CORTE COSTITUZIONALE 22 giugno – 12 luglio 2021 SENTENZA N. 150
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Diffamazione a mezzo stampa aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato - Trattamento sanzionatorio - Pena detentiva, congiunta a pena pecuniaria - Violazione del principio della liberta' di espressione enunciato dalla CEDU, come interpretato dalla Corte EDU e del diritto di manifestare il proprio pensiero - Illegittimita' costituzionale - Necessita' di una complessiva riforma della disciplina vigente. Reati e pene - Diffamazione commessa attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato - Applicazione delle sanzioni previste da norma dichiarata costituzionalmente illegittima - Illegittimita' costituzionale in via consequenziale. Reati e pene - Diffamazione aggravata perche' recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', ovvero in atto pubblico - Trattamento sanzionatorio - Pena detentiva alternativa a pena pecuniaria - Denunciata violazione del principio della liberta' di espressione enunciato dalla CEDU, come interpretato dalla Corte EDU e del diritto di manifestare il proprio pensiero - Non fondatezza della questione, nei sensi di cui in motivazione. Reati e pene - Diffamazione aggravata perche' recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', ovvero in atto pubblico - Trattamento sanzionatorio - Pena detentiva alternativa a pena pecuniaria - Denunciata violazione del principio di rieducazione della pena - Non fondatezza della questione. Reati e pene - Diffamazione aggravata perche' recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', ovvero in atto pubblico - Trattamento sanzionatorio - Pena detentiva alternativa a pena pecuniaria - Denunciata violazione del principio di offensivita' - Manifesta infondatezza della questione. - Legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13; codice penale, art. 595, comma 3; legge 6 agosto 1990, n. 223, art. 30, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 10.
(GU n.28 del 14-7-2021 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giancarlo CORAGGIO;
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo
BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), e dell'art.
595, terzo comma, del codice penale, promossi dal Tribunale ordinario
di Salerno, sezione seconda penale, con ordinanza del 9 aprile 2019 e
dal Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, con ordinanza
del 16 aprile 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 140 e 149
del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica, numeri 38 e 40, prima serie speciale, dell'anno
2019.
Visto l'atto di costituzione di P. N., nonche' gli atti di
intervento del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG)
e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 2021 il Giudice
relatore Francesco Vigano';
uditi gli avvocati Francesco Paolo Chioccarelli per P. N. e
Giuseppe Vitiello per il CNOG, in collegamento da remoto, ai sensi
del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio
2021, e gli avvocati dello Stato Maurizio Greco e Salvatore Faraci
per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 22 giugno 2021.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 9 aprile 2019, iscritta al n. 140 del r.o.
2019, il Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 595, terzo comma, del codice
penale e dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47
(Disposizioni sulla stampa), «per le ragioni di cui in motivazione».
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere
sulla responsabilita' penale di P. N., imputato del delitto di
diffamazione a mezzo stampa, e di A. S., imputato in quanto direttore
responsabile per omesso controllo, per aver attribuito alle persone
offese un fatto determinato (l'affiliazione a un sodalizio mafioso)
non corrispondente al vero alla luce degli atti di indagine
dell'autorita' giudiziaria. Poiche', secondo il rimettente, la
condotta diffamatoria risulta sussumibile tanto nella fattispecie
generale di cui all'art. 595, terzo comma, cod. pen., quanto in
quella di cui all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, il giudizio di
merito non potrebbe essere definito indipendentemente dalla soluzione
delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale.
Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il
rimettente ravvisa anzitutto il contrasto tra le disposizioni
censurate e l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10
CEDU.
Rilevato che la liberta' di espressione e' tutelata sia dall'art.
10 CEDU, sia dall'art. 21 Cost., sicche' la giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo formatasi sulla disposizione
convenzionale andrebbe utilizzata come «strumento di ampliamento e
adeguamento del diritto interno», il giudice a quo osserva che,
secondo il consolidato orientamento della Corte EDU, risulterebbe
contraria all'art. 10 CEDU, in quanto eccessiva e sproporzionata, la
previsione anche solo in astratto della pena detentiva per i delitti
di diffamazione a mezzo stampa, salvo che in circostanze eccezionali
ove si determini una grave lesione di altri diritti fondamentali,
come ad esempio in caso di discorsi di odio o di istigazione alla
violenza (sono citate le sentenze della Corte EDU 7 marzo 2019,
Sallusti contro Italia; 24 settembre 2013, Belpietro contro Italia;
17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre contro Romania).
Non sussisterebbero ostacoli al recepimento di tale consolidata
giurisprudenza della Corte EDU, in assenza, nell'ordinamento interno,
di valori o principi costituzionali suscettibili di prevalere sulla
liberta' di espressione, tutelata tanto dall'art. 10 CEDU, quanto
dall'art. 21 Cost.
Ne' sarebbe possibile adottare un'interpretazione
convenzionalmente orientata delle norme censurate, ritenendo soggette
a pena detentiva «esclusivamente le condotte diffamatorie a mezzo
stampa che rivestano i caratteri dell'eccezionalita'». Tale
interpretazione si porrebbe infatti in contrasto con i principi di
tassativita' e determinatezza della fattispecie penale, corollari del
principio di legalita' di cui all'art. 25 Cost., che impedirebbero al
giudice di integrare la norma incriminatrice con il requisito
dell'eccezionalita', «i cui precisi contorni e confini, peraltro,
dovrebbero pur sempre essere determinati puntualmente dal
legislatore, cui spetta in via esclusiva il potere di legiferare in
materia penale».
Non potrebbe, infine, essere seguito l'orientamento della
giurisprudenza di legittimita', che ha ritenuto la disciplina della
diffamazione a mezzo stampa conforme all'art. 10 CEDU, sul rilievo
dell'eccezionalita' delle circostanze in cui i giudici di merito
avevano irrogato la pena detentiva, poiche' le valutazioni della
Corte di cassazione sono state disattese dalla Corte EDU nelle citate
pronunce Sallusti e Belpietro.
Le disposizioni censurate risulterebbero altresi' contrarie agli
artt. 3 e 21 Cost., in quanto la previsione di una pena detentiva per
i reati di diffamazione a mezzo stampa sarebbe «manifestamente
irragionevole e totalmente sproporzionata rispetto alla liberta' di
manifestazione di pensiero, anche nella forma del diritto di cronaca
giornalistica, fondamentale diritto costituzionalmente garantito
dall'art. 21 Cost., la cui tutela, in assenza di contrari interessi
giuridici interni prevalenti, non puo' che essere favorevolmente
estesa nelle forme stabilite dalla giurisprudenza della Corte Edu,
eliminando cosi', salvi i "casi eccezionali", anche la mera
comminazione di qualunque pena detentiva».
