DIRITTO DEL LAVORO: Lavoratore con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti – licenziamento intimato da datori di lavoro di piccole dimensioni.
CORTE COSTITUZIONALE 23 giugno – 22 luglio 2022 SENTENZA N. 183
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro - Licenziamento individuale - Lavoratore assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti - Licenziamento illegittimo intimato da datori di lavoro che non possiedono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, dello statuto dei lavoratori - Previsione che l'ammontare delle indennita' e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita' - Inammissibilita' delle questioni - Indifferibilita' dell'intervento del legislatore, al fine di garantire appieno la tutela del lavoro. - Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, art. 9, comma 1. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma; Carta sociale europea, art. 24.
(GU n.30 del 27-7-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo
PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1,
del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia
di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in
attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), promosso dal
Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, nel
procedimento instaurato da F. M.H. contro Cosi' per Gioco 2 srls, con
ordinanza del 26 febbraio 2021, iscritta al n. 84 del registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2021.
Visti l'atto di costituzione di F. M.H, nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore
Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Filippo Aiello e Alberto Piccinini per F. M.H.
e l'avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 26 febbraio 2021, iscritta al n. 84 del
registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Roma, in funzione
di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo
2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo
indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10
dicembre 2014, n. 183), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4,
35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo
in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con
annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa
esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30.
La disposizione e' censurata limitatamente alle parole «ove il
datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui
all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970,
[...] l'ammontare delle indennita' e dell'importo previsti
dall'articolo 3, comma 1, [...] e' dimezzato e non puo' in ogni caso
superare il limite di sei mensilita'».
1.1.- Il giudice a quo e' chiamato a decidere sul ricorso
proposto da una lavoratrice, licenziata per giustificato motivo
oggettivo da un datore di lavoro che non raggiunge i requisiti
dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge 20
maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale, nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento).
Il rimettente ritiene che non sia stata dimostrata la sussistenza
del giustificato motivo oggettivo, dedotto in termini generici e
tautologici, e che il rapporto di lavoro, instaurato dopo il 7 marzo
2015, sia assoggettato alle previsioni degli artt. 3 e 9 del d.lgs.
n. 23 del 2015, che dimezzano l'indennizzo spettante al lavoratore
ingiustamente licenziato e pongono il limite invalicabile delle sei
mensilita' dell'ultima retribuzione percepita.
1.2.- L'indennita' dovrebbe essere individuata «nello stretto
varco risultante fra il minimo di tre e il massimo di sei mensilita'»
e sarebbe inidonea, pertanto, «a soddisfare il test di adeguatezza» e
a garantire il riconoscimento di un'indennita' personalizzata.
Il tenore letterale della disposizione censurata sarebbe
inequivocabile e non si presterebbe ad alcuna interpretazione
costituzionalmente orientata, che consenta di salvaguardare
l'adeguatezza e la dissuasivita' del rimedio previsto dal
legislatore.
Il rimettente prospetta il contrasto con gli artt. 3, primo
comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 24 della Carta sociale europea.
Le censure muovono dal rilievo che la distinzione delle tutele in
base ai requisiti occupazionali del datore di lavoro sia fondata «su
un elemento che risulta esterno al rapporto di lavoro» e si
giustifichi alla luce del carattere piu' problematico del
riassorbimento del lavoratore nelle realta' di piccole dimensioni.
La tutela del diritto al lavoro, che si tradurrebbe
nell'imposizione di limiti al potere di recesso del datore di lavoro,
potrebbe essere anche affidata a un meccanismo monetario, a
condizione che sia garantita la complessiva adeguatezza del
risarcimento, prescritta anche dall'art. 24 della Carta sociale
europea.
Il rimettente assume che «la previsione di un indennizzo cosi'
esiguo», non superiore alle sei mensilita' e senza neppure
«l'alternativa della riassunzione», non attui un adeguato
contemperamento degli interessi in conflitto. La previsione
censurata, difatti, «nella parte in cui determina un limite massimo
del tutto inadeguato e per nulla dissuasivo», non garantirebbe
«un'equilibrata compensazione» e «un adeguato ristoro» del
pregiudizio e non svolgerebbe la necessaria funzione deterrente.
