CORTE COSTITUZIONALE 15 aprile – 27 maggio 2021 SENTENZA N. 109
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici - Riserve contrattuali dell'appaltatore - Determinazione dell'importo massimo complessivo, stabilito nel venti per cento dell'importo contrattuale - Denunciata irragionevolezza, violazione del diritto d'azione, della liberta' d'impresa e del principio del buon andamento - Non fondatezza delle questioni, nei sensi di cui in motivazione. - Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 240-bis, comma 1, come modificato dall'art. 4, comma 2, lettera hh), numero 1), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106. - Costituzione, artt. 3, 24, 41 e 97.
(GU n.22 del 3-6-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 240-bis,
comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), come modificato
dall'art. 4, comma 2, lettera hh), numero 1), del decreto-legge 13
maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l'economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio
2011, n. 106, promosso dal Tribunale ordinario di Lecco, prima
sezione civile, nel procedimento vertente tra la R. srl e il Comune
di Oggiono e altro, con ordinanza del 29 maggio 2019, iscritta al n.
171 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visti l'atto di costituzione della R. srl, nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell'udienza pubblica del 13 aprile 2021 la Giudice
relatrice Emanuela Navarretta;
uditi l'avvocata Nicoletta Sersale per la R. srl e l'avvocato
dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei
ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del
decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021;
deliberato nella camera di consiglio del 15 aprile 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 13 maggio 2019, iscritta al registro
ordinanze n. 171 del 2019, il Tribunale ordinario di Lecco, prima
sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e
97 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 240-bis, comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE),
(d'ora in avanti, anche: cod. contratti pubblici), come modificato
dall'art. 4, comma 2, lettera hh), numero 1), del decreto-legge 13
maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l'economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio
2011, n. 106, nella parte in cui prevede che «[l]'importo complessivo
delle riserve non puo' in ogni caso essere superiore al venti per
cento dell'importo contrattuale».
1.1.- Il rimettente espone che la parte attrice nel processo
principale, l'impresa R. srl, faceva valere in giudizio sei riserve
iscritte nei registri di contabilita' e confermate in sede di
sottoscrizione del conto finale in data 17 giugno 2015, per un
ammontare complessivo di euro 473.751,18.
Tali riserve - riferisce il giudice a quo - erano state iscritte,
ai sensi degli artt. 190 e 191 del decreto del Presidente della
Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed
attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante
«Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»), nell'ambito
di un contratto di appalto di lavori stipulato con il Comune di
Oggiono, in data 15 marzo 2013, per un corrispettivo, calcolato a
misura, di euro 558.751,65, oltre IVA e oneri di sicurezza.
Il Tribunale di Lecco precisa che il Comune di Oggiono non aveva
promosso il procedimento di accordo bonario di cui all'art. 240 del
d.lgs. n. 163 del 2006 e che, convenuto in giudizio dalla R. srl,
eccepiva l'inammissibilita' delle riserve ai sensi dell'art. 240-bis,
comma 1, cod. contratti pubblici.
1.2.- In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che,
all'esito della consulenza tecnica d'ufficio relativa alle riserve
iscritte, risulterebbero fondate le pretese dell'impresa appaltatrice
per la somma di euro 109.236,41, vale a dire per una cifra inferiore
al venti per cento dell'importo contrattuale.
Tuttavia - prosegue il rimettente - poiche' quanto dovrebbe
riconoscersi all'impresa si ricava da riserve (la terza per euro
3.653,68, la quarta per euro 87.182,88 e la maggiorazione
riconosciuta in fase di collaudo per euro 18.479,55), registrate dopo
che ne erano state iscritte altre per un ammontare che aveva gia'
raggiunto il limite del venti per cento dell'importo contrattuale,
sarebbe preclusa la possibilita' di accertare nel merito quelle
annotate successivamente al superamento della soglia imposta dalla
norma censurata.
Il giudice a quo sostiene, infatti, che l'unica interpretazione
dell'art. 240-bis, comma 1, cod. contratti pubblici, conforme alla
sua lettera ed alle intenzioni del legislatore, «sembra essere quella
che attribuisce all'appaltatore la legittimazione ad iscrivere
riserve solo fino alla concorrenza di un quinto dell'importo
contrattuale» e non quella che riferisce tale soglia all'importo
complessivo che in concreto puo' essere riconosciuto. Pertanto,
sarebbero ammissibili, nel caso di specie, le prime tre riserve e il
giudice non potrebbe valutare nel merito le altre che, viceversa,
sembrerebbero fondate.
1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo
rileva che, «anche in un'ottica di bilanciamento tra principi
costituzionali, le esigenze di contenimento della spesa pubblica non
possono giustificare la creazione di una posizione di cosi' smaccato
privilegio per la stazione appaltante, alla quale viene consentito di
liberarsi dalle proprie responsabilita' non solo in caso di eventi
sopravvenuti imprevedibili, ma anche in caso di possibili condotte
illegittime o inadempienti, tutte indistintamente ricondotte alla
categoria del rischio di impresa di cui l'appaltatore dovrebbe farsi
carico».