Secondo il rimettente, poi, la comminatoria di una pena detentiva
per le condotte di diffamazione a mezzo stampa si porrebbe in
contrasto con il principio di offensivita', ricavabile dall'art. 25
Cost., «in quanto totalmente sproporzionata, irragionevole e non
necessaria rispetto al bene giuridico tutelato dalle norme
incriminatrici in questione, ovvero il rispetto della reputazione
personale».
Le norme censurate vanificherebbero, infine, la funzione
rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., attesa
la «inidoneita' della minacciata sanzione detentiva a garantire il
pieno rispetto della funzione generalpreventiva e specialpreventiva
della pena stessa». Cio' in quanto detta sanzione, essendo
sproporzionata al metro della giurisprudenza della Corte EDU,
risulterebbe in concreto inapplicabile e, quindi, inidonea a
orientare la condotta sia della generalita' dei consociati, sia del
singolo giornalista.
1.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni di legittimita' costituzionale
sollevate dal Tribunale di Salerno siano dichiarate inammissibili o
infondate.
L'ordinanza di rimessione sarebbe anzitutto insufficientemente
motivata in punto di rilevanza delle questioni. Il giudice a quo
avrebbe omesso di precisare se le affermazioni diffamatorie oggetto
di imputazione fossero frutto di una distorta valutazione di fatti
reali o costituissero una notizia pacificamente falsa; profilo questo
rilevante per la valutazione della conformita' delle norme censurate
agli artt. 117, primo comma, Cost. e 10 CEDU, in quanto, secondo la
giurisprudenza della Corte EDU, l'inflizione della pena detentiva per
il delitto di diffamazione a mezzo stampa non contrasterebbe con
l'art. 10 CEDU in caso di propalazione di una notizia pacificamente
falsa.
Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce poi
l'oscurita' del petitum dell'ordinanza di rimessione, che non
consentirebbe di comprendere se il rimettente aspiri a ottenere una
pronuncia ablativa delle disposizioni censurate, una pronuncia
manipolativa in punto di pena ovvero una pronuncia additiva in ordine
alla delimitazione delle condotte incriminate.
L'Avvocatura generale dello Stato evidenzia inoltre che
l'accoglimento del petitum - comunque inteso - non eliminerebbe in
toto i censurati profili di illegittimita' costituzionale del
trattamento sanzionatorio previsto per il reato di diffamazione, in
quanto l'art. 595 cod. pen. prevede comunque, anche in relazione a
ipotesi diverse dalla diffamazione a mezzo stampa, la possibilita' di
irrogare la pena detentiva in via alternativa rispetto alla pena
pecuniaria.
L'interveniente eccepisce infine l'omessa adozione, da parte del
giudice a quo, di un'interpretazione costituzionalmente e
convenzionalmente orientata delle norme censurate, in presenza di un
diritto vivente indirizzato nel senso della legittimita' della pena
detentiva nelle ipotesi di diffamazione a mezzo stampa caratterizzate
dagli elementi di eccezionalita' delineati dalla giurisprudenza della
Corte EDU, in particolare nelle sentenze 16 aprile 2009, Egeland e
Hanseid contro Norvegia e 22 aprile 2010, Fatullayev contro
Azerbaijan.
1.3.- Si e' costituita in giudizio P. N., parte nel giudizio a
quo, chiedendo l'accoglimento delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dal Tribunale di Salerno.
La parte richiama le pronunce della Corte EDU gia' citate dal
rimettente (Belpietro contro Italia e Sallusti contro Italia),
nonche' la sentenza Ricci contro Italia dell'8 ottobre 2013, per
dedurne che la previsione della pena detentiva in relazione alle
condotte di diffamazione a mezzo stampa sarebbe compatibile con
l'art. 10 CEDU solo in presenza di circostanze eccezionali,
riconducibili a gravi lesioni di diritti fondamentali (quali la
diffusione di discorsi d'odio o l'istigazione alla violenza), che non
risulterebbero integrate dalla diffamazione realizzata mediante
attribuzione di un fatto determinato.
Alla luce di tale giurisprudenza, l'art. 595, terzo comma, cod.
pen. potrebbe essere interpretato in maniera conforme all'art. 10
CEDU, nel senso che la pena detentiva, ivi prevista in via
alternativa alla pena pecuniaria, sia irrogabile solo in presenza di
una condotta di diffamazione a mezzo stampa connotata dal ricorrere
di circostanze eccezionali.
Siffatta interpretazione non potrebbe invece essere prospettata
in relazione all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, poiche' detta
disposizione commina la pena detentiva in via congiunta (e non
alternativa) alla pena pecuniaria per tutte le ipotesi di
diffamazione a mezzo stampa consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato, a prescindere dalla gravita' della singola condotta.
Ne' potrebbe opinarsi diversamente, in base al rilievo che l'art.
13 della legge n. 47 del 1948 configura non un'autonoma ipotesi di
reato, ma una circostanza aggravante del delitto di diffamazione,
come tale bilanciabile ex art. 69 cod. pen. con eventuali circostanze
attenuanti, con conseguente possibilita' che il giudice pervenga a
escludere l'applicazione della pena detentiva. Da un lato, infatti,
qualora la circostanza aggravante di cui all'art. 13 della legge n.
47 del 1948 operi da sola ovvero in concorso con altre circostanze
aggravanti, il giudice dovrebbe comunque applicare la pena detentiva
congiuntamente alla pena pecuniaria; dall'altro lato, in caso di
concorso tra circostanze eterogenee, sarebbe rimesso alla
discrezionalita' del giudice l'eventuale giudizio di prevalenza o
equivalenza delle circostanze attenuanti rispetto all'aggravante in
parola.
1.4.- Con atto depositato l'8 ottobre 2019, il Consiglio
nazionale dell'ordine dei giornalisti (CNOG) e' intervenuto in
giudizio ad adiuvandum, ai sensi dell'art. 4 delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, chiedendo alla Corte
di dichiarare ammissibile l'intervento e di accogliere le questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dal rimettente.
L'interveniente illustra diffusamente la giurisprudenza della
Corte EDU relativa ai requisiti di compatibilita' con l'art. 10 CEDU
della punizione delle condotte di diffamazione a mezzo stampa e della
previsione della pena detentiva, deducendone la contrarieta' della
disciplina censurata dal rimettente alla garanzia convenzionale della
liberta' di espressione.
