N. 144 SENTENZA 20 marzo – 13 giugno 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Tutela della salute e diritto all'autodeterminazione in ambito terapeutico - Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (DAT) - Amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario - Potere di rifiutare, in assenza di DAT, le cure necessarie al mantenimento in vita dell'amministrato. - Legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), art. 3, commi 4 e 5. -
(GU n.25 del 19-6-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 4
e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di
consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento),
promosso dal Tribunale ordinario di Pavia, nel procedimento relativo
a G. A., in qualita' di amministratore di sostegno di A. T., con
ordinanza del 24 marzo 2018, iscritta al n. 116 del registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2018.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri e dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani - Unione locale di
Piacenza e Unione Giuristi Cattolici italiani di Pavia "Beato
Contardo Ferrini";
udito nella camera di consiglio del 20 marzo 2019 il Giudice
relatore Franco Modugno.
Ritenuto in fatto
1.- Il giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia, con
ordinanza del 24 marzo 2018, ha sollevato, in riferimento agli artt.
2, 3, 13 e 32 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre
2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di
disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui
stabilisce che l'amministratore di sostegno, la cui nomina preveda
l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito
sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento
(d'ora in avanti: DAT), possa rifiutare, senza l'autorizzazione del
giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita
dell'amministrato.
1.1.- Il giudice rimettente premette che, in favore di A. T., e'
stato gia' nominato, sin dall'ottobre 2008, un amministratore di
sostegno, cui allo stato non e' attribuita ne' l'assistenza
necessaria, ne' la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario. La
relazione clinica del 21 febbraio 2018, tuttavia, ha certificato che
A. T. risulta attualmente «in stato vegetativo in esiti di stato di
male epilettico in paziente affetto da ritardo mentale grave da
sofferenza cerebrale perinatale in sindrome disformica [recte:
dismorfica]» nonche' «portatore di PEG». Il giudice a quo rileva che,
pertanto, si rende necessario integrare il decreto di nomina, ai
sensi dell'art. 407, comma 4, del codice civile, ai fini
dell'individuazione dei poteri in ambito sanitario; in particolare -
preso atto delle condizioni di salute, anche personalmente verificate
- «si profila come indispensabile l'attribuzione della rappresentanza
esclusiva in ambito sanitario, non residuando alcuna capacita' in
capo all'amministrato».
Cio' premesso, il giudice tutelare osserva che, entrato in vigore
l'art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017, e' quest'ultimo
articolo a disciplinare «le modalita' di conferimento,
all'amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri
in ambito sanitario». Ne conseguirebbe che l'attribuzione
all'amministratore di sostegno di detti poteri (nella specie, sotto
forma di rappresentanza esclusiva) «ricomprende necessariamente il
potere di rifiuto delle cure, ancorche' si tratti di cure necessarie
al mantenimento in vita dell'amministrato»; l'amministratore di
sostegno, pertanto, avrebbe «il potere di decidere della vita e della
morte dell'amministrato» senza che tale potere possa essere
«sindacato dall'autorita' giudiziaria».
Il giudice rimettente riferisce, dunque, che e' chiamato a fare
applicazione del censurato art. 3, comma 5, dovendo decidere
sull'attribuzione all'amministratore di sostegno di A. T. della
rappresentanza esclusiva in ambito sanitario.
1.2.- Ai fini del giudizio sulla rilevanza, il giudice a quo
reputa «logicamente preliminare» l'esegesi dell'art. 3, comma 5,
della legge n. 219 del 2017, osservando, in particolare, che
l'espressione «rifiuto delle cure», in considerazione della locuzione
«in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento», non puo'
non concernere anche i trattamenti sanitari necessari al mantenimento
in vita; altrimenti detto, il rifiuto delle cure puo' interessare
«tutti i trattamenti sanitari astrattamente oggetto delle DAT».
Per escludere tale opzione ermeneutica - prosegue il giudice
rimettente - potrebbe ipoteticamente farsi leva sull'espressione
«cure proposte», sostenendo che i trattamenti necessari al
mantenimento in vita non possano essere inquadrati in termini di
cure, di talche' il rifiuto non potrebbe riguardarli. Si tratterebbe,
tuttavia, di un'interpretazione incompatibile sia con la ratio legis,
volta a valorizzare la liberta' di autodeterminazione anche
nell'ipotesi di trattamenti sanitari di fine vita, sia «con
l'acquisizione, tra i diritti inviolabili ex art. 2 Cost., di un
diritto a decidere sui trattamenti di fine vita»: in quanto tale,
essa appare al giudice rimettente non praticabile.
Lo stato d'incapacita', per altro verso, non potrebbe di per se'
escludere il diritto a decidere sui trattamenti necessari al
mantenimento in vita, poiche' cio' determinerebbe la violazione degli
artt. 2, 3 [recte: 13] e 32 Cost. L'incapace e', infatti, persona e
«nessuna limitazione o disconoscimento dei suoi diritti si
prospetterebbe come lecita»: deve pertanto essergli riconosciuto, e
ricevere tutela, il diritto all'autodeterminazione e al rifiuto delle
cure, potendo la condizione d'incapacita' influire soltanto sulle
modalita' di esercizio del diritto.
Una volta appurata la possibilita' che siano rifiutati anche i
trattamenti necessari al mantenimento in vita, il giudice rimettente
rileva che l'art. 3, comma 5, della legge n. 219 del 2017 prevede
espressamente che, in caso di opposizione del medico all'interruzione
delle cure, e' possibile l'intervento del giudice tutelare, mentre
deve ritenersi, a contrario, che detto intervento non sia possibile
nel caso in cui il medico non si opponga.