In particolare, il Tribunale di Lecco dubita della legittimita'
costituzionale della disposizione censurata, in relazione a
molteplici parametri.
In primo luogo, ravvisa un contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.,
poiche' l'art. 240-bis, comma 1, cod. contratti pubblici andrebbe a
stravolgere l'equilibrio negoziale in favore di una sola delle parti
del contratto, il che si tradurrebbe «sul piano sostanziale, in una
limitazione irragionevole delle pretese patrimoniali dell'appaltatore
e, sul piano processuale, in una compressione altrettanto
inspiegabile del diritto d'azione».
In secondo luogo, il giudice a quo sospetta l'illegittimita'
costituzionale della norma in relazione all'art. 41 Cost.,
«concretandosi la disposizione in un'ingiustificata limitazione alla
liberta' d'impresa»: l'imprenditore sarebbe arbitrariamente costretto
a sopportare anche il rischio di pregiudizi del tutto estranei alla
sua sfera di controllo, venendo meno «qualsiasi possibile
proporzionalita' tra l'ablazione dei diritti dell'appaltatore e
l'intento del legislatore di arginare la proliferazione delle riserve
per contenere la spesa pubblica».
Infine, il giudice a quo reputa il citato art. 240-bis non
conforme all'art. 97 Cost., perche' la norma censurata incentiverebbe
la deresponsabilizzazione dei funzionari pubblici, in contrasto con
il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
2.- Il 6 novembre 2019 si e' costituita in giudizio la societa'
R. srl, la quale, soffermandosi sulla ratio dell'istituto, ha
sottolineato che le riserve, oltre a consentire alle stazioni
appaltanti di avere contezza delle richieste degli appaltatori e dei
possibili aumenti di spesa, sono anche lo strumento che permette alla
parte privata di avanzare richieste per compensi, risarcimenti o
indennizzi relativi ai lavori eseguiti. Di conseguenza,
l'impossibilita' di iscrivere riserve oltre una certa soglia
comporterebbe, sul piano sostanziale e processuale, un irragionevole
limite al diritto dell'appaltatore di ottenere quanto gli spetta
sulla base del contratto e delle previsioni di legge.
2.1.- La difesa della societa' appaltatrice ha ripercorso,
quindi, le argomentazioni spese dal giudice a quo per illustrare il
dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 240-bis, comma 1,
cod. contratti pubblici, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 97
Cost.
2.2.- La violazione dell'art. 3 Cost. deriverebbe, in
particolare, da «un insanabile contrasto con il principio di
ragionevolezza»: se l'istituto delle riserve e' concepito a garanzia
dell'esatto e corretto adempimento del sinallagma, viceversa, l'art.
240-bis cod. contratti pubblici comporterebbe lo stravolgimento in
fase esecutiva di quanto pattuito con il contratto, risultando
pertanto intrinsecamente irragionevole.
Inoltre, l'inosservanza dell'art. 3 Cost. discenderebbe
dall'illegittima disparita' di trattamento tra operatori economici
che svolgono l'attivita' di impresa nel settore degli appalti
pubblici e quelli che si dedicano agli appalti privati, dal momento
che, per questi ultimi, una simile limitazione di responsabilita'
sarebbe nulla, per contrarieta' all'art. 1229 del codice civile,
persino se fosse stata oggetto di specifica negoziazione.
2.3.- Tali considerazioni - a parere della difesa della societa'
appaltatrice - sosterrebbero anche l'illegittimita' costituzionale in
riferimento all'art. 41 Cost.: infatti, talune limitazioni
all'autonomia privata nelle scelte economiche ed imprenditoriali sono
ben ammissibili, onde realizzare un equo contemperamento di interessi
costituzionali potenzialmente confliggenti; tuttavia, nel caso di
specie, tale circostanza non ricorrerebbe, non essendovi alcuna
proporzionalita' fra l'ablazione dei diritti dell'appaltatore e
l'intento del legislatore di arginare la proliferazione di riserve,
per contenere la spesa pubblica.
2.4.- Da ultimo, la societa' appaltatrice sostiene che la norma
sia in contrasto anche con gli artt. 24 e 113 Cost.: ai sensi
dell'art. 190 del d.P.R. n. 207 del 2010, l'omessa tempestiva
formulazione delle riserve comporta la decadenza dal diritto di far
valere, anche in sede giurisdizionale, le domande che ad esse si
riferiscono. Una limitazione come quella imposta dalla norma
contestata integrerebbe, percio', una grave violazione di entrambi i
parametri sopra evocati, senza che - peraltro - risulti dalla
formulazione dell'art. 240-bis cod. contratti pubblici quale sia il
diritto costituzionalmente riconosciuto che legittimi una tale
compressione.
3.- Il 12 novembre 2019 e' intervenuto in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non
fondate.