Il CNOG evidenzia poi che un filone della giurisprudenza di
legittimita' (sono richiamate Corte di cassazione, sezione quinta
penale, sentenze 13 marzo 2014, n. 12203 e 19 settembre 2019, n.
38721), in adesione ai principi espressi dalla Corte EDU, riterrebbe
che, in relazione alle condotte di diffamazione a mezzo stampa,
l'irrogazione della pena detentiva sia giustificata solo in presenza
di gravi lesioni dei diritti fondamentali, quali quelle derivanti
dalla propalazione di discorsi di odio o di istigazione alla
violenza.
1.5.- Con ordinanza n. 37 del 2020, questa Corte ha dichiarato
ammissibile l'intervento in giudizio del CNOG, sul rilievo che, ai
sensi che l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative e secondo la
costante giurisprudenza della Corte, nei giudizi in via incidentale
possono intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente
in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio;
interesse da ritenersi in specie sussistente, in relazione alla
competenza disciplinare attribuita al CNOG dall'art. 20, primo comma,
lettera d), dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della
professione di giornalista).
1.6.- Con atto depositato telematicamente il 3 marzo 2020, oltre
il termine di cui all'art. 4-ter, comma 1, delle Norme integrative,
la Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) ha presentato
un'opinione scritta in qualita' di amicus curiae.
1.7.- Il 31 marzo 2020 il Presidente del Consiglio dei ministri
ha depositato memoria illustrativa, insistendo per la declaratoria di
inammissibilita' o di manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale di Salerno.
Riproposte le argomentazioni gia' sviluppate nell'atto di intervento,
l'interveniente soggiunge che le fattispecie di cui agli artt. 595,
terzo comma, cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948 configurano
aggravanti speciali del reato di diffamazione, come tali bilanciabili
con eventuali circostanze attenuanti, sicche' il giudice potrebbe
scegliere se applicare la pena detentiva o quella pecuniaria in
funzione della maggiore o minore gravita' della condotta di
diffamazione a mezzo stampa, con conseguente piena conformita' della
normativa censurata alla giurisprudenza della Corte EDU in tema di
liberta' di espressione.
Con specifico riferimento al caso oggetto del giudizio a quo,
inoltre, l'attribuzione alla persona offesa di una condotta illecita,
poi rivelatasi inveritiera, determinerebbe una lesione della
presunzione di non colpevolezza, tutelata dagli artt. 27, secondo
comma, Cost. e 6, paragrafo 2, CEDU, cosi' concretando una delle
circostanze eccezionali che, secondo la giurisprudenza della Corte
EDU, giustificano l'applicazione della pena detentiva al giornalista
colpevole di diffamazione.
1.8.- Rispettivamente in data 19 maggio, 29 maggio e 31 maggio
2020, in tutti i casi oltre il termine di cui all'art. 4-ter, comma
1, delle Norme integrative sono pervenute alla cancelleria della
Corte, via posta elettronica certificata (PEC), altrettante opinioni
scritte del Sindacato cronisti romani presso l'Associazione stampa
romana, in qualita' di amicus curiae.
1.9.- Il 26 maggio 2020 la parte P. N. ha depositato, fuori
termine, memoria integrativa.
2.- Con ordinanza del 16 aprile 2019, iscritta al n. 149 del r.o.
2019, il Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale, ha
sollevato, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 10 CEDU, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 13 della legge n. 47 del 1948, «in combinato disposto» con
l'art. 595 cod. pen., «nella parte in cui sanziona il delitto di
diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e consistente
nell'attribuzione di un fatto determinato, con la pena cumulativa
della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a 256
[recte: 258] euro, invece che in via alternativa».
2.1.- Il rimettente espone di dover giudicare della
responsabilita' di G. D.T., imputato del delitto di cui agli artt.
595 cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948, per avere, in qualita'
di direttore di un quotidiano, offeso la reputazione di F. C.
mediante la pubblicazione di un articolo privo di firma, nel quale si
attribuiva alla persona offesa la cessione di stupefacente a una
terza persona, malgrado l'avvenuto proscioglimento di F. C. in
relazione a tale fatto.
In punto di rilevanza, il giudice a quo espone che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 595 cod. pen. e 13 della legge n. 47
del 1948, il delitto di cui G. D.T. e' imputato (diffamazione
realizzata con la pubblicazione dell'articolo in questione e
consistente nell'attribuzione di un fatto determinato) risulta
punibile con la pena della reclusione da uno a sei anni, prevista in
via cumulativa e non alternativa rispetto alla multa di 258 euro.
Non sussisterebbero poi ragioni per prosciogliere l'imputato il
quale, pur tratto in giudizio nella qualita' di direttore
responsabile del quotidiano, sarebbe chiamato a rispondere
direttamente della condotta diffamatoria realizzata mediante la
pubblicazione dell'articolo privo di firma. Del resto, la questione
rimarrebbe rilevante anche ove, all'esito del dibattimento, si
dovesse ritenere sussistente la responsabilita' di G. D.T. sotto il
solo profilo dell'omesso controllo sulla pubblicazione di contenuti
diffamatori, ai sensi dell'art. 57 cod. pen., atteso che, anche in
tale ipotesi, sarebbe comunque applicabile la pena detentiva, pur
ridotta di un terzo nel quantum.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente richiama
ampi stralci delle sentenze della Corte EDU Belpietro contro Italia,
Sallusti contro Italia e Ricci contro Italia, relative alla
compatibilita' con l'art. 10 CEDU del trattamento sanzionatorio
previsto nell'ordinamento italiano, in particolare per la
diffamazione a mezzo stampa.
Da tale consolidata giurisprudenza si trarrebbe che la previsione
per tale delitto di una pena detentiva, pur suscettibile di
sospensione condizionale o di commutazione in pena pecuniaria,
risulterebbe incompatibile con l'art. 10 CEDU, poiche' idonea a
scoraggiare l'esercizio della liberta' di manifestazione del pensiero
e della liberta' d'informazione, in tutti i casi in cui non ricorrano
circostanze eccezionali, quali la propalazione di discorsi di odio o
di istigazione alla violenza.
Ne' sarebbe praticabile un'interpretazione costituzionalmente
orientata della norma censurata, che considerasse irrogabile la pena
detentiva in relazione alle sole condotte diffamatorie concretantisi
in incitazione all'odio, alla discriminazione o alla violenza: una
simile opzione ermeneutica, «creativa e arbitraria, slegata dal dato
letterale, ed esorbitante rispetto alla funzione giurisdizionale»
risulterebbe infatti contraria al principio di legalita' e lesiva
degli artt. 25 e 101 Cost.
