CORTE COSTITUZIONALE 10 giugno – 20 luglio 2021 SENTENZA N. 157
REDDITI PRODOTTI ALL'ESTERO: certificazione dell'autorita' consolare competente. Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Patrocinio a spese dello Stato - Patrocinio a favore di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea - Istanza - Certificazione dell'autorita' consolare competente circa i redditi prodotti all'estero - Impossibilita' di produrla, avendo compiuto tutto quanto esigibile secondo l'ordinaria diligenza - Possibile allegazione di dichiarazione sostitutiva - Omessa previsione - Irragionevolezza e violazione dell'accesso effettivo alla tutela giurisdizionale - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 79, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 24, 113 e 117, primo comma; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 47.
(GU n.29 del 21-7-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA,
Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 79, comma 2,
del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di spese di giustizia (Testo A)», promossi dal Tribunale
amministrativo regionale per il Piemonte, sezione prima, con due
ordinanze del 14 giugno 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri
142 e 143 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno
2020.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udita nella camera di consiglio del 9 giugno 2021 la Giudice
relatrice Emanuela Navarretta;
deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con due ordinanze del 14 giugno 2020, identiche nella
motivazione ed iscritte, rispettivamente, ai numeri 142 e 143 reg.
ord. del 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte,
sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e
117, primo comma, della Costituzione - quest'ultimo in relazione sia
all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, sia all'art. 3, comma 3, del decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, concernente
«Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa
(Testo A)» - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 79,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,
n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella
parte in cui non prevede che, nei casi di impossibile produzione
dell'attestazione consolare, i cittadini di Stati non aderenti
all'Unione europea possano produrre «forme sostitutive di
certificazione, in analogia agli istituti previsti dall'ordinamento
nazionale», qualora dimostrino «di aver compiuto tutto quanto
esigibile secondo l'ordinaria diligenza per ottenere la prevista
attestazione consolare».
2.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce di doversi
pronunciare, in entrambi i giudizi a quibus, sulla richiesta di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato di due cittadini
indiani, G. S. e B. S.
Nelle due ordinanze, il TAR Piemonte espone che le istanze di
ammissione a tale beneficio erano state avanzate dinanzi alla
Commissione competente e che, a seguito della richiesta di
integrazione documentale ai sensi della norma censurata, i due
ricorrenti avevano prodotto nei rispettivi giudizi: copie del
messaggio di posta elettronica certificata e della lettera
raccomandata, inviati all'Ambasciata e al Consolato indiano in
Italia, con i quali avevano richiesto l'attestazione della
veridicita' di quanto dichiarato in ordine ai redditi prodotti
all'estero; nonche' una autodichiarazione, con la quale ciascuno
affermava di non disporre di tali redditi e dava atto di non aver
avuto riscontro da parte dell'autorita' consolare.
In ambedue i provvedimenti introduttivi del giudizio di
legittimita' costituzionale, il Collegio rimettente riferisce che il
giudice delegato per i rispettivi procedimenti, visto il verbale
della Commissione per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato,
rigettava le istanze, dal momento che i ricorrenti non avevano
prodotto la certificazione dell'autorita' consolare competente che,
ai sensi dell'art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, avrebbe
dovuto attestare la veridicita' di quanto indicato relativamente ai
redditi prodotti all'estero.
Il rimettente, infine, riferisce che i ricorrenti avevano
proposto reclamo per la revoca del decreto di esclusione dal
patrocinio a spese dello Stato.
3.- In punto di rilevanza, il rimettente espone che «una
pedissequa applicazione della littera legis comporterebbe la
reiezione del reclamo con conferma della mancata ammissione al
patrocinio a spese dello Stato», sicche' la norma censurata
condizionerebbe la decisione sul ricorso presentato dagli istanti.
3.1.- Il giudice a quibus non ritiene, d'altro canto, possibile
un'interpretazione della disposizione costituzionalmente orientata,
in quanto non reputa praticabile l'estensione analogica dell'art. 94,
comma 2, t.u. spese di giustizia, difettando sia la lacuna normativa
sia l'eadem ratio fra le due norme. In particolare, questa Corte, con
la sentenza n. 237 del 2015, avrebbe rimarcato l'intenzione del
legislatore di differenziare i regimi di accesso al patrocinio a
spese dello Stato, in ragione della diversita' di interessi coinvolti
nel processo penale rispetto agli altri giudizi.
4.- Tanto premesso, e passando ad argomentare sulla non manifesta
infondatezza, il Collegio rimettente sostiene che la norma censurata
comporterebbe un irragionevole vulnus al principio di eguaglianza
nell'accesso alla tutela giurisdizionale, in quanto condizionerebbe
il beneficio del patrocinio a spese dello Stato, per i cittadini di
Paesi non aderenti all'Unione europea, al rispetto di incombenze
documentali, non sostituibili, neanche in caso di «inerzia di un
soggetto pubblico terzo», «con gli istituti di semplificazione
amministrativa e decertificazione documentale, previsti, invece, per
i cittadini italiani e dell'Unione europea».
