CORTE COSTITUZIONALE 9 marzo – 13 aprile 2021 SENTENZA N. 65
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Telecomunicazioni - Codice delle comunicazioni elettroniche - Determinazione dei diritti amministrativi a favore dell'amministrazione - Criteri - Denunciata violazione dei principi di eguaglianza, buon andamento, imparzialita' della pubblica amministrazione, nonche' dei principi informatori e delle prescrizioni comunitarie in materia - Inammissibilita' delle questioni. - Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, art. 34 e art. 1 dell'Allegato n. 10 al medesimo decreto. - Costituzione, artt. 3, 97, 11 e 117 Cost., primo comma; Direttiva 2002/20/CE, considerando numeri 30 e 31 e art. 12; Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, artt. 106, paragrafo 2, 288 e 291; Protocollo n. 26 allegato al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, art. 1; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, artt. 20 e 21.
(GU n.15 del 14-4-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle
comunicazioni elettroniche), nella formulazione originaria e in
quella risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 5,
comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 29 luglio 2015, n.
115 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea
2014), e dell'art. 1, comma 1, dell'Allegato n. 10 al medesimo
decreto legislativo, nella formulazione originaria e in quella
risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 6, comma 4,
lettere a), b) e c), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145
(Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per il
contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei
premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione
di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni,
nella legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dall'art. 5, comma 1, lettera
b), numero 1), della legge n. 115 del 2015, promossi dal Tribunale
ordinario di Roma, seconda sezione civile, con ordinanze del 15 e del
9 dicembre 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 128 e 137 del
registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica numeri 40 e 41, prima serie speciale, dell'anno 2020.
Visti gli atti di costituzione della E. spa e della V. I. spa,
nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udita nell'udienza pubblica del 9 marzo 2021 la Giudice relatrice
Emanuela Navarretta;
uditi l'avvocato Eutimio Monaco per la E. spa e per la V. I. spa
e l'avvocato dello Stato Luigi Simeoli per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con due ordinanze iscritte, rispettivamente, ai numeri 128 e
137 reg. ord. del 2020, il Tribunale ordinario di Roma, seconda
sezione civile, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 34 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice
delle comunicazioni elettroniche), nella formulazione originaria e in
quella risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 5,
comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 29 luglio 2015, n.
115 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea
2014), e dell'art. 1, comma 1, dell'Allegato n. 10 al medesimo
decreto legislativo, nella formulazione originaria e in quella
risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 6, comma 4,
lettere a), b) e c), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145
(Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per il
contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei
premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione
di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni,
nella legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dall'art. 5, comma 1, lettera
b), numero 1), della legge n. 115 del 2015.
Le questioni di legittimita' costituzionale sono state poste in
riferimento agli artt. 3 e 97, nonche' 11 e 117, primo comma, della
Costituzione, questi ultimi in relazione ai considerando numeri 30 e
31 e all'art. 12 della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 7 marzo 2020, relativa alle autorizzazioni per le
reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva
autorizzazioni) e, altresi', in relazione: agli artt. 106, paragrafo
2, 288 e 291 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13
dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130;
all'art. 1 del Protocollo n. 26 allegato al TFUE; e agli artt. 20 e
21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007.
2.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce di doversi
pronunciare, in entrambi i giudizi a quibus, su domande di
ripetizione dell'indebito formulate da due societa' (E. spa e V.I.
spa) - parti attrici nei richiamati processi - operanti nel settore
delle telecomunicazioni e titolari di licenze individuali per
l'installazione e la fornitura di reti di telecomunicazioni aperte al
pubblico nonche' per la prestazione del servizio di telefonia vocale.
2.1.- Le due societa' chiedono la restituzione, ai sensi
dell'art. 2033 codice civile, di tutte le somme corrisposte al
Ministero dello sviluppo economico (MiSE) nel periodo 2009-2018, a
titolo di diritti amministrativi, in base a quanto previsto dall'art.