La difesa erariale ha evidenziato che le riserve non garantiscono
solo la corrispettivita' delle prestazioni, ma soprattutto servono
alla stazione appaltante per verificare i fatti suscettibili di
produrre un incremento delle spese previste, con un accertamento che
si rivela meno dispendioso perche' immediato e continuativo. In tal
modo - osserva l'Avvocatura generale - l'Amministrazione potrebbe
adottare tempestivamente le proprie determinazioni, in armonia con il
bilancio pubblico, «fino ad esercitare la potesta' di risoluzione
unilaterale del contratto». Questo dimostrerebbe che l'istituto delle
riserve presidierebbe l'esigenza di evitare modifiche sostanziali del
contratto, a tutela anche dei concorrenti non aggiudicatari. Ne' cio'
determinerebbe una lesione alla liberta' di impresa o all'iniziativa
economica, perche', da un lato, l'art. 240-bis cod. contratti
pubblici integrerebbe il contratto d'appalto ai sensi dell'art. 1374
cod. civ. e, da un altro lato, l'insorgenza di sopravvenienze tali da
stravolgere l'intima essenza del contratto potrebbe in ogni caso
condurre all'attivazione degli ordinari rimedi civilistici a tutela
dell'appaltatore.
4.- In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura generale ha
depositato memorie nelle quali ha ribadito quanto gia' argomentato in
ordine alla non fondatezza delle questioni.
In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
ricordato come il controllo di ragionevolezza, sviluppato sulla base
dell'art. 3 Cost., sia volto a verificare la rispondenza degli
interessi tutelati dalla legge ai principi costituzionali e al
bilanciamento tra gli stessi, potendo da cio' inferirsi una
contrarieta' a Costituzione solo ove non sia possibile ricondurre la
disciplina ad alcuna esigenza protetta in via primaria oppure qualora
sussista una evidente sproporzione tra i mezzi approntati ed il fine
perseguito.
Ebbene, nel caso di specie, tali esigenze sarebbero perseguite
dalla norma censurata: l'art. 240-bis, comma 1, cod. contratti
pubblici sarebbe finalizzato ad evitare modifiche sostanziali
dell'appalto e a contenere la spesa pubblica. Inoltre, l'operatore
economico non si troverebbe privo di autonoma determinazione e di
tutela, di fronte alla possibilita' che la realizzazione dei lavori
ecceda il quinto del corrispettivo pattuito nel contratto: la difesa
erariale richiama alcune sentenze della Corte di cassazione e del
Consiglio di Stato che avrebbero riconosciuto, in tali ipotesi, a
favore dell'appaltatore il rimedio della risoluzione per eccessiva
onerosita' sopravvenuta. La norma censurata non comporterebbe,
pertanto, alcuna violazione degli artt. 3 e 41 Cost. ne'
contrasterebbe con gli artt. 24 e 113 Cost. D'altro canto, proprio la
possibilita' di agire con i rimedi risolutori, e con le azioni ad
essi correlate, escluderebbe il rischio di una deresponsabilizzazione
dei funzionari pubblici.
Da ultimo - rammenta sempre l'Avvocatura generale - la norma
censurata integrerebbe il contratto d'appalto, rendendo l'operatore
economico edotto della disciplina cui si sta assoggettando, sicche'
tale «consapevolezza lo indurra' ad evitare quantificazioni
artatamente dilatate delle pretese avanzate con le riserve [...] al
solo fine di conseguire vantaggi economici».
5.- Nell'udienza del 13 aprile 2021 sono intervenute la parte
costituita in giudizio e la difesa erariale, che hanno insistito per
le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.- Con ordinanza del 13 maggio 2019, il Tribunale ordinario di
Lecco ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 97 della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
240-bis, comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), (d'ora in
avanti, anche: cod. contratti pubblici), come modificato dall'art. 4,
comma 2, lettera hh), numero 1), del decreto-legge 13 maggio 2011, n.
70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106,
nella parte in cui prevede che «[l]'importo complessivo delle riserve
non puo' in ogni caso essere superiore al venti per cento
dell'importo contrattuale».
Il giudice a quo ritiene, infatti, che, anche «in un'ottica di
bilanciamento tra principi costituzionali, le esigenze di
contenimento della spesa pubblica non possono giustificare la
creazione di una posizione di cosi' smaccato privilegio per la
stazione appaltante, alla quale viene consentito di liberarsi dalla
proprie responsabilita' non solo in caso di eventi sopravvenuti
imprevedibili, ma anche in caso di possibili condotte illegittime o
inadempienti, tutte indistintamente ricondotte alla categoria del
rischio di impresa di cui l'appaltatore dovrebbe farsi carico».
1.1.- Il giudice rimettente argomenta nel senso che il tenore
letterale della disposizione censurata e le intenzioni del
legislatore indurrebbero ad assegnare alla norma il significato di
porre un limite alla possibilita' per l'appaltatore di iscrivere
riserve fino alla concorrenza di un quinto dell'importo contrattuale.
Tale interpretazione renderebbe le questioni rilevanti e -
secondo la prospettazione del giudice a quo - non manifestamente
infondate rispetto ai su citati parametri costituzionali.
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che ha sostenuto la non fondatezza delle questioni.
