CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 7 – 28 luglio 2022, N. 203
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Responsabilita' amministrativa e contabile - Codice di giustizia contabile, approvato mediante decreto legislativo - Giudizio per responsabilita' amministrativa - Possibilita', da parte del giudice contabile, della chiamata in causa di soggetti ulteriori rispetto a quelli indicati dal pubblico ministero - Esclusione - Denunciato eccesso di delega, e dell'impossibilita' al risarcimento del danno erariale - Non fondatezza delle questioni. - Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, Allegato 1, art. 83, commi 1 e 2, come modificati dalle lettere b) e c) del comma 1 dell'art. 44 del decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114. - Costituzione, artt. 3, 24, 76, 81 e 111.
(GU n.31 del 3-8-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giuliano AMATO;
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI
GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 83, commi 1
e 2, dell'Allegato 1 (Codice di giustizia contabile) al decreto
legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile,
adottato ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n.
124), come modificato dall'art. 44, comma 1, lettere b) e c), del
decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114 (Disposizioni integrative
e correttive al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante
codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), promosso dalla Corte dei conti,
sezione giurisdizionale regionale per la Campania, nel giudizio di
responsabilita' instaurato a istanza del Procuratore regionale nei
confronti di R. E. e altri, con ordinanza del 17 febbraio 2021,
iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale,
dell'anno 2021.
Visti l'atto di costituzione di A. F., nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2022 il Giudice relatore
Giovanni Amoroso;
uditi l'avvocato Guido Alfonsi per A. F. e l'avvocato dello Stato
Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri, in
collegamento da remoto, ai sensi dell'art. 2), punto 2), della
delibera della Corte del 23 giugno 2022.
deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con sentenza non definitiva e contestuale ordinanza emessa in
data 17 febbraio 2021, n. 158, iscritta nel relativo registro al n.
20 dell'anno 2021, la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale
regionale per la Campania, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2, dell'Allegato 1 (Codice di
giustizia contabile) al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174
(Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), nel testo conseguente alle
modifiche recate dal decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114
(Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 26
agosto 2016, n. 174, recante codice di giustizia contabile, adottato
ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), in
riferimento agli artt. 3, 24, 76, 81 e 111 della Costituzione.
La Corte rimettente, in punto di fatto e di rilevanza, sottolinea
che, mediante atto di citazione del 31 maggio 2019, la Procura
regionale aveva evocato in giudizio alcuni dipendenti, nonche' il
segretario generale e il Sindaco di un Comune, al fine di ottenere la
condanna degli stessi al pagamento in favore dell'ente della somma di
euro 1.445.715,20, oltre accessori, per responsabilita' erariale
correlata all'omessa attivazione, nonostante la comprovata conoscenza
della situazione, di qualsivoglia procedura per la riscossione
(rispetto all'anno 2009, per gli immobili a destinazione abitativa, e
nel periodo 2009-2013, per i locali ad uso commerciale) dei canoni e
delle indennita' di occupazione di un complesso immobiliare. Alcuni
convenuti, nell'ambito delle difese volte a contestare la ricorrenza
della propria responsabilita', deducevano che essa doveva essere
ascritta alle due societa' concessionarie del servizio di riscossione
dei canoni e delle indennita' in questione e chiedevano
l'integrazione del contraddittorio nei confronti delle stesse.
All'udienza il pubblico ministero replicava circa la non necessita'
di evocare in giudizio gli altri soggetti indicati nelle difese di
alcune parti convenute, ricorrendo peraltro - in ogni caso - solo
un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo.
Il Collegio emanava, in primo luogo, nel contesto del medesimo
atto di promovimento, sentenza non definitiva sulle questioni
pregiudiziali e preliminari, nonche' sulla pretesa risarcitoria per
danno all'immagine del Comune danneggiato (domanda che rigettava nel
merito).
Con riferimento alla sussistenza nel merito della responsabilita'
amministrativa per danno erariale riteneva, invece, che la relativa
valutazione fosse inficiata, nella fattispecie concreta, dal divieto,
recato dall'art. 83, comma 1, cod. giust. contabile, nella
formulazione applicabile ratione temporis successiva alle modifiche
introdotte dal d.lgs. n. 114 del 2019, di chiamata in causa per
ordine del giudice degli altri soggetti, evocati nelle difese di
alcuni convenuti, potenzialmente responsabili del fatto dannoso.
Infatti, la Corte dei conti sottolinea che, pur non ricorrendo
un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra i corresponsabili
dell'illecito erariale, tuttavia l'inderogabile preclusione
all'integrazione del contraddittorio da parte del giudice potrebbe
essere suscettibile di determinare un insanabile vulnus ai fini del
corretto inquadramento di fattispecie, come quella da decidere, che
«non si prestano ad essere delineate, valutate e definite senza
acquisire l'apporto al contraddittorio di ulteriori soggetti», allo
scopo di individuarne compiutamente l'eventuale responsabilita',
esclusiva o concorrente, da valutare per la decisione sullo scomputo
di quote di responsabilita' dei soggetti citati in giudizio dal PM.
In sostanza, il giudice a quo lamenta di dover procedere all'uopo
alla valutazione della responsabilita' di soggetti ai quali non e'
stato esteso il contraddittorio e che potrebbero essere indicati,
anche solo «virtualmente», come responsabili dei fatti illeciti nella
decisione senza avere avuto l'opportunita' di difendersi e di addurre
elementi probatori.
La Corte dei conti - assumendo di non poter ne' individuare
eventuali responsabilita' concorrenti rispetto a quelle dei soggetti
effettivamente convenuti, ne' conseguentemente statuire per gli
stessi scomputi, totali o parziali, di responsabilita', nonostante
l'emergenza «piu' che probabile» dagli atti del giudizio della
sussistenza delle condotte illecite di altri soggetti, senza
estendere il contraddittorio nei confronti di questi ultimi - ritiene
dunque rilevanti le questioni sollevate.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il Collegio rimettente
premette che le disposizioni censurate, ossia i primi due commi
dell'art. 83 cod. giust. contabile, sono insuscettibili di
un'interpretazione costituzionalmente orientata, stante la chiarezza
del divieto fatto al giudice nel processo, per l'accertamento della
responsabilita' amministrativa, di ordinare la chiamata in causa di
soggetti ulteriori rispetto a quelli gia' convenuti in giudizio dal
PM.
1.1.- Cio' posto, il giudice a quo dubita, in primo luogo, della
compatibilita' del divieto espresso dall'art. 83, commi 1 e 2, cod.
giust. contabile con l'art. 76 Cost.
A fondamento di tale questione, la Corte dei conti rimettente
deduce che il Governo, nell'attuare il criterio di delega posto
dall'art. 20, comma 2, lettera g), numero 6), della legge 7 agosto
2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche), che demandava allo stesso di prevedere la
«preclusione in sede di giudizio di chiamata in causa su ordine del
giudice e in assenza di nuovi elementi e motivate ragioni di soggetto
gia' destinatario di formalizzata archiviazione», non avrebbe tenuto
conto dei criteri di delega, di carattere piu' generale, indicati
nelle precedenti lettere a) e b) della medesima disposizione. Invero,
poiche' questi ultimi criteri demandavano al Governo l'uno di
contemplare un adeguamento delle norme vigenti alla giurisprudenza
della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori,
«coordinandole con le norme del codice di procedura civile
espressione di principi generali e assicurando la concentrazione
delle tutele spettanti alla cognizione della giurisdizione contabile»
(lettera a) e l'altro di «disciplinare lo svolgimento dei giudizi
tenendo conto della peculiarita' degli interessi pubblici oggetto di
tutela e dei diritti soggetti coinvolti, in base ai principi della
concentrazione e dell'effettivita' della tutela e nel rispetto del
principio della ragionevole durata del processo» (lettera b), il piu'
specifico criterio direttivo espresso dalla lettera g), numero 6),
dello stesso comma avrebbe dovuto essere correttamente interpretato
nel senso di riconoscere al giudice contabile il potere di integrare
il contraddittorio nei confronti di terzi non evocati in giudizio dal
PM, salva l'emanazione di un espresso provvedimento di archiviazione
a fronte di fatti nuovi.
Rileva, inoltre, il giudice a quo che le norme censurate
violerebbero l'art. 3 Cost., laddove determinerebbero
un'ingiustificata disparita' di trattamento tra i soggetti convenuti
in giudizio e quelli nei confronti dei quali la procura scegliesse di
non esercitare l'azione di responsabilita', in quanto solo i primi
potrebbero fornire una propria ricostruzione alternativa dei fatti,
anche «in danno» dei secondi i quali, non coinvolti in giudizio,
potrebbero essere dichiarati «virtualmente» colpevoli senza aver
potuto far valere in contradditorio le proprie ragioni.
D'altra parte, la decisione sull'evocazione in causa di tutti i
soggetti potenzialmente responsabili di un illecito erariale sarebbe
rimessa all'esclusivo potere del PM e la relativa valutazione sarebbe
cosi' sottratta al collegio, che non e' una parte del giudizio di
responsabilita' per danno erariale, ma ha un ruolo imparziale.
Il divieto espresso dall'art. 83 cod. giust. contabile violerebbe
l'art. 3 Cost. anche sotto il profilo della ragionevolezza, imponendo
all'autorita' giudiziaria di effettuare una valutazione per la
compiutezza della quale non disporrebbe di adeguati elementi
conoscitivi.