Nemmeno sarebbe possibile applicare, in luogo delle sanzioni
previste dall'art. 13 della legge n. 47 del 1948, quelle contemplate
dall'art. 595, secondo e terzo comma, cod. pen., che prevedono la
pena detentiva in via alternativa e non congiunta rispetto alla pena
pecuniaria, essendo la fattispecie della diffamazione commessa a
mezzo stampa e contestualmente consistente nell'attribuzione di un
fatto determinato inequivocabilmente disciplinata dalla prima
disposizione.
Ne', ancora, sarebbe dirimente che la circostanza aggravante di
cui al predetto art. 13 sia bilanciabile con altre circostanze
attenuanti, perche' cio' non escluderebbe l'effetto dissuasivo,
rispetto all'attivita' giornalistica, della previsione, in astratto,
di una pena detentiva congiunta a quella pecuniaria.
Il rimettente precisa infine che la questione di legittimita'
costituzionale sollevata mira a una pronuncia che renda la pena
detentiva applicabile in via alternativa e non piu' cumulativa
rispetto alla pena pecuniaria. Una simile pronuncia «consentirebbe al
giudice di verificare in concreto la sussistenza delle circostanze
eccezionali in cui la gravita' della condotta e dell'offesa che ne
deriva giustifica l'irrogazione di una pena detentiva, lasciando
cosi' un adeguato spazio discrezionale utile per conformare la
decisione giurisdizionale nazionale ai principi dell'ordinamento CEDU
in materia». Si tratterebbe, a parere del giudice a quo, di una
soluzione non costituzionalmente obbligata, ma adottabile da parte di
questa Corte, sulla falsariga di quanto gia' avvenuto nella sentenza
n. 40 del 2019, in presenza di un preciso punto di riferimento,
offerto dall'art. 595 cod. pen., che prevede l'applicazione della
pena detentiva in alternativa alla pena pecuniaria nei casi di cui ai
commi secondo e terzo.
2.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
infondata, sulla base delle argomentazioni gia' svolte nell'atto di
intervento depositato nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
2.3.- Il 22 ottobre 2019 il CNOG ha depositato atto di intervento
ad adiuvandum, di tenore analogo a quello dell'atto presentato nel
giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
2.4.- Il 31 marzo 2020 il Presidente del Consiglio dei ministri
ha depositato memoria illustrativa, insistendo per l'accoglimento
delle conclusioni gia' rassegnate nell'atto di intervento e
richiamando integralmente le argomentazioni svolte nella memoria
illustrativa depositata nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o.
2019.
2.5.- Il 19, 29 e 31 maggio 2020, e dunque oltre il termine di
cui all'art. 4-ter, comma 1, delle Norme integrative, il Sindacato
cronisti romani presso l'Associazione stampa romana ha depositato via
PEC le stesse opinioni scritte in qualita' di amicus curiae
depositate nel giudizio iscritto al n. 140 del r.o. 2019.
2.6.- Con ordinanza dibattimentale letta all'udienza del 9 giugno
2020, questa Corte ha dichiarato ammissibile l'intervento ad
adiuvandum spiegato dal CNOG nel giudizio iscritto al n. 149 del r.o.
2019.
3.- Con ordinanza n. 132 del 2020, questa Corte, riuniti i
giudizi, ritenendo «necessaria e urgente», alla luce della
giurisprudenza della Corte EDU e della stessa giurisprudenza
costituzionale in tema di liberta' di espressione, «una complessiva
rimeditazione del bilanciamento, attualmente cristallizzato nella
normativa oggetto delle odierne censure, tra liberta' di
manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale,
in particolare con riferimento all'attivita' giornalistica», ha
giudicato opportuno, «in uno spirito di leale collaborazione
istituzionale e nel rispetto dei limiti delle proprie attribuzioni,
rinviare la decisione delle questioni [...] sottopostele a una
successiva udienza, in modo da consentire al legislatore di approvare
nel frattempo una nuova disciplina».
4.- All'udienza del 22 giugno 2021, le parti hanno insistito per
l'accoglimento delle conclusioni gia' rassegnate in atti.
Considerato in diritto
1.- Con l'ordinanza iscritta al n. 140 del r.o. 2019 il Tribunale
ordinario di Salerno, sezione seconda penale, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma, della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10 della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (CEDU), questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 595, terzo comma, del codice penale e
dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla
stampa).
Con l'ordinanza iscritta al n. 149 del r.o. 2019 il Tribunale
ordinario di Bari, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge n.
47 del 1948, «in combinato disposto» con l'art. 595 cod. pen., «nella
parte in cui sanziona il delitto di diffamazione aggravata, commessa
a mezzo stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto
determinato, con la pena cumulativa della reclusione da uno a sei
anni e della multa non inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece che
in via alternativa». Dal tenore dell'ordinanza di rimessione risulta
peraltro che l'art. 595 cod. pen. e' menzionato al mero fine di
individuare la fattispecie incriminatrice su cui si innesta la
speciale circostanza aggravante prevista all'art. 13 della legge n.
47 del 1948, sulla quale soltanto si appuntano le censure del giudice
a quo.
I due giudizi, che sollevano questioni analoghe, sono gia' stati
riuniti ai fini della decisione con l'ordinanza n. 132 del 2020 di
questa Corte, di cui si e' detto nel Ritenuto in fatto.
Esse pongono, in estrema sintesi, il quesito se sia compatibile
con la Costituzione, anche alla luce della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell'uomo, la previsione di pene detentive per il
delitto di diffamazione commesso a mezzo della stampa. E cio' con
riguardo all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, che commina la
reclusione in via cumulativa rispetto alla pena pecuniaria, allorche'
la diffamazione a mezzo stampa consista nell'attribuzione di un fatto
determinato; nonche' - per cio' che concerne la questione posta dal
Tribunale di Salerno - con riguardo anche all'art. 595, terzo comma,
cod. pen., che prevede la reclusione in via meramente alternativa
rispetto alla pena pecuniaria per il caso di diffamazione col mezzo
della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita', ovvero in
atto pubblico.
2.- Con l'ordinanza n. 132 del 2020, questa Corte ha gia'
formulato una serie di valutazioni in ordine al thema decidendum, le
quali debbono in questa sede essere integralmente confermate, e alle
quali si salda, in consecuzione logica, l'odierna decisione (per il
medesimo rilievo, sentenza n. 242 del 2019 rispetto all'ordinanza n.
207 del 2018).
3.- Le questioni sono ammissibili.