34 del d.lgs. n. 259 del 2003 (d'ora in avanti: cod. comunicazioni
elettroniche) e nella misura stabilita dall'art. 1, comma 1,
dell'Allegato n. 10 al medesimo codice. In particolare, viene
invocata la condictio indebiti quale effetto della richiesta di
declaratoria di illegittimita' costituzionale delle richiamate norme
del cod. comunicazioni elettroniche, che costituiscono la giusta
causa dei pagamenti effettuati.
2.2.- Il Tribunale rimettente riferisce, poi, che in entrambi i
giudizi a quibus il MiSE ha eccepito il difetto di giurisdizione del
giudice ordinario - trattandosi a suo avviso di controversia devoluta
alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell'art.
133, comma 1, lettera m), dell'Allegato 1 (Codice del processo
amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104
(Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69,
recante delega al governo per il riordino del processo
amministrativo) - e ha rilevato, altresi', l'insussistenza dei
presupposti di legge per l'azione di ripetizione dell'indebito e
l'intervenuta prescrizione dell'asserito credito azionato in
giudizio.
3.- Tanto premesso, il giudice a quo procede a una ricostruzione
del quadro normativo di riferimento, a partire dalla direttiva
2002/20/CE, che ha avuto attuazione con il cod. comunicazioni
elettroniche.
3.1.- Il giudice rimettente espone che la direttiva 2002/20/CE
risponde all'esigenza di «istituire un quadro normativo per garantire
la libera prestazione delle reti e dei servizi di comunicazione
elettronica» (considerando n. 3) e intende assicurare ai fornitori
delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica «diritti,
condizioni e procedure obiettivi, trasparenti, non discriminatori e
proporzionati» (considerando n. 4).
In particolare, la direttiva stabilisce che ai prestatori di
servizi di comunicazione elettronica possa «essere richiesto il
pagamento di diritti amministrativi a copertura delle spese sostenute
dall'autorita' nazionale di regolamentazione per la gestione del
regime di autorizzazione e per la concessione dei diritti d'uso» e
prevede che sia garantita «la trasparenza della contabilita' gestita
dall'autorita' nazionale di regolamentazione mediante rendiconti
annuali in cui figuri l'importo complessivo dei diritti riscossi e
dei costi amministrativi sostenuti», cosi' da consentire alle imprese
di «verificare se vi sia equilibrio tra i costi e gli oneri ad esse
imposti» (considerando n. 30).
La medesima direttiva aggiunge, nel considerando n. 31, che «[i]
sistemi di diritti amministrativi» non devono «distorcere la
concorrenza o creare ostacoli per l'ingresso sul mercato» e che «un
esempio di alternativa leale, semplice e trasparente» per
l'attribuzione di tali diritti puo' essere «una ripartizione
collegata al fatturato».
Stante tale quadro, l'art. 12 della direttiva prescrive quanto
segue: «1. I diritti amministrativi imposti alle imprese che prestano
servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale o che hanno
ricevuto una concessione dei diritti d'uso: a) coprono
complessivamente i soli costi amministrativi che saranno sostenuti
per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di
autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici
di cui all'articolo 6, paragrafo 2, che possono comprendere i costi
di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di
standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del
rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonche'
di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle
decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e
interconnessione; b) sono imposti alle singole imprese in modo
proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi
amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori. 2. Le autorita'
nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento di diritti
amministrativi sono tenute a pubblicare un rendiconto annuo dei
propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti
riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti
e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche».
3.2.- Il rimettente osserva che, a fronte di tale contenuto
precettivo della direttiva, la formulazione originaria dell'art. 34
del d.lgs. n. 259 del 2003 non prevedeva alcun obbligo di
rendicontazione finale, mentre la misura dei diritti amministrativi
veniva determinata nell'art. 1, comma 1, dell'Allegato n. 10, «sulla
base della popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta».