Secondo il giudice a quo, l'art. 24 della Carta sociale europea,
nell'imporre un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione nel
caso di licenziamento intimato senza un valido motivo, vieterebbe in
linea di principio la predeterminazione di un tetto massimo, che
svincola l'indennita' dal danno subito e non presenta un carattere
sufficientemente dissuasivo.
La «funzione compensativa» e «l'efficacia deterrente della tutela
indennitaria» sarebbero compromesse, inoltre, dalla previsione di
un'indennita' «ricompresa in un divario fra tre e sei mensilita'»,
che rappresenterebbe «una forma pressoche' uniforme di tutela» e
finirebbe per attribuire rilievo esclusivo al «numero degli
occupati». Si tratterebbe di «criterio trascurabile nell'ambito di
quella che e' l'attuale economia», che non consentirebbe alcun
adeguamento dell'importo riconosciuto alle peculiarita' del caso
concreto e, in particolare, alla «gravita' della violazione», al piu'
significativo criterio delle dimensioni dell'impresa, legato anche ai
«dati economico finanziari ricavabili dai bilanci».
2.- Si e' costituita in giudizio la parte ricorrente nel giudizio
principale e ha chiesto di accogliere le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dal Tribunale di Roma.
2.1.- In punto di ammissibilita', la parte evidenzia che il
giudice a quo ha esposto in modo esauriente i fatti di causa e ha
offerto un'adeguata motivazione circa la rilevanza delle questioni e
l'impraticabilita' di una interpretazione adeguatrice. Il petitum
sarebbe stato formulato in termini inequivocabili e solleciterebbe a
questa Corte un intervento «a rime obbligate».
2.2.- Quanto al merito delle questioni, la disposizione censurata
non consentirebbe di adeguare l'ammontare dell'indennita', «ridotto
fra tre e sei mensilita'», alle particolarita' del caso concreto, in
base ai criteri valorizzati dalla stessa giurisprudenza di questa
Corte. Nel caso di specie, sarebbe soltanto il numero degli occupati,
poco significativo ai fini della valutazione dell'effettiva forza
economica dell'impresa, a determinare l'ammontare dell'indennita'.
La tutela riconosciuta dalla legge, con un indennizzo di «misura
esigua», non sarebbe ne' adeguata, ne' dissuasiva.
A sostegno della razionalita' del criterio individuato dal
legislatore, non si potrebbero neppure invocare le considerazioni di
questa Corte, che ha reputato compatibile con la Costituzione, nelle
imprese piu' piccole, un regime di tutela esclusivamente
indennitaria. In tali fattispecie, si coglierebbero ragioni legate
all'esigenza di salvaguardare la natura fiduciaria del rapporto di
lavoro e di non gravare tali imprese di costi eccessivi. Ragioni che
non si adatterebbero a un sistema di tutela eminentemente
indennitaria.
La parte rileva, inoltre, che la disciplina censurata si applica
alla «quasi totalita' delle imprese nazionali» e alla «gran parte dei
lavoratori». L'accoglimento delle questioni, nei termini prospettati
dal rimettente, varrebbe a conferire portata generale alla regola di
cui all'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, che gia' consentirebbe di
attribuire rilievo alle dimensioni dell'impresa. Ove tale strada non
apparisse percorribile, si potrebbe comunque caducare la fissazione
del tetto massimo delle sei mensilita', senza incidere sulla regola
del dimezzamento dell'importo delle indennita'.
3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibili, irrilevanti o
comunque manifestamente infondate le questioni sollevate dal
Tribunale di Roma.
3.1.- In linea preliminare, l'interveniente reputa le questioni
inammissibili, in quanto si tratterebbe di «scegliere tra piu'
opzioni normative», in un ambito riservato alla discrezionalita' del
legislatore. Lo stesso rimettente non avrebbe indicato soluzioni
alternative atte a rideterminare l'indennita' in diversa, e piu'
adeguata, misura.
Ulteriore profilo di inammissibilita' si riscontrerebbe nella
carente motivazione in ordine alla rilevanza. Il rimettente non
avrebbe illustrato le ragioni dell'inadeguatezza dell'indennizzo che
e' chiamato a liquidare nel caso di specie.