1.3.- Il giudice tutelare precisa, poi, che la circostanza che il
procedimento abbia natura di volontaria giurisdizione non esclude la
possibilita' di sollevare questione di legittimita' costituzionale.
In tal senso deporrebbe la giurisprudenza costituzionale: vengono
richiamate le sentenze n. 258 del 2017, n. 121 del 1974 e, in
particolare, la n. 129 del 1957.
1.4.- Nell'argomentare in punto di non manifesta infondatezza, il
giudice rimettente esordisce ricordando che «[l]a liberta' di
rifiutare le cure presuppone il ricorso a valutazioni della vita e
della morte, che trovano il loro fondamento in concezioni di natura
etica o religiosa, e comunque (anche) extra-giuridiche, quindi
squisitamente soggettive» (Corte di cassazione, sezione prima civile,
ordinanza 3 marzo-20 aprile 2005, n. 8291). Cio' implica che in tale
ambito vengono in rilievo «valutazioni personalissime»,
indissolubilmente legate al soggetto interessato e alle sue
convinzioni, insuscettibili d'essere vagliate oggettivamente o in
base al parametro del best interest (adottato invece dalla House of
Lords inglese, decisione del 4 febbraio 1993, Airedale NHS Trust v.
Bland).
La dichiarazione di rifiuto delle cure e' costituita di due
momenti essenziali: quello concernente la formazione dell'intimo
convincimento, intrasferibile in capo a terzi, e quello rappresentato
dalla manifestazione di volonta', cedibile invece ad altri. E poiche'
l'amministratore di sostegno non e' investito di un potere
incondizionato di disporre della salute della persona incapace (Corte
di cassazione, sezione prima civile, 16 ottobre 2007, n. 21748), ne
consegue che il rifiuto delle cure che egli manifesti deve essere la
rappresentazione della volonta' dell'interessato e dei suoi
orientamenti esistenziali: l'amministratore non deve decidere ne' «al
posto dell'incapace, ne' per l'incapace», perche' il diritto
personalissimo a rifiutare le cure e' «la logica simmetria d[e]lla
indisponibilita' altrui e dell'intrasferibilita' del diritto alla
vita».
Il giudice a quo osserva, pertanto, che, affinche' la decisione
sul rifiuto delle cure sia espressione dell'interessato e non di chi
lo rappresenta, questa deve risultare dalle DAT o, in assenza di
queste, deve ricorrersi alla ricostruzione della volonta'
dell'incapace, per mezzo di «una pluralita' di indici sintomatici, di
elementi presuntivi, mediante l'audizione di conoscenti
dell'interessato o strumenti di altra natura», in modo da assicurare
che la «scelta in questione non sia espressione del giudizio sulla
qualita' della vita proprio del rappresentante» (e' novamente
richiamata Cass., n. 21748 del 2007).
Secondo il rimettente, si tratterebbe di un processo di ricerca
serio e complesso, il quale renderebbe «imprescindibile» l'intervento
di un soggetto terzo e imparziale quale e' il giudice, teso a
tutelare il «carattere personalissimo e [la] speculare
indisponibilita' altrui del diritto di rifiuto delle cure e del
diritto alla vita». Se si consentisse all'amministratore di sostegno
di ricostruire autonomamente la volonta' dell'interessato, «si
sentenzierebbe il concreto annichilimento della natura personalissima
del diritto a decidere sulla propria vita», poiche' si configurerebbe
«surrettiziamente» il potere dell'amministratore di assumere la
propria volonta' a fondamento del rifiuto delle cure.
Conseguentemente, sarebbe incostituzionale l'attribuzione
all'amministratore di sostegno, determinata dalle disposizioni
censurate, «di un potere di natura potenzialmente incondizionata e
assoluta attinente la vita e la morte, di un dominio ipoteticamente
totale, di un'autentica facolta' di etero-determinazione».
L'«insanabile contrasto» sarebbe, innanzitutto, con gli artt. 2,
13 e 32 Cost. Il diritto a rifiutare le cure troverebbe fondamento in
tali norme costituzionali e dovrebbe considerarsi inviolabile, con la
conseguenza che sarebbe negata ad altri la possibilita' di violarlo;
il suo essere diritto «intrinsecamente correlato al singolo
interessato» escluderebbe che il momento della formazione della
volonta' possa essere delegato a terzi, pena un suo inesorabile
disconoscimento. Le modalita' d'esercizio di rifiuto delle cure
previste dalle disposizioni censurate sarebbero, pertanto,
«radicalmente inidonee a salvaguardare compiutamente la natura
eminentemente soggettiva del diritto in questione», negandone
l'essenza personalissima e determinandone la violazione.
Non varrebbe a superare il vulnus la possibilita' d'intervento
del giudice, in caso di rifiuto opposto dal medico all'interruzione
dei trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita
dell'interessato: si tratterebbe innegabilmente di un intervento
giudiziale «meramente ipotetico ed accidentale», subordinato
all'eventuale esistenza di un dissidio tra rappresentante e medico.
Ne', ancora, potrebbe opporsi che, a ben vedere, le norme censurate
attribuiscono la valutazione finale circa il rifiuto delle cure al
medico, il quale potrebbe effettuare un controllo sulle
determinazioni dell'amministratore di sostegno: si tratterebbe,
infatti, pur sempre di una valutazione medica «imperniata su canoni
obiettivi di "appropriatezza" e "necessita'"», che disconoscono la
natura personalissima e soggettiva del diritto di rifiutare le cure,
non avendo il medico, d'altra parte, la possibilita' di ricostruire
la volonta' dell'interessato e di accertare la conformita' a
quest'ultima della decisione del rappresentante.