La Corte dei conti sottolinea, inoltre, che il divieto di
chiamata in causa per ordine del giudice espresso dalla norma
censurata violerebbe l'art. 24 Cost., compromettendo il diritto di
difesa sia delle parti convenute che di quelle non evocate in
giudizio, astrattamente coinvolte nella ipotizzata fattispecie di
responsabilita', non consentendo che tutte partecipino
all'accertamento dei fatti in contraddittorio in modo da pervenire a
una «piu' giusta e avveduta decisione» e impedendo, peraltro, ai
soggetti che non siano stati chiamati a prendere parte al processo e
nondimeno eventualmente indicati nella sentenza come «virtualmente»
responsabili, di impugnare detta decisione.
Il vulnus all'art. 24 Cost. sarebbe inoltre arrecato anche dal
pericolo della formazione di giudicati contraddittori sui medesimi
fatti.
Il collegio rimettente assume, altresi', una possibile
violazione, da parte dei primi due commi dell'art. 83 cod. giust.
contabile, dell'art. 111 Cost., e cio' sia per l'impossibilita',
conseguente al divieto di chiamata in causa iussu iudicis, di
instaurare un effettivo contraddittorio processuale, con evidente
pregiudizio per i convenuti, sia per l'irragionevole vincolo
determinato in capo all'autorita' giudiziaria nella ricostruzione
della vicenda operata dal PM.
Secondo la prospettazione del giudice a quo, le norme censurate
potrebbero di poi porsi in contrasto con l'art. 81 Cost. nella misura
in cui non consentono all'autorita' giudiziaria di chiamare in causa
i corresponsabili dell'evento dannoso i quali, ove ne fosse accertata
in giudizio la responsabilita', potrebbero essere condannati
realmente (e non solo in modo virtuale, ai fini della riduzione del
danno dei soggetti evocati nel giudizio di responsabilita' dal PM) al
risarcimento in favore dell'ente.
Precisa, infine, la Corte dei conti rimettente che il petitum,
stante il necessario rispetto del diritto all'espletamento della fase
preprocessuale e delle prerogative del PM, deve intendersi
circoscritto «nel senso che la chiamata in giudizio iussu iudicis
sarebbe subordinata comunque all'attivazione di detta fase
preprocessuale e all'esercizio delle prerogative del Pubblico
ministero».
2.- Con atto in data 28 maggio 2021 si e' costituito nel giudizio
costituzionale A. F., convenuto nel processo principale, aderendo
alle argomentazioni sottese all'ordinanza di rimessione e ponendo in
particolare evidenza lo squilibrio determinato dalle norme censurate
tra le parti del processo di responsabilita' contabile, ridondante
nell'impossibilita' di un completo accertamento della vicenda
fattuale nel contraddittorio con tutti i soggetti coinvolti e
comportante il rischio, in spregio del principio di economia
processuale, di giudicati contraddittori.
3.- Con atto in data 8 giugno 2021, e' intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi le
questioni inammissibili e, in ogni caso, non fondate.
In punto di inammissibilita', la difesa statale deduce che il
rimettente avrebbe motivato in modo inadeguato sulla rilevanza
laddove ha prospettato che il divieto di chiamata in causa di terzi
su ordine del giudice sancito dall'art. 83, comma 1, cod. giust.
contabile impedirebbe un compiuto accertamento dei fatti. In realta'
tale accertamento sarebbe ben possibile, anche in assenza degli
eventuali compartecipi nella determinazione del danno, in forza degli
ampi poteri istruttori riconosciuti all'autorita' giudiziaria
dall'art. 94 del predetto codice.
Nel merito, l'Avvocatura generale rileva, innanzi tutto, la non
fondatezza dei dubbi di legittimita' costituzionale che investono
l'art. 3 Cost., stante la peculiarita' del processo contabile
rispetto a quello civile: per vero, nel primo, l'esigenza di
assicurare la parita' tra le posizioni di accusa e difesa non
consente di attribuire all'autorita' giudiziaria poteri sindacatori
che possano alterare detto equilibrio, se non trasmettendo gli atti
al PM per le valutazioni di competenza nei limiti delineati dall'art.
83, comma 4, cod. giust. contabile.
Peraltro, se nel processo per responsabilita' erariale non e'
attualmente ammesso un intervento iussu iudicis, la responsabilita'
tra i concorrenti nell'illecito ha natura parziaria e non e' preclusa
al giudice una valutazione incidentale, per determinarne le
rispettive «quote», dell'incidenza causale delle condotte di soggetti
non evocati in giudizio dal PM, valutazione incidentale che consente
di non "appesantire" il processo in vista della ragionevole durata
dello stesso.
L'Avvocatura generale contesta, inoltre, la fondatezza delle
questioni correlate alla violazione degli artt. 24 e 111 Cost.,
rispettivamente in punto di diritto di difesa e di giusto processo.
Sotto il primo profilo, infatti, l'eventuale concorrenza
nell'illecito di soggetti non citati in giudizio dal PM non
comprometterebbe il diritto di difesa degli altri perche' il giudice
contabile ha solo il dovere di determinare il quantum debeatur, e
quindi di definire la controversia ponendo a carico del convenuto
esclusivamente la parte del danno che ha in concreto cagionato, con
conseguente insussistenza di un litisconsorzio necessario tra piu'
corresponsabili del medesimo danno la cui condotta e' vagliata, ove
occorra, solo incidentalmente.
Rispetto alla violazione dell'art. 111 Cost., la difesa dello
Stato si riconduce alla costante giurisprudenza costituzionale
sull'ampia discrezionalita' del legislatore processuale, che trova un
limite solo nella manifesta arbitrarieta' delle scelte compiute.
Detta manifesta arbitrarieta' non ricorrerebbe nella fattispecie
in esame perche' l'esigenza di mitigare la rigidita' del processo
rispetto ai soggetti evocati dal PM e' temperata dalla possibilita'
per il giudice, ove emergano fatti nuovi, ex art. 83, comma 3, cod.
giust. contabile, di trasmettere gli atti alla procura per le
valutazioni di competenza.
L'Avvocatura generale evidenzia, inoltre, l'insussistenza
dell'evocato vizio di eccesso di delega ex art. 76 Cost. poiche' lo
stesso legislatore delegante ha indicato, tra i criteri direttivi, il
divieto di chiamata iussu iudicis, nell'intento di assicurare il
rispetto del principio di imparzialita' del giudice.
Con memoria depositata in data 14 giugno 2022, la difesa dello
Stato ha ribadito la propria eccezione preliminare di
inammissibilita' per inidonea motivazione sulla rilevanza e ha
ripercorso le ragioni di non fondatezza delle questioni sollevate.
4.- Ai sensi dell'art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale e' stato formulato alle
parti, in vista dell'udienza pubblica, il seguente quesito: «Risulta
alle parti che le societa' del servizio di riscossione dei canoni, ai
quali si riferisce l'azione di responsabilita' per danno erariale -
concessionarie fino al 31 dicembre 2010 e poi affidatarie del
servizio di riscossione delle entrate comunali dal 2011 in seguito -
sono gia' state destinatarie di formale provvedimento di
archiviazione ovvero l'eventuale contributo causale della loro
condotta al fatto dannoso e' gia' stato valutato in termini di
infondatezza dalla procura contabile?».
Nel corso dell'udienza, l'Avvocatura generale ha evidenziato che
il PM non aveva emanato un formale provvedimento di archiviazione nei
confronti delle due societa' non evocate in giudizio, ma ne aveva
comunque vagliato le posizioni, escludendone la responsabilita'.
Considerato in diritto
1.- Con sentenza non definitiva e contestuale ordinanza in data
17 febbraio 2021, n. 158, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per la Campania, ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2, dell'Allegato 1 (Codice di
giustizia contabile) al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174
(Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), nel testo conseguente alle
modifiche recate dal decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114
(Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 26
agosto 2016, n. 174, recante codice di giustizia contabile, adottato
ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), in
riferimento agli artt. 3, 24, 76, 81 e 111 della Costituzione.
In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che il pubblico
ministero aveva evocato in giudizio alcuni dipendenti, nonche' il
segretario generale e il Sindaco di un Comune, al fine di ottenerne
la condanna al pagamento in favore dell'ente della somma di euro
1.445.715,20, oltre accessori, per responsabilita' amministrativa
dovuta all'omessa attivazione, nonostante la comprovata conoscenza
della situazione, di qualsivoglia procedura per la riscossione
(rispetto all'anno 2009, per gli immobili a destinazione abitativa, e
nel periodo 2009-2013, per i locali ad uso commerciale) dei canoni e
delle indennita' di occupazione di un complesso immobiliare
dell'ente. Alcuni convenuti avevano contestato la sussistenza della
propria responsabilita', deducendo che la stessa doveva essere semmai
ascritta alle societa' concessionarie (e poi affidatarie) del
servizio di riscossione dei canoni e delle indennita' in questione
che non si erano attivate per il recupero delle somme spettanti
all'ente e chiedevano al collegio l'integrazione del contraddittorio
nei confronti delle stesse. A fronte di tale richiesta, il PM
rappresentava che non era necessario evocare in giudizio gli altri
soggetti indicati dalle difese delle parti suddette, ricorrendo
peraltro solo un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo.