4.1.- In particolare, il giudice a quibus ritiene che l'art. 79,
comma 2, t.u. spese di giustizia priverebbe di effettivita' l'art. 24
Cost., che, al terzo comma, richiede, viceversa, di assicurare ai non
abbienti, con appostiti istituti, i mezzi per agire e difendersi,
onde salvaguardare la pienezza del diritto alla tutela
giurisdizionale consacrato nel suo primo comma.
4.2.- L'«effettivita' dell'accesso alla tutela giurisdizionale» -
secondo il rimettente - «sarebbe [in particolare] svuotata della
propria portata sostanziale [in quanto si farebbe gravare il rischio]
dell'inerzia degli apparati amministrativi degli uffici consolari dei
Paesi non appartenenti all'Unione europea [su] stranieri non
abbienti». La disposizione violerebbe, dunque, l'art. 3 Cost. sotto
il profilo della ragionevolezza, in quanto, in contrasto «con un
naturale e immanente principio di auto-responsabilita'», non prevede
«un meccanismo alternativo che consenta al richiedente di prescindere
dalla mancata collaborazione delle proprie Autorita' consolari». Tale
rilievo e' aggravato, secondo il giudice a quibus, dalla
considerazione che alcuni ordinamenti potrebbero finanche
«disconoscere un obbligo di conclusione del procedimento a istanza di
parte».
4.3.- Il vulnus risulterebbe, inoltre, confermato dal riferimento
all'art. 113 Cost., secondo cui «e' sempre ammessa la tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli
atti della pubblica amministrazione». «L'effettivita' di questa
tutela» - rileva il giudice a quibus in riferimento al citato
parametro costituzionale - «corre sul filo della concreta
accessibilita' su un [piano] di eguaglianza sostanziale per tutti
[...] non tollerando discriminazioni - dirette o indirette, de iure o
de facto - fondate sullo status civitatis».
4.4.- Parimenti, il diritto a un accesso effettivo alla giustizia
per coloro che non dispongano di sufficienti risorse troverebbe
ulteriore protezione nell'art. 117, primo comma, Cost., relativamente
all'art. 47 CDFUE, secondo cui «[o]gni persona i cui diritti e le cui
liberta' garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha
diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto
delle condizioni previste nel presente articolo» (paragrafo 1); «[a]
coloro che non dispongono di mezzi sufficienti e' concesso il
patrocinio a spese dello Stato, qualora cio' sia necessario per
assicurare un accesso effettivo alla giustizia» (paragrafo 3).
4.5.- Giunto alla conclusione che la norma censurata si ponga in
contrasto con i citati parametri costituzionali, il rimettente
ritiene che, onde recuperare «[l]a tenuta costituzionale» della
disposizione, basterebbe che essa «prevedesse, in via additiva, il
soddisfacimento dell'onere documentale», «tramite forme sostitutive
di certificazione, in analogia agli istituti previsti
dall'ordinamento nazionale», «nei casi di impossibilita', comprovando
di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo l'ordinaria diligenza
per ottenere la prevista attestazione consolare, valutazione
quest'ultima da rimettersi al prudente apprezzamento del giudicante».
4.6.- Alla denuncia della violazione dell'art. 3 Cost. sotto il
profilo della ragionevolezza, che sfocia nella citata richiesta di
pronuncia additiva, si aggiunge, ancora, la censura, sempre rispetto
al medesimo parametro costituzionale, di una irragionevole disparita'
di trattamento fra stranieri di diverse nazionalita', a seconda della
reattivita' e dell'efficienza dei rispettivi apparati burocratici.
4.7.- Infine, il giudice a quibus rileva un «profilo di tensione»
della norma censurata in riferimento all'art. 117, primo comma,
Cost., relativamente a «tutte le convenzioni internazionali,
stipulate e stipulande dallo Stato [i]taliano, che prevedano
bilateralmente e multilateralmente l'estensione degli istituti della
decertificazione amministrativa». L'art. 3, comma 3, del d.P.R. n.
445 del 2000, prevede, infatti, che i cittadini di Stati non
appartenenti all'Unione europea autorizzati a soggiornare nel
territorio dello Stato «possono utilizzare le dichiarazioni
sostitutive di cui agli articoli 46 e 47» dello stesso d.P.R., nei
casi in cui la produzione delle stesse avvenga in applicazione di
convenzioni internazionali fra l'Italia ed il Paese di provenienza
del dichiarante».
5.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o,
comunque, infondate.
5.1.- Secondo la difesa erariale, le questioni sarebbero
inammissibili, innanzitutto, per difetto di rilevanza, dal momento
che il ricorso avverso il decreto prefettizio, che aveva negato la
conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, e' stato
accolto con le sentenze n. 253 e n. 254 del 2020 dall'autorita'
giurisdizionale rimettente. Di conseguenza, la rilevanza non
sussisterebbe per un duplice motivo: da un lato, se il ricorrente ha
ottenuto il bene della vita a cui aspirava, cio' significa - a parere
dell'Avvocatura generale - che l'accesso alla tutela e' stato pieno
ed effettivo; dall'altro lato, «se il giudice amministrativo ha
deciso il ricorso in relazione al quale era stato chiesto il gratuito
patrocinio, non puo', poi, con successiva ordinanza [...] sollevare
questione di legittimita' costituzionale».