3.1.- Rispetto alle questioni sollevate dal Tribunale di Salerno,
occorre osservare quanto segue.
3.1.1.- Non e' anzitutto fondata l'eccezione di insufficiente
motivazione sulla loro rilevanza, formulata dall'Avvocatura generale
dello Stato.
Per quanto stringata, la descrizione dei fatti contestati agli
imputati (nelle rispettive qualita' di autore dell'articolo e di
direttore responsabile del quotidiano) compiuta nell'ordinanza di
rimessione e' sufficiente a comprendere che essi consistono nella
diffusione di una notizia lesiva dell'altrui reputazione, consistente
in uno specifico addebito successivamente smentito dalle indagini
penali compiute dalla competente Direzione distrettuale antimafia. I
fatti cosi' descritti certamente corrispondono alla figura legale del
delitto di diffamazione, aggravato ai sensi dell'art. 13 della legge
n. 47 del 1948 in quanto compiuto a mezzo della stampa e consistente
nell'attribuzione di un fatto determinato.
La rilevanza delle questioni prospettate sussiste, tuttavia,
anche rispetto all'aggravante di cui all'art. 595, terzo comma, cod.
pen., che punisce, tra l'altro, la diffamazione compiuta a mezzo
della stampa. Per quanto tale aggravante sia destinata, nell'attuale
quadro normativo, ad essere assorbita in quella di cui all'art. 13
della legge n. 47 del 1948, che si pone rispetto ad essa quale lex
specialis, l'auspicato accoglimento delle questioni di legittimita'
costituzionale formulate dal rimettente rispetto a quest'ultima
disposizione renderebbe nuovamente applicabile, nel caso di specie,
l'aggravante generale di cui all'art. 595, terzo comma, cod. pen., in
concorso con quella prevista dal secondo comma, che prevede un
inasprimento di pena in ogni ipotesi in cui la diffamazione consista
nell'attribuzione di un fatto determinato; con conseguente
applicazione, ai fini della commisurazione della pena, dell'art. 63,
quarto comma, cod. pen. Donde la rilevanza - in via condizionata
all'accoglimento delle questioni sollevate sull'art. 13 della legge
n. 47 del 1948 - anche delle questioni sollevate in relazione
all'art. 595, terzo comma, cod. pen.
3.1.2.- Ne' merita accoglimento l'eccezione, parimenti formulata
dall'Avvocatura generale dello Stato, relativa all'oscurita' del
petitum formulato dalla medesima ordinanza del Tribunale di Salerno.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «l'ordinanza
di rimessione delle questioni di legittimita' costituzionale non
necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresi'
un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della
motivazione emerga[no] con chiarezza il contenuto ed il verso delle
censure» (sentenza n. 123 del 2021 e, in precedenza, sentenze n. 176
del 2019 e n. 175 del 2018). Nel caso ora all'esame, il dispositivo
dell'ordinanza di rimessione rinvia espressamente alle «ragioni di
cui in motivazione»; e dalla motivazione si evince come il rimettente
non solleciti in alcun luogo - come invece ipotizzato dall'Avvocatura
generale dello Stato - una «pronuncia manipolativa sulle pene
previste», ne' una «pronuncia additiva in ordine alla delimitazione
delle condotte che esse sanzionano»; bensi' denunci
l'incompatibilita' tout court con i parametri costituzionali e
convenzionali evocati di entrambe le disposizioni censurate, che
comminano una pena detentiva per il delitto di diffamazione anche al
di fuori dei casi eccezionali in cui tale pena potrebbe essere
giustificata.
Il petitum dell'ordinanza e', pertanto, interpretabile come
diretto alla radicale ablazione di entrambe le disposizioni
sottoposte all'esame di questa Corte.
3.1.3.- Priva di pregio e' anche l'ulteriore eccezione, svolta
dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo cui l'eventuale
accoglimento delle questioni formulate dal Tribunale di Salerno a
proposito dell'art. 13 della legge n. 47 del 1948 non eliminerebbe i
profili di denunciata illegittimita' costituzionale, dal momento che
la pena detentiva resterebbe comunque prevista dall'art. 595 cod.
pen.
Come appena sottolineato, infatti, il rimettente - del tutto
coerentemente - estende le questioni anche all'art. 595, terzo comma,
cod. pen., che diverrebbe applicabile laddove fosse dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge n. 47 del
1948, censurato in prima battuta.
3.1.4.- L'Avvocatura generale dello Stato ha infine eccepito
l'inammissibilita' delle questioni sollevate dal medesimo Tribunale
in ragione dell'omessa sperimentazione, da parte del rimettente, di
un'interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni
censurate.
Nemmeno tale eccezione e' fondata.
In effetti, il giudice a quo espressamente esclude di potere
interpretare le disposizioni censurate nel senso dell'applicazione
della pena detentiva «esclusivamente alle condotte diffamatorie a
mezzo stampa che rivestano i caratteri dell'eccezionalita'», poiche'
tale interpretazione contrasterebbe, a suo avviso, con i principi di
tassativita' e determinatezza della fattispecie penale, nonche' di
soggezione del giudice alla legge, i quali impedirebbero al giudice
di «integrare la norma incriminatrice di questo ulteriore requisito».
Quanto poi, in particolare, all'art. 595, terzo comma, cod. pen., che
prevede la reclusione soltanto in via alternativa, il rimettente
sottolinea come a suo giudizio gia' la stessa previsione astratta
della pena detentiva - e dunque la sua comminazione legislativa -
limiti eccessivamente il diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero, a prescindere dunque dalla decisione del giudice di
applicarla o meno nel caso concreto.
Se e in che misura queste valutazioni siano condivisibili,
attiene al merito, e non all'ammissibilita' delle questioni: a
quest'ultimo fine e' infatti sufficiente - in base alla ormai
costante giurisprudenza di questa Corte - che il giudice abbia
esplorato, e consapevolmente scartato, la possibilita' di una
interpretazione conforme alla Costituzione (ex multis, sentenze n. 32
del 2021, n. 32 del 2020, n. 189 del 2019).
3.2.- Per quanto riguarda invece l'ordinanza del Tribunale di
Bari, occorre rilevare quanto segue.
3.2.1.- Non e' fondata, nemmeno in questo caso, l'eccezione
sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato relativa al difetto di
motivazione sulla rilevanza della questione.