Le norme censurate sarebbero, inoltre, in contrasto con l'art. 3
Cost. in quanto manifestamente irragionevoli. La loro applicazione,
infatti, determinerebbe «un'incoerenza di ingiustificabile
significanza all'interno dell'architettura di sistema delineata
dall'istituto dell'amministrazione di sostegno»: cio' perche', se ai
sensi dell'art. 411 cod. civ. e' necessaria l'autorizzazione del
giudice tutelare per il compimento degli atti indicati agli artt. 374
e 375 cod. civ., attinenti alla sfera patrimoniale, sarebbe
irrazionale non prevedere analoga autorizzazione per manifestare il
rifiuto delle cure, «sintesi ed espressione dei diritti alla vita,
alla salute, alla dignita' e all'autodeterminazione della persona»,
in quanto in tal modo l'ordinamento appresterebbe a interessi
d'ordine patrimoniale una salvaguardia superiore a quella
riconosciuta ai richiamati diritti fondamentali. Inoltre, a conferma
dell'incongruenza interna al sistema dell'amministrazione di
sostegno, il giudice a quo osserva come la giurisprudenza (e'
richiamato il decreto del Tribunale ordinario di Cagliari, 15 giugno
2010) riconosca la necessita' dell'autorizzazione del giudice
tutelare perche' il rappresentante avanzi la domanda di separazione,
atto personalissimo, mentre le disposizioni censurate non prevedono
l'intervento giudiziale per autorizzare l'atto personalissimo del
rifiuto delle cure, «coinvolgente valori egualmente rilevanti e dalle
implicazioni certamente superiori».
Quale ulteriore profilo di irragionevolezza, il rimettente
osserva che, se la legge n. 219 del 2017 e' tutta fondata
«sull'intento di valorizzare ed accordare centralita' alle
manifestazioni di volonta' dei singoli», tanto da prevedere
formalita' e procedure per la loro espressione, non si comprende
perche' venga meno «la piu' elementare attenzione» per tale elemento
volontaristico, non prevedendosi, quando si tratti di soggetti
incapaci, meccanismo alcuno di tutela o controllo.
1.5.- Il giudice tutelare di Pavia, infine, chiede alla Corte -
ove venissero accolte le questioni di legittimita' costituzionale -
di dichiarare l'illegittimita' costituzionale in via conseguenziale,
ai sensi dell'art. 27, secondo periodo, della legge 11 marzo 1953, n.
87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), delle disposizioni impugnate anche nella parte in
cui prevedono che il rappresentante legale della persona interdetta
oppure inabilitata, in assenza delle DAT, o il rappresentante legale
del minore possano rifiutare, senza l'autorizzazione del giudice
tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita
dell'amministrato.
2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o,
comunque sia, non fondate.
2.1.- L'interveniente rileva, innanzitutto, che il giudice a quo
- oltre a non avere mosso censure in relazione a ciascuno dei
parametri costituzionali evocati, il che costituirebbe autonoma
ragione d'inammissibilita' per difetto di motivazione - non ha
argomentato circa l'impossibilita' di interpretare le disposizioni
censurate in senso conforme a Costituzione, come invece richiesto
dalla giurisprudenza costituzionale «univoca e ormai consolidata».
Interpretazione conforme a Costituzione che, a suo avviso, sarebbe
invece possibile.
Succintamente ricostruita la recente disciplina in materia di
consenso informato e di DAT, il Presidente del Consiglio dei ministri
rileva che i diritti ivi riconosciuti devono essere garantiti anche a
chi non e' piu' in grado di opporre il rifiuto alle cure ma che,
quando ne era capace, aveva chiaramente manifestato volonta' in tale
senso. In tale prospettiva, si pone in evidenza che gli artt. 357 e
424 cod. civ. individuano nel tutore il soggetto interlocutore dei
medici con riferimento ai trattamenti sanitari, mentre gli artt. 404
e seguenti cod. civ. sanciscono il potere di cura del disabile anche
in capo all'amministratore di sostegno, secondo i poteri conferitigli
con il decreto di nomina: al diritto di ogni persona di «manifestare
validamente la propria volonta' in merito all'accettazione o al
rifiuto dei possibili trattamenti sanitari» conseguirebbe l'obbligo
per il rappresentante legale di dare corso a tale volonta'.
Si tratterebbe di approdi che trovano conferma, oltre che nel
diritto internazionale (si richiama l'art. 6 della Convenzione del
Consiglio d'Europa per la protezione dei Diritti dell'Uomo e della
dignita' dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e
della medicina: Convenzione sui Diritti dell'Uomo e la biomedicina,
fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata e resa esecutiva con la
legge 28 marzo 2001, n. 145, di seguito: Convenzione di Oviedo),
nella giurisprudenza della Corte di cassazione (oltre alla gia'
richiamata sentenza n. 21748 del 2007, sono citate Corte di
cassazione, terza sezione civile, sentenza 15 gennaio 1997, n. 364, e
sentenza 25 novembre 1994, n. 10014). In particolare, la
giurisprudenza di legittimita' avrebbe precisato che il tutore deve
agire nell'esclusivo interesse dell'incapace, ricostruendone la
volonta' «tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della
perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volonta' dalla sua
personalita', dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi
valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose,
culturali e filosofiche» (Cass., n. 21748 del 2007, citata).
Una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni
censurate dovrebbe, pertanto, portare a ritenere che, essendo il
diritto alla salute un diritto personalissimo, la rappresentanza
legale «non trasferisce sul tutore e sull'amministratore di sostegno
un potere incondizionato di disporre della salute della persona in
stato di totale e permanente incoscienza». D'altra parte, l'art. 3,
comma 4, della legge n. 219 del 2017 espressamente prevede che
l'amministratore di sostegno deve tenere conto della volonta' del
beneficiario, in relazione al suo grado di capacita' di intendere e
di volere, quando la nomina comprenda l'assistenza necessaria o la
rappresentanza esclusiva in ambito sanitario: circostanza, questa,
che implicherebbe un vaglio specifico da parte del giudice.
Molteplici sarebbero, pertanto, gli elementi che depongono per
una possibile interpretazione conforme delle disposizioni censurate
o, comunque sia, per l'infondatezza delle questioni di legittimita'
costituzionale: l'obbligo per il rappresentante, nel rifiutare le
cure, di agire nell'interesse dell'incapace, ricostruendone la
volonta'; la valutazione del medico, in base alle sue competenze,
sulla natura necessaria e appropriata delle cure; l'intervento del
giudice in caso di opposizione del medico e su ricorso di qualsiasi
soggetto interessato laddove l'amministratore di sostegno non abbia
tenuto nella dovuta considerazione la volonta' del beneficiario.
2.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri reputa, poi,
inammissibile, o altrimenti infondata, la richiesta del giudice a quo
di estendere in via conseguenziale la dichiarazione d'illegittimita'
costituzionale ad altre norme parimente poste dalle disposizioni
censurate.
Osserva l'interveniente che questa Corte, con la sentenza n. 138
del 2009, ha affermato che l'art. 27, seconda parte, della legge n.
87 del 1953 non sottrae il rimettente dall'onere di motivare in
ordine alle ragioni «che lo inducono a sospettare dell'esistenza
dell'illegittimita' costituzionale» di ciascuna delle disposizioni
legislative che viene a censurare: onere cui l'odierno rimettente non
avrebbe adempiuto.
3.- Hanno depositato un comune atto di intervento nel giudizio le
associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani - Unione Locale di
Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia "Beato Contardo
Ferrini", chiedendo che le questioni di legittimita' costituzionale
siano accolte.
3.1.- In punto di legittimazione all'intervento, la difesa delle
associazioni afferma che, in considerazione degli scopi sociali,
sarebbe evidente il concreto interesse delle intervenienti «a portare
il proprio contributo e ad interloquire» dinanzi a questa Corte. Il
«prevalente interesse etico» sottostante le questioni di legittimita'
costituzionale dovrebbe consentire una piu' larga partecipazione di
associazioni «espressioni della societa' civile» nel giudizio
costituzionale, a maggior ragione in considerazione del «carattere
giusnaturalistico delle moderne costituzioni occidentali», le quali,
compresa la Costituzione italiana, rimanderebbero a un ordinamento
che «precede» quello della legge statale e che «trova il suo piu'
solido e profondo fondamento nell'ordine naturale delle cose, vale a
dire nel diritto naturale».
3.2.- Nel merito, le intervenienti osservano come, in base alla
giurisprudenza di legittimita' e a quanto disposto nella Convenzione
di Oviedo, dovrebbe escludersi la possibilita' di sacrificare la
salute o il bene supremo della vita di persona incapace di dare
consenso, «in assenza di eventi ineluttabili quali una malattia che
non possa essere contrastata se non incorrendo nell'accanimento
terapeutico». La disposizione censurata, pertanto, favorirebbe «gli
abusi, con rifiuto delle cure e conseguente soppressione di pazienti
incapaci» per interessi che possono essere i piu' diversi, estranei
al best interest del malato.
3.3.- Ripercorsi i dubbi, condivisi, di legittimita'
costituzionale del giudice a quo, le intervenienti osservano che
l'«inadeguatezza» della normativa censurata persisterebbe anche nel
caso in cui questa Corte ritenesse possibile l'interruzione delle
cure solo una volta ricostruita, per opera del giudice tutelare, la
volonta' dell'incapace: sarebbe evidente, infatti, «il carattere di
fictio iuris di una tale metodologia», irrispettosa della «reale e
ipoteticamente diversa volonta' che il paziente potrebbe esprimere
attualmente, da se', se ne fosse in grado».
A parere delle intervenienti, infatti, un valido consenso o
rifiuto delle cure «non puo' insorgere anteriormente al verificarsi
del quadro patologico rispetto al quale si pone la necessita' di dare
l'informativa». Il problema della valutazione della persistenza del
rifiuto delle cure, dunque, esisterebbe e permarrebbe, secondo questa
prospettiva, anche in caso di DAT «proprio per la naturale
volatilita' della volonta' delle persone rispetto ai fatti ed alle
stagioni della vita»: funzione del giudice tutelare, pertanto,
dovrebbe essere, in ogni caso, quella di autorizzare terapie che non
costituiscano accanimento terapeutico e che salvaguardino, in
ossequio al principio di precauzione, i beni della salute e della
vita.
3.4.- La difesa delle intervenienti da' altresi' conto di una
nota dell'associazione di Pavia, che ritiene utile riportare nella
«esatta consistenza testuale», nella quale vengono delineati
ulteriori aspetti di illegittimita' costituzionale.
Si afferma, in particolare, che la possibilita' per
l'amministratore di sostegno, anche se in presenza di DAT, di
rifiutare o interrompere l'alimentazione, l'idratazione o la
ventilazione artificiale sarebbe in contrasto con la dignita' umana
(art. 2 Cost.), con il diritto alla salute (perche' l'art. 32 Cost.
si riferisce ai trattamenti sanitari ed e' dibattuta la possibilita'
di ricomprendervi gli anzidetti trattamenti), con l'art. 3 Cost.