5.2.- Una seconda eccezione di inammissibilita' riguarda il
carattere manipolativo della sentenza invocata dal rimettente, che
non sarebbe praticabile nel contesto normativo di riferimento.
L'istituto del patrocinio a spese dello Stato rientra nella
disciplina processuale, per la quale il legislatore gode di ampia
discrezionalita', con il solo limite della manifesta irragionevolezza
o arbitrarieta' delle scelte. Nell'esercizio di tale
discrezionalita', il legislatore avrebbe individuato alcune regole
valide per il solo processo penale, tra cui quella che ammette
l'autodichiarazione, qualora sia impossibile ottenere la
certificazione da parte dell'autorita' consolare. Nell'ottica,
dunque, della differenziazione tra distinti giudizi, tale norma, a
parere dell'Avvocatura generale, sarebbe espressione della volonta'
di escludere la possibilita' di autodichiarazione nei giudizi diversi
da quello penale.
Di conseguenza, nel descritto quadro normativo, risulterebbe
inammissibile una pronuncia, come quella proposta dal Collegio
rimettente, connotata da un elevato tasso di manipolativita'.
6.- In ogni caso, le questioni di legittimita' costituzionale
risulterebbero, a parere dell'Avvocatura, non fondate.
In relazione ai primi due parametri evocati - gli artt. 24 e 113
Cost. - la difesa erariale afferma che la diversa disciplina prevista
dal legislatore per alcune fattispecie, quali il processo penale
(art. 94 t.u. spese di giustizia) o quello avverso il provvedimento
di espulsione (art. 142 t.u. spese di giustizia), troverebbe
giustificazione nella loro peculiarita', mentre la norma censurata
non priverebbe di effettivita' l'accesso alla tutela giurisdizionale,
ma realizzerebbe un indispensabile contemperamento fra contrapposti
interessi, in un sistema a risorse economiche limitate.
In riferimento all'art. 3 Cost., l'Avvocatura generale considera
che l'autocertificazione rinviene il proprio fondamento nella
disciplina di cui al d.P.R. n. 445 del 2000, ovvero nella
verificabilita' d'ufficio delle dichiarazioni sostitutive di
certificazione. Per il cittadino di uno Stato che non possa invocare
neppure una convenzione bilaterale con l'Italia non sarebbe possibile
un controllo di questo tipo; di conseguenza, non sarebbe consentito
autocertificare il possesso dei requisiti per l'accesso al beneficio.
A parere dell'Avvocatura generale, infine, non risulterebbe
sviluppato adeguatamente il richiamo al parametro di cui all'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 47 CDFUE, che trova
applicazione nei soli settori ascrivibili alla competenza del diritto
dell'Unione europea. Il giudice rimettente non avrebbe, in
particolare, motivato perche' il diritto che il ricorrente intendeva
tutelare in sede giudiziale ricadrebbe nel raggio di applicazione del
parametro interposto, tanto piu' che la fattispecie - la conversione
di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro - non sembrerebbe
rientrare ne' nell'ambito riconducibile all'art. 15 CDFUE (Liberta'
professionale e diritto di lavorare), ne' in quello riferibile
all'art. 19 CDFUE (Protezione in caso di allontanamento, di
espulsione e di estradizione).
Considerato in diritto
1.- Con due ordinanze del 14 giugno 2020, identiche nella
motivazione ed iscritte, rispettivamente, ai numeri 142 e 143 reg.
ord. del 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte,
sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e
117, primo comma, della Costituzione - quest'ultimo in relazione sia
all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, sia all'art. 3, comma 3, del decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, concernente
«Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa
(Testo A)» - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 79,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,
n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella
parte in cui non prevede che, nei casi di impossibile produzione
dell'attestazione consolare, i cittadini di Stati non appartenenti
all'Unione europea possano produrre «forme sostitutive di
certificazione, in analogia agli istituti previsti dall'ordinamento
nazionale», qualora dimostrino «di aver compiuto tutto quanto
esigibile secondo l'ordinaria diligenza per ottenere la prevista
attestazione consolare».
1.1.- L'art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia stabilisce,
infatti, che «[p]er i redditi prodotti all'estero, il cittadino di
Stati non appartenenti all'Unione europea correda l'istanza con una
certificazione dell'autorita' consolare competente, che attesta la
veridicita' di quanto in essa indicato».
2.- Il giudice rimettente riferisce di doversi pronunciare, in
entrambi i giudizi a quibus, sul rigetto della richiesta di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato di due cittadini
indiani, la cui istanza era stata respinta dal giudice delegato,
visto il verbale della commissione competente, proprio in ragione
della mancata presentazione della certificazione dell'autorita'
consolare, richiesta dalla norma censurata.