Nello specifico, la misura dei diritti variava a seconda che il
servizio fosse potenzialmente destinato: a) all'intero territorio
nazionale (rispettivamente, con riguardo alla fornitura di reti
pubbliche di comunicazione o a quella del servizio telefonico
accessibile al pubblico, per un importo di 111.000 e di 66.500 euro
all'anno); b) a un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti
(rispettivamente, sempre con riferimento alle due forniture, per un
importo di 55.500 e di 27.750 euro all'anno); c) a un territorio
avente fino a 200 mila abitanti (rispettivamente, come sopra, per un
importo di 27.750 e di 11.500 euro all'anno).
3.3.- Successivamente - riferisce ancora il giudice a quo -
l'art. 6, comma 4, lettere a), b), c) e d), del d.l. n. 145 del 2013,
come convertito, novellava - con effetto a decorrere dal 24 dicembre
2013 - il solo art. 1, comma 1, dell'Allegato n. 10 al cod.
comunicazioni elettroniche, limitandosi a intervenire sulla misura
dei diritti amministrativi dovuti dalle imprese con un numero di
utenti pari o inferiore a 50.000. Per tali ipotesi si stabiliva che
l'importo fosse determinato - sempre per legge - attraverso una cifra
riferita al numero di utenti effettivi dell'impresa (specificamente
300 euro ogni mille utenti per le licenze reti e 100 euro ogni mille
utenti per le licenze voce).
3.4.- Da ultimo, prosegue il rimettente, l'art. 5 della legge n.
115 del 2015 modificava ulteriormente le disposizioni oggetto del
presente giudizio, giungendo all'attuale formulazione (vigente a far
data dal 18 agosto 2015). La novella apportata nel 2015 ha introdotto
specifici obblighi di rendicontazione, integrando l'art. 34 con il
comma 2-ter che dispone: «Il Ministero, di concerto con il Ministero
dell'economia e delle finanze, e l'Autorita' pubblicano annualmente i
costi amministrativi sostenuti per le attivita' di cui al comma 1 e
l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente,
dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra l'importo
totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate
opportune rettifiche». Sempre l'art. 5 della legge n. 115 del 2015 ha
poi nuovamente modificato le disposizioni dell'art. 1, comma 1,
dell'Allegato n. 10, rideterminando come di seguito i criteri di
ripartizione dei diritti amministrativi e la loro entita' «a) nel
caso di fornitura di reti pubbliche di comunicazioni: 1) sull'intero
territorio nazionale: 127.000 euro; 2) su un territorio avente piu'
di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 64.000 euro; 3) su un
territorio avente piu' di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti:
32.000 euro; 4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti:
17.000 euro; 5) per le imprese che erogano il servizio
prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000:
500 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti e' calcolato sul
quantitativo delle linee attivate a ciascun utente finale; b) nel
caso di fornitura di servizio telefonico accessibile al pubblico: 1)
sull'intero territorio nazionale: 75.500 euro; 2) su un territorio
avente piu' di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 32.000
euro; 3) su un territorio avente piu' di 200.000 e fino a 1 milione
di abitanti: 12.500 euro; 4) su un territorio avente fino a 200.000
abitanti: 6.400 euro; 5) per le imprese che erogano il servizio
prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000:
300 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti e' calcolato sul
quantitativo delle risorse di numerazione attivate a ciascun utente
finale [...]».
4.- Cosi' ricostruito il quadro normativo di riferimento, il
giudice rimettente rinvia «l'esame della questione pregiudiziale di
giurisdizione, alla definizione (nel merito) della lite», dopo aver,
comunque, rilevato che le controversie relative ai giudizi a quibus
non possano essere ricondotte a quelle contemplate dall'art. 133,
comma 1, lettera m), dell'Allegato 1 (Codice del processo
amministrativo) al d.lgs. n. 104 del 2010, che devolve alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie
aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di comunicazioni
elettroniche».