La norma censurata avrebbe introdotto una limitazione
giustificata e congrua alla possibilita' per l'appaltatore di far
valere le proprie ragioni, poiche', da un lato, l'art. 240-bis, comma
1, del d.lgs. n. 163 del 2006 sarebbe finalizzato ad evitare
modifiche sostanziali del contratto e a contenere la spesa pubblica
e, da un altro lato, l'operatore economico, conscio della disciplina
normativa cui si sta assoggettando, non si troverebbe privo di
autonoma determinazione e di tutela: all'insorgenza di sopravvenienze
tali da rendere eccessivamente squilibrato il sinallagma contrattuale
o al verificarsi di inadempimenti di non scarsa importanza della
controparte potrebbe, difatti, avvalersi degli ordinari rimedi
contrattuali.
3.- Si e' costituita in giudizio anche la societa' R. srl che,
oltre a richiamare gli argomenti spesi dal giudice a quo a favore
della fondatezza, ha altresi' ravvisato una violazione dell'art. 113
Cost. A tal riguardo, si deve, tuttavia, precisare che questa
ulteriore questione prospettata dalla difesa della parte privata non
e' suscettibile di esame, e dunque va ritenuta inammissibile. Secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, «l'oggetto del giudizio
di costituzionalita' in via incidentale e', infatti, limitato alle
norme e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, non
potendo essere prese in considerazione, oltre i limiti in queste
fissati, ulteriori questioni o censure di costituzionalita' dedotte
dalle parti, sia che siano state eccepite ma non fatte proprie dal
giudice a quo, sia che siano dirette ad ampliare o modificare
successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (sentenza n. 327
del 2010, ordinanze n. 138 del 2017 e n. 469 del 1992)» (da ultimo,
sentenza n. 213 del 2017).
4.- Nel merito, le questioni non sono fondate, nei termini di
seguito illustrati.
5.- La disposizione censurata e' stata introdotta, nel codice dei
contratti pubblici, con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70
(Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106.
Per comprendere le ragioni di tale integrazione, occorre
considerare che, nella prassi, si e' fatto spesso un utilizzo
improprio dell'istituto delle riserve, al fine di avanzare pretese
non giustificate dal regolamento contrattuale o non conformi alle
previsioni legali sulle procedure che danno accesso a possibili
modifiche dell'originario accordo. Documentano la preoccupazione
destata da simili condotte alcune determinazioni dell'Autorita' per
la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
(AVCP), nelle quali si censura, in special modo, che si sia fatto
ricorso alle riserve, in situazioni in cui la legge avrebbe,
viceversa, richiesto la presentazione di una perizia di variante (si
veda in particolare la determinazione AVCP del 30 maggio 2007, n. 5).
Non puo' dubitarsi, invero, che il riconoscimento di richieste
con l'accordo bonario, in difformita' dal chiaro dettato normativo
degli artt. 132 cod. contratti pubblici e 161, commi 1, 2 ed 11 del
decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207
(Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE»), faccia illegittimamente deviare
l'esecuzione dell'appalto dall'interesse pubblico cristallizzato
nella fase costitutiva del contratto e riflesso nella disciplina che
regola le sue possibili modifiche per effetto di sopravvenienze.
L'art. 240-bis, comma 1, cod. contratti pubblici, nel prevenire
simili e altri abusi nell'utilizzo dell'istituto delle riserve, ha
inteso, dunque, preservare interessi riconducibili agli artt. 81 e 97
Cost. (sotto il profilo del buon andamento e dell'imparzialita'
dell'amministrazione) nonche', indirettamente, tutelare la
concorrenza. Non era, infatti, infrequente l'aggiudicazione di
appalti a favore di imprese che, confidando nella possibilita' di
conseguire, grazie agli accordi bonari, guadagni aggiuntivi e non
dovuti, proponessero offerte notevolmente ribassate.
5.1.- Vero e' che l'elemento di criticita' delle prassi sopra
richiamate sono gli accordi bonari e non le riserve in quanto tali.
Opportunamente, a tal riguardo, il nuovo codice dei contratti
pubblici, approvato nel 2016 (decreto legislativo 18 aprile 2016, n.
50, recante «Codice dei contratti pubblici»), e non applicabile
ratione temporis alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, ha
posto un limite (il quindici per cento dell'importo contrattuale)
solo alla possibilita' di definire le riserve tramite l'accordo
bonario (art. 205, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016).
5.2.- Cionondimeno, la sussistenza di una migliore soluzione
normativa rispetto a quella censurata non e' di per se' sintomo di
una illegittimita' costituzionale della scelta legislativa meno
appropriata (in termini simili, sentenza n. 122 del 2020).
Piuttosto, si tratta di accertare se l'aver riferito la soglia
legale in senso lato alle riserve, anziche' alle riserve definibili
per accordo bonario, determini, nel bilanciamento con gli interessi
che la disposizione censurata mira a preservare, un irragionevole
vulnus ad altre istanze di rango costituzionale, che si desumono
dalle funzioni assegnate dalla stessa legge alle riserve.
In particolare, la loro iscrizione e' stata prevista dal
legislatore a beneficio di un monitoraggio costante, da parte della
stazione appaltante, sull'esecuzione del contratto e, per questo, e'
stata configurata quale onere per l'appaltatore, che intenda far
valere pretese nei confronti del committente, onere il cui mancato
rispetto e' sanzionato con la decadenza dalle relative azioni (art.