La Corte rimettente pronunciava, in primo luogo, sentenza non
definitiva sulle questioni pregiudiziali e preliminari, ritenute non
impedienti. Con riferimento alla ricorrenza nel merito della
responsabilita' amministrativa dei convenuti riteneva, invece, che la
relativa valutazione fosse inficiata dal divieto, recato dall'art.
83, comma 1, cod. giust. contabile, di chiamata in causa di altri
soggetti non evocati in giudizio dal PM.
Cio' in quanto il comma 2 della medesima norma, nella
formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche
introdotte dal d.lgs. n. 114 del 2019, impone comunque all'autorita'
giudiziaria di valutare la responsabilita' di tutti i soggetti
concorrenti nell'illecito ai fini della decisione sull'eventuale
scomputo di quote di responsabilita' a carico dei convenuti.
1.1.- In ordine alla rilevanza delle questioni, la Corte dei
conti sottolinea che, pur non ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio
necessario tra i corresponsabili dell'illecito erariale, tuttavia
l'inderogabile preclusione all'integrazione del contraddittorio da
parte del giudice potrebbe essere suscettibile di determinare un
insanabile vulnus ai fini del corretto inquadramento di fattispecie,
come quella da decidere, che «non si prestano ad essere delineate,
valutate e definite senza acquisire l'apporto al contraddittorio di
ulteriori soggetti», in assenza dei quali non potrebbe individuarsene
compiutamente l'eventuale responsabilita', esclusiva o concorrente,
pure da valutare in sede di decisione, ex art. 83, comma 2, dello
stesso d.lgs. n. 174 del 2016.
In sostanza, il giudice a quo lamenta di dover procedere all'uopo
alla valutazione della responsabilita' di soggetti ai quali non e'
stato esteso il contraddittorio e che potrebbero essere indicati,
anche solo «virtualmente», come responsabili dei fatti illeciti in
sentenza senza avere avuto l'opportunita' di difendersi e di addurre
elementi probatori.
La Corte dei conti - deducendo di non poter accertare eventuali
responsabilita' concorrenti rispetto a quelle dei soggetti
effettivamente convenuti allo scopo di decidere su eventuali
scomputi, totali o parziali, di responsabilita' come richiesto dal
comma 2 dell'art. 83 cod. giust. contabile, nonostante l'emergenza
«piu' che probabile» dagli atti del giudizio della sussistenza delle
condotte illecite di altri soggetti - ritiene dunque rilevanti le
questioni sollevate.
1.2.- In punto di non manifesta infondatezza, il Collegio
rimettente premette che le disposizioni espresse dai primi due commi
dell'art. 83 cod. giust. contabile sono insuscettibili di
un'interpretazione costituzionalmente orientata, in virtu' della
chiarezza del divieto fatto al giudice nel processo, per
l'accertamento della responsabilita' amministrativa, di ordinare la
chiamata in causa di soggetti ulteriori rispetto a quelli gia'
convenuti in giudizio dal PM.
La Corte dei conti rimettente dubita, innanzi tutto, della
compatibilita' del divieto espresso dall'art. 83, comma 1, cod.
giust. contabile con l'art. 76 Cost.
A riguardo, il giudice rimettente sottolinea che il Governo,
nell'attuare il criterio di delega posto dall'art. 20, comma 2,
lettera g), numero 6), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al
Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni
pubbliche), che demandava allo stesso di prevedere la «preclusione in
sede di giudizio di chiamata in causa su ordine del giudice e in
assenza di nuovi elementi e motivate ragioni di soggetto gia'
destinatario di formalizzata archiviazione», non avrebbe tenuto conto
dei criteri di delega, di carattere piu' generale, indicati nelle
precedenti lettere a) e b), della medesima disposizione. Invero,
poiche' questi ultimi criteri rimettevano al Governo, l'uno, di
contemplare un adeguamento delle norme vigenti alla giurisprudenza
della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori,
«coordinandole con le norme del codice di procedura civile
espressione di principi generali e assicurando la concentrazione
delle tutele spettanti alla cognizione della giurisdizione contabile»
(lettera a) e l'altro di «disciplinare lo svolgimento dei giudizi
tenendo conto della peculiarita' degli interessi pubblici oggetto di
tutela e dei diritti soggetti coinvolti in base ai principi della
concentrazione e dell'effettivita' della tutela e nel rispetto del
principio della ragionevole durata del processo» (lettera b), il piu'
specifico criterio direttivo espresso dalla lettera g), numero 6),
dello stesso comma avrebbe dovuto essere correttamente interpretato
nel senso di riconoscere al giudice contabile il potere di integrare
il contraddittorio nei confronti di terzi non evocati in giudizio dal
PM a fronte di nuovi elementi e in assenza di un espresso
provvedimento di archiviazione.
Rileva, inoltre, il giudice a quo che le norme censurate
potrebbero violare l'art. 3 Cost. determinando un'ingiustificata
disparita' di trattamento tra i soggetti convenuti in giudizio e
quelli nei confronti dei quali la procura scelga di non esercitare
l'azione di responsabilita', in quanto solo i primi potrebbero
fornire la propria ricostruzione alternativa dei fatti, anche «in
danno» dei secondi i quali, non coinvolti in giudizio, potrebbero
essere dichiarati «virtualmente» colpevoli, senza aver potuto far
valere in contradditorio le proprie difese.
D'altra parte la decisione sull'evocazione di tutti i soggetti
potenzialmente responsabili di un illecito erariale sarebbe rimessa
all'esclusivo potere del PM sottraendo la relativa valutazione al
collegio, che non e' una parte del giudizio di responsabilita' per
danno erariale, ma ha un ruolo imparziale.
Il divieto espresso dall'art. 83, comma 1, cod. giust. contabile,
tenuto conto del dovere del Collegio di vagliare la condotta di tutti
i concorrenti nell'illecito imposto dal comma 2 della stessa norma,
violerebbe l'art. 3 Cost. anche sotto il profilo della
ragionevolezza, imponendo all'autorita' giudiziaria di effettuare una
valutazione senza disporre di adeguati elementi conoscitivi acquisiti
nel contraddittorio tra tutti i soggetti coinvolti.
La Corte dei conti sottolinea, inoltre, che il divieto di
chiamata in causa per ordine del giudice espresso dalla norma
censurata potrebbe violare l'art. 24 Cost., nella misura in cui
lederebbe il diritto di difesa tanto delle parti convenute quanto di
quelle non evocate in giudizio astrattamente coinvolte nella
ipotizzata fattispecie di responsabilita', non consentendo che tutte
partecipino all'accertamento dei fatti in contraddittorio in modo da
pervenire a una «piu' giusta e avveduta decisione» e impedendo,
peraltro, ai soggetti che non siano stati chiamati a prendere parte
al processo e nondimeno indicati nella sentenza come «virtualmente»
responsabili, di impugnare detto provvedimento. Il vulnus all'art. 24
Cost. sarebbe, inoltre, arrecato anche dal pericolo di giudicati
contraddittori sui medesimi fatti.
Il Collegio rimettente assume, inoltre, una possibile violazione,
da parte dei primi due commi dell'art. 83 cod. giust. contabile,
dell'art. 111 Cost., e cio' sia per l'impossibilita', derivante dal
divieto di chiamata in causa iussu iudicis, di instaurare un
effettivo contraddittorio processuale, con evidente pregiudizio per i
convenuti, sia per l'irragionevole vincolo determinato in capo
all'autorita' giudiziaria nella ricostruzione della vicenda operata
dal PM.
Secondo la prospettazione del giudice a quo, le norme censurate
potrebbero altresi' porsi in contrasto con l'art. 81 Cost. poiche'
non consentirebbero all'autorita' giudiziaria di chiamare in causa i
corresponsabili dell'evento dannoso che, ove ne fosse accertata in
giudizio la responsabilita', potrebbero essere condannati realmente
(e non solo in modo virtuale, ai fini della riduzione del danno dei
soggetti evocati nel giudizio di responsabilita' dal PM) al
risarcimento in favore dell'ente.
1.3.- Precisa, infine, la Corte dei conti rimettente che il
petitum, stante il necessario rispetto del diritto all'espletamento
della fase preprocessuale e delle prerogative del PM, deve intendersi
circoscritto «nel senso che la chiamata in giudizio iussu iudicis
sarebbe subordinata comunque all'attivazione di detta fase
preprocessuale e all'esercizio delle prerogative del Pubblico
ministero».
2.- In via preliminare, occorre rilevare che le questioni
sollevate sono ammissibili, nonostante l'atto di promovimento abbia
la veste formale della sentenza (non definitiva).
Respinte alcune questioni di carattere pregiudiziale e
preliminare, la Corte dei conti rimettente - dopo la positiva
valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza
delle questioni sollevate - ha disposto la sospensione del
procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla
cancelleria di questa Corte.
Sicche' all'atto di promovimento, anche se assunto con la forma
di sentenza, deve essere riconosciuta anche natura di ordinanza, in
conformita' a quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale) (ex multis, sentenze n. 128 del 2022, n. 153 del
2020; n. 208 del 2019, n. 86 del 2017, n. 256 del 2010, n. 151 e n.
94 del 2009 e n. 452 del 1997).
3.- Sempre in via preliminare, il giudice a quo ha escluso la
praticabilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata
della disposizione censurata, idonea a consentire, almeno in alcune
ipotesi, la chiamata in causa per ordine del giudice perche' cio'
sarebbe impedito dalla chiara formulazione della norma.