Il giudice a quo chiarisce infatti che, impregiudicata ogni
valutazione circa la sussistenza della responsabilita' dell'imputato,
il fatto di cui quest'ultimo e' accusato consiste nell'avere
consentito, nella propria qualita' di direttore di un quotidiano, la
pubblicazione di un articolo in cui si attribuiva alla persona offesa
un fatto determinato (la cessione di droga a un atleta), nonostante
l'intervenuta assoluzione della stessa persona offesa da ogni
addebito con sentenza passata in giudicato. Tanto basta per
considerare applicabile nel giudizio principale l'art. 13 della legge
n. 47 del 1948, che costituisce in questo caso l'unico oggetto delle
censure del rimettente.
3.2.2.- Nemmeno puo' predicarsi, contrariamente all'avviso
espresso dall'Avvocatura generale dello Stato, che il petitum
formulato dal rimettente sia oscuro. In questo secondo giudizio,
anzi, il petitum e' espressamente formulato nel dispositivo, e mira
univocamente alla modificazione dell'attuale quadro sanzionatorio
dell'art. 13 della legge n. 47 del 1948, imperniato sulla previsione
cumulativa di una pena detentiva e di una pena pecuniaria, in modo
tale da rendere alternative le due pene.
3.2.3.- Ictu oculi infondata e' anche l'eccezione secondo cui
l'accoglimento del petitum non eliminerebbe il vizio di
illegittimita' costituzionale lamentato. Il rimettente, infatti,
ritiene che il vizio risieda nell'indefettibilita' dell'applicazione
della sanzione detentiva, che verrebbe per l'appunto eliminata ove il
quadro sanzionatorio fosse modificato nel senso dell'alternativita'
tra le due pene: cio' che consentirebbe al giudice di evitare di
dover irrogare la reclusione, al di fuori dei casi eccezionali in cui
tale sanzione sarebbe consentita anche secondo il diritto
convenzionale.
3.2.4.- Infine, nemmeno in questo caso e' possibile rimproverare
al giudice a quo l'omessa sperimentazione di una interpretazione
conforme. Il rimettente, infatti, esclude espressamente, con
motivazione particolarmente estesa, di poter interpretare la
disposizione censurata in modo tale da evitare l'applicazione della
pena detentiva nelle ipotesi in cui tale pena risulterebbe in
contrasto con la giurisprudenza della Corte EDU. Cio' e' sufficiente,
come poc'anzi osservato, ai fini della rilevanza della questione
proposta.
4.- Le questioni sollevate dal Tribunale di Salerno sull'art. 13
della legge n. 47 del 1948, in riferimento agli artt. 21 e 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU, sono fondate.
4.1.- Come gia' rilevato, la disposizione censurata prevede una
circostanza aggravante per il delitto di diffamazione, integrata nel
caso in cui la condotta sia commessa col mezzo della stampa e
consista nell'attribuzione di un fatto determinato. Essa costituisce
lex specialis rispetto alle due aggravanti previste dall'art. 595
cod. pen., secondo e terzo comma, che prevedono cornici sanzionatorie
autonome e piu' gravi rispetto a quelle stabilite dal primo comma,
rispettivamente nel caso in cui l'offesa all'altrui reputazione
consista nell'attribuzione di un fatto determinato e in quello in cui
l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro
mezzo di pubblicita', ovvero in atto pubblico.
La pena prevista dall'art. 13 della legge n. 47 del 1948 e'
quella della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore
a euro 258. Le due pene - detentiva e pecuniaria - sono dunque
previste in via cumulativa, il giudice essendo tenuto ad applicarle
indefettibilmente entrambe; e cio' a meno che non sussistano, nel
caso concreto, circostanze attenuanti giudicate prevalenti o, almeno,
equivalenti all'aggravante in esame.
4.2.- Proprio l'indefettibilita' dell'applicazione della pena
detentiva, in tutte le ipotesi nelle quali non sussistano - o non
possano essere considerate almeno equivalenti - circostanze
attenuanti, rende la disposizione censurata incompatibile con il
diritto a manifestare il proprio pensiero, riconosciuto tanto
dall'art. 21 Cost., quanto dall'art. 10 CEDU.
Come gia' rilevato da questa Corte nella ordinanza n. 132 del
2020, una simile necessaria irrogazione della sanzione detentiva
(indipendentemente poi dalla possibilita' di una sua sospensione
condizionale, o di una sua sostituzione con misure alternative alla
detenzione rispetto al singolo condannato) e' divenuta ormai
incompatibile con l'esigenza di «non dissuadere, per effetto del
timore della sanzione privativa della liberta' personale, la
generalita' dei giornalisti dall'esercitare la propria cruciale
funzione di controllo sull'operato dei pubblici poteri»: esigenza
sulla quale ha particolarmente insistito la Corte EDU nella propria
copiosa giurisprudenza rammentata nella stessa ordinanza, ma che
anche questa Corte condivide.
Per quanto, come si dira' meglio infra (punto 5.3.), la sanzione
detentiva non possa ritenersi sempre costituzionalmente illegittima
nei casi piu' gravi di diffamazione, la sua necessaria inflizione,
prevista dalla disposizione censurata in tutte le ipotesi da essa
previste - che abbracciano, in pratica, la quasi totalita' delle
diffamazioni commesse a mezzo della stampa, periodica e non -,
conduce necessariamente a esiti incompatibili con le esigenze di
tutela della liberta' di manifestazione del pensiero, e in
particolare con quella sua specifica declinazione costituita dalla
liberta' di stampa, gia' definita «pietra angolare dell'ordine
democratico» da una risalente pronuncia di questa Corte (sentenza n.
84 del 1969).
E cio' anche in considerazione del diritto vivente, che - come
parimenti rammentato nell'ordinanza n. 132 del 2020 - condiziona
l'operativita' della causa di giustificazione del diritto di cronaca
nella sua forma putativa (art. 59, quarto comma, cod. pen.) al
requisito dell'assenza di colpa nel controllo delle fonti: ammettendo
conseguentemente la responsabilita' del giornalista per il delitto di
diffamazione anche nell'ipotesi in cui egli abbia confidato, seppur
per un errore evitabile, nella verita' del fatto attribuito alla
persona offesa.
4.3.- Dal momento che la funzione della disposizione censurata e'
unicamente quella di inasprire il trattamento sanzionatorio previsto
in via generale dall'art. 595 cod. pen. in termini che non sono
compatibili con l'art. 21 Cost., oltre che con l'art. 10 CEDU, essa
deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella sua
interezza, nei termini auspicati dal ricorrente. Tale dichiarazione
non crea, del resto, alcun vuoto di tutela al diritto alla
reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della
stampa, diritto che continua a essere protetto dal combinato disposto
del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen., il cui
alveo applicativo si riespandera' in seguito alla presente pronuncia.