190 del d.P.R. n. 207 del 2010).
In considerazione, dunque, dell'interesse alla trasparenza della
stazione appaltante e di quello a non decadere da legittime pretese
dell'impresa appaltatrice, l'esito del giudizio di costituzionalita'
dipende da un duplice passaggio argomentativo.
Per un verso, si tratta di chiarire in via ermeneutica se la
soglia legale si riferisca alla possibilita' di iscrivere riserve o a
quella di accordare loro riconoscimento, in via bonaria o giudiziale,
a prescindere dall'ordine con cui vengono annotate.
Per un altro verso, occorre ricostruire l'ampio ventaglio dei
rimedi civilistici, che non risentono tout court dell'istituto delle
riserve o che non patiscono gli effetti del limite legale posto dalla
norma censurata.
6.- Il testo dell'art. 240-bis, comma 1, nel prevedere che
«[l]'importo complessivo delle riserve non puo' in ogni caso essere
superiore al venti per cento dell'importo contrattuale», non rende
esplicito se il limite escluda la possibilita' di far valere quelle
iscritte oltre la soglia o se riguardi l'entita' delle pretese
annotate che, nel complesso, possono essere riconosciute.
La prima interpretazione, sostenuta dal rimettente, non risulta
pienamente coerente con la collocazione sistematica della
disposizione e, soprattutto, ove accolta, paleserebbe una
irragionevolezza della norma, il che avrebbe dovuto suggerire al
rimettente di non respingere - come invece ha ritenuto di fare, in
maniera esplicita e argomentata - la richiamata interpretazione
alternativa, gia' sostenuta da altri giudici di merito (si vedano
Tribunale ordinario di Roma, sentenze 11 dicembre 2020, n. 17666 e 23
gennaio 2017, n. 1085; Tribunale ordinario di Milano, sentenza 25
marzo 2020, n. 2207).
6.1.- Sotto il profilo sistematico, la norma censurata si
inserisce nella Parte IV del codice dei contratti pubblici, che non
regola l'esecuzione dell'appalto e l'iscrizione delle riserve, bensi'
il «Contenzioso» e si colloca nel contesto di un articolo che
disciplina - come precisa la rubrica - la «Definizione delle
riserve». In particolare, posto che la prima parte del comma 1
stabilisce che possono essere proposte, e di conseguenza
potenzialmente accolte, le domande che non superino gli importi
«quantificati nelle riserve stesse», e' naturale inferirne che anche
la seconda parte della disposizione, nel fissare la soglia, si
riferisca alle riserve che possono essere proposte e potenzialmente
definite, in via bonaria o giudiziale.
6.2.- Per converso, interpretare la disposizione nel senso di
escludere la possibilita' di far valere le riserve iscritte oltre la
soglia legale non solo si rivela asistematico, e fonte di un
possibile ossimoro rispetto alle norme che impongono alle imprese
appaltatrici l'onere di iscriverle per talune pretese, ma oltretutto
pregiudicherebbe, in maniera irragionevole, gli interessi sopra
richiamati, a partire dalla trasparenza nell'esecuzione del
contratto, a beneficio della stazione appaltante.
6.2.1.- Se l'impresa appaltatrice, dopo aver annotato riserve per
il venti per cento dell'importo contrattuale, perdesse
automaticamente la possibilita' di avanzare pretese subordinate alla
loro iscrizione in riserva, non avrebbe piu' alcun interesse a
continuare a rispettare il relativo onere. Tuttavia, poiche' la legge
lo prevede anche per fatti suscettibili di evidenziare inadempimenti
della stazione appaltante e questi ultimi, ove di non scarsa
importanza, giustificherebbero comunque pretese anche risarcitorie,
ex art. 1453 del codice civile, a prescindere dall'apposizione di
riserve (ex multis, Corte di cassazione, terza sezione civile,
ordinanza 6 maggio 2020, n. 8517; Corte di cassazione, prima sezione
civile, ordinanza 5 settembre 2018, n. 21656 e sentenza 3 novembre
2016, n. 22275), il committente si troverebbe esposto a un rischio
significativo: quello di non aver avuto tempestiva contezza - a causa
della mancata annotazione delle pretese - di contestazioni relative a
sue stesse inadempienze, con la conseguenza di non aver potuto
assumere opportune determinazioni, quale l'esercizio del recesso di
cui all'art. 134 cod. contratti pubblici.
Per contro, ove si riferisca la soglia legale alle riserve
suscettibili di accoglimento, residuerebbe in capo all'appaltatore un
certo grado di aleatorieta' in merito al raggiungimento del limite
delle pretese liquidabili, subordinatamente all'onere delle riserve,
e tale incertezza dovrebbe indurlo, prudenzialmente, a continuare ad
annotarle, a tutto beneficio delle esigenze della trasparenza.
In tal modo, il rischio per la stazione appaltante di doversi
affidare alla sua mera vigilanza viene limitato, in una maniera che -
come si dira' - non sacrifica irragionevolmente il buon andamento
della pubblica amministrazione, alla sola ipotesi in cui l'intera
somma (il venti per cento dell'importo contrattuale) riconoscibile
attraverso le riserve sia stata accettata nel corso dell'esecuzione,
tramite l'accordo bonario.