Ad avviso del Tribunale di Roma, infatti, nella fattispecie in
esame le parti attrici non contestano la legittimita' dei
provvedimenti adottati dal MiSE nell'ambito delle sue competenze in
materia di comunicazioni elettroniche, bensi' la conformita' della
normativa italiana di recepimento del diritto interno al diritto
sovranazionale. Conseguentemente, secondo il giudice, il Tribunale
non sarebbe chiamato a scrutinare incidentalmente ed eventualmente a
disapplicare i provvedimenti, espressivi di discrezionalita'
amministrativa, ai fini della tutela della posizione giuridica
sostanziale vantata dalle parti attrici, bensi' a pronunciarsi su un
petitum (la domanda di ripetizione dell'indebito) e su una causa
petendi (l'inadempimento dello Stato degli obblighi posti dalla
direttiva 2002/20/CE) che individuerebbero una pretesa avente natura
sostanziale di diritto soggettivo.
5.- In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che sarebbe
proprio la prospettata illegittimita' costituzionale delle norme
oggetto del presente giudizio a rendere i pagamenti non dovuti,
poiche' la declaratoria di illegittimita' costituzionale di tali
norme produrrebbe la caducazione ex tunc del titolo giustificativo
del pagamento, rendendo percio' indebiti i pagamenti effettuati dalle
parti attrici.
5.1.- Il rimettente ritiene, inoltre, che le previsioni della
direttiva, di cui si assume il mancato rispetto da parte della
normativa nazionale di recepimento, sarebbero prive di effetti
diretti. In tal senso, deporrebbe la pronuncia della Corte di
giustizia dell'Unione europea, sentenza 18 luglio 2013, nelle cause
riunite da C-228/12 a C-232/12 e da C-254/12 a C-258/12, Vodafone
Omnitel ed altri, ove si legge che «la direttiva autorizzazioni non
prevede ne' il modo in cui determinare l'importo dei diritti
amministrativi [...] ne' le modalita' di prelievo di tali diritti»
(punto 41). In mancanza dell'efficacia diretta, non sarebbe,
pertanto, possibile procedere all'immediata applicazione della
normativa sovranazionale, a beneficio dei privati nei confronti dei
soggetti di diritto pubblico, con conseguente non applicazione della
disciplina interna con essa incompatibile.
5.2.- Ancora, ad avviso del rimettente, il «contenuto
estremamente puntuale, analitico, correlato a parametri chiaramente
ed univocamente predeterminati» impedirebbe di operare
un'interpretazione delle disposizioni della normativa di recepimento
conforme al diritto dell'Unione europea.
5.3.- Infine, il giudice a quo afferma di non potere effettuare
il rinvio pregiudiziale di interpretazione alla Corte di giustizia,
ai sensi dell'art. 267 TFUE, poiche' le parti attrici, nei giudizi in
via principale, non hanno agito invocando la responsabilita' civile
dello Stato per inadempimento del dovere di attuare la direttiva
2002/20/CE, bensi' hanno preteso la ripetizione dell'indebito, ai
sensi dell'art. 2033 cod. civ., sul presupposto della asserita
illegittimita' costituzionale delle norme che hanno trasposto a
livello nazionale la richiamata direttiva.
6.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Roma
rileva, innanzitutto, che in termini generali e con riferimento a
tutte le diverse formulazioni susseguitesi nel tempo, la normativa
interna di recepimento della direttiva 2002/20/CE non avrebbe
rispettato gli obiettivi e i principi dalla medesima disposti: tanto
con riferimento agli obblighi di rendicontazione, necessari a
garantire la trasparenza e la corrispondenza fra costi e diritti
amministrativi, quanto con riguardo all'esigenza di una distribuzione
proporzionata, obiettiva e trasparente di tali diritti fra le
imprese. L'art. 34 del cod. comunicazioni elettroniche e l'art. 1,
comma 1, dell'Allegato n. 10 al medesimo codice, avrebbero, pertanto,
violato gli artt. 11 e 117 Cost. in relazione agli obblighi imposti
dagli artt. 288 e 291 TFUE e, in particolare, a quelli dettati dalla
direttiva 2002/20/CE nei considerando numeri 30 e 31 e nell'art. 12.