La valutazione del Collegio rimettente e' in sintonia con la
costante giurisprudenza di questa Corte per la quale l'univoco tenore
della disposizione segna il confine in presenza del quale il
tentativo di interpretazione conforme deve cedere il passo al
sindacato di legittimita' costituzionale (sentenze n. 150 del 2022,
n. 118 del 2020, n. 221 del 2019 e n. 83 del 2017).
In ogni caso, e' stato piu' volte ribadito che nelle ipotesi in
cui il giudice a quo abbia consapevolmente ritenuto che il tenore
della disposizione censurata impone una determinata interpretazione e
ne impedisce altre, eventualmente conformi a Costituzione, la
verifica delle relative soluzioni ermeneutiche non attiene al piano
dell'ammissibilita', ed e' piuttosto una valutazione che riguarda il
merito delle questioni (cosi', ex multis, sentenze n. 133 del 2019,
n. 50 e n. 118 del 2020).
4.- Ancora in via preliminare, occorre vagliare l'eccezione di
inammissibilita' delle questioni per inadeguata motivazione sulla
rilevanza, sollevata dall'Avvocatura generale.
A fondamento di detta eccezione, la difesa dello Stato ha
evidenziato che il rimettente ha dedotto che il divieto di chiamata
in causa di terzi su ordine del giudice sancito dall'art. 83 cod.
giust. contabile impedirebbe un compiuto accertamento dei fatti. Tale
accertamento, invece, sarebbe ben possibile, anche in assenza di
eventuali compartecipi, in forza degli ampi poteri istruttori
riconosciuti all'autorita' giudiziaria dall'art. 94 del predetto
codice.
Tale eccezione, anche in ragione del controllo meramente
"esterno" esercitato dalla Corte sulla rilevanza (ex multis, sentenze
n. 34 e n. 19 del 2022, n. 236 e n. 183 del 2021, n. 44 del 2020 e n.
128 del 2019), non e' fondata.
Infatti, nel giudizio di responsabilita' erariale il dovere del
giudice - espresso anche dall'art. 83, comma 2, cod. giust. contabile
- di considerare, ai fini della decisione sulla responsabilita' del
convenuto, le condotte di tutti i soggetti che possano aver concorso
al fatto dannoso, sebbene non evocati in giudizio dal PM, rende
almeno non manifestamente implausibile il ragionamento sotteso
all'ordinanza di rimessione; cio' che comporta la sufficiente
adeguatezza della motivazione sulla rilevanza (ex multis, sentenze n.
259, n. 236, n. 207, n. 181, n. 59 e n. 32 del 2021, n. 267, n. 224 e
n. 32 del 2020).
Una manifesta implausibilita' della motivazione dell'atto di
promovimento non potrebbe del resto essere predicata neppure avendo
riguardo agli ampi poteri istruttori tutt'ora riconosciuti
all'autorita' giudiziaria contabile dall'art. 94 cod. giust.
contabile, atteso che, in base alla prospettazione della Corte
rimettente, il vulnus principale sarebbe costituito non gia'
dall'impossibilita' di accertare compiutamente i fatti, quanto di
effettuare detto accertamento nel rispetto del principio del
contraddittorio e della parita' delle armi tra tutti i soggetti
coinvolti.
5.- All'esame delle questioni, e' opportuno premettere una
sintetica ricostruzione del complessivo quadro normativo di
riferimento nel quale si collocano le norme espresse dai primi due
commi della disposizione censurata.
6.- Sul piano sostanziale, occorre ricordare che, ancora
all'attualita', la responsabilita' amministrativa si fonda,
essenzialmente sull'art. 82, primo comma, del regio decreto 18
novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull'amministrazione del
patrimonio e sulla contabilita' generale dello Stato) secondo cui
«[l]'impiegato che per azione od omissione, anche solo colposa,
nell'esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, e'
tenuto a risarcirlo».
Tale responsabilita', la giurisdizione sulla quale e' demandata
dall'art. 103 Cost. alla Corte dei conti, si caratterizza per una
serie di aspetti peculiari rispetto alla concorrente responsabilita'
civile degli stessi agenti pubblici nei confronti
dell'amministrazione di appartenenza, rinveniente il proprio
fondamento negli artt. 28 Cost. e 22 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto
degli impiegati civili dello Stato), che impone al danneggiante il
risarcimento dei pregiudizi derivanti a terzi per effetto della
propria condotta in forza di un illecito contrattuale (art. 1218 del
codice civile) ovvero aquiliano (art. 2043 cod. civ.), rimessa al
giudice ordinario.
In particolare, come ha gia' sottolineato questa Corte, la
responsabilita' amministrativa o erariale e' connotata dalla
combinazione di elementi restitutori e di deterrenza (sentenze n. 355
del 2010, n. 453 e n. 371 del 1998), cio' che giustifica anche la
possibilita' di configurare la stessa solo in presenza di una
condotta, commissiva o omissiva, imputabile al pubblico agente per
dolo o colpa grave, al fine precipuo di determinare quanto del
rischio dell'attivita' debba restare a carico dell'apparato e quanto
a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale
da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva
della responsabilita' «ragione di stimolo, e non di disincentivo»
(sentenza n. 371 del 1998).
In realta', l'elemento soggettivo permea l'illecito erariale su
un piano piu' ampio, stante l'art. 83, primo comma, dello stesso r.d.
n. 2440 del 1923, secondo cui la Corte dei conti, «valutate le
singole responsabilita', puo' porre a carico dei responsabili tutto o
parte del danno accertato o del valore perduto».
In tale disposizione si concreta quello che e' comunemente
definito il «potere riduttivo» del giudice contabile che determina
una attenuazione della responsabilita' amministrativa, nei singoli
casi, rimessa a un potere del giudice, che, a tal fine, puo' anche
tener conto delle capacita' economiche del soggetto responsabile,
oltre che del comportamento, al livello della responsabilita' e del
danno effettivamente cagionato (sentenza n. 340 del 2001).
Vi e' dunque che, come ha ancora sottolineato questa Corte,
nell'ambito della responsabilita' amministrativa «l'intero danno
subito dall'Amministrazione, ed accertato secondo il principio delle
conseguenze dirette ed immediate del fatto dannoso, non e' di per se'
risarcibile e, come la giurisprudenza contabile ha sempre affermato,
costituisce soltanto il presupposto per il promovimento da parte del
pubblico ministero dell'azione di responsabilita' amministrativa e
contabile. Per determinare la risarcibilita' del danno, occorre una
valutazione discrezionale ed equitativa del giudice contabile, il
quale, sulla base dell'intensita' della colpa, intesa come grado di
scostamento dalla regola che si doveva seguire nella fattispecie
concreta, e di tutte le circostanze del caso, stabilisce quanta parte
del danno subito dall'Amministrazione debba essere addossato al
convenuto, e debba pertanto essere considerato risarcibile» (sentenza
n. 183 del 2007).
Un'altra caratteristica peculiare della responsabilita'
amministrativa, a seguito della novella operata dalla legge 14
gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e
controllo della Corte dei conti), e' la regola generale della
parziarieta' della stessa, atteso che, per un verso, ai sensi
dell'art. 1, comma 1-quater, «[s]e il fatto dannoso e' causato da
piu' persone, la Corte dei conti, valutate le singole
responsabilita', condanna ciascuno per la parte che vi ha preso», e,
per un altro, giusta il comma 1-quinquies, sono responsabili
solidalmente i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito
arricchimento o abbiano agito con dolo. Anche tale regola si
distingue da quella, salve diverse previsioni di legge, della
solidarieta' dell'obbligazione sul versante passivo operante nella
responsabilita' civile, contrattuale ed extracontrattuale (artt. 1292
e 2055 cod. civ.).
Nella giurisprudenza costituzionale la differente scelta ancora
una volta effettuata per la configurazione della responsabilita'
erariale e' stata ritenuta costituzionalmente legittima proprio
evidenziando che, per i pubblici dipendenti, la responsabilita' per
il danno ingiusto puo' essere oggetto di discipline differenziate
rispetto ai principi comuni in materia (sentenza n. 453 del 1998).
Da questi presupposti differenziati per l'affermazione della
responsabilita' del pubblico agente sul piano civile e contabile
deriva che l'azione di responsabilita' per danno erariale promossa
dal PM dinanzi alla Corte dei conti e quella di responsabilita'
civile promossa dalle singole amministrazioni interessate davanti al
giudice ordinario restano reciprocamente indipendenti, anche quando
investano i medesimi fatti materiali, poiche' la prima e' volta alla
tutela dell'interesse pubblico generale, al buon andamento della
pubblica amministrazione e al corretto impiego delle risorse, e la
seconda, invece, al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria
e integralmente compensativa, a tutela dell'interesse particolare
della amministrazione attrice (Corte di cassazione, sezioni unite
civili, ordinanze 23 novembre 2021, n. 36205 e 7 maggio 2020, n.
8634).
Cio' significa che un pubblico agente puo' essere convenuto
affinche' ne venga accertata la responsabilita' per entrambi i titoli
ovvero essere attinto da una soltanto delle due azioni, non
sussistendo i presupposti per l'esercizio di entrambe, senza
naturalmente che vi sia cumulo del danno risarcibile, erariale o
civile.