In punto di rilevanza, il TAR Piemonte evidenzia, pertanto, che
l'applicazione di tale disposizione condiziona l'esito dei giudizi a
quibus.
3.- Secondo il Collegio, se l'esclusione dal patrocinio a spese
dello Stato di uno straniero non abbiente, cittadino di un Paese non
appartenente all'Unione europea, «viene a dipendere dall'inerzia di
un soggetto pubblico terzo, non sopperibile [...] con gli istituti di
semplificazione amministrativa e decertificazione documentale
previsti, invece, per i cittadini italiani e dell'Unione europea», si
verrebbe a creare un irragionevole vulnus al principio di eguaglianza
nell'accesso alla tutela giurisdizionale.
In particolare, la norma censurata si porrebbe irragionevolmente
in contrasto con l'effettivita' del diritto alla tutela
giurisdizionale, violando gli artt. 3, 24, 113 e 117, primo comma,
Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 47 CDFUE, poiche'
«svuoterebbe tale diritto] della [sua] portata sostanziale in
conseguenza dell'inerzia degli apparati amministrativi degli uffici
consolari dei Paesi non appartenenti all'Unione europea». La
disposizione, pertanto, contrasterebbe con il principio di
autoresponsabilita', riconducibile alla ragionevolezza, di cui al
citato art. 3 Cost., la' dove addosserebbe al richiedente le
conseguenze sfavorevoli di un comportamento a lui non riferibile.
Infine, il rimettente denuncia una irragionevole disparita' di
trattamento fra cittadini di differenti Paesi non aderenti all'Unione
europea, in ragione della possibile diversa efficienza dei rispettivi
apparati burocratici, nonche' - in relazione all'art. 3, comma 3, del
d.P.R. n. 445 del 2000 - una violazione dell'art. 117, primo comma,
Cost., relativamente a «tutte le convenzioni internazionali,
stipulate e stipulande dallo Stato Italiano, che prevedano
bilateralmente e multilateralmente l'estensione degli istituti della
decertificazione amministrativa».
4.- Secondo il rimettente per recuperare «[la] tenuta
costituzionale» della disposizione sarebbe necessario che essa
«prevedesse, in via additiva, il soddisfacimento dell'onere
documentale», tramite «forme sostitutive di certificazione, in
analogia agli istituti previsti dall'ordinamento nazionale», «nei
casi di impossibilita' [ad ottenere la prevista attestazione
consolare], comprovando di aver compiuto tutto quanto esigibile
secondo l'ordinaria diligenza [...], valutazione quest'ultima da
rimettersi al prudente apprezzamento del giudicante».
5.- Le due ordinanze di rimessione pongono questioni
sostanzialmente identiche in relazione alle disposizioni censurate e
ai parametri evocati: pertanto, i giudizi vanno riuniti per essere
congiuntamente esaminati e decisi con un'unica sentenza.
6.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o,
comunque, infondate.
6.1.- Con una prima eccezione, l'Avvocatura generale fa presente
che i giudizi principali, per i quali gli istanti avevano richiesto
l'accesso al patrocinio a spese dello Stato, sono stati decisi con le
sentenze n. 253 e n. 254 del 2020, dalla stessa autorita'
giurisdizionale rimettente. Di conseguenza, secondo la difesa
erariale, la rilevanza non sussisterebbe, avendo i ricorrenti
ottenuto il bene della vita a cui aspiravano, il che dimostrerebbe un
accesso pieno ed effettivo alla tutela giurisdizionale. Inoltre, «se
il giudice amministrativo ha deciso il ricorso in relazione al quale
era stato chiesto il gratuito patrocinio, non puo' poi, con
successiva ordinanza [...] sollevare questione di legittimita'
costituzionale», in quanto si sarebbe «spogliato del processo».
L'eccezione non e' fondata.
La decisione sul patrocinio a spese dello Stato e' diversa e
indipendente rispetto a quella relativa al merito della controversia,
il che rende possibile una sua adozione «in ogni tempo [...] e,
dunque, sia prima che la causa pervenga alla sentenza sia dopo la
pronuncia definitiva» (Corte di cassazione, sezioni unite civili,
sentenza 20 febbraio 2020, n. 4315, nello stesso senso anche Corte di
cassazione, sezione prima civile, ordinanza 15 novembre 2018, n.
29462).
D'altro canto, i giudizi sull'ammissione al patrocinio a spese
dello Stato incidono sull'imputazione dei costi relativi al compenso
dovuto al difensore per l'opera prestata nell'ambito del processo. Il
TAR Piemonte, con le sentenze n. 253 e n. 254 del 2020, con le quali
ha deciso le questioni relative all'annullamento del decreto
prefettizio di rigetto della domanda di conversione del permesso di
soggiorno, si e' riservato, non a caso, di pronunciarsi sia
sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia sulle spese di
giudizio. Non puo', pertanto, ritenersi che si sia «spogliato del
processo».