3.2.- Nel merito, le questioni non sarebbero comunque fondate.
Spetterebbe alla discrezionalita' del legislatore la scelta dei
tempi e dei modi della tutela contro i licenziamenti illegittimi,
tutela che ben potrebbe essere esclusivamente monetaria. Il
dimezzamento previsto per i «contesti occupazionali di minori
dimensioni» sarebbe coerente con un apparato di tutele che
attribuisce rilievo alle dimensioni dell'impresa. Peraltro,
all'interno dell'intervallo fra le tre e le sei mensilita', il
giudice ben potrebbe modulare l'indennita' alla stregua dei criteri
enucleati da questa Corte.
Ne' si potrebbe invocare, in senso contrario, la decisione del
Comitato europeo dei diritti sociali dell'11 febbraio 2020, che non
terrebbe conto della possibilita' di ottenere il risarcimento di
danni ulteriori rispetto a quelli prodotti dal licenziamento
illegittimo e neanche della necessita' di una predeterminazione
dell'importo massimo, al fine di attuare il «necessario bilanciamento
fra gli opposti interessi».
4.- Hanno presentato opinioni scritte, come amici curiae,
l'Associazione Comma2 - Lavoro e' dignita' e la Confederazione
generale italiana del lavoro (CGIL).
Le opinioni sono state ammesse con decreto del Presidente del 2
maggio 2022, sentito il Giudice relatore.
5.- In prossimita' dell'udienza, ha depositato memoria
illustrativa la parte, insistendo per l'accoglimento delle
conclusioni gia' rassegnate.
5.1.- Non sarebbero fondate le eccezioni di inammissibilita'
formulate dalla difesa dello Stato.
Il rimettente avrebbe indicato puntualmente l'intervento idoneo a
porre rimedio ai vizi denunciati, che consisterebbe nell'eliminazione
del dimezzamento e del tetto massimo delle sei mensilita'. Questa
Corte potrebbe limitarsi a caducare il limite delle sei mensilita',
senza incidere sul dimezzamento.
Sarebbe esaustiva anche la motivazione in punto di rilevanza e di
inadeguatezza dell'indennizzo. Non si ravviserebbero, pertanto, le
lacune segnalate nell'atto di intervento.
5.2.- Nel merito, la difesa dello Stato non avrebbe confutato in
maniera convincente le censure mosse dal giudice a quo.
6.- All'udienza del 7 giugno 2022, le parti hanno insistito per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza di cui al reg. ord. n. 84 del 2021, il
Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma
1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in
materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele
crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), che
regola l'indennita' spettante nel caso di licenziamento illegittimo
intimato da datori di lavoro che non possiedono i requisiti
dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge 20
maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale, nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento).
Il rimettente denuncia il contrasto con gli artt. 3, primo comma,
4, 35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea,
riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996,
ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30.
1.1.- Lo statuto dei lavoratori, all'art. 18, ottavo comma, si
riferisce al «datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che
in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo
nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze
piu' di quindici lavoratori o piu' di cinque se si tratta di
imprenditore agricolo, nonche' al datore di lavoro, imprenditore o
non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa piu' di
quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito
territoriale occupa piu' di cinque dipendenti, anche se ciascuna
unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali
limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che occupa piu' di sessanta dipendenti».
L'art. 18, nono comma, della legge n. 300 del 1970 puntualizza
che, ai fini del computo del numero dei dipendenti, «si tiene conto
dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale
per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale
proposito, che il computo delle unita' lavorative fa riferimento
all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore». Non
si computano coniuge e parenti del datore di lavoro entro il secondo
grado in linea diretta e in linea collaterale.
Per i datori di lavoro che non presentano i descritti requisiti
occupazionali, l'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015 prevede
una indennita' di importo dimezzato rispetto a quello stabilito
dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015 e comunque
determinato «nello strettissimo intervallo fra tre e sei mensilita'».
1.2.- Sull'ammontare dell'indennita' vertono le censure
prospettate nell'odierno giudizio.