7.- Sul versante processuale, l'espressa previsione, da parte
dell'art. 82, primo comma, del r.d. n. 2440 del 1923, di una
responsabilita' - pure gia' in parte elaborata nella giurisprudenza
della Corte dei conti - che poteva fondarsi su illeciti non collegati
con fatti di gestione finanziaria-contabile, non si accompagno',
peraltro, almeno all'epoca e per lungo tempo, all'introduzione di un
rito diverso da quello che gia' regolava la responsabilita' degli
agenti contabili, costituente sino a quel momento l'unico modello di
processo contabile.
Il giudizio di responsabilita' amministrativa, in sostanza, e'
stato in origine disciplinato "per derivazione" da quello di conto e,
sul modello di questo, avente carattere marcatamente inquisitorio e
permeato dalla ricerca della verita' nell'interesse dell'erario, si
e' caratterizzato per decenni, nella vigenza dell'abrogato
regolamento di procedura, di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n.
1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi
alla Corte dei conti), tanto per la sostanziale assenza di
regolamentazione della fase pre-processuale affidata al PM, quanto
per gli ampi poteri cosiddetti sindacatori riconosciuti all'autorita'
giudiziaria.
7.1.- Per quel che maggiormente rileva ai fini dell'esame delle
questioni sollevate dall'ordinanza di rimessione, il potere del
giudice contabile di disporre la chiamata in causa di soggetti non
evocati nel giudizio di responsabilita' erariale dal PM era
espressamente contemplato dall'art. 47 del r.d. n. 1038 del 1933, il
cui secondo periodo stabiliva che «l'intervento puo' essere anche
ordinato dalla sezione d'ufficio, o anche su richiesta del
procuratore generale o di una delle parti ».
Tale norma era stata comunemente integrata nella prassi, ai sensi
dell'art. 26 del medesimo regio decreto - a mente del quale «[n]ei
procedimenti contenziosi di competenza della Corte dei conti si
osservano le norme e i termini della procedura civile in quanto siano
applicabili e non siano modificati dalle disposizioni del presente
regolamento» - dalla disciplina recata dall'art. 107 del codice di
procedura civile per l'intervento per ordine del giudice nel processo
civile.
Il potere del giudice di ordinare l'intervento del terzo quando
ritiene opportuno che il processo si svolga nei confronti di un terzo
al quale la causa e' comune ai sensi dell'art. 107 cod. proc. civ.,
ha plurime finalita', tra le quali, principalmente, evitare giudicati
contraddittori e attuare il principio di economia processuale (tra le
tante, Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 9
gennaio 2013, n. 315), nonche' scongiurare che il terzo subisca
l'efficacia riflessa della sentenza, contenente l'accertamento di un
fatto al medesimo comune, con un pregiudizio significativo al diritto
di difesa derivante dalla mancata partecipazione al giudizio (Corte
di cassazione, sezione lavoro, 13 dicembre 1982, n. 6850).
Nel processo civile, peraltro, l'intervento iussu iudicis ha una
valenza meramente residuale rispetto alle altre forme con le quali
puo' realizzarsi, anche al di fuori di una situazione di
litisconsorzio necessario, la partecipazione, su istanza di parte
(art. 106 cod. proc. civ.) o volontaria (art. 105 cod. proc. civ.),
di terzi nel giudizio pendente tra altri soggetti, realizzando di
conseguenza un cumulo soggettivo e questo anche in fattispecie di
litisconsorzio facoltativo (Corte di cassazione, sezione prima
civile, sentenza 13 marzo 2013, n. 6208).
7.2.- In seguito, a fronte dell'estensione del novero delle
garanzie del giusto processo contemplate dall'art. 111 Cost., ad
opera della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento
dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della
Costituzione), e' stata tuttavia messa in discussione, da parte della
stessa giurisprudenza contabile, la compatibilita' del potere
dell'autorita' giudiziaria, almeno nel processo di responsabilita'
amministrativa, di ordinare la chiamata in causa di soggetti non
evocati dal PM, con il principio dell'imparzialita' del giudice.
Questo indirizzo interpretativo, inizialmente non univoco, e'
divenuto maggioritario soprattutto a seguito dell'orientamento della
sezione centrale d'appello della Corte dei conti, che ha in piu'
occasioni ribadito, pur nella vigenza, all'epoca, dell'indicato art.
47 del regolamento di procedura, il quale prevedeva tale potere del
giudice, che quest'ultimo doveva ritenersi ormai incompatibile con la
necessaria imparzialita' del giudice pretesa dall'art. 111 Cost.
(Corte dei conti, sezione prima giurisdizionale centrale d'appello,
sentenza 13 luglio 2015, n. 435; sezione terza giurisdizionale
centrale d'appello, sentenze 21 aprile 2010, n. 316 e 30 settembre
2002, n. 300).
7.3.- Per altro verso non si puo' trascurare che, tuttavia, anche
dopo la citata novella dell'art. 111 Cost., questa Corte aveva
precisato che «gli artt. 14 e 26 del regolamento di procedura per i
giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con il regio decreto
13 agosto 1933, n. 1038 - e, per il tramite di quest'ultima
disposizione, l'art. 210 del codice di procedura civile - [...]
consentono alla Corte di ordinare alle parti di produrre gli atti e i
documenti ritenuti necessari alla decisione della controversia, e
quindi di richiedere l'esibizione dell'atto di archiviazione disposto
nei confronti di altri soggetti, concorrenti nel medesimo fatto
produttivo di responsabilita' amministrativa: al fine, all'esito di
quella esibizione, non solo di ordinare, se del caso, l'intervento in
causa dei concorrenti nella causazione del danno pubblico
(allargamento del contraddittorio non impedito dal fatto che la loro
posizione sia stata archiviata dal Procuratore regionale, non
formandosi il giudicato con l'archiviazione), ma anche,
eventualmente, di procedere ad una piu' esatta personalizzazione ed
individualizzazione della responsabilita' nei confronti di coloro che
sono stati citati a giudizio dal pubblico ministero, e cio' alla luce
del principio - ribadito dall'art. 1, comma 1-quater, della legge 14
gennaio 1994, n. 20 (aggiunto dall'art. 3 del decreto-legge 23
ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di
conversione) - secondo cui "se il fatto dannoso e' causato da piu'
persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilita',
condanna ciascuno per la parte che vi ha preso"» (ordinanza n. 261
del 2006).
8.- Ai fini della ricostruzione del quadro normativo di
riferimento, occorre considerare, poi, che la norma censurata e'
stata emanata a fronte della delega contenuta nell'art. 20 della
legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), avente ad oggetto,
come precisato nel comma 1, «il riordino e la ridefinizione della
disciplina processuale concernente tutte le tipologie di giudizi che
si svolgono innanzi la Corte dei conti, compresi i giudizi
pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte».
Piu' in particolare, nell'ambito dei principi di delega espressi
dal comma 2, lettera g), del predetto art. 20, volti a «riordinare la
fase istruttoria e dell'emissione di eventuale invito a dedurre in
conformita' ai seguenti principi», si colloca quello stabilito dal
numero 6), che demandava al Governo di contemplare la «preclusione in
sede di giudizio di chiamata in causa su ordine del giudice e in
assenza di nuovi elementi e motivate ragioni di soggetto gia'
destinatario di formalizzata archiviazione».
In virtu' del predetto principio di delega, il Governo ha emanato
l'art. 83 cod. giust. contabile, della cui legittimita'
costituzionale, rispetto ai primi due commi, dubita la Corte dei
conti, sezione giurisdizionale per la Campania, con riferimento agli
artt. 76, 3, 24, 81 e 111 Cost.
8.1.- In particolare, il comma 1 dell'art. 83 cod. giust.
contabile stabilisce, in termini generali, che «[n]el giudizio per
responsabilita' amministrativa e' preclusa la chiamata in causa per
ordine del giudice».
Sotto tale profilo, la norma ha codificato l'orientamento
affermato dalla giurisprudenza dominante della sezione centrale della
Corte dei conti ancora nella vigenza dell'art. 47 del regolamento di
procedura, la quale aveva ritenuto, come evidenziato, specie dopo le
modifiche operate dalla legge cost. n. 2 del 1999 all'art. 111 Cost.,
che la mancata chiamata in giudizio da parte del PM di soggetti nei
confronti dei quali lo stesso non avesse ritenuto di procedere con
l'azione di responsabilita' non comporta la necessaria integrazione
del contraddittorio iussu iudicis, ben potendo il giudice, senza
violare il principio della domanda e il proprio ruolo equidistante
tra le parti, compiere un accertamento incidentale di responsabilita'
al solo scopo dell'esatta determinazione delle quote di danno da
porre a carico dei soggetti evocati in giudizio (Corte dei conti,
sentenze n. 435 del 2015, n. 316 del 2010 e n. 300 del 2002).
Anche nella Relazione illustrativa al decreto legislativo del
2016 la scelta legislativa di introdurre il divieto di chiamata in
giudizio per ordine del giudice e' stata motivata nel senso che
«[...] costituisce la doverosa cerniera garantista tra fase
istruttoria e la fase del giudizio» e che «[...] consentire
un'integrazione del contraddittorio iussu iudicis, peraltro
"saltando" tutta la parte dell'esercizio delle garanzie difensive,
sarebbe ovviamente contraria ai principi del giusto processo oltre
che, [...], alla titolarita' esclusiva del potere di azione da parte
del pubblico ministero contabile».
8.2.- Per altro verso, nella formulazione originaria, il comma 2
dello stesso art. 83 del predetto decreto - anch'esso oggetto, nella
versione attuale, delle censure del giudice rimettente - stabiliva
che «[q]uando il fatto dannoso costituisce ipotesi di litisconsorzio
necessario sostanziale, tutte le parti nei cui confronti deve essere
assunta la decisione devono essere convenute nello stesso processo.