6.2.2.- Quanto poi agli interessi dell'impresa appaltatrice, si
palesa a fortiori la manifesta irragionevolezza dell'esito a cui
condurrebbe l'interpretazione - per cio' stesso erronea - prospettata
dal rimettente.
Selezionare le riserve ammissibili in base all'ordine della loro
iscrizione vorrebbe dire negare all'impresa di poter agire in via
giudiziale per dimostrare la fondatezza delle sue pretese, in ragione
di una circostanza che e' del tutto contingente, casuale e priva di
intrinseca ragionevolezza, qual e' l'ordine di annotazione delle
richieste, condizionato dalla mera successione cronologica con cui si
pongono i vari problemi nell'esecuzione del contratto.
7.- Per le ragioni esposte, merita valutare la compatibilita' con
la Costituzione dell'interpretazione della giurisprudenza prevalente
(si veda, supra, punto 6), secondo la quale, entro il venti per cento
dell'importo contrattuale, e' possibile riconoscere la fondatezza
delle pretese annotate con riserva, qualunque sia stato l'ordine con
cui sono state iscritte.
La richiamata interpretazione della soglia legale di cui al
censurato art. 240-bis rinviene, infatti, una giustificazione nella
sua riferibilita' al margine di possibile adattamento del contratto,
previsto, in caso di sopravvenienze, dalla stessa disciplina
dell'appalto pubblico. Questa, infatti, identifica nel valore di un
quinto dell'importo contrattuale il discrimine che separa il grado di
adeguamento tollerato del regolamento di interessi dal punto di
rottura, oltre il quale o si risolve l'appalto o si giunge alla
stipula di un nuovo contratto tramite un'eventuale variante.
8.- Occorre, tuttavia, precisare che questa stessa ricostruzione
ermeneutica deve tenere conto della non assoluta corrispondenza fra
la ratio della iscrizione delle riserve e la logica che sovraintende
agli adeguamenti dell'appalto. Da un lato, infatti, le riserve non
riguardano solo mutamenti del contratto, bensi' anche la
contestazione di inadempienze della stazione appaltante; e, da un
altro lato, l'adeguamento dell'importo contrattuale in ragione di
sopravvenienze e' affidato ad un quadro di strumenti complesso che
comprende non solo le riserve, ma anche le varianti e le
compensazioni.
Di conseguenza, si deve ulteriormente valutare il profilo
relativo al possibile vulnus all'interesse dell'impresa appaltatrice,
che intenda far valere in via giudiziale legittime pretese
contrattuali, anche al di sopra del richiamato limite.
A tal proposito, e' opportuno tenere conto dell'estrema varieta'
di ipotesi per le quali lo stesso legislatore impone l'onere di
iscrivere riserve: richieste di corretta esecuzione del contratto, a
fronte di erronee contabilizzazioni da parte del committente;
risarcimenti del danno per ritardi nella consegna o per sospensioni
dell'esecuzione dovute alla stazione appaltante; maggiori costi
derivanti dalla difformita' dei luoghi e dalla loro consegna
parziale; contestazioni - nel caso di variazioni inferiori al quinto
dell'importo contrattuale - sia dell'equo compenso, stabilito dalla
stazione appaltante quando le modifiche comportino un notevole
pregiudizio economico per singole categorie di lavorazioni omogenee,
sia del prezzo non concordato per lavorazioni o materiali non
previsti nel contratto originario; cosi' come il dissenso rispetto
alle determinazioni del responsabile unico del procedimento (RUP) in
ipotesi di controversie tecniche. E non puo' tacersi che - secondo la
dottrina e la giurisprudenza - l'onere di iscrivere riserve ha una
valenza generale e investe ogni pretesa di carattere economico che
l'esecutore dei lavori intenda far valere nei confronti
dell'amministrazione.
8.1.- Dinanzi al quadro sopra descritto, occorre innanzitutto
segnalare che i rimedi contrattuali di natura risolutoria, e le
correlate azioni anche risarcitorie, non sono, secondo un
orientamento costante del diritto vivente, subordinati al rispetto
dell'onere di iscrivere riserve.
Ove la soglia del venti per cento venisse superata con richieste
ascrivibili a inadempimenti della stazione appaltante che, nel
complesso, evidenziassero, da parte del committente, un inadempimento
di non scarsa importanza, sarebbe certamente consentita, oltre alla
risoluzione del contratto, anche l'azione risarcitoria per illecito
contrattuale (Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenze 5
settembre 2018, n. 21656; 3 novembre 2016, n. 22275; 17 settembre
2014, n. 19531; 11 gennaio 2006, n. 388; 4 febbraio 2000, n. 1217; 17
marzo 1982, n. 1728).
Parimenti, le pretese iscritte a riserva relativamente a
sopravvenienze oggettive potrebbero, nel caso concreto, dar luogo ad
una risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 132 cod. contratti
pubblici, cosi' come il concorrere di plurime sopravvenienze potrebbe
legittimare un'azione di risoluzione del contratto riconducibile,
previa dimostrazione dell'eccessiva onerosita' sopravvenuta, all'art.