Nel condividere le censure di illegittimita' costituzionale
formulate dalla parte ricorrente, il rimettente argomenta che la
previsione di un indennizzo non superiore alle sei mensilita', senza
neppure l'alternativa della riassunzione, non attuerebbe un
ragionevole bilanciamento degli interessi contrapposti.
In particolare, la disposizione censurata, «nella parte in cui
determina un limite massimo del tutto inadeguato e per nulla
dissuasivo», non garantirebbe «un'equilibrata compensazione» e «un
adeguato ristoro» del pregiudizio e non assolverebbe alla necessaria
funzione deterrente.
Un'indennita' cosi' modulata rappresenterebbe «una forma
pressoche' uniforme di tutela» e attribuirebbe rilievo esclusivo al
«numero degli occupati», elemento «trascurabile nell'ambito di quella
che e' l'attuale economia». Non sarebbero valorizzati, al contrario,
i molteplici criteri che questa Corte ha individuato nelle sentenze
n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020, allo scopo di adeguare il
risarcimento alla peculiarita' del caso concreto.
Al generico richiamo all'art. 44 Cost., neppure ribadito nel
dispositivo dell'ordinanza di rimessione, non corrisponde un'autonoma
censura, che concorra a definire il thema decidendum devoluto
all'esame di questa Corte.
2.- Occorre, in primo luogo, esaminare le eccezioni preliminari
mosse dall'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio
in rappresentanza e a difesa del Presidente del Consiglio dei
ministri.
3.- Ha priorita' logica l'esame dell'eccezione di
inammissibilita' per carente motivazione in punto di rilevanza. Il
giudice a quo non avrebbe spiegato per quali ragioni, nel caso
concreto, risulti equo un indennizzo piu' elevato.
3.1.- L'eccezione deve essere disattesa.
Questa Corte e' costante nell'affermare che «[l]'applicabilita'
della disposizione al giudizio principale e' sufficiente a radicare
la rilevanza della questione, che non postula un sindacato piu'
incisivo sul concreto pregiudizio ai principi costituzionali
coinvolti» (sentenza n. 174 del 2016, punto 2.1. del Considerato in
diritto).
A tale riguardo, questa Corte ha specificato che, «[a]nche nella
prospettiva di un piu' diffuso accesso al sindacato di
costituzionalita' (sentenza n. 77 del 2018, punto 8 del Considerato
in diritto) e di una piu' efficace garanzia della conformita' della
legislazione alla Carta fondamentale, il presupposto della rilevanza
non si identifica nell'utilita' concreta di cui le parti in causa
potrebbero beneficiare (sentenza n. 20 del 2018, punto 2. del
Considerato in diritto)» (sentenza n. 174 del 2019, punto 2.1. del
Considerato in diritto).
3.2.- Le questioni di legittimita' costituzionale sono state
sollevate in un giudizio di impugnazione di un licenziamento per
giustificato motivo oggettivo.
Il datore di lavoro, rimasto contumace, non ha ottemperato
all'onere di dimostrare le ragioni inerenti all'attivita' produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento, cosi'
come stabilisce l'art. 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme
sui licenziamenti individuali).
Il rimettente evidenzia che il datore di lavoro non possiede i
requisiti occupazionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono,
dello statuto dei lavoratori e che al licenziamento e' applicabile
ratione temporis la disciplina dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23
del 2015.
Il giudice a quo ha dunque illustrato, con motivazione adeguata,
le ragioni che rendono necessaria l'applicazione della previsione
censurata, requisito necessario e sufficiente ai fini della rilevanza
delle questioni sollevate.
4.- L'Avvocatura generale dello Stato, in secondo luogo, imputa
al rimettente di avere demandato a questa Corte la rideterminazione
dell'indennizzo adeguato e, conseguentemente, la scelta «tra piu'
opzioni normative, tutte ugualmente conformi a Costituzione», in
mancanza di «parametri normativi alternativi». Da questa angolazione,
sarebbe evidente lo sconfinamento nella sfera riservata alla
discrezionalita' del legislatore.
4.1.- L'eccezione e' fondata, nei termini e per i motivi di
seguito precisati.