6.1.- In termini piu' specifici, le norme del codice delle
comunicazioni elettroniche censurate, nella formulazione antecedente
alla novella introdotta con la legge n. 115 del 2015, non avrebbero
contemplato l'obbligo di rendicontazione e i doveri ad esso
conseguenti, il che avrebbe violato non solo le prescrizioni della
direttiva, ma anche il principio di imparzialita' e di buon andamento
della Pubblica amministrazione, di cui all'art. 97, secondo comma,
Cost.
6.2.- Quanto ai criteri adottati per distribuire i diritti
amministrativi fra le imprese, il rimettente censura la scelta
dell'art. 1, comma 1, dell'Allegato n. 10 al cod. comunicazioni
elettroniche, presente in tutte le formulazioni succedutesi nel
tempo, di utilizzare quale criterio generale di determinazione di
tali diritti quello degli utenti potenziali, anziche' quello della
capacita' economica e reddituale sul mercato delle imprese, il che si
porrebbe in contrasto con le prescrizioni della direttiva, per
mancato rispetto della proporzionalita', e con gli artt. 3 Cost. e 20
e 21 CDFUE, sotto il profilo di una irragionevole disparita' di
trattamento fra diverse imprese operanti sul mercato.
Infine, con riguardo al metodo di stima introdotto con le riforme
del 2013 e del 2015 a beneficio delle imprese con un numero di utenti
effettivi pari o inferiore a 50.000, vale a dire la previsione di una
cifra fissa ogni mille utenti, il rimettente censura la non
corrispondenza anche di tale criterio con la effettiva capacita'
reddituale e produttiva di ciascun operatore, il che renderebbe piu'
difficoltoso l'accesso al mercato e ostacolerebbe la concorrenza, in
violazione sia delle prescrizioni della direttiva, sia dell'art. 106
TFUE e dell'art. 1 Prot. n. 26 allegato al TFUE.
7.- Con atti depositati il 20 e il 27 ottobre 2020, il Presidente
del Consiglio dei ministri e' intervenuto in giudizio, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente
infondate, svolgendo argomenti di identico tenore nei due atti di
intervento. La difesa erariale evidenzia come il criterio relativo
alla parametrazione del contributo sulla base della popolazione
potenzialmente destinataria dell'offerta tenga implicitamente conto
delle dimensioni dell'impresa, ove si consideri «il potenziale di
linee che possono essere servite dall'operatore autorizzato». Esso,
inoltre, presenterebbe il vantaggio di essere di facile applicazione
per i destinatari, non estremamente mutevole e suscettibile di creare
certezza e stabilita' nella quantificazione dei costi per le imprese.
Per converso, un onere calcolato direttamente sulla base del
fatturato potrebbe disincentivare la competitivita'. Infine, prosegue
l'Avvocatura dello Stato, il correttivo apportato per le imprese con
un numero di utenti pari o inferiore a 50.000 renderebbe ancora piu'
evidente, per tali fattispecie, il rispetto del principio di
proporzionalita'.
Quanto all'obbligo di rendicontazione, la difesa erariale ritiene
infondati i dubbi di legittimita' costituzionale relativi alla
normativa antecedente la novella legislativa introdotta nel 2015,
adducendo che l'adempimento di quell'obbligo avrebbe potuto essere
anche spontaneo ed effettuato in esercizi successivi a quelli in cui
si determinano i diritti amministrativi, cosi' come a posteriori si
potrebbero introdurre eventuali correttivi conseguenti
all'adempimento (viene, a tal riguardo, invocata la pronuncia della
Corte di giustizia dell'Unione europea, ordinanza 29 aprile 2020, in
causa C-399-19).
8.- Con atti depositati il 20 e il 27 ottobre 2020, si sono
costituite in giudizio, rispettivamente, E. spa e V.I. spa, parti
ricorrenti nei giudizi a quibus, insistendo per l'accoglimento delle
questioni sollevate. La difesa delle parti richiama e ulteriormente
illustra le censure del rimettente, ribadendo la violazione delle
prescrizioni disposte dalla direttiva 2002/20/CE. Il contrasto con il
principio di proporzionalita' da parte della disciplina antecedente
al 2013 risulterebbe, in particolare, di evidenza palmare alla luce
della discrasia fra quanto dovuto dopo tale riforma e quanto invece
versato dagli operatori in base alla precedente normativa (nel caso
di E. spa l'importo sarebbe passato da 55.500 a 900 euro all'anno per
la licenza reti, e da 27.750 a 300 euro all'anno per la licenza voce;
nel caso di V.I. spa, per la licenza voce, da 66.500 a 600 euro
all'anno).