4.4.- Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura evocati
dal rimettente a proposito della medesima disposizione.
5.- La dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art.
13 della legge n. 47 del 1948, in accoglimento delle censure
formulate dal Tribunale di Salerno, rende superfluo l'esame della
questione formulata dal Tribunale di Bari sulla medesima
disposizione, mirante a sostituire il regime di cumulativita' di
reclusione e multa previsto dalla disposizione medesima con un regime
di alternativita' tra le due sanzioni.
6.- Le questioni sollevate dallo stesso Tribunale di Salerno
sull'art. 595, terzo comma, cod. pen. in riferimento agli artt. 3, 21
e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU, devono
invece essere dichiarate non fondate nei termini di seguito
precisati.
6.1.- L'art. 595, terzo comma, cod. pen. configura - come gia'
rammentato - una circostanza aggravante del delitto di diffamazione,
integrata allorche' l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con
qualsiasi altro mezzo di pubblicita', ovvero in atto pubblico. La
pena prevista e' quella della reclusione da sei mesi a tre anni
ovvero della multa non inferiore a 516 euro.
6.2.- La previsione in via, questa volta, soltanto alternativa
della pena detentiva da parte della norma censurata non puo'
ritenersi di per se' in contrasto con la liberta' di manifestazione
del pensiero, tutelata dagli artt. 21 Cost. e 10 CEDU.
Come rammentato nell'ordinanza n. 132 del 2020, se e' vero che la
liberta' di espressione - in particolare sub specie di diritto di
cronaca e di critica esercitato dai giornalisti - costituisce pietra
angolare di ogni ordinamento democratico, non e' men vero che la
reputazione individuale e' del pari un diritto inviolabile,
strettamente legato alla stessa dignita' della persona.
Aggressioni illegittime a tale diritto compiute attraverso la
stampa, o attraverso gli altri mezzi di pubblicita' cui si riferisce
l'art. 595, terzo comma, cod. pen. - la radio, la televisione, le
testate giornalistiche online e gli altri siti internet, i social
media, e cosi' via -, possono incidere grandemente sulla vita
privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime. E
tali danni sono suscettibili, oggi, di essere enormemente amplificati
proprio dai moderni mezzi di comunicazione, che rendono agevolmente
reperibili per chiunque, anche a distanza di molti anni, tutti gli
addebiti diffamatori associati al nome della vittima. Questi
pregiudizi debbono essere prevenuti dall'ordinamento con strumenti
idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile
bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della liberta'
di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica
in particolare.
Tra questi strumenti non puo' in assoluto escludersi la sanzione
detentiva, sempre che la sua applicazione sia circondata da cautele
idonee a schermare il rischio di indebita intimidazione esercitato su
chi svolga la professione giornalistica.
Si deve infatti ritenere che l'inflizione di una pena detentiva
in caso di diffamazione compiuta a mezzo della stampa o di altro
mezzo di pubblicita' non sia di per se' incompatibile con le ragioni
di tutela della liberta' di manifestazione del pensiero nei casi in
cui la diffamazione si caratterizzi per la sua eccezionale gravita'
(cosi' la stessa Corte EDU, grande camera, sentenza 17 dicembre 2004,
Cumpănă e Mazăre contro Romania, paragrafo 115; nonche' sentenze 5
novembre 2020, Balaskas contro Grecia, paragrafo 61; 11 febbraio
2020, Atamanchuk contro Russia, paragrafo 67; 7 marzo 2019, Sallusti
contro Italia, paragrafo 59; 24 settembre 2013, Belpietro contro
Italia, paragrafo 53; 6 dicembre 2007, Katrami contro Grecia,
paragrafo 39). La Corte di Strasburgo ritiene integrate simili
ipotesi eccezionali in particolare con riferimento ai discorsi d'odio
e all'istigazione alla violenza, che possono nel caso concreto
connotare anche contenuti di carattere diffamatorio; ma casi
egualmente eccezionali, tali da giustificare l'inflizione di sanzioni
detentive, potrebbero ad esempio essere anche rappresentati da
campagne di disinformazione condotte attraverso la stampa, internet o
i social media, caratterizzate dalla diffusione di addebiti
gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella
consapevolezza da parte dei loro autori della - oggettiva e
dimostrabile - falsita' degli addebiti stessi.
Chi ponga in essere simili condotte - eserciti o meno la
professione giornalistica - certo non svolge la funzione di "cane da
guardia" della democrazia, che si attua paradigmaticamente tramite la
ricerca e la pubblicazione di verita' "scomode"; ma, all'opposto,
crea un pericolo per la democrazia, combattendo l'avversario mediante
la menzogna, utilizzata come strumento per screditare la sua persona
agli occhi della pubblica opinione. Con prevedibili conseguenze
distorsive anche rispetto agli esiti delle stesse libere competizioni
elettorali.
Se circoscritta a casi come quelli appena ipotizzati, la
previsione astratta e la concreta applicazione di sanzioni detentive
non possono, ragionevolmente, produrre effetti di indebita
intimidazione nei confronti dell'esercizio della professione
giornalistica, e della sua essenziale funzione per la societa'
democratica. Al di fuori di quei casi eccezionali, del resto assai
lontani dall'ethos della professione giornalistica, la prospettiva
del carcere restera' esclusa per il giornalista, cosi' come per
chiunque altro che abbia manifestato attraverso la stampa o altri
mezzi di pubblicita' la propria opinione; restando aperta soltanto la
possibilita' che siano applicate pene diverse dalla reclusione,
nonche' rimedi e sanzioni civili o disciplinari, in tutte le
ordinarie ipotesi in cui la condotta lesiva della reputazione altrui
abbia ecceduto dai limiti del legittimo esercizio del diritto di
cronaca o di critica.
6.3.- La disposizione ora all'esame - l'art. 595, terzo comma,
cod. pen. - deve essere interpretata in maniera conforme a tali
premesse.
Il potere discrezionale che essa attribuisce al giudice nella
scelta tra reclusione (da sei mesi a tre anni) e multa (non inferiore
a 516 euro) deve certo essere esercitato tenendo conto dei criteri di
commisurazione della pena indicati nell'art. 133 cod. pen., ma anche
- e ancor prima - delle indicazioni derivanti dalla Costituzione e
dalla CEDU secondo le coordinate interpretative fornite da questa
Corte e dalla Corte EDU; e cio' anche al fine di evitare la pronuncia
di condanne penali, che potrebbero successivamente dar luogo a una
responsabilita' internazionale dello Stato italiano per violazioni
della Convenzione (per la sottolineatura del dovere «di evitare
violazioni della CEDU» in capo agli stessi giudici comuni, nel quadro
dei loro compiti di applicazione delle norme, si veda la sentenza n.