Qualora alcune di esse non siano state convenute, il giudice tiene
conto di tale circostanza ai fini della determinazione della minor
somma da porre a carico dei condebitori nei confronti dei quali
pronuncia sentenza».
La norma era apparsa di complessa lettura, stante la
contraddittorieta' logica nel ritenere possibile che un giudizio
prosegua sebbene non venga integrato il contraddittorio nei confronti
di litisconsorti necessari pretermessi, atteso che cio' condurrebbe,
in spregio al fondamentale principio di economia processuale, a una
sentenza inutiliter data.
Peraltro, il successivo decreto correttivo del codice di
giustizia contabile, varato con il d.lgs. n. 114 del 2019, ha
modificato il censurato comma 2 eliminando la possibilita' di
disporre d'ufficio l'evocazione in giudizio nelle fattispecie di
litisconsorzio necessario sostanziale.
La norma stabilisce, quindi, nella formulazione attinta dalle
censure del giudice a quo, che «[q]uando il fatto dannoso e' causato
da piu' persone e alcune di esse non sono state convenute nello
stesso processo, se si tratta di responsabilita' parziaria, il
giudice tiene conto di tale circostanza ai fini della determinazione
della minor somma da porre a carico dei condebitori nei confronti dei
quali pronuncia sentenza».
8.3.- Va poi considerato anche il comma 3 dello stesso art. 83
cod. giust. contabile, secondo cui, nel processo di responsabilita'
amministrativa, il giudice puo' ordinare la trasmissione degli atti
al pubblico ministero per le valutazioni di competenza «[s]oltanto
qualora nel processo emergano fatti nuovi rispetto a quelli posti a
base dell'atto introduttivo del giudizio [...] senza sospendere il
processo».
Si tratta di una situazione differente da quella all'esame della
Corte nella quale il PM contabile, pur senza disporne
l'archiviazione, aveva comunque vagliato la posizione dei terzi dei
quali era richiesta l'integrazione del contraddittorio.
In presenza di un fatto nuovo il collegio puo' trasmettere gli
atti al PM affinche' valuti, ai fini della proposizione di
un'eventuale azione di responsabilita', la posizione dei soggetti che
non aveva vagliato inizialmente.
Comunque, il pubblico ministero non puo' procedere nei confronti
di un soggetto gia' destinatario di formale provvedimento di
archiviazione, ovvero di soggetto per il quale, nel corso
dell'attivita' istruttoria precedente l'adozione dell'invito a
dedurre, sia stata valutata l'infondatezza del contributo causale
della condotta al fatto dannoso, salvo che l'elemento nuovo consista
in un fatto sopravvenuto, ovvero preesistente, ma dolosamente
occultato, e ne sussistano motivate ragioni.
In ogni caso - dispone il comma 4 dell'art. 83 - il PM non puo'
disporre la citazione a giudizio, se non previa notifica dell'invito
a dedurre di cui all'art. 67 cod. giust. contabile.
9.- Tutto cio' premesso, va esaminata, per priorita' logica, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2,
cod. giust. contabile sollevata in riferimento all'art. 76 Cost., la
quale non e' fondata.
10.- Il parametro interposto, per il tramite dell'art. 76 Cost.,
e' costituito dall'art. 20 della legge n. 124 del 2015, che ha
previsto la delega per il riordino della procedura dei giudizi
innanzi la Corte dei conti; delega in forza della quale e' stato
emanato il codice di giustizia contabile, e il successivo decreto
correttivo n. 114 del 2019.
Con specifico riferimento alla disposizione censurata dalla Corte
rimettente, per un verso, rileva in generale che il Governo sia stato
delegato ad adeguare le norme processuali all'epoca vigenti (quelle
del regolamento di procedura del 1933) alla giurisprudenza della
Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, coordinandole
con le norme del codice di procedura civile, espressione di principi
generali.
Per altro verso, in particolare, viene in rilievo la lettera g)
del comma 2 dell'art. 20 che ha contemplato il riordino della fase
dell'istruttoria del PM contabile.
Questa fase muove dalla notizia di danno, sempre che sia
connotata da «specificita' e concretezza», la quale attiva i poteri
istruttori del PM, che ha l'attribuzione esclusiva dell'azione di
responsabilita' amministrativa per danno erariale.
Un momento importante nella procedimentalizzazione di tale fase
e' l'emissione dell'invito a dedurre rivolto dal PM al soggetto
potenzialmente destinatario dell'azione di responsabilita'
amministrativa per danno erariale con audizione personale del
medesimo, se richiesta, e con riconoscimento della facolta' di
assistenza difensiva in favore di quest'ultimo.
L'esito possibile dell'attivita' istruttoria puo' essere
l'esercizio dell'azione di responsabilita' da parte del PM oppure
l'adozione di un formale provvedimento di archiviazione.
In questo contesto regolatorio dell'attivita' del PM si colloca
il piu' specifico criterio di delega (numero 6), che chiude il
catalogo di quelli (elencati nella lettera g del comma 2 dell'art.
20) relativi al riordino della fase istruttoria e che in particolare
la Corte rimettente assume essere stato violato.
Il legislatore delegato e' stato chiamato a introdurre nel codice
la «preclusione in sede di giudizio di chiamata in causa su ordine
del giudice». In riferimento a questo specifico criterio si appuntano
le censure della Corte rimettente.
Tale criterio esprime la scelta del legislatore delegante
diretta, da una parte, a centrare l'esercizio dell'azione di
responsabilita' ammnistrativa solo ed esclusivamente nell'iniziativa
del PM - cio' che ispira l'intero riordino dell'attivita' istruttoria
di quest'ultimo - e, d'altra parte, a superare l'assetto precedente,
risultante in particolare dall'art. 47 del regolamento di procedura
del 1933, che - per com'era letto dalla giurisprudenza della Corte
dei conti - assegnava al giudice un potere sindacatorio,
sostanzialmente correttivo dell'azione del pubblico ministero,
mediante l'ordine, a lui rivolto, di chiamare in giudizio un terzo
perche' rispondesse del medesimo danno erariale.
L'espressa esclusione, contenuta nel criterio di delega, della
chiamata in giudizio, su ordine del giudice, del terzo potenzialmente
corresponsabile, ma non convenuto in giudizio dal PM, supera,
infatti, la previsione dell'indicato art. 47 che per lungo tempo ha
governato i poteri officiosi del giudice nei giudizi di
responsabilita' amministrativa per danno erariale. Il comma 1
dell'art. 83 cod. giust. contabile - sia nell'originaria
formulazione, che contemplava un vero e proprio divieto per il
giudice, sia in quella introdotta dal decreto correttivo, che piu'
propriamente parla di una preclusione - riproduce questa scelta.
La preclusione della «chiamata in causa su ordine del giudice»,
di cui al criterio di delega in esame, piu' non consente quanto
disponeva l'art. 47, secondo cui, invece, «[l]'intervento puo' essere
anche ordinato dalla sezione, d'ufficio».
11.- Le censure della Corte rimettente si muovono lungo distinte
direttrici argomentative e si articolano in plurimi profili.
Innanzi tutto non puo' dirsi che il legislatore delegato abbia
operato in difformita' alla giurisprudenza costituzionale, si' da
violare - come assume la Corte rimettente - il (gia' ricordato)
criterio generale che richiedeva l'adeguamento a quest'ultima.
E' vero che questa Corte, con l'ordinanza n. 261 del 2006, nel
dichiarare la manifesta inammissibilita' della sollevata questione di
legittimita' costituzionale, aveva dato atto del diverso assetto
risultante dall'applicazione dell'art. 47, affermando che esso
consentiva al giudice di ordinare «l'intervento in causa dei
concorrenti nella causazione del danno pubblico (allargamento del
contraddittorio non impedito dal fatto che la loro posizione sia
stata archiviata dal Procuratore regionale, non formandosi il
giudicato con l'archiviazione)»; cio' al fine «di procedere ad una
piu' esatta personalizzazione ed individualizzazione della
responsabilita' nei confronti di coloro che sono stati citati a
giudizio dal pubblico ministero».
In tal modo, la mancanza di un controllo giurisdizionale sul
provvedimento di archiviazione del PM trovava un parziale
riequilibrio nel potere sindacatorio del giudice, che poteva,
d'ufficio, allargare il contraddittorio anche nei confronti di chi
non era stato destinatario dell'azione di responsabilita'
amministrativa.
Si tratta, pero', di un modulo processuale datato, non
coessenziale alla peculiarita' dello specifico giudizio di
responsabilita' amministrativa per danno erariale e anzi destinato a
essere rivisto in ragione dell'avvenuta esplicitazione in
Costituzione del principio di terzieta' del giudice (art. 111,
secondo comma, Cost.), come del resto, gia' prima dell'introduzione
del nuovo codice di rito, veniva affermandosi nel piu' recente
orientamento della giurisprudenza della Corte dei conti.
L'esercizio dei pur ampi poteri officiosi del giudice non puo'
comportare l'estensione soggettiva, iussu iudicis, dell'azione
promossa dal PM, che ne ha la piena disponibilita' secondo un
criterio di esclusivita', quale proiezione del principio della
domanda, tipico dell'ordinario codice di rito (art. 99 cod. proc.
civ.); principio che peraltro e' espressamente richiamato dallo
stesso codice di giustizia contabile (art. 7, comma 2).
Questa Corte ha affermato, in generale, che «[i]l nostro
ordinamento processuale civile e', sia pure in linea tendenziale e
non senza qualche eccezione, ispirato dal principio ne procedat judex
ex officio (sentenza n. 123 del 1970), cosi' da escludere che in capo
all'organo giudicante siano allocati anche significativi poteri di
impulso processuale» (sentenza n. 184 del 2013).
La Corte dei conti in sede giurisdizionale, se da una parte non
e' vincolata al provvedimento di archiviazione del PM, che non ha
natura giurisdizionale, dall'altra non puo' determinare (od
orientare) l'iniziativa di quest'ultimo, ne' supplire all'eventuale
mancato esercizio dell'azione.
Ed e' proprio cio' che ha voluto il legislatore delegante nel
disegnare un nuovo equilibrio tra PM e giudice nel giudizio di
responsabilita'; mentre - puo' rilevarsi marginalmente - nel giudizio
pensionistico, dove non c'e' l'attribuzione esclusiva dell'azione al
pubblico ministero, e' valorizzato l'interesse del terzo «ad opporsi
al ricorso», che attiva il potere del giudice di ordinare
l'integrazione del contraddittorio (art. 160-bis, comma 1, cod.
giust. contabile).
In coerente applicazione di questo criterio di delega, il
legislatore delegato ha posto la generale preclusione dell'art. 83,
comma 1, nella formulazione del decreto correttivo del 2019: «Nel
giudizio per responsabilita' amministrativa e' preclusa la chiamata
in causa per ordine del giudice».
12.- Il criterio di delega non e' violato neppure sotto
l'ulteriore profilo che la preclusione alla chiamata del terzo per
ordine del giudice non e' condizionata all'intervenuta adozione di
provvedimento di archiviazione che solo - nella prospettazione della
Corte rimettente - lo metterebbe al riparo dall'iniziativa officiosa
del giudice, in passato invece possibile (ordinanza n. 261 del 2006;
sentenza n. 415 del 1995).
E' vero che il suddetto criterio di delega - quello del numero 6)
della lettera g) del comma 2 dell'art. 20 citato, che preclude la
chiamata officiosa del terzo - prosegue: «e in assenza di nuovi
elementi e motivate ragioni di soggetto gia' destinatario di
formalizzata archiviazione».
Pero' la congiunzione coordinativa che lega le due proposizioni
del criterio non pone una condizione limitativa della preclusione
della chiamata officiosa del terzo, bensi' introduce una
specificazione parallela del criterio, che poi ha trovato attuazione
nel comma 3 dell'art. 83.
Una volta intervenuto un provvedimento formale di archiviazione,
non solo non e' possibile la chiamata del terzo per ordine del
giudice, ma la posizione del terzo diventa immune e schermata dal
provvedimento, pur trattandosi di una preclusione processuale e non
gia' di un giudicato sostanziale favorevole.
La regola generale e' che «[i]l pubblico ministero non puo'
comunque procedere nei confronti di soggetto gia' destinatario di
formale provvedimento di archiviazione», sempre che non si tratti di
«fatti nuovi rispetto a quelli posti a base dell'atto introduttivo
del giudizio». Tale e' il «fatto sopravvenuto, ovvero preesistente,
ma dolosamente occultato», sempre che «ne sussistano motivate
ragioni» (art. 83, comma 3).
In base alla medesima disposizione, il giudice che rilevi la
sussistenza di «fatti nuovi», tali da far ritenere la
corresponsabilita' di un terzo, non convenuto in giudizio, ha un
potere officioso (non gia' di chiamata in giudizio del terzo, bensi')
di "segnalazione" al pubblico ministero: «il giudice ordina la
trasmissione degli atti al pubblico ministero per le valutazioni di
competenza».
In definitiva l'art. 83, nella cadenza dei suoi commi, detta una
disciplina organica e pienamente coerente con il criterio di delega:
a) in generale - ossia in alcun caso - non e' possibile la chiamata
officiosa in giudizio del terzo, quand'anche ritenuto dal giudice
corresponsabile del danno erariale (comma 1); b) l'apporto causativo
del danno erariale ad opera del terzo puo' venire in rilievo solo per
dimensionare e quindi ridurre la responsabilita' di chi e' convenuto
in giudizio per iniziativa del PM (comma 2); c) la posizione del
terzo puo' essere rimessa in gioco a seguito di "segnalazione" del
giudice, sul presupposto della sussistenza di «fatti nuovi», ma solo
per iniziativa del PM (comma 3) e nel rispetto della fondamentale
garanzia del previo invito, al terzo, a dedurre e discolparsi (comma
4).
13.- Infine, il criterio di delega non e' violato neppure sotto
il profilo della portata generale della preclusione della chiamata
del terzo per ordine del giudice, tale non solo da superare il regime
di cui all'art. 47 del regolamento di procedura del 1933, ma anche da
non lasciare spazio al parallelo intervento per ordine del giudice di
cui all'art. 107 cod. proc. civ.
La Corte rimettente assume che il legislatore delegato sarebbe
andato oltre il criterio di delega perche' in tal modo non solo e'
risultata non piu' applicabile la chiamata del terzo per ordine del
giudice, di cui all'art. 47 citato, ma anche l'intervento del terzo
per ordine del giudice di cui all'art. 107 cod. proc. civ.,
disposizione in tesi applicabile per il tramite della richiamata
norma di rinvio (art. 7 cod. giust. contabile) alle disposizioni di
quel codice di rito, quale modello generale di riferimento.
In effetti, la portata testuale della preclusione non consente di
operare alcuna distinzione e quindi correttamente la Corte rimettente
assume che l'art. 107 cod. proc. civ., astrattamente applicabile ex
art. 7 cod. giust. contabile, in quanto riconducibile ai principi
generali del processo civile, vede sbarrato l'ingresso nel giudizio
di responsabilita' proprio dalla disposizione censurata.
In vero, c'e' una netta differenza tra la chiamata per ordine del
giudice ex art. 47 citato, che - per come e' stato interpretato dalla
giurisprudenza - comportava l'estensione dell'azione di
responsabilita' amministrativa al terzo chiamato, e l'intervento per
ordine del giudice ai sensi dell'art. 107 cod. proc. civ., che,
veicolato peraltro da una valutazione di "opportunita'" fatta dal
giudice stesso, lascia invece inalterati i presupposti soggettivi e
oggettivi della domanda, determinando solo l'estensione
dell'efficacia soggettiva dell'accertamento (Corte di cassazione,
sezione lavoro, sentenza 10 agosto 1996, n. 7436), salvo che non sia
la parte attrice ad estendere la domanda al terzo chiamato.
Non di meno c'e' da considerare che nel giudizio di
responsabilita' per danno erariale l'ordine del giudice sarebbe
diretto al PM, che dovrebbe notificare al terzo l'atto introduttivo
del giudizio, sicche' sarebbe pressoche' ineluttabile che ci sia
anche l'estensione al terzo della domanda risarcitoria, cosi'
riproponendosi, per altra via, il modello processuale dell'art. 47
del regolamento di procedura del 1933 che il legislatore delegante
chiaramente ha voluto superare.
Cio' rende coerente - sul piano dell'art. 76 Cost. - la
disposizione censurata al criterio direttivo e giustifica l'ampiezza
della preclusione posta dal comma 1 dell'art. 83, che non fa salva -
come invece vorrebbe la Corte rimettente - neppure la possibilita'
dell'intervento per ordine del giudice ai sensi dell'art. 107 cod.
proc. civ. In nessun caso il giudice puo' d'ufficio chiamare in
giudizio un terzo, o ordinarne l'intervento, sull'assunto di una sua
corresponsabilita' nella causazione del danno erariale. Puo' solo,
d'ufficio, segnalare al PM «fatti nuovi» che coinvolgano il terzo e
comunque puo' tener conto dell'apporto del terzo alla causazione del
danno erariale al fine di diminuire (o escludere) la responsabilita',
non solidale, dei soggetti convenuti in giudizio dal pubblico
ministero.
14.- In conclusione, non sussiste il denunciato eccesso di delega
sotto alcuno degli esaminati profili.
15.- Le ulteriori questioni poste con riferimento agli artt. 3,
24 e 111 Cost., che possono essere trattate congiuntamente in quanto
strettamente connesse, sono invece inammissibili.
16.- Il filo conduttore delle censure mosse dalla Corte
rimettente e' quello di un denunciato deficit di tutela del terzo, il
quale - come si e' detto - in nessun caso puo' essere chiamato in
giudizio per iniziativa officiosa del giudice, ma non di meno e'
interessato all'accertamento, che il giudice e' chiamato a compiere,
nel momento in cui il giudice stesso prefigura una sua
responsabilita' concorrente nella causazione del danno erariale,
seppur al solo fine di dimensionare la responsabilita' parziaria di
ciascun convenuto in giudizio, destinatario dell'azione promossa dal
PM.
Questa denunciata carenza di tutela - secondo la Corte rimettente
- ridonderebbe, al contempo, in violazione del principio di
eguaglianza (perche', «quando il fatto dannoso e' causato da piu'
persone ed alcune di esse non sono state convenute nello stesso
processo», queste ultime si troverebbero in una situazione
processualmente deteriore non potendo interloquire in giudizio); vi
sarebbe inoltre lesione del diritto di difesa (perche' la persona, la
cui condotta e' valutata in quanto causativa di danno erariale, non
avrebbe la possibilita' di discolparsi e di far sentire la sua voce);
sussisterebbe infine contrasto con il principio del giusto processo
(per l'ingiustificata asimmetria che connoterebbe un siffatto
giudizio).