1467 cod. civ. (ex multis, Corte di cassazione, prima sezione civile,
sentenze 26 gennaio 2018, n. 2047; 18 maggio 2016, n. 10165;
Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 19 agosto 2016, n.
3653).
8.2.- Svolta tale premessa, non si puo', comunque, escludere che,
in ragione della richiamata varieta' di pretese soggette all'onere di
iscrizione in riserva e dell'ovvia eventualita' che possano sommarsi
richieste eterogenee, residuino, oltre la soglia individuata dalla
norma censurata, istanze legittime e, tuttavia, inidonee a fondare i
richiamati rimedi contrattuali. Potrebbe trattarsi di richieste che
facciano valere l'adempimento della prestazione contrattuale (e/o la
relativa responsabilita') o di pretese che la legge riconosce
all'appaltatore, regolando l'iscrizione di riserve in ipotesi di
sopravvenienze contrattuali.
8.2.1.- Ebbene, ove si tratti di istanze correlate con
sopravvenienze di natura oggettiva, la soglia legale posta dalla
disposizione censurata alla sommatoria delle riserve si traduce,
evidentemente, in un ampliamento del rischio contrattuale
dell'impresa, rispetto a quello che viene disegnato dalle singole
disposizioni in materia di riserve.
Tuttavia, deve precisarsi che, tenuto conto che le pretese sotto
soglia vengono accolte, che le modifiche del contratto affidate alla
tecnica delle riserve riguardano ipotesi alquanto marginali e che,
comunque, il contratto si puo' sciogliere se si dimostra che le
sopravvenienze determinano, anche nella loro globalita', una
eccessiva onerosita' sopravvenuta, il maggior rischio che va a
gravare sull'appaltatore e' tale da non palesare una irragionevolezza
rispetto all'art. 41 Cost. Si tratta, infatti, di un sacrificio
ragionevole nel bilanciamento con gli interessi di rango
costituzionale - sopra richiamati - che la norma censurata tutela.
8.2.2.- Ulteriori precisazioni si impongono, poi, per
l'eventualita' che l'impresa si trovi a sopportare - a causa della
soglia legale censurata di cui all'art. 240-bis, comma 1, cod.
contratti pubblici - i costi dell'inadempimento della controparte. In
tal caso, infatti, verrebbe a delinearsi un esonero legale dalla
responsabilita' del committente, sia pure limitato all'inadempimento
non grave che ecceda la soglia delle riserve liquidabili.
La qualificazione della fattispecie quale esonero legale se, per
un verso, allontana lo spettro di una violazione degli artt. 3 e 24
Cost., che si avrebbe ipotizzando un mero impedimento a far valere in
via giudiziale l'azione di responsabilita' contrattuale, per un altro
verso, proprio in quanto segnala una compressione in radice del
diritto sostanziale, non e' certo priva di conseguenze e di
implicazioni ermeneutiche.
Un esonero legale dalla responsabilita', infatti, in tanto puo'
superare il vaglio di costituzionalita', sotto il profilo della
ragionevolezza, in quanto rispetti un doppio ordine di presupposti:
l'idoneita' a perseguire un obiettivo di utilita' sociale e il
carattere della proporzionalita' (ex plurimis, sentenze n. 194 del
2018, n. 235 del 2014, n. 303 del 2011, n. 199 del 2005, n. 254 del
2002, n. 463 del 1997 e n. 420 del 1991).
Nel caso di specie, il sacrificio per l'impresa si giustifica
sulla base dei gia' richiamati interessi di rango costituzionale
tutelati dalla norma censurata.
Quanto, invece, alla proporzionalita', occorre considerare che
questa Corte la esclude ove la limitazione legale si estenda
all'inadempimento doloso o gravemente colposo.
L'illegittimita' costituzionale di tali limitazioni discende, in
particolare, dal coordinamento fra l'art. 3 e l'art. 41 Cost., nei
termini di un equo contemperamento fra gli interessi contrapposti
(sentenze n. 199 del 2005 e n. 420 del 1991).
Simile argomentazione si adatta molto efficacemente al contesto
in esame, che vede delinearsi un bilanciamento fra l'interesse a far
operare il meccanismo deterrente e preventivo sotteso alla norma
censurata e quello dell'impresa appaltatrice a che la stazione
appaltante non sfrutti la piu' vantaggiosa distribuzione del rischio
contrattuale, per violare dolosamente il contratto o per attenuare,
in maniera gravemente colposa, il proprio impegno nell'esecuzione.
Dunque, nella misura in cui la soglia stabilita dall'art.
240-bis, comma 1, cod. contratti pubblici puo' tradursi in un esonero
dalla responsabilita' del committente, si impone una interpretazione
costituzionalmente conforme di tale previsione. Non potendo l'esonero
legale estendersi, nel rispetto dei principi costituzionali,
all'inadempimento doloso o gravemente colposo, la relativa azione nei
confronti della stazione appaltante, pur soggetta all'onere
dell'iscrizione a riserva (ex multis, Corte di cassazione, prima
sezione civile, sentenze 5 agosto 2016, n. 16537; 28 gennaio 2015, n.