La difesa delle parti costituite ritiene, peraltro, che nemmeno
l'ulteriore novella apportata nel 2015 avrebbe introdotto norme
idonee a recepire gli obblighi derivanti dalla direttiva, non avendo
adottato criteri associati al fatturato o al reddito, capaci di
superare il contrasto con il principio di proporzionalita' e con il
libero accesso al mercato.
9.- Con due distinte memorie integrative di identico tenore,
depositate in data 16 febbraio 2021, il Presidente del Consiglio dei
ministri afferma che le norme interposte individuate dal rimettente
andrebbero a censurare «la violazione dell'obbligo dell'Italia di
curare la trasposizione della direttiva (art. 291 TFUE)», la' dove
l'art. 34 novellato nel 2015 avrebbe, viceversa, riprodotto quasi
testualmente l'art. 12 della direttiva, dal che deriverebbe
l'inammissibilita' delle questioni.
L'Avvocatura dello Stato, nelle medesime memorie, eccepisce
inoltre il difetto di rilevanza delle questioni aventi ad oggetto
mancato rispetto dell'obbligo di rendicontazione, in quanto attinenti
«maggiormente al profilo del merito della vicenda che non alla
costituzionalita' della norma» e, comunque, in subordine, insiste per
la non fondatezza, poiche' l'obbligo di rendicontazione avrebbe
potuto essere rispettato anche in anni successivi a quelli in cui
sono stati imposti i diritti amministrativi.
10.- In data 16 febbraio 2021, le parti hanno depositato memorie
illustrative, per replicare agli argomenti dell'Avvocatura dello
Stato, in specie la' dove la difesa erariale aveva osservato che il
criterio prescelto per la quantificazione dei diritti amministrativi
integrerebbe un «sistema di calcolo del contributo di facile
applicazione per i destinatari, non estremamente mutevole e,
pertanto, non suscettibile di determinare una variazione di costi non
prevedibile per le imprese». Si obietta, infatti, come proprio tali
caratteristiche sarebbero in contrasto con la logica di cui ai
principi della direttiva 2002/20/CE, nella misura in cui questa
avrebbe invece voluto agevolare la massima «corrispondenza del
contributo richiesto ai "costi amministrativi veri e propri"».
Infine, la difesa delle parti deduce che la possibile osservanza
spontanea dell'obbligo di rendicontazione non avrebbe alcuna
influenza rispetto al dovere di prescrivere in via legislativa tale
obbligo, il che e' mancato nella formulazione della disciplina di
recepimento fino alla novella del 2015.
11.- All'udienza del 9 marzo 2021, le parti e la difesa erariale
hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate negli
scritti difensivi e hanno discusso il profilo di ammissibilita' della
questione di legittimita' costituzionale relativamente alla
giurisdizione in capo al Tribunale rimettente.
Considerato in diritto
1.- Con due distinte ordinanze di tenore sostanzialmente
identico, il Tribunale ordinario di Roma, seconda sezione civile, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle
comunicazioni elettroniche), nella formulazione originaria e in
quella risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 5,
comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 29 luglio 2015, n.
115 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea
2014), e dell'art. 1, comma 1, dell'Allegato n. 10 al medesimo
decreto legislativo, nella formulazione originaria e in quella
risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 6, comma 4,
lettere a), b) e c), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145
(Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per il
contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei
premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione
di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni,
nella legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dall'art. 5, comma 1, lettera
b), numero 1), della legge n. 115 del 2015.