4.2.- Questa Corte, gia' nella sentenza n. 45 del 1965, ha
ricondotto la tutela contro i licenziamenti illegittimi agli artt. 4
e 35 Cost., interpretati in una prospettiva unitaria. In
quell'occasione si affermo' che, pur non essendo il diritto al lavoro
assistito dalla garanzia della stabilita' dell'occupazione, spetta al
legislatore, «nel quadro della politica prescritta dalla norma
costituzionale», adeguare le tutele in caso di licenziamenti
illegittimi (punto 4 del Considerato in diritto).
In armonia con tali principi, la protezione riconosciuta al
lavoro dalla Costituzione, ribadita anche dall'art. 24 della Carta
sociale europea, e' stata collocata in un quadro contraddistinto
dall'integrazione delle garanzie e dalla loro massima espansione
(sentenza n. 194 del 2018, punto 14 del Considerato in diritto).
Il rimettente avvalora i dubbi di legittimita' costituzionale con
il richiamo alle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020, che, in
merito all'indennita' per i licenziamenti viziati dal punto di vista,
rispettivamente, sostanziale e formale, hanno censurato un meccanismo
di determinazione ancorato al rigido e uniforme criterio
dell'anzianita' di servizio.
Nelle pronunce richiamate, questa Corte ha ribadito che la
modulazione delle tutele contro i licenziamenti illegittimi e'
demandata all'apprezzamento discrezionale del legislatore, vincolato
al rispetto del principio di eguaglianza, che vieta di omologare
situazioni eterogenee e di trascurare la specificita' del caso
concreto.
In una vicenda che vede direttamente implicata la persona del
lavoratore, si rivela di importanza primaria la valutazione del
giudice, chiamato, nell'alveo dei criteri individuati dalla legge, ad
attuare la necessaria «personalizzazione del danno subito dal
lavoratore, pure essa imposta dal principio di eguaglianza» (sentenza
n. 194 del 2018, punto 11 del Considerato in diritto e, nello stesso
senso, sentenza n. 150 del 2020, punto 9 del Considerato in diritto).
Tra tali criteri, rilevano anche il numero dei dipendenti
occupati, le dimensioni dell'impresa, il comportamento e le
condizioni delle parti, tipizzati dall'art. 8 della legge n. 604 del
1966, confermati dalla legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei
licenziamenti individuali) e largamente sperimentati nell'esperienza
applicativa.
Inoltre, un organico sistema di tutele si incentra sul principio
di ragionevolezza, «che questa Corte, nell'ambito della disciplina
dei licenziamenti, ha declinato come necessaria adeguatezza dei
rimedi, nel contesto di un equilibrato componimento dei diversi
interessi in gioco e della specialita' dell'apparato di tutele
previsto dal diritto del lavoro» (sentenza n. 150 del 2020, punto 13
del Considerato in diritto).
Un rimedio adeguato, che assicuri un serio ristoro del
pregiudizio arrecato dal licenziamento illegittimo e dissuada il
datore di lavoro dal reiterare l'illecito, si impone in forza della
«speciale tutela riconosciuta al lavoro in tutte le sue forme e
applicazioni, in quanto fondamento dell'ordinamento repubblicano
(art. 1 Cost.)» (sentenza n. 125 del 2022, punto 6 del Considerato in
diritto).
4.3.- Tali esigenze di effettivita' e di adeguatezza della tutela
si impongono anche per i licenziamenti intimati da datori di lavoro
di piu' piccole dimensioni (di cui ai citati commi ottavo e nono
dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori).
Questa Corte, nel dichiarare non fondati i dubbi di legittimita'
costituzionale della disciplina, che per tali datori di lavoro
escludeva la reintegrazione, ha posto l'accento sulla natura
fiduciaria del rapporto di lavoro nell'ambito delle descritte realta'
organizzative, sull'opportunita' di non gravarle di oneri eccessivi
e, infine, sulle tensioni che l'esecuzione di un ordine di
reintegrazione potrebbe ingenerare (sentenze n. 2 del 1986, n. 189
del 1975 e n. 152 del 1975).