1619; 14 febbraio 2014, n. 3548), non deve, comunque, risentire del
limite legale posto alla riconoscibilita' delle pretese annotate.
9.- In sintesi, relativamente agli interessi che fanno capo
all'impresa appaltatrice, deve ritenersi che l'interpretazione sopra
prospettata della norma censurata, coordinata con la ricostruzione
ermeneutica dell'apparato di tutele contrattuali, consenta di
escludere un irragionevole vulnus agli invocati diritti di rango
costituzionale.
Entro la soglia del venti per cento dell'importo contrattuale,
qualunque pretesa dell'appaltatore puo' essere riconosciuta, in via
bonaria o previo accertamento giudiziale.
Oltre tale limite legale e', viceversa, certamente inibito
accedere all'accordo bonario, mentre non risultano precluse azioni
giudiziarie, piuttosto viene lievemente potenziato il rischio
contrattuale.
Infatti, per orientamento uniforme del diritto vivente, sono
indifferenti all'istituto dell'iscrizione di riserve e, dunque, sono
sempre ammissibili le azioni risolutorie e quelle ad esse correlate,
a partire dal risarcimento del danno di cui all'art. 1453 cod. civ.
Inoltre, sulla base dell'interpretazione sopra proposta, non
risente del limite legale posto dal censurato art. 240-bis, comma 1,
l'azione di risarcimento del danno per inadempimento doloso o
gravemente colposo della stazione appaltante, sempre che la relativa
pretesa sia stata iscritta a riserva.
Per tutte le altre riserve che eccedono la soglia, la norma
censurata implica: una ridefinizione del rischio oggettivo del
contratto, con un suo lieve incremento, nonche' un limitato esonero
dalla responsabilita' del committente, reso tuttavia conforme, in via
ermeneutica, ai principi costituzionali.
Ne consegue che la tutela degli interessi di rango
costituzionale, sottesi alla disposizione censurata, non cagiona
alcuna violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
D'altro canto, il lieve incremento del rischio contrattuale, che
essa comporta, non determina un irragionevole contrasto con il
combinato disposto degli artt. 3 e 41 Cost. La garanzia, che
quest'ultima norma riconosce alla libera iniziativa privata e,
indirettamente, all'autonomia contrattuale, non viene, infatti,
intaccata nella sua sostanza e le menzionate liberta' subiscono solo
una minima compressione, non irragionevole, nel bilanciamento con gli
interessi preservati dall'art. 240-bis cod. contratti pubblici.
10.- Da ultimo, relativamente alla questione di legittimita'
costituzionale che il rimettente solleva rispetto all'art. 97 Cost.,
deve ritenersi che il rischio di deresponsabilizzazione della
pubblica amministrazione si dilegui non appena si consideri proprio
la persistente responsabilita' della stazione appaltante in caso di
inadempimento di non lieve entita' e comunque in ipotesi di dolo o
colpa grave.
Ugualmente infondato e' il dubbio che la norma censurata
pregiudichi il buon andamento della pubblica amministrazione, e in
specie l'interesse alla trasparenza della stazione appaltante.
L'interpretazione adottata, nel riferire la soglia delle riserve non
all'iscrizione ma al loro possibile accoglimento, conferma l'onere
per l'appaltatore di iscrivere riserve e il suo persistente interesse
a rispettarlo, il che preserva l'esigenza dell'amministrazione di
avere una continua evidenza dei costi. Quanto poi all'ipotesi che la
stazione appaltante riconosca, per accordo bonario, l'intero
ammontare delle riserve liquidabili e l'impresa appaltatrice non sia
piu' motivata ad annotarle, si tratta di un rischio limitato che il
committente consapevolmente si assume e che dovrebbe suggerire - come
si e' gia' sopra anticipato - un potenziamento della vigilanza del
cantiere da parte del direttore dei lavori e del responsabile unico
del procedimento.
Ad ogni modo, si deve ricordare che, a difesa del buon andamento
della pubblica amministrazione, concorrono, altresi', l'ampia
facolta' di recesso riconosciuta alla stazione appaltante dall'art.
134 del cod. contratti pubblici nonche' la responsabilita' degli
stessi funzionari.
La questione di legittimita' costituzionale sollevata in
riferimento all'art. 97 Cost., alla luce delle soluzioni ermeneutiche
in precedenza prospettate, deve, pertanto, ritenersi non fondata,
mentre deve ribadirsi, per converso, che proprio l'art. 97 Cost.
costituisce il principale sostrato costituzionale che ispira la
disposizione censurata.
11.- In conclusione, l'art. 240-bis, comma 1, cod. contratti
pubblici, interpretato nei termini sopra argomentati e coordinato con
l'ampia gamma di rimedi contrattuali, che risultano impermeabili al
limite legale di cui alla norma censurata, non determina alcuna
violazione degli artt. 3, 24, 41 e 97 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 240-bis, comma 1,
del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), come modificato dall'art. 4,
comma 2, lettera hh), numero 1), del decreto-legge 13 maggio 2011, n.
70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106,
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 97 della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lecco, prima sezione civile,
con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 aprile 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 27 maggio 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