A giudizio del Tribunale rimettente, le norme censurate si
porrebbero in contrasto con gli artt. 3 e 97, nonche' 11 e 117, primo
comma, della Costituzione, questi ultimi in relazione ai considerando
numeri 30 e 31 e all'art. 12 della direttiva 2002/20/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2020, relativa alle
autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica
(direttiva autorizzazioni), e altresi' in relazione agli artt. 106,
paragrafo 2, 288 e 291 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona
del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130;
all'art. 1 del Protocollo n. 26 allegato al TFUE; e agli artt. 20 e
21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007.
La normativa di recepimento censurata non avrebbe, in
particolare, rispettato, in alcuna delle formulazioni susseguitesi,
le prescrizioni della direttiva, specie per quanto concerne i
principi di proporzionalita', obiettivita' e trasparenza nella
determinazione dei diritti amministrativi, e non avrebbe
implementato, e neppure contemplato a livello legislativo sino alla
novella introdotta nel 2015, l'obbligo di rendicontazione dei costi
sostenuti dall'amministrazione.
1.1.- Le due ordinanze di rimessione pongono questioni
sostanzialmente identiche in relazione alle disposizioni censurate e
ai parametri evocati e, pertanto, i giudizi vanno riuniti per essere
congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia.
2.- Preliminarmente, occorre rilevare che il recepimento della
direttiva 2002/20/CE e' stato oggetto di una travagliata vicenda
legislativa, che ha dato luogo a successivi interventi con le novelle
del 2013 e del 2015.
Pur prendendo atto di tale processo volto a dare attuazione agli
obiettivi della citata direttiva, questa Corte non puo' esimersi dal
constatare che la rigida determinazione dei contributi, affidata a
cifre cristallizzate nella fonte primaria, non consente di apportare
le opportune rettifiche che - in linea con l'art. 12 della direttiva
2002/20/CE - devono essere introdotte «[a]lla luce delle differenze
tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi». Del
resto, lo stesso art. 34 del d.lgs. n. 259 del 2003 (d'ora in avanti:
cod. comunicazioni elettroniche), nella sua attuale formulazione,
dispone che «in base alle eventuali differenze tra l'importo totale
dei diritti e i costi amministrativi vengono apportate opportune
modifiche», il che pone il problema del coordinamento con la tecnica
di determinazione dei diritti amministrativi prevista dall'art. 1,
comma 1, dell'Allegato n. 10 al cod. comunicazioni elettroniche.
3.- Cio' premesso, e' necessario esaminare d'ufficio
l'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale sotto
il profilo della sussistenza della giurisdizione in capo al giudice
rimettente.
3.1.- L'ordinanza di rimessione e' stata, infatti, sollevata dal
Tribunale ordinario di Roma, nell'ambito di una controversia avente
ad oggetto i diritti amministrativi riconducibili ad una materia che
l'art. 133, comma 1, lettera m), dell'Allegato 1 (Codice del processo
amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104
(Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69,
recante delega al governo per il riordino del processo
amministrativo) devolve alla giurisdizione amministrativa esclusiva.
La previsione richiamata si riferisce, in particolare, alle
«controversie aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di
comunicazioni elettroniche, compresi quelli relativi all'imposizione
di servitu', nonche' i giudizi riguardanti l'assegnazione di diritti
d'uso delle frequenze, la gara e le altre procedure di cui ai commi
da 8 a 13 dell'articolo 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220,
incluse le procedure di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 marzo
2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio
2011, n. 75».
Il giudice, nel valutare l'eccezione sul difetto di giurisdizione
sollevata dalla difesa erariale nel procedimento a quo, ha ritenuto
di non affrontare la questione, ma di «rimettere [il suo] esame [...]
alla definizione (nel merito) della lite». In sostanza, ha rinviato
ad una fase successiva all'emanazione dell'ordinanza di rimessione la
trattazione della eccezione pregiudiziale, che invero condiziona la
rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale.
3.2.- In premessa a tale determinazione, con cui viene
posticipata al merito la trattazione dell'eccezione, il rimettente
ha, comunque, addotto alcune succinte motivazioni a sostegno della
sua giurisdizione.