Inoltre, le «dimensioni che il datore di lavoro abbia conferito
alla organizzazione della sua attivita'» rappresentano un «dato
aderente alla realta' economica di comune esperienza» (sentenza n. 55
del 1974, punto 4 del Considerato in diritto). In questa prospettiva,
«la componente numerica dei lavoratori ha riflessi sul modo di essere
e di operare del rapporto di lavoro organizzato», soprattutto in
ragione del «criterio economico suggerito per regolare gli interessi
delle aziende aventi un minor numero di dipendenti, pur senza
trascurare gli interessi dei lavoratori» (sentenza n. 81 del 1969,
punto 4 del Considerato in diritto).
4.4.- L'assetto delineato dal d.lgs. n. 23 del 2015 e'
profondamente mutato rispetto a quello analizzato dalle piu'
risalenti pronunce di questa Corte. La reintegrazione e' stata
circoscritta entro ipotesi tassative per tutti i datori di lavoro e
le dimensioni dell'impresa non assurgono a criterio discretivo tra
l'applicazione della piu' incisiva tutela reale e la concessione del
solo ristoro pecuniario.
In un sistema imperniato sulla portata tendenzialmente generale
della tutela monetaria, la specificita' delle piccole realta'
organizzative, che pure permane nell'attuale sistema economico, non
puo' giustificare un sacrificio sproporzionato del diritto del
lavoratore di conseguire un congruo ristoro del pregiudizio sofferto.
5.- Il rimettente, in continuita' con la giurisprudenza di questa
Corte, segnala le disarmonie insite nella predeterminazione
dell'indennita' stabilita nell'ipotesi di datori di lavoro che non
raggiungono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18 della legge
n. 300 del 1970.
Tali disarmonie traggono origine, per un verso, dall'esiguita'
dell'intervallo tra l'importo minimo e quello massimo dell'indennita'
e, per altro verso, dal criterio distintivo individuato dal
legislatore, che si incardina sul numero degli occupati.
5.1.- Quanto al primo profilo, si deve rilevare che un'indennita'
costretta entro l'esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di
sei mensilita' vanifica l'esigenza di adeguarne l'importo alla
specificita' di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo
ristoro e di un'efficace deterrenza, che consideri tutti i criteri
rilevanti enucleati dalle pronunce di questa Corte e concorra a
configurare il licenziamento come extrema ratio.
5.2.- Quanto al secondo profilo, si deve evidenziare che il
limitato scarto tra il minimo e il massimo determinati dalla legge
conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei
dipendenti, che, a ben vedere, non rispecchia di per se' l'effettiva
forza economica del datore di lavoro, ne' la gravita' del
licenziamento arbitrario e neppure fornisce parametri plausibili per
una liquidazione del danno che si approssimi alle particolarita'
delle vicende concrete.
Invero, in un quadro dominato dall'incessante evoluzione della
tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi, al
contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui
investimenti in capitali e un consistente volume di affari. Il
criterio incentrato sul solo numero degli occupati non risponde,
dunque, all'esigenza di non gravare di costi sproporzionati realta'
produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a
sostenerli.
Il limite uniforme e invalicabile di sei mensilita', che si
applica a datori di lavoro imprenditori e non, opera in riferimento
ad attivita' tra loro eterogenee, accomunate dal dato del numero dei
dipendenti occupati, sprovvisto di per se' di una significativa
valenza.
5.3.- In conclusione, un sistema siffatto non attua
quell'equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che
rappresenta la funzione primaria di un'efficace tutela indennitaria
contro i licenziamenti illegittimi.
6.- Si deve riconoscere, pertanto, l'effettiva sussistenza del
vulnus denunciato dal rimettente e si deve affermare la necessita'
che l'ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti
illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato
numerico dei dipendenti.
Al vulnus riscontrato, tuttavia, non puo' porre rimedio questa
Corte.
Non si ravvisa, infatti, una soluzione costituzionalmente
adeguata, che possa orientare l'intervento correttivo e collocarlo
entro un perimetro definito, segnato da grandezze gia' presenti nel
sistema normativo e da punti di riferimento univoci.
6.1.- Si deve rilevare, in primo luogo, che la fattispecie
sottoposta allo scrutinio di questa Corte non puo' essere comparata
con quella esaminata nelle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del
2020.