Per le ragioni esposte cade il dubbio sulla rilevanza delle
questioni di legittimita' costituzionale relative all'art. 79, comma
2, t.u. spese di giustizia, norma che trova sicura applicazione nei
giudizi a quibus, dal momento che i soggetti istanti sono cittadini
di uno Stato non appartenente all'Unione europea. Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'ammissibilita' delle
questioni, e' sufficiente che la norma impugnata sia applicabile nel
giudizio a quo (sentenze n. 253 del 2019, n. 46 e n. 5 del 2014 e n.
294 del 2011) e che la pronuncia di accoglimento possa influire
«sull'esercizio della funzione giurisdizionale, quantomeno sotto il
profilo del percorso argomentativo che sostiene la decisione del
processo principale (tra le molte, sentenza n. 28 del 2010)»
(sentenza n. 20 del 2016; in senso conforme sentenza n. 84 del 2021).
6.2.- L'Avvocatura generale ha sollevato, poi, una seconda
eccezione di inammissibilita', adducendo che il rimettente avrebbe
invocato una sentenza manipolativa non costituzionalmente obbligata
in una materia riservata alle scelte discrezionali del legislatore.
Anche questa eccezione non e' fondata.
Vero e' che questa Corte ha piu' volte ribadito che le scelte
adottate dal legislatore nel regolare l'istituto del patrocinio a
spese dello Stato sono connotate da una rilevante discrezionalita',
che e' doveroso preservare (sentenza n. 47 del 2020; ordinanze n. 3
del 2020 e n. 122 del 2016).
Tuttavia, questo non sottrae tale normazione al giudizio sulla
legittimita' costituzionale, in presenza di una «manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte adottate (da ultimo,
sentenze n. 97 del 2019 e n. 81 del 2017; ordinanza n. 3 del 2020)»
(sentenza n. 47 del 2020), in quanto e' necessario «evitare zone
franche immuni dal sindacato di legittimita' costituzionale, tanto
piu' ove siano coinvolti i diritti fondamentali e il principio di
eguaglianza, che incarna il modo di essere di tali diritti» (sentenza
n. 63 del 2021).
Deve poi aggiungersi che la «ammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale risulta [...] condizionata non tanto
dall'esistenza di un'unica soluzione costituzionalmente obbligata,
quanto dalla presenza nell'ordinamento di una o piu' soluzioni
costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo
coerentemente con la logica perseguita dal legislatore (si veda, da
ultimo, la sentenza n. 252 del 2020 e in senso conforme le sentenze
n. 224 del 2020; n. 99 del 2019; n. 233, n. 222 e n. 41 del 2018; n.
236 del 2016)» (sentenza n. 63 del 2021). In tale prospettiva, onde
non sovrapporre la propria discrezionalita' a quella del Parlamento,
la valutazione della Corte deve essere condotta attraverso «"precisi
punti di riferimento e soluzioni gia' esistenti" (ex multis, sentenze
n. 224 del 2020 e n. 233 e n. 222 del 2018; n. 236 del 2016)».
(sentenza n. 63 del 2021).
Nello specifico contesto, il giudice rimettente sollecita un
intervento additivo di questa Corte, che in effetti rinviene
nell'ordinamento «precisi punti di riferimento» sia nell'art. 94,
comma 2, t.u. spese di giustizia sia nell'art. 16 del decreto
legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (Attuazione della direttiva
2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli
Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status
di rifugiato), che richiama espressamente il citato art. 94.
7.- Nel merito, occorre, innanzitutto, verificare se l'art. 79,
comma 2, t.u. spese di giustizia contrasti con l'art. 3 Cost., in
coordinamento con gli artt. 24 e 113 Cost., nella parte in cui non
prevede che i cittadini di Stati non aderenti all'Unione europea
possano presentare «forme sostitutive di certificazione»,
«comprovando di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo
l'ordinaria diligenza per ottenere la prevista attestazione
consolare», la cui allegazione risulta, pertanto, impossibile.
8.- Le questioni sono fondate.
8.1.- La norma censurata si inquadra nell'ambito della disciplina
sul patrocinio a spese dello Stato, volto a dare attuazione alla
previsione costituzionale, secondo cui devono essere assicurati «ai
non abbienti [...] i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione» (art. 24, terzo comma, Cost.).
L'istituto serve, dunque, a rimuovere, in armonia con l'art. 3,
secondo comma, Cost. (sentenza n. 80 del 2020), «le difficolta' di
ordine economico che possono opporsi al concreto esercizio del
diritto di difesa» (sentenza n. 46 del 1957, di seguito citata dalla
sentenza n. 149 del 1983; in senso analogo, le sentenze n. 35 del
2019, n. 175 del 1996 e n. 127 del 1979), assicurando l'effettivita'
del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma
del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto
inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del 2017, n. 101 del
2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002).
«L'azione in giudizio per la difesa dei propri diritti», ha
osservato questa Corte, «e' essa stessa il contenuto di un diritto,
protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi
tra quelli inviolabili, riconducibili all'art. 2 della Costituzione
[...] e caratterizzanti lo stato democratico di diritto» (sentenza n.
26 del 1999; in senso conforme sentenze n. 238 del 2014, n. 120 del
2014 e ordinanza n. 386 del 2004). Esso e' riconosciuto a tutti, dal
primo comma dell'art. 24 Cost., e a tutti spetta, com'e' proprio dei
diritti ascrivibili all'alveo dell'art. 2 Cost., riferito in maniera
cristallina all'uomo.
8.2.- D'altro canto, la natura inviolabile del diritto ad
accedere ad una tutela effettiva, ai sensi dell'art. 24, terzo comma,
Cost., non lo sottrae al bilanciamento di interessi che, per effetto
della scarsita' delle risorse, si rende necessario rispetto alla
molteplicita' dei diritti che ambiscono alla medesima tutela.
Questa Corte «ha sottolineato che, in tema di patrocinio a spese
dello Stato, e' cruciale l'individuazione di un punto di equilibrio
tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessita' di
contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia (sentenza
n. 16 del 2018)» (sentenza n. 47 del 2020).
In tale «prospettiva si spiega», prosegue la sentenza n. 47 del
2020, «che per tutti i processi diversi da quello penale (civile,
amministrativo, contabile, tributario e di volontaria giurisdizione)
per il riconoscimento del beneficio e' richiesto [...] che le ragioni
di chi agisce o resiste "risultino non manifestamente infondate"»,
onde evitare che i non abbienti siano indotti «a intentare cause
palesemente infondate senza dover tener conto del loro peso
economico». Diversamente, «[a]ppare giustificato [che, nel caso del
processo penale, in cui l'azione viene subita da chi aspira al
patrocinio a spese dello Stato], venga assicurata [...] una piu'
intensa protezione, sganciando l'ammissione al beneficio de quo da
qualsiasi filtro di non manifesta infondatezza delle ragioni del
soggetto interessato» (ancora sentenza n. 47 del 2020).
Appare allora evidente la motivazione che puo' rendere non
irragionevole il variare di talune regole in funzione dei processi
interessati dalla richiesta di accesso al patrocinio a spese dello
Stato (si vedano, in senso analogo, anche le ordinanze n. 270 del
2012, n. 201 del 2006 e 350 del 2005, con riferimento alla
liquidazione degli onorari e dei compensi ai difensori, di cui
all'art. 130, t.u. spese di giustizia, e la sentenza n. 237 del 2015,
relativa alla quantificazione dei limiti di reddito, di cui all'art.
92, t.u. spese di giustizia). Non viene in considerazione un presunto
diverso rango assiologico del diritto alla tutela giurisdizionale,
associato ai differenti processi, quanto piuttosto sono le
caratteristiche di questi ultimi a poter condizionare il
bilanciamento di interessi rispetto a specifiche disposizioni.
«Va da se'», ha rilevato sempre questa Corte, «che [la]
diversita' fra "gli interessi civili" e le "situazioni tutelate che
sorgono per effetto dell'esercizio della azione penale" implica non
gia' la determinazione di una improbabile gerarchia di valori fra gli
uni e le altre, ma soltanto l'affermazione dell'indubbia loro
distinzione, tale da escludere una valida comparabilita' fra istituti
che concernano ora gli uni ora le altre (in particolare, le ordinanze
n. 270 del 2012; n. 201 del 2006 e n. 350 del 2005)» (sentenza n. 237
del 2015).
8.3.- Tanto premesso, il testo unico in materia di spese di
giustizia introduce, nell'art. 119, con riferimento al patrocinio a
spese dello Stato nei processi civile, amministrativo, contabile e
tributario, una equiparazione al trattamento previsto per il
cittadino italiano di quello relativo allo «straniero regolarmente
soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del
rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare».
Sennonche', a fronte di tale equiparazione, l'art. 79, comma 2,
t.u. spese di giustizia stabilisce che, per i soli cittadini di Paesi
non aderenti all'Unione europea, «i redditi prodotti all'estero
[debbano essere certificati dalla] autorita' consolare competente,
che attest[i] la veridicita' di quanto in essa indicato», senza
contemplare alcun rimedio all'eventuale condotta non collaborativa di
tale autorita' e, dunque, all'impossibilita' di produrre la relativa
certificazione.
Per converso, nella disciplina riservata al processo penale,
l'art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia prevede che «in caso di
impossibilita' a produrre la documentazione richiesta ai sensi
dell'art. 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti
all'Unione europea, la sostituisce, a pena di inammissibilita', con
una dichiarazione sostitutiva di certificazione».
8.4.- Orbene, deve rilevarsi, innanzitutto, che l'art. 79, comma
2, t.u. spese di giustizia palesa rilevanti distonie, posto che,
avvalendosi del mero criterio della cittadinanza, richiede, stando
alla sua lettera, la certificazione dell'autorita' consolare
competente per i redditi prodotti all'estero solo ai cittadini di
Stati non aderenti all'Unione europea e non anche a quelli italiani o
ai cittadini europei, che pure possano aver prodotto redditi in Paesi
terzi rispetto all'Unione europea; al contempo, la medesima
disposizione sembra pretendere dai cittadini degli Stati non aderenti
all'Unione europea la certificazione consolare per qualsivoglia
reddito prodotto all'estero, compresi quelli realizzati in Paesi
dell'Unione.
Ma soprattutto, anche a voler prescindere da tali anomalie, non
puo' tacersi la manifesta irragionevolezza che deriva dalla mancata
previsione, nell'art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, per i
processi civile, amministrativo, contabile e tributario, di un
meccanismo che - come, viceversa, stabilisce per il processo penale
l'art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia - consenta di reagire
alla mancata collaborazione dell'autorita' consolare, cosi'
bilanciando la necessita' di richiedere un piu' rigoroso accertamento
dei redditi prodotti in Paesi non aderenti all'Unione europea, per i
quali e' piu' complesso accertare la veridicita' di quanto dichiarato
dall'istante, con l'esigenza di non addebitare al medesimo
richiedente anche il rischio dell'impossibilita' di procurarsi la
specifica certificazione richiesta.
8.5.- La distinzione tra processo penale e altri processi
(civile, amministrativo, contabile e tributario) puo' giustificare,
dunque, - come sopra illustrato - che vengano ritenute non
irragionevoli, se correlate alle diverse caratteristiche e
implicazioni dei vari processi, talune differenziazioni nella
disciplina del patrocinio a spese dello Stato. Tuttavia, tale
dicotomia non puo' in alcun modo legittimare, rispetto ai parametri
costituzionali invocati, la mancata previsione di un correttivo,
nell'art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia, che permetta di
superare l'ostacolo creato dalla condotta omissiva, o in generale non
collaborativa, dell'autorita' consolare.
8.5.1.- La disposizione censurata, infatti, in contrasto con la
ragionevolezza e con il principio di autoresponsabilita', inficia la
possibilita' di un accesso effettivo alla tutela giurisdizionale,
facendo gravare sullo straniero proveniente da un Paese non aderente
all'Unione europea il rischio dell'impossibilita' di produrre la sola
documentazione ritenuta necessaria, a pena di inammissibilita', per
comprovare i redditi prodotti all'estero.
Piu' precisamente, la norma censurata sottende, secondo il
diritto vivente, una presunzione che lo straniero abbia redditi
all'estero (si vedano Tribunale amministrativo regionale per la
Campania, sezione di Napoli, sentenze 3 maggio 2021, n. 2913, 30
aprile 2021, n. 2887, 28 aprile 2021, n. 2777; Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, sezione di Roma, sentenza 13
gennaio 2020, n. 298, decreti 22 ottobre 2018, n. 10237 e 19 luglio
2018, n. 8135; Tribunale amministrativo regionale per la Toscana,
sentenza 11 ottobre 2019, n. 1350; Corte di cassazione, sezione
seconda civile, sentenza 30 luglio 2020, n. 16424; con la sola
eccezione della sentenza della Corte di cassazione, sezione quarta
penale, sentenza 9 febbraio 2018, n. 6529). Tale presunzione implica
un onere gravoso, specie quando la prova abbia un contenuto negativo,
poiche' tali redditi in effetti non sussistono, il che puo' ritenersi
ipotesi non rara, se e' vero che spesso e' proprio lo stato di
indigenza ad indurre le persone ad emigrare. Inoltre, sempre la norma
censurata consente di vincere la presunzione solo con le forme
documentali da essa previste, vale a dire con la certificazione
dell'autorita' consolare competente, prescindendo dall'eventuale
esistenza di altre prove circa l'effettiva consistenza dei propri
redditi all'estero. Ma soprattutto, e questo e' il profilo che palesa
nella maniera piu' evidente il vulnus costituzionale, l'art. 79,
comma 2, t.u. spese di giustizia fa gravare sull'istante il rischio
del fatto del terzo (ossia l'autorita' consolare), la cui eventuale
inerzia o inadeguata collaborazione rendano impossibile produrre
tempestivamente la corretta certificazione richiesta.
Questa Corte, viceversa, anche di recente ha ribadito,
relativamente alla documentazione necessaria ad accedere ai benefici
dell'edilizia residenziale pubblica, che non possono «gravare sul
richiedente le conseguenze del ritardo o delle difficolta'
nell'acquisire la documentazione in parola, cio' che la renderebbe
costituzionalmente illegittima in quanto irragionevolmente
discriminatoria» (sentenza n. 9 del 2021).
Gli stessi principi sono stati, del resto, affermati in materia
di notifiche, la' dove la Corte ha ritenuto «palesemente
irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del
notificante, che un effetto di decadenza possa discendere [...] dal
ritardo nel compimento di un'attivita' riferibile non al medesimo
notificante, ma a soggetti diversi [...] e che, percio' resta del
tutto estranea alla sfera di disponibilita' del primo» (sentenza n.
447 del 2002, che estende a tutte le notifiche quanto gia' previsto
per le notifiche all'estero dalla sentenza n. 69 del 1994. Il
principio generale e' stato poi ripreso dalle sentenze n. 3 del 2010,
n. 318 del 2009, n. 28 del 2004 e dalle ordinanze n. 154 del 2005, n.