(perche' la legge n. 219 del 2017 equipara irragionevolmente terapie
mediche e trattamenti di mero sostegno vitale). L'art. 3, comma 4,
della legge n. 219 del 2017, poi, sarebbe costituzionalmente
illegittimo perche', consentendo all'amministratore di sostegno di
dover solo tenere conto della volonta' del soggetto amministrato in
relazione al suo grado di capacita' di intendere e di volere,
lederebbe il diritto personalissimo alla vita e alla salute che solo
il titolare puo' esercitare (art. 2 Cost.) ed equiparerebbe
irragionevolmente chi e' totalmente incapace e chi, anche solo
parzialmente, puo' invece manifestare la propria volonta' (artt. 3 e
32 Cost.). Sono rappresentati, infine, vizi di costituzionalita'
ritenuti ancora piu' radicali, dubitandosi della legittimita'
costituzionale della privazione di trattamenti sanitari salvavita,
siano o no presenti le DAT.
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il giudice tutelare del
Tribunale ordinario di Pavia ha sollevato, in riferimento agli artt.
2, 3, 13 e 32 della Costituzione, questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre
2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di
disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui
stabilisce che l'amministratore di sostegno, la cui nomina preveda
l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito
sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento
(d'ora in avanti: DAT), possa rifiutare, senza l'autorizzazione del
giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita
dell'amministrato.
Secondo il giudice rimettente, le norme censurate si porrebbero
in contrasto, innanzitutto, con gli artt. 2, 13 e 32 Cost., in quanto
sarebbe necessario che, in assenza delle DAT, la volonta' di
esercitare il diritto inviolabile e personalissimo di rifiutare le
cure, che troverebbe fondamento in tali norme costituzionali, sia
ricostruita in modo da salvaguardare la natura soggettiva del diritto
medesimo: salvaguardia che sarebbe garantita solo con l'intervento di
un soggetto terzo e imparziale quale e' il giudice.
Le disposizioni censurate, poi, si porrebbero in contrasto con
l'art. 3 Cost. sotto plurimi profili. Innanzitutto, poiche'
nell'amministrazione di sostegno, ai sensi dell'art. 411 del codice
civile, e' necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare per il
compimento degli atti, attinenti alla sfera patrimoniale, indicati
agli artt. 374 e 375 del medesimo codice, sarebbe irragionevole che
analoga autorizzazione non sia prevista per il rifiuto delle cure,
«sintesi ed espressione dei diritti alla vita, alla salute, alla
dignita' e all'autodeterminazione della persona». In secondo luogo,
dal momento che secondo la giurisprudenza e' necessaria
l'autorizzazione del giudice tutelare perche' il rappresentante
avanzi la domanda di separazione coniugale, sarebbe
costituzionalmente illegittimo che non sia invece previsto
l'intervento giudiziale per autorizzare il rifiuto delle cure, del
pari atto personalissimo «coinvolgente valori egualmente rilevanti e
dalle implicazioni certamente superiori». Infine, sarebbe
irragionevole che, se si tratta di soggetti incapaci, non venga
apprestata «la piu' elementare attenzione» per la loro volonta', non
prevedendosi meccanismo alcuno di tutela o controllo, quando invece
la legge n. 219 del 2017 e' tutta fondata «sull'intento di
valorizzare ed accordare centralita' all[e] manifestazioni di
volonta' dei singoli», tanto da prevedere formalita' e procedure per
la loro espressione.
2.- Deve essere preliminarmente dichiarato inammissibile
l'intervento delle associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani -
Unione Locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia "Beato
Contardo Ferrini".
2.1.- Al giudizio di legittimita' costituzionale in via
incidentale possono partecipare, secondo quanto previsto dall'art. 25
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), e dall'art. 4 delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, le parti
del giudizio a quo e, secondo che sia censurata una norma di legge
statale o di legge regionale, il Presidente del Consiglio dei
ministri o il Presidente della Giunta regionale. Il richiamato art. 4
delle Norme integrative prevede, altresi', la possibilita' di
derogare a tale regola, ferma restando la competenza di questa Corte
a giudicare sull'ammissibilita' degli interventi di altri soggetti:
secondo la costante giurisprudenza, tali interventi sono ammissibili,
senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio
di costituzionalita', soltanto quando i terzi siano «titolari di un
interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura» (ex
plurimis, sentenze n. 98 e n. 13 del 2019, n. 217, e n. 180 del 2018;
nello stesso senso, sentenza n. 213 del 2018).
Nel caso di specie le associazioni intervenienti - le quali
hanno, altresi', dedotto questioni di legittimita' costituzionale
ulteriori rispetto all'ordinanza di rimessione, per cio' solo
inammissibili - non possono essere considerate titolari di un tale
interesse qualificato, posto che l'odierno giudizio di legittimita'
costituzionale non e' destinato a produrre, nei loro confronti,
effetti immediati, neppure indiretti. Esse, infatti, non vantano una
posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata dalla
decisione di questa Corte sulle norme oggetto di censura, ma soltanto
un generico interesse connesso al perseguimento dei loro scopi
statutari.
3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito
l'inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale,
perche' il rimettente non avrebbe prospettato «specifiche censure con
riguardo a ciascun parametro costituzionale richiamato», con
conseguente difetto di motivazione.
3.1.- L'eccezione e' palesemente destituita di fondamento.
Il giudice rimettente, evocando a parametro congiuntamente gli
artt. 2, 13 e 32 Cost., ha in tutta evidenza ritenuto che l'addizione
richiesta a questa Corte sarebbe imposta dal combinato disposto di
tali norme costituzionali. Del resto, non solo la giurisprudenza di
questa Corte ha gia' riconosciuto che il principio del consenso
informato trova fondamento proprio nelle norme costituzionali ora in
discorso (sentenza n. 438 del 2008 e ordinanza n. 207 del 2018), ma
e' la stessa legge n. 219 del 2017 a definirsi funzionale alla tutela
del diritto alla vita, alla salute, alla dignita' e
all'autodeterminazione della persona, nel rispetto, tra gli altri,
dei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost.