In quel frangente, i rimettenti hanno chiesto la caducazione di
un criterio di computo dell'indennita' parametrato sulla sola
anzianita' di servizio. Peraltro, rimosso il meccanismo individuato
dal legislatore, e' stato possibile rinvenire nel sistema criteri
collaudati, idonei a indirizzare la valutazione del giudice e a
supplire all'eliminazione di un parametro fisso e immutabile.
Nel caso di specie, il rimettente non chiede a questa Corte di
caducare un meccanismo di determinazione, parte integrante di un
sistema che comunque si ricompone secondo linee coerenti. La
richiesta concerne piuttosto la ridefinizione - in melius per il
lavoratore illegittimamente licenziato - della stessa soglia massima
dell'indennita', in difetto di soluzioni predefinite che possano
circoscrivere il carattere manipolativo dell'intervento auspicato,
ridefinizione che spazia in un intervallo di plurime soluzioni
possibili, anche in ragione delle diverse caratteristiche dei datori
di lavoro di piccole dimensioni.
6.2.- Le argomentazioni addotte dal rimettente, a sostegno dei
dubbi di legittimita' costituzionale, prefigurano, quindi, una vasta
gamma di alternative e molteplici si rivelano le soluzioni atte a
superare le incongruenze censurate.
Nella stessa direzione muovono anche i rilievi della parte, che
pure sottendono una molteplicita' di opzioni.
6.2.1.- Il legislatore ben potrebbe tratteggiare criteri
distintivi piu' duttili e complessi, che non si appiattiscano sul
requisito del numero degli occupati e si raccordino alle differenze
tra le varie realta' organizzative e ai contesti economici
diversificati in cui esse operano.
Non spetta, dunque, a questa Corte scegliere, tra i molteplici
criteri che si possono ipotizzare, quelli piu' appropriati.
6.2.2.- Il giudice a quo prospetta, quale soluzione idonea, anche
l'eliminazione del regime speciale previsto per i piccoli datori di
lavoro.
Anche tale soluzione non potrebbe che essere rimessa
all'apprezzamento discrezionale del legislatore, per le ragguardevoli
implicazioni sistematiche che presenta.
6.2.3.- Tenuto conto dei principi enunciati dalla giurisprudenza
di questa Corte e alla luce delle innovazioni legislative intervenute
(art. 3 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante
«Disposizioni urgenti per la dignita' dei lavoratori e delle
imprese», convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018,
n. 96), le soglie dell'indennita' dovuta potranno essere rimodulate
secondo una pluralita' di criteri.
Anche da questo punto di vista, trova conferma l'ampio spettro
delle soluzioni che il legislatore, nella sua discrezionalita',
potrebbe elaborare.
7.- A ognuna delle scelte ipotizzabili corrispondono, infatti,
differenti opzioni di politica legislativa. Si profilano, dunque,
ineludibili valutazioni discrezionali, che, proprio perche' investono
il rapporto tra mezzi e fine, non possono competere a questa Corte.
Rientra, infatti, nella prioritaria valutazione del legislatore
la scelta dei mezzi piu' congrui per conseguire un fine
costituzionalmente necessario, nel contesto di «una normativa di
importanza essenziale» (sentenza n. 150 del 2020), per la sua
connessione con i diritti che riguardano la persona del lavoratore,
scelta che proietta i suoi effetti sul sistema economico
complessivamente inteso.
Come gia' questa Corte ha segnalato (sentenza n. 150 del 2020,
punto 17 del Considerato in diritto), la materia, frutto di
interventi normativi stratificati, non puo' che essere rivista in
termini complessivi, che investano sia i criteri distintivi tra i
regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, sia la funzione
dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie.
Nel dichiarare l'inammissibilita' delle odierne questioni, questa
Corte non puo' conclusivamente esimersi dal segnalare che un
ulteriore protrarsi dell'inerzia legislativa non sarebbe tollerabile
e la indurrebbe, ove nuovamente investita, a provvedere direttamente,
nonostante le difficolta' qui descritte (sentenza n. 180 del 2022,
punto 7 del Considerato in diritto).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo
2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo
indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10
dicembre 2014, n. 183), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo
comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea,
riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996,
ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30, dal
Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2022.
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI
