Contrasto alla ludopatia: illegittimita’ della sanzione fissa per violazione obblighi informativi.
CORTE COSTITUZIONALE 10 giugno – 23 settembre 2021 SENTENZA N. 185
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Gioco e scommesse - Misure di contrasto alla ludopatia - Obblighi a
carattere informativo sul rischio di dipendenza da gioco d'azzardo
- Inosservanza da parte del soggetto titolare della sala o del
punto di raccolta o di vendita dei giochi - Sanzione amministrativa
pecuniaria pari a cinquantamila euro - Violazione dei principi di
uguaglianza e di ragionevolezza nonche' lesione del diritto, anche
convenzionale, di proprieta' privata - Illegittimita'
costituzionale.
- Decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con
modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189, art. 7, comma
6, secondo periodo.
- Costituzione, artt. 3, 41 e 42, 117, primo comma; Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1; Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, artt. 16 e 17.
(GU n.39 del 29-9-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA,
Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 6,
del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un piu' alto livello di
tutela della salute), convertito, con modificazioni, nella legge 8
novembre 2012, n. 189, promosso dal Tribunale ordinario di Trapani,
nel procedimento vertente tra A. T. e l'Agenzia delle dogane e dei
monopoli - Ufficio dei monopoli per la Sicilia, con ordinanza del 27
novembre 2019, iscritta al n. 69 del registro ordinanze 2020 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima
serie speciale, dell'anno 2020.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2021 il Giudice
relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 27 novembre 2019, il Tribunale ordinario di
Trapani ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 7, comma 6, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante
un piu' alto livello di tutela della salute), convertito, con
modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189, nella parte in
cui, al secondo periodo, punisce con una sanzione amministrativa
pecuniaria pari a cinquantamila euro l'inosservanza delle
disposizioni di cui al comma 5 del medesimo articolo, denunciando la
violazione dell'art. 3 della Costituzione, «anche in combinato
disposto con gli art[t]. 41 e 42 Cost.», nonche' dell'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e
agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007.
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del giudizio
di opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione con la quale l'Agenzia
delle dogane e dei monopoli aveva irrogato al titolare di un bar, nel
quale era ubicato un apparecchio da gioco, la sanzione amministrativa
pecuniaria di cinquantamila euro per la violazione dell'art. 7, commi
5 e 6, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito.
A seguito di ispezione nei locali del bar, si era infatti
accertato che - pur essendo presente nell'esercizio commerciale
materiale informativo sul rischio di dipendenza dalla pratica di
giochi con vincita in denaro, e sebbene sull'apparecchio da gioco
fossero applicate formule di avvertimento sul medesimo rischio - non
risultavano pero' esposte, all'interno della sala, apposite targhe
contenenti analogo avvertimento.
Veniva, quindi, contestata la violazione dell'art. 7, comma 5,
del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, il quale, dopo aver
stabilito che «[f]ormule di avvertimento sul rischio di dipendenza
dalla pratica di giochi con vincite in denaro [...] devono [...]
figurare sulle schedine ovvero sui tagliandi di tali giochi»,
ulteriormente prevede che «[l]e medesime formule di avvertimento
devono essere applicate sugli apparecchi di cui all'articolo 110,
comma 6, lettera a), del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e
successive modificazioni»; che «le stesse formule devono essere
riportate su apposite targhe esposte nelle aree ovvero nelle sale in
cui sono installati i videoterminali di cui all'articolo 110, comma
6, lettera b), del predetto testo unico di cui al regio decreto n.
773 del 1931, nonche' nei punti di vendita in cui si esercita come
attivita' principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi, anche
ippici, e non sportivi»; che, infine, «i gestori di sale da gioco e
di esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici, ovvero di
scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, sono
tenuti a esporre, all'ingresso e all'interno dei locali, il materiale
informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali, diretto a
evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul
territorio dei servizi di assistenza pubblici e del privato sociale
dedicati alla cura e al reinserimento sociale delle persone con
patologie correlate alla G.A.P.» (ossia alla sindrome da gioco con
vincita in denaro). Ai sensi del successivo comma 6, l'inosservanza
di tali disposizioni e' punita con una sanzione amministrativa
pecuniaria pari a cinquantamila euro irrogata nei confronti del
concessionario, ovvero del solo titolare della sala o del punto di
raccolta dei giochi, quanto alle violazioni relative agli apparecchi
di cui all'art. 110, comma 6, lettere a) e b), del regio decreto 18
giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza), ovvero ancora del solo titolare del punto
vendita, se diverso dal concessionario, per le violazioni nei punti
vendita in cui si esercita come attivita' principale l'offerta di
scommesse.
Con l'atto di opposizione all'ordinanza-ingiunzione, la parte
opponente deduceva che l'ispezione era stata effettuata dal personale
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli in un momento nel quale il
titolare del bar non era in loco, essendo presente solo sua sorella,
la quale ignorava dove fosse collocata la targa di avvertimento, che
pure esisteva. Dopo l'allontanamento degli ispettori, essa era stata,
in effetti, rinvenuta dietro un raccoglitore di prodotti.
Cio' premesso, l'opponente eccepiva preliminarmente
l'illegittimita' costituzionale della norma sulla cui base era stato
emesso il provvedimento impugnato, a fronte del carattere
sproporzionato e fisso della sanzione da essa prevista. In subordine,
chiedeva di dichiarare la violazione insussistente, dovendosi
intendere gli obblighi previsti dall'art. 7, comma 5, del d.l. n. 158
del 2012 come alternativi e non cumulativi. Eccepiva, infine, vizi
formali dell'ordinanza-ingiunzione e la violazione del termine per la
conclusione del procedimento amministrativo di cui all'art. 2 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
1.2.- Ad avviso del giudice a quo, la rilevanza delle questioni
di legittimita' costituzionale risulterebbe evidente, non potendo la
risoluzione della controversia prescindere dall'applicazione della
norma sanzionatoria censurata.
Quest'ultima non si presterebbe, d'altro canto, ad una
interpretazione costituzionalmente orientata, stante il suo chiaro
tenore testuale. La disposizione dell'art. 11 della legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che consente la
determinazione della sanzione in base alla gravita' della violazione,
all'opera svolta dall'agente per la eliminazione o attenuazione delle
conseguenze della violazione, nonche' alla personalita' dello stesso
e alle sue condizioni economiche, e' espressamente riferita, infatti,
ai casi in cui la sanzione debba essere determinata tra un limite
minimo e un limite massimo stabilito dalla legge. Di conseguenza,
quando - come nella specie - la sanzione sia prevista in misura
fissa, il giudice dell'opposizione non avrebbe alcuna possibilita' di
procedere a una sua riduzione.
Neppure parrebbero esservi ragionevoli prospettive di
accoglimento degli altri motivi di opposizione, formulati, peraltro,
solo in via subordinata rispetto all'eccezione di illegittimita'
costituzionale. Le circostanze di fatto dedotte dall'opponente (in
particolare, quella della presenza nel locale della targa di cui si
tratta, che sarebbe pero' scivolata a terra in modo da non risultare
visibile) apparirebbero prive di rilievo, stante la chiarezza della
prescrizione secondo cui le targhe devono essere «esposte». L'art. 7,
comma 5, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, sarebbe altresi'
chiaro nel prevedere come cumulative, e non come alternative, le
prescrizioni rivolte ai titolari di esercizi commerciali in cui siano
collocate macchine da gioco. L'ordinanza-ingiunzione non
presenterebbe, infine, i vizi formali denunciati; ne', in base al
costante orientamento della giurisprudenza di legittimita' sul punto,
sarebbe possibile ravvisare la violazione del termine di cui all'art.
2 della legge n. 241 del 1990.
1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il
rimettente osserva come questa Corte - in particolare, con la
sentenza n. 112 del 2019 - abbia riconosciuto che il principio di
proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita' dell'illecito
risulta applicabile anche alle sanzioni amministrative, trovando,
rispetto a queste, la sua base normativa nell'art. 3 Cost., in
combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti
volta a volta incisi dalla sanzione.
La norma censurata non risulterebbe, peraltro, rispettosa di tale
principio.
Essa - prosegue il rimettente - si inscrive nell'ambito di un
complesso di interventi legislativi intesi a tutelare la salute
pubblica in confronto alla crescente diffusione del fenomeno della
ludopatia, vale a dire della dipendenza dalla pratica del gioco con
vincite in denaro. Nonostante l'«alto rango» del bene giuridico
tutelato, sarebbe pero' lecito dubitare della legittimita'
costituzionale della norma, la quale prevede una sanzione di
«eccezionale severita'» e non graduabile in funzione della concreta
gravita' dell'illecito.
Tale «automatismo sanzionatorio» si porrebbe in contrasto con il
principio di eguaglianza, impedendo di adeguare la risposta punitiva
agli specifici comportamenti messi in atto nella commissione
dell'illecito, con il risultato di allineare nel medesimo trattamento
punitivo fatti di disvalore sensibilmente diverso. La sanzione in
questione si applica, infatti, indiscriminatamente, senza distinguere
secondo che sia stata violata una sola o piu' di una delle
prescrizioni, secondo il numero di macchine da gioco presenti nel
locale e secondo la collocazione dell'esercizio commerciale e i suoi
orari di apertura al pubblico; elementi tutti che influirebbero sul
grado di offensivita' della condotta.
Sotto altro profilo, la sanzione di cui si tratta apparirebbe
irragionevole, in quanto sproporzionata rispetto a quella prevista
per fattispecie di non minore gravita', come quella di cui all'art.
24, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che punisce con
sanzione da cinquemila a ventimila euro chi consente la
partecipazione ai giochi pubblici a minori di anni diciotto.
La norma denunciata si porrebbe, infine, in contrasto con l'art.
3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 41 e 42 Cost., nonche'
con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 Prot.
addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE, «quali norme che in ambito
europeo tutelano il diritto di proprieta' e il diritto d'impresa». La
sanzione prevista potrebbe, infatti, incidere irragionevolmente, sia
sul diritto di proprieta' dell'autore dell'illecito, sia sul diritto
di esercitare liberamente un'attivita' d'impresa, essendo in grado di
determinare, per il suo importo, «un'irreversibile crisi aziendale»,
almeno nei casi in cui l'esercizio commerciale sia di modeste
dimensioni.
2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente
inammissibili o, comunque sia, non fondate.
2.1.- L'Avvocatura dello Stato rileva come il Tribunale
rimettente abbia correttamente individuato la ratio della norma
censurata nella primaria necessita' di tutelare il fondamentale
diritto alla salute in confronto alla «non prevista e per certi versi
devastante» diffusione del fenomeno sociale del "gioco patologico".
Tale fenomeno ha richiesto ripetuti e sempre piu' stringenti
interventi, tanto di rango normativo primario - nell'ambito dei quali
si inserisce quello oggetto dell'odierno scrutinio -, «quanto a
livello di attivita' amministrativa»: interventi che si porrebbero in
sintonia anche con il diritto dell'Unione europea e con la
giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. Sugli
interventi in parola si sarebbero altresi' espresse favorevolmente,
pur nell'inevitabile bilanciamento con altri diritti
costituzionalmente tutelati, sia questa Corte (sono citate le
sentenze n. 108 del 2017 e n. 300 del 2011), sia la giurisprudenza
amministrativa.
2.2.- Emergerebbe da cio' un profilo preliminare di
inammissibilita' delle questioni.
Il rimettente si sarebbe, infatti, limitato a denunciare
l'illegittimita' costituzionale della norma censurata, senza indicare
in alcun modo se e come la lacuna conseguente alla sua ablazione
possa essere colmata: con la conseguenza che comportamenti «di
incontestabile gravita'», quali quelli considerati - incidenti sulla
tutela del diritto alla salute - rimarrebbero privi di qualsiasi
risposta sanzionatoria.
Verrebbe pertanto a crearsi, «inammissibilmente», una situazione
di vuoto normativo, «che non potrebbe essere colmato da altra
disposizione vigente se non attraverso l'intervento additivo della
Corte - pero', non consentito - in attesa di una nuova previsione
legislativa».
2.3.- Nel merito, le questioni risulterebbero, in ogni caso, non
fondate.
La difesa dello Stato rileva come questa Corte, pur riconoscendo
al legislatore un'ampia discrezionalita' nelle scelte in materia
sanzionatoria, ritenga le stesse sindacabili ove caratterizzate da
evidente illogicita' e irragionevolezza, anche nel confronto con le
soluzioni adottate in rapporto ad altre fattispecie: cio' anche al
fine di evitare il venir meno di qualsiasi proporzionalita' tra la
sanzione prevista e la gravita' dei fatti sanzionati.
Cio' non comporta, tuttavia, che la previsione di una sanzione in
misura fissa possa essere ritenuta, per cio' solo, illogica e
irrazionale, come attesta il fatto che sanzioni di questo genere
abbiano in piu' occasioni superato il vaglio di questa Corte.
La sanzione di cui oggi si discute - sebbene di importo
«relativamente consistente» - non apparirebbe, in effetti,
manifestamente eccessiva o sproporzionata.
Posto che essa e' irrogata a soggetti che operano sul mercato
come imprenditori «e quindi certamente dotati di non modesti mezzi
economici», la sua severita' risulterebbe giustificata dalla
"sensibilita'" della materia e dalla gravita' dei comportamenti posti
in essere, atti a provocare seri danni ai singoli e alla
collettivita' (con vantaggio, peraltro, dei soggetti sanzionati, in
quanto interessati a non distogliere l'utente dal gioco).
La previsione della sanzione in misura fissa discenderebbe,
d'altro canto, dalla valutazione compiuta dal legislatore in ordine
alla sostanziale equivalenza dei comportamenti sanzionati, quanto a
bene giuridico offeso e intento illecito. Il disvalore delle varie
condotte (mancata apposizione della targa sugli apparecchi di
intrattenimento, nella sala, e via dicendo) potrebbe bene essere
ritenuto, infatti, sostanzialmente uniforme, trattandosi di
comportamenti «sovente anche assimilabili nella loro materialita', e
tutti teleologicamente "unificati" dalla finalita' indicata». In ogni
caso, una simile valutazione, non palesemente illogica, rientrerebbe
nella discrezionalita' del legislatore.
Andrebbe tenuto conto, inoltre, del fatto che la normativa
vigente (art. 16 della legge n. 689 del 1981) consente, anche nel
caso in esame, di temperare l'afflittivita' della sanzione tramite il
pagamento in misura ridotta (un terzo).
2.4.- Erroneo risulterebbe, poi, il riferimento del rimettente -
quale tertium comparationis - alla sanzione prevista dall'art. 24,
comma 21, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, nei confronti di
chi consente la partecipazione ai giochi pubblici a minori di anni
diciotto: comportamento, secondo il giudice a quo, di maggiore
gravita'.
A prescindere dall'opinabilita' di una simile valutazione, il
Tribunale rimettente non avrebbe considerato che, se pure la
disposizione citata prevede una sanzione amministrativa pecuniaria
inferiore (da cinquemila a ventimila euro), essa stabilisce che a
quella sanzione si aggiunga, anche nel caso di pagamento in misura
ridotta, «la chiusura dell'esercizio commerciale, del locale o,
comunque, del punto di offerta del gioco da dieci fino a trenta
giorni». La sanzione irrogata nel caso in questione risulterebbe,
quindi, nel suo complesso, assai piu' grave di quella prevista dalla
norma censurata, a conferma del fatto che il legislatore ha stabilito
sanzioni diverse per comportamenti differenti.
2.5.- Quanto, infine, all'ipotizzato contrasto con gli artt. 41,
42 e 117, primo comma, Cost. - quest'ultimo in relazione all'art. 1
Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE - le questioni
risulterebbero inammissibili, «consistendo in una mera petizione di
principio».
Il rimettente si sarebbe limitato, infatti, ad affermare che la
sanzione censurata potrebbe irragionevolmente incidere sul diritto di
proprieta' e sul diritto di impresa, essendo in grado di determinare
«un'irreversibile crisi aziendale», almeno quando l'esercizio
commerciale sia di dimensioni modeste. La censura risulterebbe,
quindi, formulata «in via del tutto ipotetica e generale, senza alcun
supporto fattuale e giuridico concreto». Essa apparirebbe, anzi,
«illogica con riferimento ad operatori di un mercato, quale quello
dei giochi, nel quale operano soggetti concessionari
dell'Amministrazione e necessariamente solvibili».
Le questioni sarebbero, in ogni caso, anch'esse non fondate,
essendo pacifico, alla luce della giurisprudenza nazionale ed
europea, che diritti quali quelli evocati dal rimettente possono
essere limitati in funzione della tutela del diritto alla salute,
purche' in base a scelte ragionevoli, quale quella di cui si discute.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Trapani dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 6, del decreto-legge 13 settembre
2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del
Paese mediante un piu' alto livello di tutela della salute),
convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189,
nella parte in cui, al secondo periodo, punisce con una sanzione
amministrativa pecuniaria pari a cinquantamila euro l'inosservanza
delle disposizioni di cui al comma 5 del medesimo articolo, le quali
prevedono, a carico di coloro che offrono giochi o scommesse con
vincite in denaro, una serie di obblighi a carattere informativo,
intesi a porre sull'avviso il fruitore riguardo ai rischi di
dipendenza da una simile pratica.
Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe,
anzitutto, l'art. 3 della Costituzione, per contrasto con il
principio di eguaglianza. Prevedendo una sanzione fissa di
«eccezionale severita'», essa non consentirebbe, infatti, di graduare
la risposta sanzionatoria in rapporto al disvalore delle singole
violazioni, il quale potrebbe risultare significativamente diverso in
relazione alle circostanze del caso concreto.
La disposizione denunciata si porrebbe in contrasto anche con il
principio di ragionevolezza, desumibile dallo stesso art. 3 Cost.,
apparendo la sanzione in discorso sproporzionata rispetto a quella
contemplata per altre fattispecie di non minore gravita', quale
quella di cui all'art. 24, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111,
che punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila a
ventimila euro chi consente la partecipazione ai giochi pubblici a
minori di anni diciotto.
Il rimettente denuncia, da ultimo, la violazione dell'art. 3
Cost. in combinato disposto con gli artt. 41 e 42 Cost., nonche'
dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del
Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmato a
Parigi il 20 marzo 1952, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, «quali
norme che in ambito europeo tutelano il diritto di proprieta' e il
diritto d'impresa». La sanzione in questione, in ragione del suo
importo, potrebbe, infatti, incidere irragionevolmente, sia sul
diritto di proprieta' dell'autore dell'illecito, sia sul suo diritto
di esercitare liberamente un'attivita' di impresa, essendo in grado
di provocare una «irreversibile crisi aziendale», almeno quando
l'esercizio commerciale coinvolto sia di modeste dimensioni, come nel
caso oggetto del giudizio a quo.
2.- La norma denunciata si colloca nell'articolato quadro delle
misure intese a contrastare il fenomeno - diffusosi in parallelo al
progressivo aumento dell'offerta ludica consentita, sino ad assumere
dimensioni allarmanti - della "dipendenza da gioco d'azzardo"
(cosiddetto gioco d'azzardo patologico o ludopatia): «fenomeno da
tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento,
assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e
all'alcoolismo» (sentenza n. 108 del 2017), con riflessi, talvolta
gravi, sulle capacita' intellettive, di lavoro e di relazione di chi
ne e' affetto, e con ricadute negative altrettanto rilevanti sulle
economie personali e familiari.
Esclusa dal legislatore una risposta di tipo "proibizionistico",
le misure considerate si muovono su una pluralita' di piani.
Vi rientrano, cosi', le misure di "prevenzione logistica",
prefigurate dall'art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, come
convertito, e ampiamente diffuse a livello di legislazione regionale,
consistenti nell'imposizione di distanze minime delle sale da gioco
rispetto a luoghi cosiddetti "sensibili": frequentati, cioe', da
categorie di soggetti che si presumono particolarmente vulnerabili -
per le loro condizioni personali - di fronte «alla capacita'
suggestiva dell'illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e
facili guadagni» (sentenza n. 300 del 2011).
Una misura piu' radicale e' prevista al fine di tutelare i minori
di eta', i quali non possono essere ammessi a partecipare ai giochi
pubblici con vincita in denaro: precetto la cui violazione e'
sanzionata, in capo al titolare dell'esercizio commerciale, del
locale o del punto di offerta del gioco, con la sanzione
amministrativa pecuniaria da cinquemila a ventimila euro e con la
chiusura dell'esercizio, del locale o del punto di offerta da dieci a
trenta giorni, nonche' con la revoca di qualsiasi autorizzazione o
concessione nel caso di commissione di tre violazioni nel corso di un
triennio (art. 24, commi 20 e 21, del d.l. n. 98 del 2011, come
convertito).
La legge ha, inoltre, dapprima fortemente limitato la pubblicita'
concernente i giochi con vincite in denaro, punendo il committente
del messaggio pubblicitario non consentito e il proprietario del
mezzo di diffusione con una sanzione amministrativa da centomila a
cinquecentomila euro (art. 7, commi 4 e 6, primo periodo, del d.l. n.
158 del 2012, come convertito); successivamente, ha vietato la
pubblicita' relativa, tanto ai giochi, quanto alle scommesse, pena il
pagamento di una sanzione di importo pari al venti per cento del
valore della sponsorizzazione o della pubblicita' e in ogni caso non
inferiore, per ogni violazione, a cinquantamila euro (art. 9 del
decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante «Disposizioni urgenti
per la dignita' dei lavoratori e delle imprese», convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96).
In questo contesto, si e' anche inteso responsabilizzare i
concessionari del gioco e i titolari delle sale, introducendo in capo
a essi obblighi di informazione sui rischi di cadere nella
dipendenza: il riferimento e' proprio alle prescrizioni di cui
all'art. 7, comma 5, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, la
cui inosservanza e' punita dalla norma censurata nel presente
giudizio.
Il citato art. 7, comma 5, prevede, in particolare, che formule
di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con
vincite in denaro debbano figurare (unitamente all'indicazione delle
relative probabilita' di vincita) sulle schedine, ovvero sui
tagliandi di tali giochi; che le medesime formule di avvertimento
debbano essere applicate sugli apparecchi da gioco di cui all'art.
110, comma 6, lettera a), del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773
(Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza); che
esse debbano essere altresi' riportate su apposite targhe esposte
nelle aree o nelle sale in cui sono installati i videoterminali per
il gioco di cui all'art. 110, comma 6, lettera b), del r.d. n. 773
del 1931 (d'ora in avanti: TULPS), nonche' nei punti di vendita in
cui si esercita come attivita' principale l'offerta di scommesse su
eventi sportivi e non; che debbano inoltre comparire, in modo
chiaramente leggibile, all'atto di accesso ai siti internet destinati
all'offerta di giochi con vincite in denaro; che, infine, i gestori
di sale da gioco e di esercizi, in cui vi sia offerta di giochi
pubblici o scommesse, debbano esporre, all'ingresso e all'interno dei
locali, il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie
locali, diretto a porre in evidenza i rischi correlati al gioco e a
segnalare la presenza sul territorio dei servizi di assistenza
dedicati alla cura e al reinserimento sociale delle persone con
patologie collegate al gioco d'azzardo.
Il successivo comma 6 dell'art. 7 del d.l. n. 158 del 2012, oggi
censurato, dopo aver previsto, al primo periodo, la sanzione per la
violazione delle limitazioni ai messaggi pubblicitari di cui in
precedenza si e' detto, al secondo periodo - che e' quello contro il
quale, in effetti, specificamente si rivolgono le doglianze del
giudice rimettente - stabilisce che l'inosservanza delle disposizioni
di cui al comma 5 e' punita con una sanzione amministrativa
pecuniaria pari a cinquantamila euro. Tale sanzione si applica nei
confronti del concessionario del gioco pubblico; ovvero, per le
violazioni relative agli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6,
lettere a) e b), TULPS, nei confronti del solo soggetto titolare
della sala o del punto di raccolta dei giochi; ovvero ancora, per le
violazioni realizzate nei punti di vendita in cui si esercita come
attivita' principale l'offerta di scommesse, nei confronti del
titolare del punto vendita, se diverso dal concessionario.
Sulla materia e' poi tornato anche l'art. 9-bis del d.l. n. 87
del 2018, come convertito, stabilendo che avvertenze relative ai
rischi connessi al gioco d'azzardo debbano figurare nei tagliandi
delle lotterie istantanee (comma 1) e ribadendo che omologhe formule
di avvertimento debbano essere applicate sugli apparecchi da gioco e
nelle aree e nei locali in cui questi sono installati (comma 4),
senza, peraltro, che cio' implichi abrogazione implicita del citato
art. 7, comma 5, del d.l. n. 158 del 2012, il cui disposto viene
espressamente lasciato «fermo» (comma 5).
3.- Cio' posto, l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
l'inammissibilita' delle questioni, sul rilievo che il giudice a quo
si sarebbe limitato a denunciare l'illegittimita' costituzionale
della norma censurata, senza affatto indicare se e come la lacuna che
conseguirebbe alla sua ablazione possa essere colmata: con il
risultato che, ove le questioni fossero accolte, comportamenti «di
incontestabile gravita'», quali quelli considerati, incidenti sulla
tutela del fondamentale diritto alla salute, rimarrebbero privi di
qualsiasi sanzione. Verrebbe pertanto a crearsi, «inammissibilmente»,
un vuoto normativo, non colmabile - in attesa di una nuova previsione
legislativa - «da altra disposizione vigente se non attraverso
l'intervento additivo [di questa] Corte»: intervento da ritenere,
«pero', non consentito».
L'eccezione non e' fondata.
In linea di principio, per risalente rilievo di questa Corte, non
puo' essere ritenuta «preclusiva della declaratoria di illegittimita'
costituzionale delle leggi la carenza di disciplina [...] che da essa
puo' derivarne, in ordine a determinati rapporti (sentenza n. 59 del
1958)» (sentenza n. 242 del 2019). Spettera' - laddove ne ricorrano
le condizioni - ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari
corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli strumenti
ermeneutici a loro disposizione, e, comunque sia, al legislatore
provvedere a disciplinare, nel modo piu' sollecito e opportuno, gli
aspetti che - in conseguenza della decisione stessa - apparissero
bisognevoli di apposita regolamentazione (sentenza n. 113 del 2011).
Tale principio e' riferibile - con la riserva di cui subito
appresso si dira' - anche ai casi in cui lo scrutinio di legittimita'
costituzionale verta su una norma sanzionatoria e le censure
investano l'entita' o la strutturazione del trattamento punitivo.
Questa Corte, nelle prime occasioni in cui dichiaro'
costituzionalmente illegittima una disposizione penale in ragione
della sua cornice edittale, non esito', in effetti, a rimuovere
puramente e semplicemente la norma sottoposta a scrutinio, lasciando
al legislatore il compito di rimodulare la sanzione in accordo con i
principi costituzionali (sentenza n. 218 del 1974, con cui fu
censurata l'omologazione, nel medesimo trattamento sanzionatorio, di
violazioni di gravita' palesemente diversa in tema di obbligo di
assicurazione per l'esercizio dell'attivita' venatoria; analogamente,
sentenza n. 176 del 1976).
L'esigenza di far ricorso a una pronuncia di tipo manipolativo,
che sostituisca la sanzione censurata con altra conforme a
Costituzione, si pone imprescindibilmente solo allorche' la lacuna di
punibilita' che conseguirebbe a una pronuncia ablativa, non colmabile
tramite l'espansione di previsioni sanzionatorie coesistenti, si
riveli foriera di «insostenibili vuoti di tutela» per gli interessi
protetti dalla norma incisa (sentenza n. 222 del 2018): come, ad
esempio, quando ne derivasse una menomata protezione di diritti
fondamentali dell'individuo o di beni di particolare rilievo per
l'intera collettivita' rispetto a gravi forme di aggressione, con
eventuale conseguente violazione di obblighi costituzionali o
sovranazionali. In simili ipotesi, il vuoto normativo conseguente
alla rimozione pura e semplice della disposizione scrutinata non
sarebbe tollerabile, neppure temporaneamente: cio', tanto piu' alla
luce della considerazione che un intervento legislativo inteso a
colmare la lacuna, per quanto immediato, opererebbe, di necessita',
solo per il futuro (stante l'inderogabile principio di
irretroattivita' della norma sfavorevole in materia punitiva). Esso
non avrebbe, quindi, alcun effetto sui fatti pregressi, i quali, a
seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale,
diverrebbero automaticamente e definitivamente privi di ogni rilievo
penale, persino in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna,
i cui effetti verrebbero a cessare (art. 30, quarto comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale»): disciplina, questa, da
ritenere riferibile anche ai fatti colpiti con sanzioni
amministrative a carattere punitivo (sentenza n. 68 del 2021).
E' in tali casi che la rimozione del vulnus costituzionale resta
necessariamente condizionata all'individuazione di soluzioni
sanzionatorie che - nel rispetto dei limiti ai poteri di questa
Corte, che escludono interventi di tipo "creativo" - possano
sostituirsi a quella censurata: soluzioni rinvenibili - secondo la
piu' recente giurisprudenza della Corte stessa, ispirata
dall'esigenza di evitare la creazione di "zone franche" intangibili
dal controllo di legittimita' costituzionale - anche fuori dal
tradizionale schema delle "rime obbligate", facendo leva su «precisi
punti di riferimento» offerti dal sistema normativo vigente, anche
alternativi tra loro, salvo un sempre possibile intervento
legislativo di segno differente, purche' rispettoso della
Costituzione (sentenze n. 40 del 2019, n. 222 del 2018 e n. 236 del
2016; nello stesso senso, sentenza n. 99 del 2019).
Una simile ipotesi non e', peraltro, ravvisabile nella
fattispecie oggetto dell'odierno giudizio. La tutela della salute,
nella cui cornice si inscrivono le misure intese a contrastare il
gioco d'azzardo patologico (sentenze n. 27 del 2019, n. 108 del 2017
e n. 300 del 2011), e' obiettivo di sicuro rilievo costituzionale e i
precetti sanzionati dalla norma censurata sono in grado di svolgere
un ruolo indubbiamente apprezzabile in questo contesto. Nondimeno, si
resta pur sempre di fronte a condotte sensibilmente antecedenti la
concreta offesa all'interesse protetto: discutendosi di inosservanze
a obblighi informativi, o di "richiamo dell'attenzione", a carattere
preventivo (apposizione di formule di avvertimento su schedine,
tagliandi o apparecchi da gioco, affissione di targhe, messa a
disposizione di materiale informativo), finalizzati a mettere
sull'avviso chi gia' pratica, o sarebbe intenzionato a praticare,
forme di gioco consentite dalla legge sulle possibili derive
patologiche di tale pratica, fidando che cio' giovi a dissuaderlo (se
non dall'intento di praticare il gioco, quantomeno) dagli abusi.
Il deficit di tutela conseguente all'ablazione della norma
denunciata non attinge, dunque, a quei livelli che rendono
indispensabile la ricerca - e l'indicazione, da parte del giudice
rimettente (sentenze n. 115 del 2019 e n. 233 del 2018) - di
soluzioni sanzionatorie alternative, costituzionalmente adeguate,
suscettibili di essere sostituite, ad opera di questa Corte, a quella
sospettata di illegittimita' costituzionale, in attesa di un
intervento legislativo.
4.- L'Avvocatura dello Stato ha eccepito, per altro verso,
l'inammissibilita' per difetto di motivazione sulla non manifesta
infondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 41 e
42 Cost. e all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1
Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE. Secondo la difesa dello
Stato, il giudice a quo avrebbe prospettato una irragionevole
incidenza della sanzione censurata sul diritto di proprieta' e sul
diritto d'impresa dell'autore dell'illecito in termini del tutto
generici e di «mera petizione di principio, [...] senza alcun
supporto fattuale e giuridico concreto».
Anche tale eccezione, cosi' come formulata, non e' fondata.
E' ben vero che l'ordinanza di rimessione non sviluppa autonome e
specifiche argomentazioni a sostegno della dedotta violazione dei
parametri dianzi indicati (di la' dall'accenno alla possibilita' che
l'applicazione della sanzione determini, per il suo importo,
«un'irreversibile crisi aziendale»): ma cio' in quanto - nella
prospettazione del rimettente - il riferimento a tali parametri ha la
semplice funzione di individuare le norme costituzionali che, in
combinato disposto con l'art. 3 Cost., fornirebbero nel caso in esame
la base normativa del principio di proporzionalita' della sanzione;
principio la cui denunciata violazione e' ampiamente argomentata.
La prospettazione del giudice a quo riflette le indicazioni di
questa Corte - specificamente richiamate nell'ordinanza di rimessione
- in punto di applicabilita' del principio di proporzionalita', fuori
dai confini della materia penale, anche alle sanzioni amministrative
a carattere punitivo (sentenza n. 112 del 2019). Tali sanzioni
condividono, infatti, con le pene il carattere reattivo rispetto a un
illecito, per la cui commissione l'ordinamento dispone che l'autore
subisca una sofferenza in termini di restrizione di un diritto
(diverso dalla liberta' personale, la cui compressione in chiave
sanzionatoria e' riservata alla pena); restrizione che trova, dunque,
la sua "causa giuridica" proprio nell'illecito che ne costituisce il
presupposto. Allo stesso modo che per le pene - pur a fronte
dell'ampia discrezionalita' che al legislatore compete
nell'individuazione degli illeciti e nella scelta del relativo
trattamento punitivo - anche per le sanzioni amministrative si
prospetta, dunque, l'esigenza che non venga manifestamente meno un
rapporto di congruita' tra la sanzione e la gravita' dell'illecito
sanzionato; evenienza nella quale la compressione del diritto
diverrebbe irragionevole e non giustificata.
Diversamente che per le pene, peraltro, rispetto alle sanzioni
amministrative il principio di proporzionalita' trova la sua base
normativa non gia' nell'art. 3 Cost. in combinato disposto con l'art.
27 Cost., nella parte in cui enuncia i principi di personalita' della
responsabilita' e della funzione rieducativa della pena (principi
riferibili alla sola materia penale in senso stretto), ma nell'art. 3
Cost. in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano
i diritti a volta a volta incisi dalla sanzione (sentenza n. 112 del
2019); diritti che, nel caso in esame, il giudice a quo identifica,
per l'appunto, nel diritto di proprieta' e nella liberta' di
iniziativa economica.
Resta peraltro salva la successiva verifica, nel merito, della
correttezza di tale individuazione.
5.- La questione sollevata in relazione agli artt. 16 e 17 CDFUE,
quali parametri interposti rispetto all'art. 117, primo comma, Cost.,
e' pero' inammissibile per una distinta e piu' specifica ragione.
Come piu' volte affermato da questa Corte, affinche' la CDFUE
possa essere invocata quale parametro interposto in un giudizio di
legittimita' costituzionale, occorre che il giudice a quo dia conto
della riconducibilita' della fattispecie regolata dalla legislazione
interna all'ambito di applicazione del diritto dell'Unione europea ai
sensi dell'art. 51 CDFUE, cio' che condiziona la stessa
applicabilita' delle norme della Carta (ex plurimis, sentenze n. 33 e
n. 30 del 2021). Il giudice a quo non fornisce alcuna motivazione in
proposito, lasciando dunque inadempiuto l'onere in discorso.
6.- Nel merito, le questioni sollevate in riferimento all'art. 3,
in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, sono fondate.
La norma censurata punisce indistintamente l'inosservanza dei
plurimi obblighi di condotta contemplati dall'art. 7, comma 5, del
d.l. n. 158 del 2012, come convertito, con una sanzione
amministrativa pecuniaria di considerevole severita' e, al tempo
stesso, fissa; dunque, non suscettibile di graduazione da parte
dell'autorita' amministrativa, e del giudice poi, in correlazione
alle specifiche circostanze del caso concreto secondo i criteri
indicati dall'art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche
al sistema penale).
Con riguardo alle sanzioni penali, questa Corte ha posto da tempo
in luce come la «mobilita'» (sentenza n. 67 del 1963), o
«individualizzazione» (sentenza n. 104 del 1968), della pena -
tramite l'attribuzione al giudice di un margine di discrezionalita'
nella sua commisurazione all'interno di una forbice edittale, cosi'
da poterla adeguare alle particolarita' della fattispecie concreta -
costituisca «naturale attuazione e sviluppo di principi
costituzionali, tanto di ordine generale (principio d'uguaglianza)
quanto attinenti direttamente alla materia penale» (sentenza n. 50
del 1980), al lume dei quali «l'attuazione di una riparatrice
giustizia distributiva esige la differenziazione piu' che
l'uniformita'» (cosi', ancora, la sentenza n. 104 del 1968). Cio'
implica che, in via di principio, «previsioni sanzionatorie rigide
non appaiono in linea con il "volto costituzionale" del sistema
penale», potendo il dubbio di illegittimita' costituzionale essere
superato, caso per caso, solo «a condizione che, per la natura
dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista,
quest'ultima appaia ragionevolmente "proporzionata" rispetto
all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo
di reato» (sentenze n. 222 del 2018 e n. 50 del 1980).
Secondo quanto piu' di recente chiarito da questa Corte, tale
affermazione si presta ad essere estesa, mutatis mutandis, anche alle
sanzioni amministrative a carattere punitivo. Pure in questo campo,
infatti, «previsioni sanzionatorie rigide, [...] che colpiscono in
egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura differenti,
debb[o]no rispondere al principio di ragionevolezza»: donde
l'esigenza di verificare «se anche le infrazioni meno gravi», tra
quelle comprese nel perimetro applicativo della previsione
sanzionatoria, «siano connotate da un disvalore tale da non rendere
manifestamente [...] sproporzionata la sanzione amministrativa»
comminata (sentenza n. 212 del 2019). In simile prospettiva, questa
Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la previsione di
sanzioni amministrative rigide e di rilevante incidenza sui diritti
dell'interessato per ipotesi di gravita' marcatamente diversa
(sentenza n. 88 del 2019), o suscettibili, comunque sia, di condurre,
nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente
eccedenti il limite della proporzionalita' rispetto all'illecito
commesso (sentenza n. 112 del 2019).
Una evenienza analoga e' riscontrabile nel caso oggi in esame.
La fissita' del trattamento sanzionatorio impedisce di tener
conto della diversa gravita' concreta dei singoli illeciti, che e' in
funzione dell'ampiezza dell'offerta di gioco e del tipo di violazione
commessa. Un conto e' l'omissione delle formule di avvertimento in
schedine o tagliandi di giochi soggetti ad ampia diffusione, altro
conto le inadempienze relative a sale da gioco o esercizi in cui vi
sia offerta di giochi pubblici, la cui gravita' varia in modo
rilevante secondo la dimensione e l'ubicazione della sala o
dell'esercizio, il grado di frequentazione, il numero di
apparecchiature da gioco presenti e la circostanza che si sia di
fronte a una violazione totale, ovvero solo parziale, degli obblighi
previsti.
Tutto cio' fa si' che la reazione sanzionatoria possa risultare
manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore
concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della
norma, come attesta in modo esemplare il caso oggetto del giudizio a
quo. Nella specie, il titolare di un bar, nel quale e' presente un
unico apparecchio da gioco, si trova esposto all'applicazione di una
sanzione di cinquantamila euro per il solo fatto di non aver esposto
in modo visibile nel locale una targa di avvertimento sui rischi
della dipendenza da gioco d'azzardo: cio', pur essendo egli risultato
adempiente agli altri obblighi posti a suo carico in chiave di
prevenzione delle ludopatie, tra cui quello di esposizione del
materiale informativo in materia, predisposto dall'azienda sanitaria
locale.
Contrariamente a quanto assume l'Avvocatura dello Stato, la
validita' della conclusione non e' inficiata dalla circostanza che
l'autore dell'illecito possa mitigare l'importo della sanzione
ricorrendo all'istituto del pagamento in misura ridotta (art. 16
della legge n. 689 del 1981). Da un lato, infatti, il difetto di
proporzionalita' della sanzione non puo' essere contestato facendo
leva sulla fruibilita' di tale istituto, costituente una forma di
definizione della contestazione puramente eventuale e che implica la
rinuncia al diritto di difendersi in giudizio; dall'altro lato, e in
ogni caso, il possibile ricorso all'istituto in questione non esclude
che la sanzione, di importo significativo anche dopo la riduzione,
resti di per se' fissa e tale da accomunare violazioni di disvalore
sensibilmente differenziato.
Giova rilevare, per altro verso, che - come emerge dal rapido
excursus condotto in principio - le sanzioni amministrative
introdotte dal legislatore per contrastare la diffusione dei disturbi
da gioco d'azzardo sono improntate a marcata severita', ma risultano
in genere graduabili: il che conferma anche sotto altro profilo
l'irragionevolezza della diversa scelta operata con la norma oggi in
esame.
Quest'ultima va dichiarata, quindi, costituzionalmente
illegittima, per violazione dell'art. 3 Cost., in combinato disposto
con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1
Prot. addiz. CEDU, con assorbimento della questione relativa all'art.
41 Cost.
7.- Nel sistema vigente non si rinvengono soluzioni sanzionatorie
che possano essere sostituite, ad opera di questa Corte, a quella
dichiarata costituzionalmente illegittima, in ragione
dell'assimilabilita' delle condotte sanzionate. In particolare, non
soccorre la soluzione - che pure sembra ipotizzata dall'ordinanza di
rimessione - di sostituire, alla sanzione colpita dalla dichiarazione
di illegittimita' costituzionale, quella prevista nei confronti di
chi consenta la partecipazione al gioco a minori di anni diciotto:
all'evidenza, le fattispecie non sono assimilabili, stante
l'eterogeneita' delle condotte punite. Per la violazione ora indicata
sono d'altro canto previste, in aggiunta alla sanzione amministrativa
pecuniaria, di minor importo e graduabile (da cinquemila a ventimila
euro), sanzioni accessorie di significativo spessore (chiusura
temporanea dell'esercizio, del locale o del punto di offerta; in
determinati casi di recidiva, revoca delle autorizzazioni e delle
concessioni amministrative), la cui estensione ai comportamenti che
qui interessano sarebbe contraria allo stesso "verso" delle questioni
e certamente estranea, comunque sia, alle competenze di questa Corte.
Per le ragioni gia' indicate al punto 3 che precede, cio' non
rappresenta tuttavia ostacolo alla declaratoria di illegittimita'
costituzionale, la quale dovra' assumere un contenuto meramente
ablativo. Spettera' al legislatore determinare, nel rispetto dei
principi costituzionali, una diversa sanzione per i comportamenti
considerati, stabilendone i relativi limiti minimo e massimo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 6,
secondo periodo, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante
un piu' alto livello di tutela della salute), convertito, con
modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 6, secondo periodo, del d.l. n. 158
del 2012, come convertito, sollevata, in riferimento all'art. 117,
primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 16 e 17
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007, dal Tribunale ordinario di Trapani con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