Autonomamente e adeguatamente motivate, poi, sono le censure in
riferimento all'art. 3 Cost.
4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito
l'inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale
anche sotto un ulteriore profilo: il giudice rimettente non avrebbe
«argomentato in ordine all'impossibilita' di dare alle disposizioni
impugnate un'interpretazione conforme a Costituzione».
4.1.- L'eccezione non e' fondata.
Il giudice tutelare di Pavia si e' diffuso ampiamente
sull'interpretazione delle disposizioni censurate, soffermandosi in
particolare sul significato da attribuire alla locuzione «rifiuto
delle cure», la quale ricomprenderebbe, alla luce della ratio legis e
del diritto costituzionale all'autodeterminazione, anche il rifiuto
delle cure necessarie al mantenimento in vita; non solo, il giudice a
quo ha espressamente escluso di poter interpretare detta locuzione
come non comprensiva del rifiuto di tali cure. L'iter argomentativo
della ordinanza di rimessione si fonda, dunque, su una seria e
approfondita attivita' ermeneutica concernente la disposizione
censurata, conclusasi con un'attribuzione a quest'ultima di un
significato normativo che al giudice rimettente appare in contrasto
con gli evocati parametri costituzionali.
Il giudice a quo, dunque, ha implicitamente escluso, all'esito
dell'attivita' interpretativa posta in essere, di poter ricavare
dalle disposizioni oggetto di censura norme conformi a Costituzione.
Se, poi, l'esito dell'attivita' esegetica del giudice rimettente sia
condivisibile, o no, e' profilo che attiene al merito, e non piu'
all'ammissibilita', delle questioni di legittimita' costituzionale
(ex plurimis, sentenze n. 78 e n. 12 del 2019, n. 132 e n. 15 del
2018, n. 69, n. 53 e n. 42 del 2017, n. 221 del 2015).
5.- Nel merito, le questioni di legittimita' costituzionale non
sono fondate.
Il giudice tutelare rimettente (legittimato a sollevare questioni
di legittimita' costituzionale: da ultimo, sentenza n. 258 del 2017)
impernia i dubbi di costituzionalita' sul seguente assunto: in
ragione di quanto previsto dalle disposizioni censurate,
l'amministratore di sostegno, al quale, in assenza delle DAT, sia
stata affidata la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, ha
per cio' solo, sempre e comunque, anche il potere di rifiutare i
trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza del beneficiario,
senza che il giudice tutelare possa diversamente decidere e senza
bisogno di un'autorizzazione di quest'ultimo per manifestare al
medico il rifiuto delle cure.
Si tratta di un presupposto interpretativo erroneo.
5.1.- Deve innanzitutto osservarsi che la legge n. 219 del 2017,
come si evince sin dal suo titolo, da' attuazione al principio del
consenso informato nell'ambito della «relazione di cura e di fiducia
tra paziente e medico» (art. 1, comma 2).
Per quanto qui rileva, il principio - previsto da plurime norme
internazionali pattizie, oltre che dall'art. 3 della Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e da
diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attivita' mediche
- ha fondamento costituzionale negli artt. 2, 13 e 32 Cost. e svolge
la «funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona:
quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se e'
vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha,
altresi', il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine
alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui puo'
essere sottoposto, nonche' delle eventuali terapie alternative»
(sentenza n. 438 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 253 del
2009 e ordinanza n. 207 del 2018). In attuazione delle norme
costituzionali, la legge n. 219 del 2017, pertanto, dopo aver sancito
che «nessun trattamento sanitario puo' essere iniziato o proseguito
se privo del consenso libero e informato della persona interessata,
tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge» (art. 1,
comma 1), promuove e valorizza la relazione di cura e fiducia tra
medico e paziente che proprio sul consenso informato deve basarsi
(art. 1, comma 2), esplicita le informazioni che il paziente ha
diritto di ricevere (art. 1, comma 3), stabilisce le modalita' di
espressione del consenso e del rifiuto di qualsivoglia trattamento
sanitario, anche (ma non solo) necessario alla sopravvivenza (art. 1,
commi 4 e 5), prevede l'obbligo per il medico di rispettare la
volonta' espressa dal paziente (art. 1, comma 6).
La legge n. 219 del 2017 ha poi introdotto, ovviamente in
correlazione al diritto all'autodeterminazione in ambito terapeutico,
l'istituto delle DAT, prevedendo che ogni persona maggiorenne e
capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura
incapacita' di determinarsi, possa esprimere le proprie volonta' in
materia di trattamenti sanitari, nonche' il consenso o il rifiuto
rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a
singoli trattamenti sanitari, a tale scopo indicando un «fiduciario»,
che faccia le sue veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico
e con le strutture sanitarie (art. 4, comma 1). Il medico e' tenuto
al rispetto delle DAT (che devono essere redatte secondo quanto
disposto dall'art. 4, comma 6), potendo egli disattenderle, in
accordo con il fiduciario, soltanto «qualora esse appaiano
palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica
attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili
all'atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete
possibilita' di miglioramento delle condizioni di vita» (art. 4,
comma 5).
5.1.1.- L'art. 3 della legge n. 219 del 2017 reca la disciplina -
concernente tanto il consenso informato quanto le DAT - applicabile
nel caso in cui il paziente sia non una persona (pienamente) capace
di agire (art. 1, comma 5), ma una persona minore di eta',
interdetta, inabilitata o beneficiaria di amministrazione di
sostegno.