Secondo il Tribunale di Roma, nei giudizi principali non sarebbe
in discussione alcun provvedimento amministrativo, bensi' la
ripetizione delle somme che sarebbero state indebitamente pagate dai
privati, sulla base di una normativa censurata di illegittimita'
costituzionale per non «conformita' del diritto interno al diritto
sovranazionale». La giurisdizione, pertanto, spetterebbe al giudice
ordinario, essendo controverso, alla luce del petitum (la domanda di
ripetizione dell'indebito) e della causa petendi (l'inadempimento
dello Stato agli obblighi imposti dalla direttiva), un diritto
soggettivo. Aggiunge, infine, il giudice a quo che «e' opinione
oramai consolidata della Corte Regolatrice, che laddove si discuta
dell'inadempimento dello Stato all'obbligo di cooperazione e di
realizzazione degli obblighi posti dalle direttive (non esecutive)
adottate in sede europea (artt. 288, 291 TFUE), la competenza spetti
al giudice ordinario».
3.3.- Tale sintetica ricostruzione appare, invero, assertoria e
manifestamente implausibile.
Al di la' della circostanza che il giudizio a quo verte su una
questione, quella dei diritti amministrativi, che presuppone la
sussistenza del provvedimento di autorizzazione, in ogni caso, le
norme che devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo particolari materie attraggono, alla stregua di quanto
ribadito da questa stessa Corte, anche le controversie «che investono
i diritti soggettivi» (sentenza n. 204 del 2004), in quanto
«riconducibili, ancorche' in via indiretta o mediata, all'esercizio
del pubblico potere dell'amministrazione» (sentenza n. 191 del 2006;
in senso analogo, sentenze n. 179 del 2016 e n. 204 del 2004). Non
basta, dunque, invocare il diritto soggettivo a fondamento della
pretesa di condictio indebiti, per richiamare la sussistenza della
giurisdizione ordinaria.
Del tutto inconferente, poi, e' il riferimento alla materia della
responsabilita' civile dello Stato, essendo nella fattispecie
implicata la ben diversa azione di ripetizione dell'indebito. Ne'
puo' certo ritenersi che ogni controversia relativa a norme di cui si
lamenti il contrasto con previsioni di diritto dell'Unione europea
prive di efficacia diretta debba, in quanto tale, ascriversi alla
giurisdizione ordinaria.
3.4.- Per consolidata giurisprudenza costituzionale, il difetto
di giurisdizione del giudice a quo determina l'inammissibilita' della
questione, ove esso sia rilevabile ictu oculi (sentenze n. 267 e n.
168 del 2020, n. 28 del 2019, n. 189 del 2018, n. 269 del 2016, n.
106 del 2013; ordinanza n. 318 del 2013).
In conformita' a tale orientamento, l'evidente carenza di
giurisdizione del giudice rimettente comporta l'inammissibilita'
delle questioni sollevate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 34 del decreto legislativo 1° agosto 2003,
n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), nella formulazione
originaria e in quella risultante a seguito delle modifiche apportate
dall'art. 5, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), della legge 29
luglio 2015, n. 115 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge
europea 2014), e dell'art. 1, comma 1, dell'Allegato n. 10 al
medesimo decreto legislativo, nella formulazione originaria e in
quella risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 6,
comma 4, lettere a), b) e c), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.
145 (Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per
il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione
dei premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione
di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni,
nella legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dall'art. 5, comma 1, lettera
b), numero 1), della legge n. 115 del 2015, sollevate, in riferimento
agli artt. 3 e 97, nonche' 11 e 117, primo comma, della Costituzione,
questi ultimi in relazione ai considerando numeri 30 e 31 e all'art.
12 della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 7 marzo 2020, relativa alle autorizzazioni per le reti e i
servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni), e
altresi' in relazione agli artt. 106, paragrafo 2, 288 e 291 del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come
modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e
ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, all'art. 1 del
Protocollo n. 26 allegato al TFUE, e agli artt. 20 e 21 della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,
dal Tribunale ordinario di Roma, seconda sezione civile, con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