17.- Orbene, se la ipotizzata corresponsabilita' del terzo deriva
da «fatti nuovi» e tali sono quelli che eccedono i fatti «posti a
base dell'atto introduttivo del giudizio», il terzo in realta' non
rimane estraneo, perche' cio' attiva il potere officioso del giudice
di segnalazione al PM, di cui si e' detto sopra.
In tale evenienza, il coinvolgimento del terzo, perche' risponda
del danno erariale cagionato ad una pubblica amministrazione,
richiede l'iniziativa del pubblico ministero, titolare del potere di
azione, nel rispetto delle garanzie procedimentali dell'istruttoria e
segnatamente dell'invito a dedurre, di cui all'art. 67 cod. giust.
contabile, che consente al terzo di discolparsi.
Il giudice, nell'investire il PM con la segnalazione della
posizione del terzo, non sospende il giudizio fin tanto che il
pubblico ministero non adotti le valutazioni di sua competenza.
Successivamente, ove sia esercitata l'azione anche nei confronti del
terzo, sara' possibile la riunione dei giudizi ai sensi dell'art. 84
cod. giust. contabile.
18.- Se invece la ipotizzata corresponsabilita' del terzo non
derivi da «fatti nuovi», ma da un diverso apprezzamento da parte del
giudice di fatti gia' valutati dal PM - sia che quest'ultimo abbia
adottato un formale provvedimento di archiviazione, sia anche che
egli abbia soltanto valutato l'infondatezza del contributo causale
della condotta del terzo al fatto dannoso - la struttura del giudizio
di responsabilita', esaminata, giustifica - per quanto sopra
argomentato - che il terzo non possa essere chiamato, per ordine del
giudice, a intervenire in giudizio. Cio' essenzialmente perche'
significherebbe un'inammissibile estensione officiosa della domanda
del pubblico ministero, in violazione del principio di attribuzione
esclusiva a quest'ultimo dell'azione di responsabilita' e senza la
garanzia, per il terzo, di una previa formale istruttoria e
soprattutto senza il previo invito, a quest'ultimo, a dedurre e a
discolparsi.
Pero', da una parte, c'e' che il terzo non e' estraneo alla
vicenda, oggetto del giudizio, nella misura in cui si ragiona anche
del suo apporto causale nel cagionare il danno erariale. Benche' sia
preclusa l'azione di responsabilita' nei suoi confronti, stante la
gia' effettuata valutazione "assolutoria" del pubblico ministero,
soprattutto se trasfusa in un provvedimento di archiviazione,
comunque sarebbe per il terzo pregiudizievole, anche sotto il profilo
dell'immagine, una pronuncia del giudice, il quale, sulla base di un
diverso apprezzamento dei fatti (non essendo, certamente, egli
vincolato alle valutazioni del PM), riducesse (o finanche escludesse)
la responsabilita' dei soggetti convenuti in giudizio dal pubblico
ministero per essere tale responsabilita', nella causazione del danno
erariale, ascrivibile in parte (o in tutto) al terzo.
D'altra parte, c'e' anche che, nella particolare fattispecie
della responsabilita' amministrativa per danno erariale, il terzo
rimane non di meno esposto, ricorrendone i presupposti, alla
eventualita' della domanda risarcitoria della PA danneggiata, la cui
iniziativa giudiziaria non sarebbe preclusa, in tesi, dal mancato
esercizio dell'azione del PM, ove anche cio' si fosse tradotto in un
formale provvedimento di archiviazione. La legittimazione
"concorrente" (o "colegittimazione"), del pubblico ministero e
dell'amministrazione creditrice, ad agire davanti a distinte
giurisdizioni per la tutela del credito, sub specie di possibile
danno erariale o civile, e' stata riconosciuta dalla giurisprudenza
(Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanze 10 dicembre
2020, n. 28183 e 19 luglio 2016, n. 14792).
Il caso del giudizio a quo e' emblematico: ove la Corte, adita
dal pubblico ministero contabile, ritenesse che il danno erariale e'
stato causato anche (o solo) da chi aveva in carico - per concessione
o affidamento del servizio - la riscossione dei canoni locatizi degli
immobili del Comune, ben potrebbe il Comune danneggiato far valere,
in un distinto e diverso giudizio ordinario, come tale non ricadente
nella giurisdizione della Corte dei conti, l'inadempimento colpevole
del terzo rispetto alle obbligazioni assunte.
Pertanto, sotto entrambi questi profili, non e' indifferente per
il terzo che il giudice, in ipotesi, per giustificare il
ridimensionamento della responsabilita' parziaria di ciascun
convenuto, o addirittura la ritenuta insussistenza di ogni sua
responsabilita', faccia riferimento all'apporto (concorrente o
finanche esclusivo) del terzo stesso nella causazione del danno
erariale.
Ma - una volta esclusi, sia la chiamata (ex art. 47 citato, ormai
abrogato), sia l'intervento (ex art. 107 cod. proc. civ., per la
preclusione posta dalla disposizione censurata) in giudizio del terzo
per ordine del giudice (per le ragioni sopra esaminate) -rimarrebbe
l'ipotesi di un'iniziativa volontaria del terzo stesso; la quale,
pero', implica la costruzione di una fattispecie processuale di
intervento in giudizio del terzo e, prima ancora, di una ipotesi di
segnalazione a quest'ultimo (denuntiatio litis), ad opera del giudice
stesso, in parallelismo alla gia' prevista segnalazione al PM dei
«fatti nuovi», perche' il terzo sia posto in condizione di conoscere
della controversia e di valutare le iniziative da prendere a sua
tutela.
Queste, pero', sono scelte di sistema, che vedono nel codice di
giustizia contabile solo una traccia, non sufficiente per un
intervento additivo di questa Corte: nel giudizio di responsabilita'
e' previsto l'intervento volontario di un terzo, ma solo in adesione
alla posizione del pubblico ministero (art. 85), e nel giudizio
pensionistico vi e' un'ipotesi di denuntiatio litis, ma solo in grado
di impugnazione (art. 183, comma 3, cod. giust. contabile, in
simmetria con la denuntiatio litis di cui all'art. 332, primo comma,
cod. proc. civ.).
Sono, in definitiva, scelte devolute al legislatore, il quale
«dispone di un'ampia discrezionalita' nella conformazione degli
istituti processuali, incontrando il solo limite della manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte compiute» (sentenza n.
58 del 2020); scelte, pertanto, precluse a questa Corte (ex plurimis,
sentenze n. 143 e n. 13 del 2022, n. 213, n. 148 e n. 87 del 2021 e
n. 80 del 2020).
Ne deriva, quindi, l'inammissibilita' delle esaminate questioni.
Tuttavia, il denunciato deficit di tutela del terzo, non
convenuto e il cui intervento in giudizio non puo' essere ordinato
dal giudice, ne' aversi su base volontaria senza aderire alla
posizione del PM, chiama il legislatore a intervenire nella materia
compiendo le scelte discrezionali ad esso demandate, quando si
discuta nel processo della concorrente responsabilita' del terzo
stesso, pur se al fine di accertare l'eventuale responsabilita'
parziaria dei soggetti convenuti in causa.
19.- Non fondata e' infine la dedotta violazione dell'art. 81
Cost., sotto il profilo di una possibile mancata integrale copertura
del danno erariale.
Il sistema, come sopra descritto, comporta che l'iniziativa per
far valere la responsabilita' amministrativa, al fine di conseguire
il risarcimento del danno erariale, e' attribuita esclusivamente al
PM contabile.
L'evenienza che il giudice ritenga la concorrente (o esclusiva)
responsabilita' di un terzo, non evocato in giudizio dal pubblico
ministero, appartiene all'ordinaria alea della controversia ed e'
compatibile con l'assetto processuale del giudizio di responsabilita'
voluto dal legislatore delegante, in ragione delle argomentazioni
sopra sviluppate, anche quando cio' comporta, in applicazione del
criterio della parziarieta' della responsabilita', una riduzione (o
finanche esclusione) della risarcibilita' del danno erariale da parte
dei soggetti convenuti, destinatari dell'azione del PM.
Ma cio' non determina alcun vulnus al parametro evocato dalla
Corte rimettente, atteso che la tendenziale integrita' del
risarcimento del danno erariale, subito dalla PA, e' assicurata, in
principio, proprio dall'ampiezza dell'azione del pubblico ministero,
integrata anche, in ipotesi, dalla segnalazione, ad opera del
giudice, di «fatti nuovi».
Residualmente poi - come gia' rilevato - rimane, ove ne
sussistano i presupposti, l'azione risarcitoria ordinaria della PA
danneggiata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2, dell'Allegato 1 (Codice di
giustizia contabile) al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174
(Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), come modificato dall'art. 44 del
decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114 (Disposizioni integrative
e correttive al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante
codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), sollevate, in riferimento agli
artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Campania, con l'ordinanza indicata in
epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2, cod. giust. contabile, come
modificato dall'art. 44 del d.lgs. n. 114 del 2019, sollevate, in
riferimento agli artt. 76 e 81 Cost., dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Campania, con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