Le norme oggetto del presente giudizio di costituzionalita'
regolano, in particolare, quest'ultimo caso, stabilendo, da un lato,
che, quando la nomina dell'amministratore di sostegno prevede
l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito
sanitario, «il consenso informato e' espresso o rifiutato anche
dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo
conto della volonta' del beneficiario, in relazione al suo grado di
capacita' di intendere e di volere» (art. 3, comma 4); dall'altro,
che, qualora non vi siano DAT, se l'amministratore di sostegno
rifiuta le cure e il medico le reputa invece appropriate e
necessarie, la decisione e' rimessa al giudice tutelare, su ricorso
dei soggetti legittimati a proporlo (art. 3, comma 5). Le norme
censurate, dunque, sono volte a disciplinare casi particolari di
espressione o di rifiuto del consenso informato, anche - ma non
soltanto - laddove questo riguardi trattamenti sanitari necessari
alla sopravvivenza.
Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente, pero',
esse non hanno disciplinato «le modalita' di conferimento,
all'amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri
in ambito sanitario», le quali, invece, restano regolate dagli artt.
404 e seguenti cod. civ., come introdotti dalla legge 9 gennaio 2004,
n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del
capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e
modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del
codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonche'
relative norme di attuazione, di coordinamento e finali). Le norme
oggetto dell'odierno sindacato di questa Corte, altrimenti detto, non
disciplinano l'istituto dell'amministrazione di sostegno, ma regolano
il caso in cui essa sia stata disposta per proteggere una persona che
e' sottoposta, o potrebbe essere sottoposta, a trattamenti sanitari e
che, pertanto, deve esprimere o no il consenso informato a detti
trattamenti.
L'esegesi dell'art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017
deve essere condotta, pertanto, alla luce dell'istituto
dell'amministrazione di sostegno, richiamato dalle norme censurate:
segnatamente, e' in base alla disciplina codicistica che devono
essere individuati i poteri spettanti al giudice tutelare al momento
della nomina dell'amministratore di sostegno, i quali non sono
affatto contemplati dalla richiamata legge n. 219 del 2017.
5.2.- Questa Corte, gia' all'indomani della legge n. 6 del 2004,
rilevo' che «l'ambito dei poteri dell'amministratore [e']
puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto»
(sentenze n. 51 del 2010 e n. 440 del 2005), secondo quanto previsto
dal giudice tutelare nel provvedimento di nomina, che deve contenere,
tra le altre indicazioni, quelle concernenti l'oggetto dell'incarico
e gli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere
in nome e per conto del beneficiario (art. 405, quinto comma, numero
3, cod. civ.), nonche' la periodicita' con cui l'amministratore di
sostegno deve riferire al giudice circa l'attivita' svolta e le
condizioni di vita personale e sociale del beneficiario (art. 405,
quinto comma, numero 6, cod. civ.).
Piu' di recente, anche sulla scia dell'interpretazione e
dell'applicazione dell'amministrazione di sostegno da parte della
giurisprudenza di legittimita', questa Corte ha osservato che tale
istituto «si presenta come uno strumento volto a proteggere senza
mortificare la persona affetta da una disabilita', che puo' essere di
qualunque tipo e gravita' (Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 27 settembre 2017, n. 22602)» (sentenza n. 114 del 2019).
Esso consente al giudice tutelare «di adeguare la misura alla
situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo
tale da assicurare all'amministrato la massima tutela possibile a
fronte del minor sacrificio della sua capacita' di autodeterminazione
(in questo senso, Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze
11 maggio 2017, n. 11536; 26 ottobre 2011, n. 22332; 29 novembre
2006, n. 25366 e 12 giugno 2006, n. 13584; ma si veda anche Corte di
cassazione, sezione prima civile, sentenza 11 settembre 2015, n.
17962)» (sentenza n. 114 del 2019).
L'amministrazione di sostegno e', insomma, un istituto duttile,
che, proprio in ragione di cio', puo' essere plasmato dal giudice
sulle necessita' del beneficiario, anche grazie all'agilita' della
relativa procedura applicativa (Corte di cassazione, sezione prima
civile, sentenze 11 settembre 2015, n. 17962; 26 ottobre 2011, n.
22332; 1° marzo 2010, n. 4866; 29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno
2006, n. 13584). Con il decreto di nomina dell'amministratore di
sostegno, difatti, il giudice tutelare «si limita, in via di
principio, a individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene
necessario l'intervento» (sentenza n. 114 del 2019), perche' e'
chiamato ad affidargli, nell'interesse del beneficiario, i necessari
strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie di atti al
cui compimento quest'ultimo sia ritenuto inidoneo (Corte di
cassazione, prima sezione civile, sentenza 29 novembre 2006, n.
25366).
Attribuendo al giudice tutelare il compito di modellare
l'amministrazione di sostegno in relazione allo stato personale e
alle condizioni di vita del beneficiario, il legislatore ha inteso
limitare «nella minore misura possibile» (sentenza n. 440 del 2005)
la capacita' di agire della persona disabile: il che marca nettamente
la differenza con i tradizionali istituti dell'interdizione e
dell'inabilitazione, la cui applicazione attribuisce al soggetto uno
status di incapacita', piu' o meno estesa, connessa a rigide
conseguenze legislativamente predeterminate. Il maggior rispetto
dell'autonomia e della dignita' della persona disabile assicurata
dall'amministrazione di sostegno e' alla base di quelle recenti
decisioni, anche di questa Corte, che hanno escluso si estendano a
tali soggetti - in ragione d'una generalizzata applicazione, in via
analogica, delle limitazioni dettate per l'interdetto o l'inabilitato
- i divieti di contrarre matrimonio (Corte di cassazione, sezione
prima civile, sentenza 11 maggio 2017, n. 11536) o di donare
(sentenza n. 114 del 2019; Corte di cassazione, sezione prima civile,
ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460): il beneficiario di
amministrazione di sostegno puo' si' essere privato della capacita'
di porre in essere tali atti personalissimi, quando cio' risponda
alla tutela di suoi interessi, ma sempre che cio' sia espressamente
disposto dal giudice tutelare - nel provvedimento di apertura
dell'amministrazione di sostegno o anche in una sua successiva
revisione - con esplicita clausola ai sensi dell'art. 411, quarto
comma, cod. civ.