68 del 2017, Considerato in diritto, punto 7.).
Ne consegue che il giudice penale dovra' optare per l'ipotesi
della reclusione soltanto nei casi di eccezionale gravita' del fatto,
dal punto di vista oggettivo e soggettivo, rispetto ai quali la pena
detentiva risulti proporzionata, secondo i principi poc'anzi
declinati; mentre dovra' limitarsi all'applicazione della multa,
opportunamente graduata secondo la concreta gravita' del fatto, in
tutte le altre ipotesi.
Questa lettura, del resto, e' stata gia' fatta propria dalla piu'
recente giurisprudenza di legittimita', nel quadro di
un'interpretazione che dichiaratamente si ispira alla giurisprudenza
pertinente della Corte EDU e all'ordinanza n. 132 del 2020 di questa
Corte (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 9 luglio
2020, n. 26509), e che si estende anche agli autori di diffamazioni
aggravate ai sensi dell'art. 595, terzo comma, cod. pen. i quali non
esercitino attivita' giornalistica in senso stretto (Corte di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 17 febbraio 2021, n.
13993; sezione quinta penale, sentenza 15 gennaio 2021, n. 13060).
Cosi' interpretata, la disposizione censurata risulta conforme
tanto all'art. 21, quanto all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 10 CEDU.
6.4.- Tale interpretazione consente di escludere anche il
contrasto della disposizione censurata con l'art. 3 Cost., che il
rimettente prospetta sulla base dei medesimi argomenti che sostengono
l'allegata violazione degli artt. 21 e 117, primo comma, Cost.
7.- Manifestamente infondata e' invece la questione, sollevata
dallo stesso Tribunale di Salerno, avente ad oggetto l'art. 595,
terzo comma, cod. pen., in riferimento all'art. 25 Cost.
Il rimettente opina che il carattere sproporzionato,
irragionevole e non necessario della sanzione detentiva rispetto al
bene giuridico tutelato violerebbe il principio di offensivita',
ricavabile appunto dall'art. 25 Cost.
In senso contrario, deve tuttavia rilevarsi che la diffamazione
e', per quanto sopra argomentato, delitto tutt'altro che inoffensivo,
essendo posto a tutela di un diritto fondamentale, quale la
reputazione della persona, di primario rilievo nell'ordinamento
costituzionale; mentre il carattere proporzionato o sproporzionato
della sanzione comminata dal legislatore per un fatto comunque
offensivo deve piuttosto essere vagliato sotto il profilo della sua
compatibilita' con altri parametri costituzionali, tra cui
segnatamente la liberta' di manifestazione del pensiero, secondo le
cadenze poc'anzi illustrate.
8.- Non fondato appare infine anche il dubbio di legittimita'
costituzionale sollevato dal Tribunale di Salerno sulla
compatibilita' della medesima disposizione con l'art. 27, terzo
comma, Cost.
Il giudice a quo non censura qui la sproporzione della pena
detentiva rispetto alla gravita' del reato, bensi' l'«inidoneita'
della minacciata sanzione detentiva a garantire il pieno rispetto
della funzione generalpreventiva e specialpreventiva della pena
stessa». Il rimettente assume dunque in premessa la contrarieta' alla
CEDU della pena detentiva nelle ipotesi di diffamazione a mezzo
stampa, e dunque la sua non irrogabilita' in concreto; dal che
deriverebbe la radicale inefficacia della sua comminatoria edittale
rispetto agli scopi preventivi della pena, tra cui - parrebbe di
intendere - la finalita' rieducativa menzionata nell'art. 27, terzo
comma, Cost.
Mai tuttavia, nella giurisprudenza di questa Corte, la necessaria
finalita' rieducativa della pena e' stata utilizzata a sostegno di
dichiarazioni di illegittimita' costituzionale miranti a censurare
l'ineffettivita' di comminatorie edittali rispetto agli stessi scopi
preventivi della pena, in considerazione della inapplicabilita' della
pena in essa prevista. L'art. 27, terzo comma, Cost. e' piuttosto
pertinente nel quadro di censure miranti a denunciare il carattere
manifestamente sproporzionato della pena prevista dal legislatore
rispetto alla gravita' del fatto di reato; ma che la cornice edittale
prevista dall'art. 595, terzo comma, cod. pen. sia manifestamente
sproporzionata si e' gia' avuto poc'anzi modo di escludere, nei
limiti appena precisati.
9.- Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
deve essere dichiarata in via consequenziale l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n.
223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), il
quale prevede che «[n]el caso di reati di diffamazione commessi
attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto
determinato, si applicano ai soggetti di cui al comma 1 le sanzioni
previste dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47», dichiarato
costituzionalmente illegittimo dalla presente pronuncia.
Restera' anche in questo caso applicabile la disciplina prevista
dall'art. 595, terzo comma, cod. pen. nei termini sopra indicati.
10.- La presente decisione, pur riaffermando l'esigenza che
l'ordinamento si faccia carico della tutela effettiva della
reputazione in quanto diritto fondamentale della persona, non implica
che il legislatore debba ritenersi costituzionalmente vincolato a
mantenere anche per il futuro una sanzione detentiva per i casi piu'
gravi di diffamazione (in senso analogo, in relazione al contiguo
diritto fondamentale all'onore, sentenza n. 37 del 2019).
Resta pero' attuale la necessita', gia' sottolineata da questa
Corte con l'ordinanza n. 132 del 2020, di una complessiva riforma
della disciplina vigente, allo scopo di «individuare complessive
strategie sanzionatorie in grado, da un lato, di evitare ogni
indebita intimidazione dell'attivita' giornalistica; e, dall'altro,
di assicurare un'adeguata tutela della reputazione individuale contro
illegittime - e talvolta maliziose - aggressioni poste in essere
nell'esercizio di tale attivita'».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa);
2) dichiara l'illegittimita' costituzionale, in via
consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), dell'art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n.
223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato);
3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 595, terzo comma,
del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21 e 117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art.
10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), dal
Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, con
l'ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 595, terzo comma, cod. pen., sollevata, in
riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale di
Salerno, sezione seconda penale, con l'ordinanza indicata in
epigrafe;
5) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 595, terzo comma, cod. pen., sollevata, in
riferimento all'art. 25 Cost., dal Tribunale di Salerno, sezione
seconda penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2021.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
