entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presene legge, ai fini della qualificazione
delle stazioni appaltanti, sono definiti i requisiti necessari sulla
base dei criteri di qualita', efficienza e professionalizzazione, tra
cui, per le centrali di committenza, il carattere di stabilita' delle
attivita' e di relativo ambito territoriale, tenendo conto dei
principi previsti dalla normativa statale vigente».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione
censurata non e' coordinata con quanto disposto dalle lettere bb) e
dd) dell'art. 1, comma 1, della legge delega n. 11 del 2016, che
demandano al legislatore delegato la «razionalizzazione delle
procedure di spesa attraverso l'applicazione di criteri di qualita',
efficienza, professionalizzazione delle stazioni appaltanti,
prevedendo [...] l'introduzione di un apposito sistema, gestito
dall'ANAC, di qualificazione delle medesime stazioni appaltanti, teso
a valutarne l'effettiva capacita' tecnica e organizzativa, sulla base
di parametri obiettivi», nonche' attraverso adeguate forme di
centralizzazione delle committenze e di riduzione del numero delle
amministrazioni aggiudicatrici basate proprio sul sistema di
qualificazione, che consente di gestire contratti di diversa
complessita' a seconda del grado di abilitazione conseguito.
La norma censurata, conseguentemente, sarebbe in contrasto anche
con l'art. 38, comma 1, del nuovo codice dei contratti pubblici, che,
in esecuzione dei cennati criteri di delega, istituisce presso
l'ANAC, che ne assicura la pubblicita', un apposito elenco delle
stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali
di committenza.
13.1.- La questione e' fondata.
13.2.- In attuazione dei criteri di cui alle lettere bb), cc) e
dd) dell'art. 1 della legge delega n. 11 del 2016, l'art. 37 del
nuovo codice dei contratti pubblici, rubricato «Aggregazione e
centralizzazione delle committenze» e l'art. 38, rubricato
«Qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza»,
hanno introdotto una delle innovazioni piu' importanti, un vero e
proprio "pilastro" del sistema degli acquisti pubblici.
Il legislatore ha infatti optato per una scelta decisa a favore
della riduzione del numero delle stazioni appaltanti nonche' della
loro professionalizzazione, cosicche' la qualificazione e' oggi
richiesta non piu' soltanto agli operatori economici ma anche alle
amministrazioni aggiudicatrici, secondo standard predefiniti e
sistemi premianti, che consentono, man mano che aumenta il livello di
qualificazione, di appaltare opere, lavori e servizi di importo
elevato e di maggiore complessita'.
La riduzione, aggregazione, centralizzazione e qualificazione
delle stazioni appaltanti risponde a diverse finalita': 1)
beneficiare di economie di scala e attribuire alle amministrazioni
aggiudicatrici un maggior potere contrattuale; 2) innalzare, anche al
fine di favorire la concorrenza, la professionalizzazione e la
specializzazione delle stazioni appaltanti; 3) agevolare le missioni
dell'ANAC di prevenire fenomeni corruttivi e assicurare la corretta
gestione delle commesse pubbliche, mediante la riduzione del novero
dei soggetti da controllare.
Il sistema della qualificazione, dunque, anche se incide
sull'organizzazione, va inquadrato in un ambito materiale
caratterizzato dal concorso delle competenze statali esclusive della
tutela della concorrenza, dell'ordine pubblico, e di quella
concorrente del coordinamento della finanza pubblica.
Quanto al profilo della concorrenza, espressamente invocato dallo
Stato, puo' essere utile ricordare come le direttive comunitarie,
sulla scorta anche di esperienze positive registratesi in diversi
paesi dell'Unione, pur senza imporre obblighi specifici, abbiano
sottolineato l'importanza di centralizzare e aggregare la
committenza.
In particolare, il considerando 69 della direttiva 2014/24/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli
appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, e il
considerando n. 78 della direttiva 2014/25/UE, del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d'appalto
degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei
trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE
- con riferimento alle centrali di committenza ma con ragionamento
estensibile anche alle aggregazioni delle stazioni appaltanti e al
correlato sistema della qualificazione - affermano che «Tali tecniche
possono contribuire, dato l'ampio volume degli acquisti, a un aumento
della concorrenza e dovrebbero aiutare a professionalizzare la
commessa pubblica».
Del resto, gia' l'Autorita' per la vigilanza sui lavori pubblici,
con la segnalazione n. 99 del 2010, recante «proposte di modifiche
normative per incrementare la concorrenza nel settore dei lavori
pubblici», aveva osservato che «Un mercato dei contratti pubblici
pienamente competitivo presuppone un generale accrescimento della
qualita' delle imprese e della pubblica amministrazione che vi
partecipano anche al fine della piena assunzione delle
responsabilita' operative che ne discendono. Cio' significa che
contestualmente ad un intervento di rivisitazione del sistema di
qualificazione delle imprese, accompagnato, ove necessario, da un
corredo di criteri quantitativi e qualitativi, appare necessario
intervenire anche per una corrispondente qualificazione delle
stazioni appaltanti. Esiste nel nostro Paese un problema strutturale
di efficienza della domanda e dell'offerta».
La disposizione censurata, dunque, introducendo un non meglio
precisato sistema di qualificazione affidato alla Giunta regionale,
parallelo e distinto rispetto a quello nazionale, pur incidendo
sull'organizzazione amministrativa, deve essere ricondotta alle
competenze esclusive statali della tutela della concorrenza e
dell'ordine pubblico (esercitate anche con l'invocato art. 38 del
nuovo codice dei contratti pubblici).
13.3.- Anche in questo caso, dunque, si manifesta l'infondatezza
della deduzione della resistente circa l'illegittimita' della
compressione della sua autonomia statutaria ad opera degli atti di
regolazione dell'Autorita', alla stregua di quanto gia' chiarito a
proposito dell'affidamento all'ANAC della gestione dell'albo
nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici.
14.- Va precisato, infine, che la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale delle norme regionali impugnate non comporta alcun
vuoto normativo, trovando applicazione la disciplina dettata in
materia dal nuovo codice dei contratti pubblici (sentenze n. 263 del
2016 e n. 114 del 2011).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 37, comma
1, 39, commi 1 e 3, e 45 della legge della Regione Sardegna 13 marzo
2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture);
2) dichiara l'illegittimita' costituzionale, in via
consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), dell'art. 37, commi 2, 3, 4 e 8, e dell'art. 39,
comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2018;
3) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8
del 2018, promossa, in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettere e) ed l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio
dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