E' fuor di dubbio, infine, che possa ricorrersi
all'amministrazione di sostegno anche laddove sussistano soltanto
esigenze di «cura della persona» - come d'altra parte recitano gli
artt. 405, quarto comma, e 408, primo comma, cod. civ. - in quanto
esso non e' istituto finalizzato esclusivamente ad assicurare tutela
agli interessi patrimoniali del beneficiario, ma e' volto, piu' in
generale, a soddisfarne i «bisogni» e le «aspirazioni» (art. 410,
primo comma, cod. civ.), cosi' garantendo adeguata protezione alle
persone fragili, in relazione alle effettive esigenze di ciascuna
(Corte di cassazione, sesta sezione civile, ordinanza 26 luglio 2018,
n. 19866; sul ricorso all'amministrazione di sostegno per l'esercizio
di scelte connesse al diritto alla salute, anche Corte di cassazione,
prima sezione civile, ordinanza 15 maggio 2019, n. 12998).
5.3.- La ricostruzione del quadro normativo concernente
l'amministrazione di sostegno, anche alla luce degli approdi della
giurisprudenza di questa Corte e della Corte di cassazione, rivela
l'erroneita' del presupposto interpretativo su cui si fondano le
questioni di legittimita' costituzionale proposte dal giudice
tutelare di Pavia.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, le norme
censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno
che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il
potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti
sanitari di sostegno vitale.
Nella logica del sistema dell'amministrazione di sostegno e' il
giudice tutelare che, con il decreto di nomina, individua l'oggetto
dell'incarico e gli atti che l'amministratore ha il potere di
compiere in nome e per conto del beneficiario. Spetta al giudice,
pertanto, il compito di individuare e circoscrivere i poteri
dell'amministratore, anche in ambito sanitario, nell'ottica di
apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute
del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volonta', come
espressamente prevede l'art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017.
Tali misure di tutela, peraltro, non possono non essere dettate in
base alle circostanze del caso di specie e, dunque, alla luce delle
concrete condizioni di salute del beneficiario, dovendo il giudice
tutelare affidare all'amministratore di sostegno poteri volti a
prendersi cura del disabile, piu' o meno ampi in considerazione dello
stato di salute in cui, al momento del conferimento dei poteri,
questi versa. La specifica valutazione del quadro clinico della
persona, nell'ottica dell'attribuzione all'amministratore di poteri
in ambito sanitario, tanto piu' deve essere effettuata allorche', in
ragione della patologia riscontrata, potrebbe manifestarsi l'esigenza
di prestare il consenso o il diniego a trattamenti sanitari di
sostegno vitale: in tali casi, infatti, viene a incidersi
profondamente su «diritti soggettivi personalissimi» (Corte di
cassazione, prima sezione civile, sentenza 7 giugno 2017, n. 14158;
piu' di recente, anche Corte di cassazione, prima sezione civile,
ordinanza 15 maggio 2019, n. 12998), sicche' la decisione del giudice
circa il conferimento o no del potere di rifiutare tali cure non puo'
non essere presa alla luce delle circostanze concrete, con riguardo
allo stato di salute del disabile in quel dato momento considerato.
La ratio dell'istituto dell'amministrazione di sostegno,
pertanto, richiede al giudice tutelare di modellare, anche in ambito
sanitario, i poteri dell'amministratore sulle necessita' concrete del
beneficiario, stabilendone volta a volta l'estensione nel solo
interesse del disabile. L'adattamento dell'amministrazione di
sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario e', poi, ulteriormente
garantito dalla possibilita' di modificare i poteri conferiti
all'amministratore anche in un momento successivo alla nomina,
tenendo conto, ove mutassero le condizioni di salute, delle
sopravvenute esigenze del disabile: il giudice tutelare, infatti,
deve essere periodicamente aggiornato dall'amministratore circa le
condizioni di vita personale e sociale del beneficiario (art. 405,
quinto comma, numero 6, cod. civ.), puo' modificare o integrare,
anche d'ufficio, le decisioni assunte nel decreto di nomina (art.
407, quarto comma, cod. civ.), puo' essere chiamato a prendere gli
opportuni provvedimenti - su ricorso del beneficiario, del pubblico
ministero o degli altri soggetti di cui all'art. 406 cod. civ. - in
caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza
dell'amministratore nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i
bisogni o le richieste della persona disabile (art. 410, secondo
comma, cod. civ.).
5.3.1.- L'esegesi dell'art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219
del 2017, tenuto conto dei principi che conformano l'amministrazione
di sostegno, porta allora conclusivamente a negare che il
conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi
con se', anche e necessariamente, il potere di rifiutare i
trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita. Le norme
censurate si limitano a disciplinare il caso in cui l'amministratore
di sostegno abbia ricevuto anche tale potere: spetta al giudice
tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina -
laddove in concreto gia' ne ricorra l'esigenza, perche' le condizioni
di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una
decisione sul prestare o no il consenso a trattamenti sanitari di
sostegno vitale - o successivamente, allorche' il decorso della
patologia del beneficiario specificamente lo richieda.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile l'intervento delle associazioni Unione
Giuristi Cattolici Italiani - Unione Locale di Piacenza e Unione
Giuristi Cattolici di Pavia "Beato Contardo Ferrini";
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre
2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di
disposizioni anticipate di trattamento), sollevate, in riferimento
agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dal giudice tutelare del
Tribunale ordinario di Pavia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