118 del 2005 e n. 153, n. 132 e n. 97 del 2004).
In definitiva, contrasta con gli artt. 3, 24 e 113 Cost. una
previsione, come quella della norma censurata, che fa gravare
sull'istante il rischio della impossibilita' di produrre una
specifica prova documentale richiesta per ottenere il godimento del
patrocinio a spese dello Stato; essa, infatti, impedisce - a chi e'
in una condizione di non abbienza - l'effettivita' dell'accesso alla
giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del
diritto alla tutela giurisdizionale.
8.5.2.- Tanto considerato, risulta meritevole di accoglimento la
richiesta del rimettente di una pronuncia additiva, che eviti il
contrasto con il principio di autoresponsabilita', tramite l'aggiunta
di una previsione che gia' trova riscontro nella disciplina dettata
dall'art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia, per il processo
penale, nonche' dall'art. 16 del d.lgs. n. 25 del 2008, per
l'impugnazione in sede giurisdizionale delle decisioni sullo status
di rifugiato, che al medesimo art. 94 si richiama. Il problema
relativo alla documentazione dei redditi prodotti in Paesi non
aderenti all'Unione europea non presenta, infatti, a ben vedere,
alcuna ragionevole correlazione con la natura dei processi, nei quali
si richiede il beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
In linea, dunque, con le citate disposizioni, la legittimita'
costituzionale dell'art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia puo'
essere ricostituita, integrando la previsione sull'onere probatorio,
con la possibilita' per l'istante di produrre, a pena di
inammissibilita', una «dichiarazione sostitutiva di certificazione»
relativa ai redditi prodotti all'estero, una volta dimostrata
l'impossibilita' di presentare la richiesta certificazione.
In tal modo, analogamente a quanto previsto per il processo
penale e per l'impugnazione in sede giurisdizionale dello status di
rifugiato, la disposizione censurata puo' essere resa conforme alla
disciplina generale che concretizza il principio di
autoresponsabilita'.
Tale principio, che implica quale corollario quello secondo cui
ad impossibilia nemo tenetur, non solo esclude che si possa far
gravare sull'istante il rischio dell'impossibilita' di procurarsi la
documentazione consolare, ma oltretutto impedisce di pretendere la
probatio spesso diabolica del fatto oggettivo costitutivo di
un'impossibilita' in termini assoluti. Questo sposta la categoria
dell'impossibilita' verso una accezione relativa, che si desume in
controluce rispetto al comportamento esigibile, suscettibile cioe' di
essere preteso in base alla regola di correttezza, nella misura
dell'impegno derivante dal canone di diligenza: l'impossibilita'
relativa inizia (ed e' implicitamente dimostrata) la' dove finisce il
comportamento esigibile (ex fide bona e) secondo diligenza (in
termini simili sentenza n. 9 del 2021).
Non a caso, anche nell'interpretazione che dell'art. 94, comma 2,
t.u. spese di giustizia offre la Corte di cassazione, il cittadino di
Paesi non aderenti all'Unione europea non deve provare
un'impossibilita' in senso assoluto di avvalersi
dell'autocertificazione, ma e' sufficiente che dimostri
un'impossibilita' in senso relativo, desumibile in via presuntiva
dalla circostanza che «il richiedente si sia utilmente e
tempestivamente attivato per ottenere le previste certificazioni»
(Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 26 maggio 2009,
n. 21999). La prova dell'impossibilita' assoluta viene, infatti,
ritenuta «di per se' incompatibile con un procedimento teso ad
assicurare la difesa al non abbiente» (Corte di cassazione, sezione
quinta penale, sentenza 22 febbraio 2018, n. 8617).
A fronte, dunque, dell'impossibilita' di ottemperare all'onere di
esibire la documentazione consolare, deve riespandersi, a favore
dell'istante, l'opportunita' di avvalersi della dichiarazione
sostitutiva di certificazione.
9.- In conclusione, l'art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia
risulta costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non
consente al cittadino di uno Stato non aderente all'Unione europea di
presentare, a pena di inammissibilita', una dichiarazione sostitutiva
di certificazione sui redditi prodotti all'estero, qualora dimostri -
nei termini sopra illustrati, ossia provando di aver compiuto tutto
quanto esigibile secondo correttezza e diligenza - l'impossibilita'
di produrre la richiesta documentazione.
10.- Restano assorbite le questioni di legittimita'
costituzionale poste in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il
profilo della disparita' di trattamento tra stranieri di Paesi non
appartenenti all'Unione europea, nonche' in riferimento all'art. 117,
primo comma, Cost., relativamente all'art. 47 CDFUE, nonche'
relativamente alle convenzioni internazionali, che prevedano
l'estensione degli istituti della decertificazione amministrativa.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 79, comma 2,
del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non
consente al cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea,
in caso di impossibilita' a presentare la documentazione richiesta ai
sensi dell'art. 79, comma 2, di produrre, a pena di inammissibilita',
una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2021.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
